Note
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Il tema è stato affrontato in passato da F. Viganò, L’influenza delle norme sovranazionali nel giudizio di antigiuridicità del fatto tipico, in «Riv. it. dir. e proc. pen.», 2009, n. 3, pp. 1062 ss. e da F. Palazzo, Costituzione e scriminanti, in «Riv. it. dir. e proc. pen.», 2009, n. 2, pp. 1033 ss. Tra le trattazioni recenti, F. Consulich, Lo statuto penale delle scriminanti, Torino, Giappichelli, 2018, in particolare pp. 392-409 che si concentra sulla compatibilità della legalità delle norme sovranazionali con le garanzie qualitative di prevedibilità e controllabilità delle fonti scriminanti.
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Per una riflessione sul significato del nullum crimen, nulla poena sine lege nei contesti di interlegalità, A. di Martino, Interlegality and Criminal Law, in J. Klabbers e G. Palombella (a cura di), The Challenge of Inter-legality, Cambridge, Cambridge University Press, 2019, pp. 250 ss.
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Deve sottolinearsi peraltro che le norme sul diritto e sul dovere, per quanto originate in un settore diverso da quello penale e destinate a produrre un effetto in bonam partem, interagiscono con la legalità penale contribuendo a delineare il confine tra ciò che è illecito e sanzionato penalmente e ciò che, invece, alla luce di una valutazione globale dell’ordinamento giuridico, è giuridicamente lecito. Per poter fornire un parametro normativo di qualificazione alternativo a quello costituito dalla fattispecie incriminatrice, pertanto, esse devono essere formulate in modo preciso e determinato in modo che la giustificazione risulti controllabile e prevedibile. Sul tema già F. Bricola, Teoria generale del reato, in Nov. Dig. It., XIX, Torino, 1973, pp. 24 ss.; A. Pagliaro, Fatto, condotta illecita e responsabilità obiettiva nella teoria del reato, in «Riv. it. dir. proc. pen.», 1985, n. 1, pp. 631 ss. Il dibattito in dottrina ha riguardato anche l’eventuale sussistenza di un vincolo di fonte idonee del diritto o del dovere scriminante; su di esso recentemente Consulich, Lo statuto penale delle scriminanti, cit., pp. 421 ss.
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F. Mantovani, Esercizio del diritto (dir. pen.), in Enc. Dir., XV, Milano, Giuffrè, 1966, pp. 627 ss., secondo il quale «un ordinamento può entrare in rapporti con altri solo nel senso che mediante norme di rinvio può fare propri i contenuti normativi di questi».
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Il criterio di giurisdizione territoriale trova giustificazione del resto nell’effettività del sistema penale. Sui criteri di giurisdizione cfr. M. Pisani, Giurisdizione penale, in Enc. Dir., XIX, Milano, Giuffrè, 1970, pp. 381 ss.
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Sulla distinzione tra conflitti propri e impropri a seconda che riguardino il medesimo ordinamento giuridico o altri ordinamenti, A. Baratta, Antinomie giuridiche e conflitti di coscienza, Milano, Giuffrè, 1963, passim. Sul tema del conflitto di doveri, definito come «il conflitto tra il dovere di astenersi dalla commissione di un fatto penalmente rilevante e l’opposto dovere di compiere il fatto medesimo, in presenza di particolari circostanze», cfr. F. Viganò, Stato di necessità e conflitto di doveri, Milano, Giuffrè, 2000, p. 476.
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Sul tema cfr. C. De Maglie, I reati culturalmente motivati, Pisa, ETS, 2010, spec. pp. 159 ss. con riguardo ai possibili profili di rilevanza della motivazione culturale rispetto alle categorie della teoria del reato; F. Basile, Immigrazione e reati «culturalmente motivati». Il diritto penale nelle società multiculturali europee, Milano, Giuffrè, 2010; F. Parisi, Cultura dell’altro e diritto penale, Torino, Giappichelli, 2010, passim.
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Di recente Cass. pen., sez. III, 2 luglio 2018, n. 29613, con riguardo ai toccamenti dei genitali del figlio in tenera età realizzati dal padre, facenti parte, secondo la difesa, di una pratica culturale adottata in alcune zone rurali dell’Albania espressiva di un augurio di prosperità.
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Cass. I 31 marzo 2017 n. 24084, sull’invocazione della libertà di religione rispetto al porto d’armi da parte di un soggetto di religione Sikh che portava con sé il kirpan, coltello simbolico dell’appartenenza a tale religione.
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Cass. V, 11 marzo 2014, n. 39788, Abu Omar.
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Così afferma la Cassazione: «nessun sistema penale potrà mai abdicare, in ragione del rispetto di tradizioni culturali, religiose o sociali del cittadino o dello straniero, alla punizione di fatti che colpiscano o mettano in pericolo beni di maggiore rilevanza (quali i diritti inviolabili dell’uomo garantiti e i beni ad essi collegati tutelati dalle fattispecie penali), che costituiscono uno sbarramento invalicabile contro l’introduzione, di diritto e di fatto, nella società civile, di consuetudini, prassi, costumi che tali diritti inviolabili della persona, cittadino o straniero, pongano in pericolo o danneggino» (Cass. III, 20 novembre 2019, n. 7590; 29 gennaio 2018, n. 29613; 5 giugno 2015, n. 37364; 31 maggio 2017, n. 53135).
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Mantovani, Esercizio del diritto, cit., pp. 660 ss. tende a sottolineare la differenza tra diritto e dovere nel senso che l’imposizione di un dovere si traduce in una situazione di non esigibilità per il destinatario, mentre l’attribuzione di un diritto non esclude la libera scelta del titolare. De iure condendo prospetta così la rilevanza dell’osservanza del dovere imposto da un ordinamento straniero come causa soggettiva di esclusione della punibilità, alla stregua di quanto previsto dall’art. 51, ult. co. c.p. per il caso di insindacabilità dell’ordine illegittimo. Le osservazioni dell’autore, peraltro, sono circoscritte ai casi di giurisdizione extraterritoriale della legge penale italiana.
