L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c10
La giurisdizione italiana
sembrerebbe dover essere negata, inoltre, proprio per i limiti territoriali
dell’illecito derivanti
¶{p. 254}dalla tipicità colposa; ossia per
l’impossibilità di riconoscere efficacia precettiva alle norme prevenzionistiche
interne nei confronti della condotta di organizzazione tenuta all’estero.
Da questa prospettiva il fatto
dell’ente equivale a un fatto realizzato all’estero da un soggetto tenuto ad agire
secondo il diritto ivi vigente e quindi qualificabile alla stregua di quest’ultimo.
E non potrebbe essere altrimenti in ragione della limitata efficacia spaziale nelle
norme prevenzionistiche che integrano il precetto
[22]
.
La Cassazione
[23]
non ha però fatto propri tali argomenti. Nel ritenere del tutto
indifferente la circostanza che l’ente abbia la propria sede principale all’estero e
si sia organizzato sulla base delle norme ivi vigenti, i giudici hanno trascurato le
peculiarità strutturali della tipicità colposa e le sue affinità con la tipicità
dell’illecito dell’ente. Si sono così limitati ad affermare che, come per le persone
fisiche, anche per le persone giuridiche i principi di territorialità e
obbligatorietà della legge penale italiana rendono del tutto irrilevante nel
giudizio di responsabilità l’aver agito conformemente al diritto dell’ordinamento di
appartenenza.
3. La rilevanza della norma sovranazionale ai sensi dell’art. 51 c.p.
La rilevanza della norma
sovranazionale vincolante nel giudizio di responsabilità penale si pone ormai sempre più
¶{p. 255}spesso all’attenzione del giudice
[24]
. Dato il suo carattere vincolante per l’ordinamento essa è astrattamente
idonea a fondare situazioni di interlegalità, fatto salvo l’accertamento della relativa
rilevanza in concreto rispetto al caso.
Nel domandarsi in che termini la
norma sovranazionale sia rilevante rispetto alla qualificazione del caso e debba trovare
applicazione il giudice è chiamato a valutare, a seconda della relativa portata
precettiva, sotto quale profilo – la tipicità, l’antigiuridicità, la colpevolezza – la
stessa influisca sul giudizio di responsabilità penale. La norma extrapenale
sovranazionale che preveda un diritto o un dovere, ad esempio, sarà plausibilmente presa
in considerazione come causa di giustificazione idonea ad escludere l’antigiuridicità
del fatto tipico di reato ai sensi dell’art. 51 c.p.
[25]
.
Il tema merita una riflessione:
l’applicazione dell’art. 51 c.p. costituisce ormai un paradigma della permeabilità del
diritto interno alle norme sovranazionali che riconoscono diritti in capo all’individuo
e dei conseguenti effetti riduttivi prodotti dal diritto sovranazionale rispetto
all’area del penalmente rilevante definita dal legislatore nazionale
[26]
. Vi ¶{p. 256}è però il rischio che l’art. 51 c.p. divenga un
passe-partout per le norme extrapenali sovranazionali e così
sia applicato pur in mancanza dei presupposti del conflitto tra la fattispecie penale e
la norma liceizzante o cogente sotteso alla scriminante in esame.
Come si vedrà all’esito di una
breve digressione sulla portata dell’art. 51 c.p. nel diritto interno, la disposizione
trova applicazione nei confronti di un conflitto «in concreto» tra la norma penale e
quella extrapenale. Inoltre, la norma extrapenale deve soddisfare i requisiti di
determinatezza e diretta efficacia per poter spiegare efficacia scriminante rispetto ad
un fatto tipico di reato.
3.1. L’art. 51 c.p. come norma sul conflitto «in concreto»
Il fondamento dell’art. 51 c.p.
è rinvenuto nel principio dell’interesse prevalente di chi agisce nell’esercizio di
un diritto o nell’adempimento di un dovere legalmente riconosciuti e, sul piano
logico-giuridico, nel principio di non contraddizione. Quest’ultimo esclude che
all’interno del medesimo ordinamento uno stesso fatto possa ricevere una duplice e
confliggente qualificazione e che, in particolare, possa essere ritenuto al contempo
penalmente illecito e meritevole di tutela
[27]
. L’art. 51 c.p. postula dunque un’intersezione tra la legalità penale
incriminatrice e la legalità extra-penale da risolvere con l’applicazione di quella
che risulta prevalente tra le due.