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Ci si può domandare a tal proposito se, qualora il fatto di reato presenti degli elementi normativi riferibili a rapporti giuridici dotati di elementi di estraneità rispetto all’ordinamento interno, la legge di diritto internazionale privato n. 218/1995 o le convenzioni di diritto internazionale privato possano rendere rilevanti norme straniere ai fini della valutazione di tipicità del fatto o, come interessa in questa sede, di antigiuridicità, cfr. Cass. pen., sez. III, 20 novembre 2019, n. 7590, in banca dati Dejure.
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Sul tema già I. Caraccioli, L’incriminazione da parte dello Stato straniero dei delitti commessi all’estero e il principio di stretta legalità, in «Riv. it. dir. proc. pen.», 1962, n. 2, pp. 998 ss. Più recentemente D. Micheletti, Delitti commessi all’estero e validità extraterritoriale della legge penale: profili sistematici e questioni interpretative, in «Ann. Univ. Ferrara – Sc. Giur.», 1999, pp. 148 ss.; A. di Martino, La frontiera e il diritto penale, Torino, Giappichelli, 2006, passim.
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Il tema è stato affrontato da F. Dean, Norma penale e territorio. Gli elementi di territorialità in relazione alla struttura del reato, Milano, Giuffrè, 1963; più recentemente di Martino, La frontiera e il diritto penale, cit.; D. Micheletti, Reato e territorio, in «Criminalia», 2009, pp. 579 ss.
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Maggiori dubbi riguardano il rispetto della doppia incriminazione per i casi di giurisdizione extraterritoriale fondata sul criterio della difesa di cui agli artt. 7 e 8 c.p. Sul tema cfr. Micheletti, Delitti commessi all’estero e validità extraterritoriale della legge penale, cit., pp. 148 ss.
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Sul tema cfr. di Martino, La frontiera e il diritto penale, cit., pp. 120 ss. Recentemente riconosce la problematica anche Cass. pen., sez. V, 10 marzo 2016, n. 13525, su cui T. Trinchera, Limiti spaziali all’applicazione della legge penale italiana e maternità surrogata all’estero, in «Riv. it. dir. e proc. pen.», 2017, n. 4, pp. 1392 ss.
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Si ricorda che recentemente le Sezioni unite della Suprema Corte hanno riconosciuto che la legge penale applicabile al fatto nei reati caratterizzati da uno «iato temporale» tra la condotta e l’evento sia quella vigente al momento della realizzazione della condotta. Il tempus commissi delicti ai fini dell’individuazione della legge penale applicabile in caso di successione di leggi nel tempo ai sensi dell’art. 2 c.p. va quindi individuato nel momento in cui viene realizzata la condotta, e non in quello in cui si verifica l’evento, a garanzia dell’individuo dal momento che «è la condotta il punto di riferimento temporale essenziale a garantire la “calcolabilità” delle conseguenze penali e, con essa, l’autodeterminazione della persona: ed è a tal punto di riferimento temporale che deve essere riconnessa l’operatività del principio di irretroattività ex art. 25 Cost.» (Cass. Sez. Un. 19 luglio 2018, n. 40986, § 7.1). La Cassazione ricorda comunque come invece l’art. 6 c.p. accolga un criterio alternativo ai fini della determinazione del tempus commissi delicti a legittimazione del criterio ubiquitario di giurisdizione territoriale (§ 6.2). Peraltro, le stesse argomentazioni della Corte a favore del criterio della condotta per il caso in cui sussista uno «iato temporale» tra condotta ed evento possono essere riproposte per il caso in cui sussista tra gli stessi uno «iato spaziale».
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Per un commento sulla dimensione internazionale della responsabilità dell’ente si rimanda, anche per la dottrina ivi citata a G. Di Vetta, Commento art. 4 (Reati commessi all’estero), in Compliance. Responsabilità da reato degli enti collettivi, Milano, Wolters Kluwer, 2019, pp. 62 ss. Si veda anche S. Manacorda, Limiti spaziali della responsabilità degli enti e criteri d’imputazione, in «Riv. it. dir. proc. pen.», 2012, pp. 91 ss.
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Tra i vari, O. Di Giovine, Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, in G. Lattanzi (a cura di), Reati e responsabilità degli enti. Guida al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, Torino, Giappichelli, 2010, pp. 3 ss. Sul modello unitario, in particolare per la tesi della fattispecie plurisoggettiva, cfr. C.E. Paliero, La responsabilità degli enti: profili di diritto sostanziale, in Impresa e giustizia penale: tra passato e futuro, Milano, Giuffrè, 2009, pp. 277 ss. e recentemente Id., La colpa di organizzazione tra responsabilità collettiva e responsabilità individuale, in «Riv. trim. Dir. pen. ec.», 2018, n. 1-2, pp. 175 ss.
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Cfr. P.M. Gemelli, Società con sede all’estero e criteri di attribuzione della responsabilità ex d.lgs. 231/01: compatibilità e incompatibilità, in «Rivista 231», 2012, p. 22.
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In questo senso, Di Vetta, Commento art. 4 (Reati commessi all’estero),cit., p. 90, riprendendo le teorie sui limiti territoriali della tipicità di di Martino, La frontiera e il diritto penale, cit., p. 125 e Micheletti, Reato e territorio, cit., p. 585.
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Cass., VI, 11 febbraio 2020, n. 11626. Sul tema si erano espressi i tribunali di merito tra cui recentemente Trib. Lucca sez. III 31 luglio 2017, n. 222, Gatx Rail Austria GmbH ed altri, in www.giurisprudenzapenale.it, 20 agosto 2017, con commento di M. Riccardi, L’internazionalizzazione della responsabilità «231» nel processo sulla strage di Viareggio: gli enti con sede all’estero rispondono per l’illecito da reato-presupposto «nazionale», in «Giur. pen.», 2018, n. 1, e per la prima volta Trib. Milano 27 aprile 2004, Siemens A.G., in «Foro it.», 2004, n. 2, p. 434.
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Il dibattito recente sul tema è vasto. Si rimanda per i relativi riferimenti a A. Bernardi, Il difficile rapporto tra fonti penali interne e fonti sovranazionali, in La crisi della legalità. Il «sistema vivente» delle fonti penali, Napoli, ESI, 2016, pp. 7 ss.; V. Manes, Il giudice nel labirinto. Profili delle intersezioni tra diritto penale e fonti sovranazionali, Roma, Dike, 2012; F. Viganò, La tutela dei diritti fondamentali della persona tra corti europee e giudici nazionali, in «Quad. cost.», 2019, n. 2, pp. 481 ss. e Id., L’adeguamento del sistema penale italiano al «diritto europeo» tra giurisdizione ordinaria e costituzionale, in «Dir. pen. cont.- Riv. trim.», pp. 167 ss.
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Per i riferimenti manualistici alle cause di giustificazione si rimanda a G. Fiandaca e E. Musco, Diritto penale. Parte generale, Bologna, Zanichelli, 2014, pp. 255 ss. e F. Mantovani, Diritto penale, Padova, CEDAM, 2017, pp. 233 ss. Quest’ultimo è fautore della minoritaria teoria bipartita, che considera le scriminanti come elementi oggettivi negativi della fattispecie criminosa e ne colloca la valutazione nello stadio della tipicità del fatto.
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Cfr. F. Viganò, Diritto penale sostanziale e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in «Riv. it. dir. proc. pen.», 2007, pp. 42 ss. e Id., L’influenza delle norme sovranazionali nel giudizio di antigiuridicità del fatto tipico, cit.
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Cfr. Fiandaca e Musco, Diritto penale,cit., p. 271; Mantovani, Esercizio del diritto, cit., p. 627.
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Cfr. Fiandaca e Musco, Diritto penale, cit., p. 272; Mantovani, Esercizio del diritto, cit., pp. 628 ss.
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Cfr. A. Spena, Diritti e responsabilità penale, Milano, Giuffrè, 2008, pp. 145 ss.
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Tali affermazioni potrebbero apparire poco meditate e troppo assertive. Non essendo possibile sviluppare in questa sede compiutamente gli argomenti per superare l’orientamento tradizionale sulla funzione dell’art. 51 c.p., si rimanda al lavoro di Spena, Diritti e responsabilità penale, cit., di cui si condividono, in particolare, le argomentazioni a sostegno della pars destruens della concezione descrittiva dell’art. 51 c.p. (ibidem, pp. 43 ss.).
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Per una classificazione delle antinomie normative e, in particolare, per la distinzione tra antinomia in astratto – che riguarda il caso in cui le norme attribuiscono conseguenze incompatibili ad una medesima classe di fattispecie – e antinomia in concreto – con riferimento all’ipotesi in cui le conseguenze incompatibili riguardano il medesimo fatto concretamente realizzato –, cfr. R. Guastini, Interpretare e argomentare, Milano, Giuffrè, 2011, pp. 105 ss.
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Cfr. Consulich, Lo statuto penale delle scriminanti, cit., pp. 87 ss.
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Con riferimento alla perdurante attualità della funzione ordinante del criterio gerarchico tra fonti o norme, e il contestuale riconoscimento del ruolo dell’interprete nella sua applicazione, cfr. G. Pino, Norme e gerarchie normative, in «Analisi e diritto», 2009, pp. 263 ss., spec. 288 ss.; Id., La gerarchia delle fonti del diritto, in Ars interpretandi, 16, 2011, pp. 19-56.
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Si vedano in proposito le osservazioni di Consulich, Lo statuto penale delle scriminanti, cit., p. 94, che parla di «criterio astratto e predeterminato rispetto al caso concreto» e Spena, Diritti e responsabilità penale, cit., passim, spec. pp. 161 ss., che ritiene prevalente la norma sul diritto in ragione del principio di sussidiarietà del diritto penale e di tutela della libera autodeterminazione dell’individuo.
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In questo senso sembra G.A. De Francesco, Invito al diritto penale, Bologna, Zanichelli, 2019, p. 78.
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In questo senso, già G. Marinucci, Fatto e scriminanti. Note dommatiche e politico-criminali, in «Riv. it. dir. e proc. pen.», 1983, n. 2, pp. 1190 ss., spec. 1237, concludendo però in favore della prevalenza «stabile» della norma sul diritto o sul dovere.
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Condizioni cristallizzate a partire dalla c.d. «sentenza decalogo» Cass. civ., sez. I, 18 ottobre 1984, n. 5259, in «Foro it.», 1984, n. 1, pp. 2711 ss., con nota di R. Pardolesi.
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Peraltro, questo è quanto è stato affermato recentemente dalla Corte cost., ord. 26 giugno 2020, n. 132, che ha riconosciuto l’inadeguatezza del bilanciamento realizzato dall’art. 595 c.p. sul piano del trattamento sanzionatorio tra libertà giornalistica e tutela della reputazione. Con l’innovativo strumento dell’ordinanza di rinvio della trattazione della questione di costituzionalità, la Corte ha concesso al legislatore un termine per riformare la disposizione prevedendo un nuovo bilanciamento trai beni coinvolti costituzionalmente conforme. Alla scadenza del termine, in assenza dell’invocato intervento legislativo di riforma, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 l. 8 febbraio 1948, n. 47 in quanto prevede l’applicazione indefettibile della pena detentiva ai casi di diffamazione aggravati dall’uso della stampa e dall’attribuzione di un fatto determinato (sent. 22 giugno 2021, n. 150).