Diverse opinioni sono state
formulate sulla portata della disposizione: in assenza di un’espressa indicazione
dei parametri per la risoluzione del conflitto normativo, da una parte si è ritenuto
che la norma sia meramente dichiarativa in quanto presuppone già risolto il
conflitto tra la norma autorizzativa o cogente e la norma incriminatrice sulla base
dei rapporti logico-formali che intercorrono tra le stesse
[28]
; ¶{p. 257}dall’altra, si è sostenuto che l’art. 51 c.p.
stesso sia una metanorma che risolve il conflitto tra norma incriminatrice e norma
extra-penale in favore di quest’ultima in quanto assiologicamente prevalente
[29]
.
A parere di chi scrive l’art.
51 c.p. non è norma meramente ricognitiva di criteri risolutivi formali altrove
definiti. Essa risolve i casi – altrimenti irrisolvibili – di conflitto tra la norma
incriminatrice e la norma extrapenale sul diritto o sul dovere che siano entrambe
formalmente valide secondo il settore/sistema di provenienza e applicabili al caso
da regolare; nonché espressione, ciascuna, di valori accettati o promossi
dall’ordinamento. Ossia i casi in cui le norme interferiscono soltanto in relazione
alla vicenda concreta dal momento che il medesimo fatto ricade sia nel contenuto del
diritto o del dovere sia nella tipicità del fatto di reato e risulta
conseguentemente oggetto di qualificazioni incompatibili
[30]
.
Mentre il conflitto in astratto
tra le fonti normative deve essere risolto secondo i criteri formali cronologico,
gerarchico e di specialità, la cui operatività precede la valutazione ai sensi
dell’art. 51 c.p., il conflitto in concreto
[31]
deve essere risolto, ai sensi dell’art. 51 c.p., sulla base del criterio
della gerarchia assiologica
[32]
che esige di considerare e bilanciare i principi sottesi alle norme
confliggenti. Il ricorso a tale criterio consiste nel dare preferenza applicativa
alla norma ¶{p. 258}assiologicamente prevalente senza che ciò
determini l’invalidità o l’abrogazione della norma recessiva
[33]
.
Si discute se la preminenza
assiologica di una norma sull’altra sia una volta per tutte stabilita dal
legislatore, che con l’art. 51 c.p. avrebbe definitivamente risolto il bilanciamento
in favore della norma sul diritto e della norma sul dovere
[34]
o se, invece, essa debba essere di volta in volta valutata dal giudice
in relazione al caso concreto
[35]
.
Secondo chi scrive,
quest’ultima dovrebbe essere la soluzione preferibile e, probabilmente, anche
necessaria. L’art. 51 c.p., nell’affermare che «l’esercizio di un diritto o
l’adempimento di un dovere (…) esclude la punibilità», non implica che la norma sul
diritto o sul dovere prevalga in ogni caso sulla norma incriminatrice. Come già
ribadito, l’interazione nel caso concreto è il quid proprium
del conflitto tra norma incriminatrice e norma sul diritto o sul dovere. E se è vero
che quest’ultima ha una propria ratio e funzione a prescindere
dall’interazione con la norma penale
[36]
– di talché la funzione di giustificazione viene in rilievo solo
eventualmente, quando l’attività permessa o doverosa integri al contempo un fatto
sanzionato – la prevalenza della norma permissiva o cogente rispetto alla norma
incriminatrice deve necessariamente essere argomentata sulla base della specifica
interazione delle due norme nel caso concreto.
¶{p. 259}
Note
[22] In questo senso, Di Vetta, Commento art. 4 (Reati commessi all’estero), cit., p. 90, riprendendo le teorie sui limiti territoriali della tipicità di di Martino, La frontiera e il diritto penale, cit., p. 125 e Micheletti, Reato e territorio, cit., p. 585.
[23] Cass., VI, 11 febbraio 2020, n. 11626. Sul tema si erano espressi i tribunali di merito tra cui recentemente Trib. Lucca sez. III 31 luglio 2017, n. 222, Gatx Rail Austria GmbH ed altri, in www.giurisprudenzapenale.it, 20 agosto 2017, con commento di M. Riccardi, L’internazionalizzazione della responsabilità «231» nel processo sulla strage di Viareggio: gli enti con sede all’estero rispondono per l’illecito da reato-presupposto «nazionale», in «Giur. pen.», 2018, n. 1, e per la prima volta Trib. Milano 27 aprile 2004, Siemens A.G., in «Foro it.», 2004, n. 2, p. 434.