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Per una panoramica cfr. anche F. Viganò, art. 51, in E. Dolcini e G.L. Gatta (a cura di), Codice penale commentato, Milano, Giuffrè, 2015, pp. 867 ss.
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Sull’individuazione di limiti interni e limiti esterni del diritto sulla base dell’esigenza di tutelare altri controinteressi anche di natura costituzionale, recentemente, Cass. V, 11 febbraio 2020, n. 12485.
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Sempreché un simile giudizio aprioristico di prevalenza sia ammissibile tout court. Proprio la teoria dell’interlegalità invita a guardare in modo differente, dalla prospettiva del caso, anche ai conflitti normativi qui definiti «in astratto», in quanto i criteri formali non risultano sempre risolutivi o comunque realizzano un assetto di interessi criticabile sul piano sostanziale. Si rimanda sul punto a G. Palombella, Theories, Realities and Promises of Interlegality: a Manifesto, in Klabbers e Palombella (a cura di), The Challenge of Inter-legality, cit., pp. 363 ss.
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Già C. Pedrazzi, L’influenza della produzione giuridica della CEE sul diritto penale italiano, in M. Cappelletti e A. Pizzorusso (a cura di), L’influenza del diritto europeo sul diritto italiano, Milano, Giuffrè, 1982, p. 623.
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C. Cost., Granital, 8 giugno 1984 n. 170, in «Foro it.», 1984, n. 1, p. 2062 e CGUE, C-106/77, Simmenthal, 9 marzo 1978. Cfr. G. Tesauro, Diritto dell’Unione europea, Padova, CEDAM, 2012, pp. 165 ss.
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Cfr. Spena, Diritti e responsabilità penale, cit., p. 243, secondo cui «l’esistenza dell’art. 51 c.p. permette di dare una forma giuridica consolidata, e senz’altro compatibile con i principi che governano la “materia penale”, ai peculiari meccanismi attraverso i quali (…) si esprime la prevalenza del diritto comunitario sul diritto (anche penale) nazionale».
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Cfr. Palazzo, Costituzione e scriminanti, cit., pp. 1033 ss., che sottolinea come «l’effetto giustificante, al di là di ogni altro criterio di prevalenza tra norme, si produca in ragione del primato che la norma comunitaria può vantare rispetto alla fonte interna».
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CGUE Grande Sezione 6 marzo 2007, nelle cause riunite C338/04, C359/04 e C360/04, Placanica e altri, e 16 febbraio 2012 C-72/10 e C-77/10, Costa & Cifone, inoltre, ha ritenuto in contrasto con le norme del trattato la previsione di sanzioni nei confronti dell’operatore che raccolga scommesse in assenza dell’autorizzazione o della concessione quando queste gli siano negate in violazione delle norme di diritto UE. Alle sentenze della Corte di giustizia hanno fatto seguito le sentenze della Corte di legittimità, Cass. pen., sez. III, 28 marzo 2007, n. 16928 e 16 maggio 2012, n. 18767. Di recente sul tema C. Cost. 8 marzo 2017, n. 48 che dichiara manifestamente inammissibile la questione di costituzionalità delle norme interne sull’esercizio delle attività di gioco e scommesse in riferimento agli artt. 3, 25 e 41 della Costituzione e agli artt. 49 e 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea; il giudice avrebbe dovuto infatti provvedere direttamente alla disapplicazione delle norme interne in contrasto con le norme che riconoscono la libertà di stabilimento e di prestazione di servizi.
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Conflitto riconosciuto a partire dal paradigmatico caso Auer (CGUE, 22 settembre 1983, C-271/82), in cui la Corte di Appello di Colmar aveva chiesto in via pregiudiziale alla Corte di giustizia se le direttive comunitarie sul riconoscimento reciproco del titolo professionale di veterinario ostassero all’incriminazione per esercizio abusivo della professione del soggetto che, conseguito il titolo di veterinario in Italia, esercitasse in Francia la professione nonostante il diniego della competente autorità di iscriverlo all’albo dei veterinari.
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In questo senso A. di Martino, La sequenza infranta, Milano, Giuffrè, 1998, pp. 91 ss. Contra G. Grasso, Comunità europee e diritto penale, Milano, Giuffrè, 1989, pp. 270 ss., ripreso poi da G. Mazzini, Prevalenza del diritto comunitario sul diritto penale interno ed effetti nei confronti del reo, in «Dir. Un. Eur.», 2000, n. 2, pp. 349 ss. Resta fermo nell’inquadramento sotto l’art. 51 c.p. del conflitto tra norma eurounitaria sul diritto e norma incriminatrice, pur riconoscendo che il sindacato del giudice ha ad oggetto un «contrasto frontale» tra di esse, anche Viganò, L’influenza delle norme sovranazionali nel giudizio di antigiuridicità del fatto tipico, cit., pp. 1062 ss., secondo cui «oggetto del giudizio a quo è qui, in prima battuta, la norma incriminatrice stessa al metro della sua compatibilità con il diritto comunitario, più che il fatto storico commesso dall’imputato; ed è proprio da tale valutazione su tale compatibilità o incompatibilità che dipende la decisione finale se dare applicazione o meno alla norma incriminatrice, con conseguente condanna o assoluzione dell’imputato. Più che di stabilire se l’imputato abbia o meno esercitato una facoltà legittima riconosciutagli dal diritto comunitario, si tratta dunque per il giudice ordinario di stabilire se il legislatore nazionale avesse o meno il diritto di incriminare la condotta compiuta dall’imputato, dal punto di vista del diritto comunitario (che si assume come sistema normativo prevalente sul diritto interno)».
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Ci si riferisce in particolare all’orientamento fatto proprio da C. cost. 24 ottobre 2007, nn. 348 e 349, con commento di M. Cartabia, Le sentenze «gemelle»: diritti fondamentali, fonti, giudici, in «Giur. cost.», 2007, pp. 3564 ss., che riconosce che il contrasto tra norme internazionali pattizie, in particolare quelle CEDU, e le norme primarie interne debba essere risolto con la proposizione di una questione di legittimità costituzionale ai sensi dell’art. 117 Cost., e non con la disapplicazione da parte del giudice interno delle norme interne contrastanti.
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La dottrina riconosce come la Corte costituzionale abbia negato l’effetto diretto delle disposizioni internazionali della Convenzione EDU al fine di differenziare lo statuto di tale convenzione rispetto al diritto UE e negare che il giudice, per darle applicazione, possa direttamente disapplicare il diritto interno confliggente anziché sollevare questione di legittimità costituzionale (C. Cost. 348/2007: «la distinzione tra le norme CEDU e le norme comunitarie deve essere ribadita nel presente procedimento (…) nel senso che le prime, pur rivestendo grande rilevanza, in quanto tutelano e valorizzano i diritti e le libertà fondamentali delle persone, sono pur sempre norme internazionali pattizie, che vincolano lo Stato, ma non producono effetti diretti nell’ordinamento interno, tali da affermare la competenza dei giudici nazionali a darvi applicazione nelle controversie ad essi sottoposte, non applicando nello stesso tempo le norme interne in eventuale contrasto». L’unico effetto diretto delle norme convenzionali che il giudice delle leggi avrebbe inteso escludere sarebbe quello che si accompagna alla non applicazione delle norme interne in eventuale conflitto con esse. Così, V. Sciarabba, Metodi di tutela dei diritti fondamentali tra fonti e corti nazionali ed europee: uno schema cartesiano nella prospettiva dell’avvocato, in «Consulta online», 2019, n. 1, pp. 218 ss.
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Si pone questo problema, risolvendolo in senso favorevole all’applicazione delle norme internazionali vincolanti a seguito di ratifica da parte del giudice ordinario, Viganò, L’influenza delle norme sovranazionali nel giudizio di antigiuridicità del fatto tipico, cit., p. 1067. Sembra distinguere le norme eurounitarie dalle norme internazionali in relazione alla possibilità di trovare applicazione diretta ai sensi dell’art. 51 c.p., recentemente Cass. pen., sez. II, 7 giugno 2019, n. 38277, cit., secondo cui «le fonti dell’UE (come premesso, ontologicamente distinte dalla Convenzione EDU) potrebbero prevedere, con efficacia immediatamente vincolante per il giudice interno, nuove cause di giustificazione, attribuendo diritti il cui esercizio potrebbe scriminare l’agente ex art. 51 c.p.».
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Per le diverse modalità di adattamento, a seconda che si tratti del diritto internazionale generale o pattizio, e di norme autoapplicative o necessitanti di norme di trasposizione, N. Ronzitti, Introduzione al diritto internazionale, Torino, Giappichelli, 2009, pp. 231 ss. Discorso a parte va fatto per l’adattamento al diritto eurounitario, su cui ampiamente, Tesauro, Diritto dell’Unione europea, cit. pp. 161 ss.
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Per una recente riflessione sulla nozione, cfr. R. Baratta, L’effetto diretto delle disposizioni internazionali self-executing, in «Riv. dir. intern.», 2020, n. 1, pp. 5 ss. L’autore, in particolare, individua l’effetto diretto sulla base tanto della completezza quanto dell’idoneità della norma a disciplinare situazioni giuridiche individuali.
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CGUE, 5 febbraio 1963, C-26/62, Van Gend en Loos.
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Cfr. Tesauro, Diritto dell’Unione europea, cit., pp. 165 ss.
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CGUE, 4 dicembre 1974, C-41/74, van Duyn. Più recentemente CGUE, 28 aprile 2011, C-61/11, El Dridi.
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CGUE, G.S., 6 novembre 2018, C-684/16, Max-Planck-Gesellschaft.
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Sulla posizione dell’individuo nel diritto internazionale, cfr. A. Peters, Beyond human rights. The legal status of the individual in international law, Cambridge, Cambridge University Press, 2016.
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Cfr. M. Starita, Il dovere di soccorso in mare e il «diritto di obbedire al diritto» (internazionale) del comandante della nave privata, in «Dir. umani e dir. intern.», 2019, n. 1, p. 39, il quale, riprendendo l’orientamento di B. Conforti, Diritto internazionale, Napoli, ESI, 2010, p. 345, sottolinea che le norme preordinate alla creazione di obblighi nei confronti dei privati, richiederebbero una normativa interna che ne integri il precetto almeno allorquando tali norme siano preordinate anche alla repressione penale dei comportamenti devianti.
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Si pensi, in particolare, al giudizio nei confronti della comandante della nave Sea Watch, Carola Rackete, che ha visto la Cassazione pronunciarsi in sede di impugnazione dell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari che aveva rigettato la convalida dell’arresto della comandante in quanto ravvisava i presupposti per l’applicabilità della causa di giustificazione dell’adempimento del dovere (Cass. pen., sez. III, 16 gennaio 2020, n. 6626, in «Foro it.», 2020, n. 2, pp. 289 ss., con nota di F. Parisi). La Corte di legittimità ha confermato l’ordinanza ritenendo immune da vizi la valutazione del giudice per le indagini preliminari sulla verosimiglianza della causa di giustificazione invocata.
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Per una panoramica delle possibili qualificazioni giuridiche di tali condotte, S. Bernardi, I (possibili) profili penalistici delle attività di ricerca e soccorso in mare, in «Dir. pen. cont. – Riv. trim.», 2018, n. 1, pp. 134 ss.
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Con tale intervento è stata sostituita la disciplina dettata dal cd. decreto sicurezza bis (d.l. n. 53/2019 conv. con l. 77/2019) che puniva con una sanzione amministrativa l’inosservanza dei provvedimenti del Ministero dell’interno volti ad impedire l’ingresso, il transito o la sosta delle navi del mare territoriale. Il d.l. n. 130/2020 prevede che il potere di limitare o vietare il transito e la sosta delle navi nel mare territoriale sia esercitato dal ministro dell’Interno di concerto con il ministro della Difesa e con il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, previa informazione al presidente del Consiglio dei ministri e ne sanziona l’inosservanza con la multa.
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Per un commento sulla nuova disposizione particolarmente attento ai profili di intersezione tra la disciplina nazionale e le fonti internazionali, cfr A. di Martino e L. Ricci, L’inosservanza della limitazione o del divieto di transito e sosta nel mare territoriale come delitto, in www.lalegislazionepenale.eu, 1 marzo 2021, pp. 1-19.
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Cass. pen., sez. III, 16 gennaio 2020, cit.; Cass. pen., sez. I, 23 aprile 2018, n. 56138; Cass. pen., sez. IV, 30 marzo 2018, n. 14709; Cass. pen., sez. I, 27 marzo 2014, n. 14510.
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Ci si riferisce, in particolare, all’art. 98 della Convenzione di Montego Bay che riconosce un obbligo di soccorso in capo agli Stati: «Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri: a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo; b) proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa; c) presti soccorso, in caso di abbordo, all’altra nave, al suo equipaggio e ai suoi passeggeri e, quando è possibile, comunichi all’altra nave il nome della propria e il porto presso cui essa è immatricolata, e qual è il porto più vicino presso cui farà scalo. 2. Ogni Stato costiero promuove la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea e, quando le circostanze lo richiedono, collabora a questo fine con gli Stati adiacenti tramite accordi regionali». La Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (Convenzione SOLAS) obbliga il «comandante di una nave che si trovi nella posizione di essere in grado di prestare assistenza, avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare, a procedere con tutta rapidità alla loro assistenza, se possibile informando gli interessati o il servizio di ricerca e soccorso del fatto che la nave sta effettuando tale operazione» (Capitolo V, Regolamento 33[1]). La Convenzione internazionale di Amburgo sulla ricerca e il soccorso in mare del 1979 (Convenzione SAR – Search and Rescue) obbliga gli Stati parte a «garantire che sia prestata assistenza ad ogni persona in pericolo in mare (…) senza distinzioni relative alla nazionalità o allo status di tale persona o alle circostanze nelle quali tale persona viene trovata» (capitolo 2.1.10) ed a «fornirle le prime cure mediche o di altro genere ed a trasferirla in un luogo sicuro» (capitolo 1.3.2).
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Vengono prese in considerazione anche le linee guida sul trattamento delle persone in mare, adottate dal Comitato per la sicurezza dell’IMO, allegate alla convenzione SAR, che dispongono che il governo responsabile per la zona SAR in cui avviene il recupero sia tenuto ad assicurare un porto sicuro, e cioè «un luogo dove le operazioni di soccorso si considerano concluse; dove la sicurezza dei sopravvissuti e la loro vita non è più minacciata; le necessità primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte; e può essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale». D’altra parte si richiama la Risoluzione n. 1821 del 21 giugno 2011 del Consiglio d’Europa, secondo cui «la nozione di “luogo sicuro” non può essere limitata alla sola protezione fisica delle persone ma comprende necessariamente il rispetto dei loro diritti fondamentali” in quanto – come sostiene la Cassazione nel caso Rackete – “pur non essendo fonte diretta del diritto, costituisce un criterio interpretativo imprescindibile del concetto di “luogo sicuro” nel diritto internazionale».
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In particolare, la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo statuto dei rifugiati e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali con particolare riguardo al divieto di trattamenti inumani e degradanti e al divieto di respingimento collettivo.
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In questo senso soprattutto Cass. pen., sez. III, 16 gennaio 2020, cit.
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Cass. pen., sez. III, 16 gennaio 2020, n. 6626, cit.
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L’art. 385 c.p.p. vieta l’arresto o il fermo quando «appaia» – secondo un giudizio di «verosimile sussistenza» come definito dalla Cassazione nel caso Rackete – che il fatto sia stato «compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima ovvero in presenza di una causa di non punibilità». Sulle diverse opzioni interpretative del concetto di apparenza, cfr. C. Scaccianoce, art. 385 c.p.p., in A. Giarda, G. Spangher, Codice di procedura penale commentato, Milano, Giuffrè, 2017, pp. 843 ss.
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Cass. pen., sez. I, 23 aprile 2018, cit., nel filone giurisprudenziale sul riconoscimento della giurisdizione italiana nei confronti dei trafficanti pure nel caso in cui l’ingresso nel territorio non sia realizzato direttamente dalla condotta dei trafficanti – soliti abbandonare le imbarcazioni alla deriva in acque internazionali – bensì dall’attività dei soccorritori, sulla base della teoria dell’autoria mediata. Secondo la Corte, occorre «discernere tra l’attività, meritoria e salvifica, messa in essere da chi si muove nell’ambito segnato dall’art. 12, comma 2, d.lgs. n. 286 del 1998 (…), nella cornice fissata dall’obbligo di salvataggio in mare scolpito dal diritto consuetudinario internazionale e richiamato da molteplici Convenzioni (…), e l’attività di chi – consapevolmente concorrendo con i trafficanti di essere umani – agisce nel senso di agevolarne le condotte illecite e consentire la loro concreta perpetrazione».
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Cass. pen., sez. I, 8 aprile 2015, n. 20503, secondo cui sussiste la giurisdizione del giudice italiano sulla condotta dei trafficanti di trasporto e procurato ingresso illegale nel territorio dello Stato di cittadini extracomunitari qualora i migranti siano abbandonati in acque internazionali, su natanti inadeguati a raggiungere le coste italiane, allo scopo di provocare l’intervento dei soccorritori che li conducono nelle acque italiane, «poiché la condotta di questi ultimi, che operano sotto la copertura dello stato di necessità – espressamente richiamata nell’incipit del d.lgs. 286/1998 art. 12, comma 2 – è riconducibile alla figura dell’autore mediato di cui all’art. 54 c.p., comma 3». Nello stesso senso, Cass. 28 febbraio 2014, n. 14510, cit.
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Trib. Trapani, 3 giugno 2019, vos Thalassa, in www.penalecontemporaneo.it, 24 giugno 2019, con commento di L. Masera, La legittima difesa dei migranti e l’illegittimità dei respingimenti verso la Libia (caso vos Thalassa).
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Trib. Ragusa, 16 aprile 2018, n. 1182, sul caso Open Arms nell’ambito del giudizio cautelare reale sul sequestro della motonave utilizzata per il soccorso.
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Trib. Catania, 27 marzo 2018, n. 2474, sullo stesso caso su cui si è pronunciato in seguito Trib. Ragusa, 16 aprile 2018, cit., in ragione del difetto di giurisdizione. Secondo il gip di Catania, nel vagliare l’applicazione della scriminante dello stato di necessità «se, poi, l’approdo in un porto della Libia significhi la ripresa di una situazione di vita problematica, soprattutto per le condizioni precarie (abitative e alimentari) dei campi profughi di quel Paese, tale circostanza, sotto il profilo della scriminante in questione, contrariamente all’assunto degli inquisiti, non assume rilevanza alcuna, poiché si tratta di un evento che la legislazione italiana e quella internazionale non hanno preso in considerazione». Cfr. anche C. app. Palermo, 24 giugno 2020, n. 1525, in www.sistemapenale.it, 21 luglio 2020, con commento di L. Masera, I migranti che si oppongono al rimpatrio in Libia non possono invocare la legittima difesa: una decisione che mette in discussione il diritto al non refoulement, che ribalta la decisione del Trib. Trapani, 3 giugno 2019, cit. Il giudice palermitano di secondo grado, peraltro, preferisce non affrontare la questione della sussistenza di «un diritto al ricovero immediatamente tutelabile da parte del migrante soccorso in mare», limitandosi a porre nel dubbio la bontà di tale ipotesi ricostruttiva. Nell’esaminare i requisiti della legittima difesa, ne esclude l’applicabilità per difetto della «necessità» dell’offesa in quanto il naufragio che aveva determinato il salvataggio avrebbe costituito «una condizione di pericolo intenzionalmente causata dai trafficanti e dai migranti». Lasciando in disparte tale criticabile affermazione, l’erroneità della costruzione emerge dal fatto che il pericolo che aveva indotto i migranti a minacciare l’equipaggio del Vos Thalassa determinato a ricondurli in Libia non era rappresentato dal naufragio ma proprio dalle condizioni di vita in violazione dei diritti fondamentali che avrebbero patito una volta riportati nei «porti insicuri» libici.
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Si veda supra e, in particolare, il caso riguardante il sequestro della nave Iuventa (su cui gip Trapani, 2 agosto 2017, n. 816 e Cass. pen., sez. I, 23 aprile 2018, n. 56138, cit.).
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In questo senso C. Pitea e S. Zirulia, «Friends, not foes»: qualificazione penalistica delle attività delle ONG di soccorso in mare alla luce del diritto internazionale e tipicità della condotta, in «SIDIblog», 2019, n. 6, pp. 74-86.
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A. Spena, Smuggling umanitario e scriminanti, in «Riv. it. dir. e proc. pen.», 2019, n. 4, pp. 1903 s.
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A. di Martino e L. Ricci, L’inosservanza della limitazione o del divieto di transito e sosta nel mare territoriale come delitto, cit, p. 14.
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Cfr. ibidem.
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Tale affermazione circa la responsabilità dello Stato che non accoglie i migranti a seguito delle segnalazioni del comandante può apparire comunque frutto di una semplificazione, in quanto l’ingresso non viene autorizzato proprio quando l’Italia non è competente secondo gli accordi internazionali che individuano le zone di competenza per il salvataggio, ad assicurare lo sbarco dei migranti. Peraltro, come dimostrano i recenti casi, i problemi maggiori riguardano proprio i casi in cui la stessa competenza è oggetto di contestazione e si crea un’impasse che impedisce lo sbarco immediato. Ad ogni modo, lo Stato è responsabile per la tutela dei diritti fondamentali dei naufraghi una volta entrati nelle acque territoriali e, qualora abbia un potere di controllo effettivo su di essi pur se si trovino nel mare territoriale, è tenuto al rispetto della CEDU in conformità con la giurisprudenza della Corte EDU sull’applicazione extraterritoriale della Convenzione (Corte EDU, G.C. Loizidou c. Turchia, 18 dicembre 1996; Al-Saadoon e Mufdhi c. Regno Unito, 30 giugno 2009). Sull’applicazione extraterritoriale delle convenzioni sui diritti umani, cfr. M. Milanovic, Extraterritorial Application of Human Rights Treaties: Law, Principles and Policies, Oxford, Oxford University Press, 2011.
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Con toni simili Spena, Smuggling umanitario e scriminanti, cit., p. 1904.
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Per una riflessione ponderata sull’illegittimità della «scriminante umanitaria» di cui all’art. 12 t.u.imm. per l’irragionevole esclusione delle condotte di favoreggiamento degli ingressi irregolari, cfr. S. Zirulia, Non c’è smuggling senza ingiusto profitto, in «Dir. Pen. Cont.», 2020, n. 3, pp. 143 ss., spec. 163.
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Cass., cit., fa riferimento alle «fonti pattizie in tema di soccorso in mare e, prima ancora, l’obbligo consuetudinario di soccorso in mare, norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta e pertanto direttamente applicabile nell’ordinamento interno, in forza del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 1»; l’ordinanza cautelare del gip Agrigento 2 luglio 2019, a sua volta si limita a ribadire in chiusura che «il parametro normativo al quale riferirsi, sia per individuare il contenuto del dovere, sia per verificare la legittimità dell’ordine impartito, deve essere ricercato nell’ordinamento giuridico italiano e quindi anche nelle norme internazionali che l’ordinamento incorpora», senza affrontare la questione dell’effetto diretto di tali norme.
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Cfr. la ricostruzione di Starita, Il dovere di soccorso in mare e il «diritto di obbedire al diritto» (internazionale) del comandante della nave privata, cit., pp. 22 ss. In particolare, secondo l’approccio tradizionale, precisato dalla Corte internazionale di Giustizia nel caso Intertanko, secondo cui natura e struttura della Convenzione di Montego Bay e delle Convenzioni del diritto del mare non consentirebbero di riconoscere al privato la possibilità di avvalersi delle disposizioni ivi contenute davanti ai giudici interni. D’altra parte, almeno con riguardo alle norme internazionali preordinate alla creazione di diritti dei privati, si sostiene una presunzione di efficacia diretta, anche nell’ambito del diritto del mare, salva la relativa incompletezza o l’espressione di una diversa volontà delle parti.
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Peraltro, già nel diritto interno una situazione di obbligo è prevista dall’art. 1158 Cod. nav.
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Per un dibattito sulla configurabilità di un diritto dell’individuo ad essere soccorso in mare si vedano S. Trevisanut, Is there a right to be rescued at sea? A constructive view, e E.D. Papastavridis, Is there a right to be rescued at sea? A skeptical view, in «QIL», 2014, n. 4, pp. 3-15 e 17-32. A parere della prima tale diritto è configurabile a partire dalle norme internazionali sul dovere di soccorso in mare e sul diritto alla vita. Secondo l’altro autore, invece, le norme internazionali sul diritto del mare e quelle sui diritti umani fondano in capo agli Stati dei differenti tipi di obbligazioni tra loro «non comunicanti». Un diritto dell’individuo ad essere soccorso potrebbe essere fondato sui diritti umani ma esso riceverebbe tutela solo nel caso in cui lo Stato abbia giurisdizione sugli individui.
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Oltretutto, già l’art. 1158 del codice della navigazione sanziona penalmente l’omessa assistenza a navi o persone in pericolo da parte del comandante di navi, galleggianti o aeromobili nazionali o stranieri.
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In questo senso Spena, Smuggling umanitario e scriminanti, cit., pp. 1859 ss.
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Cfr. supra, § 4.
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Cfr. Spena, Smuggling umanitario e scriminanti, cit., p. 1864, secondo cui mentre esisterebbe un obbligo assoluto di non sbarcare i naufraghi in un luogo «non sicuro» secondo i parametri della Convenzione SAR, d’altra parte, l’obbligo positivo di sbarco è condizionato all’individuazione di un pos ad opera degli Stati competenti. Le norme internazionali infatti non prevedono sugli Stati competenti un immediato obbligo di accoglienza delle navi nei propri porti, ma un obbligo di coordinamento per l’individuazione di un luogo di sbarco sicuro.
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Cfr. ibidem, p. 1865.
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Cfr. A. di Martino e L. Ricci, L’inosservanza della limitazione o del divieto di transito e sosta nel mare territoriale come delitto, cit., pp. 17-18.
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Sulla distinzione tra le scriminanti dell’esercizio del diritto e dell’adempimento del dovere, «a condotta vincolata», e le altre cause di giustificazione, «a condotta libera», cfr. Consulich, Lo statuto penale delle scriminanti, cit., pp. 142 ss. e, soprattutto evidenziando la peculiarità della scriminante dell’esercizio del diritto, Spena, Diritti e responsabilità penale, cit., pp. 345 ss.
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Sui limiti intrinseci della condotta scriminabile ai sensi dell’art. 51 c.p., con riguardo però all’esercizio del diritto, cfr. Mantovani, Esercizio del diritto, cit.; Spena, Diritti e responsabilità penale, cit., pp. 371 ss.
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Nell’ordinanza del gip, sembra richiamarsi il criterio della lex superior ai sensi dell’art. 117 Cost. Nella sentenza della Cassazione si fa riferimento al diritto consuetudinario direttamente applicabile ai sensi dell’art. 10 Cost.
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In questo senso anche V. Valentini, Dovere di soccorrere o diritto di speronare? Qualche spunto (quasi) a caldo sul caso Sea Watch 3, in «Criminalia», 2018, pp. 802 ss. Può peraltro anche sostenersi che una verifica più attenta al caso concreto sarà oggetto del giudizio di merito, essendo il giudizio della Cassazione sulla legittimità della mancata convalida dell’arresto limitato al controllo di ragionevolezza dell’operato di coloro che hanno eseguito l’arresto.