[24] Il dibattito recente sul tema è vasto. Si rimanda per i relativi riferimenti a A. Bernardi, Il difficile rapporto tra fonti penali interne e fonti sovranazionali, in La crisi della legalità. Il «sistema vivente» delle fonti penali, Napoli, ESI, 2016, pp. 7 ss.; V. Manes, Il giudice nel labirinto. Profili delle intersezioni tra diritto penale e fonti sovranazionali, Roma, Dike, 2012; F. Viganò, La tutela dei diritti fondamentali della persona tra corti europee e giudici nazionali, in «Quad. cost.», 2019, n. 2, pp. 481 ss. e Id., L’adeguamento del sistema penale italiano al «diritto europeo» tra giurisdizione ordinaria e costituzionale, in «Dir. pen. cont.- Riv. trim.», pp. 167 ss.
[25] Per i riferimenti manualistici alle cause di giustificazione si rimanda a G. Fiandaca e E. Musco, Diritto penale. Parte generale, Bologna, Zanichelli, 2014, pp. 255 ss. e F. Mantovani, Diritto penale, Padova, CEDAM, 2017, pp. 233 ss. Quest’ultimo è fautore della minoritaria teoria bipartita, che considera le scriminanti come elementi oggettivi negativi della fattispecie criminosa e ne colloca la valutazione nello stadio della tipicità del fatto.
[26] Cfr. F. Viganò, Diritto penale sostanziale e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in «Riv. it. dir. proc. pen.», 2007, pp. 42 ss. e Id., L’influenza delle norme sovranazionali nel giudizio di antigiuridicità del fatto tipico, cit.
[27] Cfr. Fiandaca e Musco, Diritto penale, cit., p. 271; Mantovani, Esercizio del diritto, cit., p. 627.
[28] Cfr. Fiandaca e Musco, Diritto penale, cit., p. 272; Mantovani, Esercizio del diritto, cit., pp. 628 ss.
[29] Cfr. A. Spena, Diritti e responsabilità penale, Milano, Giuffrè, 2008, pp. 145 ss.
[30] Tali affermazioni potrebbero apparire poco meditate e troppo assertive. Non essendo possibile sviluppare in questa sede compiutamente gli argomenti per superare l’orientamento tradizionale sulla funzione dell’art. 51 c.p., si rimanda al lavoro di Spena, Diritti e responsabilità penale, cit., di cui si condividono, in particolare, le argomentazioni a sostegno della pars destruens della concezione descrittiva dell’art. 51 c.p. (ibidem, pp. 43 ss.).
[31] Per una classificazione delle antinomie normative e, in particolare, per la distinzione tra antinomia in astratto – che riguarda il caso in cui le norme attribuiscono conseguenze incompatibili ad una medesima classe di fattispecie – e antinomia in concreto – con riferimento all’ipotesi in cui le conseguenze incompatibili riguardano il medesimo fatto concretamente realizzato –, cfr. R. Guastini, Interpretare e argomentare, Milano, Giuffrè, 2011, pp. 105 ss.
[32] Cfr. Consulich, Lo statuto penale delle scriminanti, cit., pp. 87 ss.
[33] Con riferimento alla perdurante attualità della funzione ordinante del criterio gerarchico tra fonti o norme, e il contestuale riconoscimento del ruolo dell’interprete nella sua applicazione, cfr. G. Pino, Norme e gerarchie normative, in «Analisi e diritto», 2009, pp. 263 ss., spec. 288 ss.; Id., La gerarchia delle fonti del diritto, in Ars interpretandi, 16, 2011, pp. 19-56.
[34] Si vedano in proposito le osservazioni di Consulich, Lo statuto penale delle scriminanti, cit., p. 94, che parla di «criterio astratto e predeterminato rispetto al caso concreto» e Spena, Diritti e responsabilità penale, cit., passim, spec. pp. 161 ss., che ritiene prevalente la norma sul diritto in ragione del principio di sussidiarietà del diritto penale e di tutela della libera autodeterminazione dell’individuo.
[35] In questo senso sembra G.A. De Francesco, Invito al diritto penale, Bologna, Zanichelli, 2019, p. 78.
[36] In questo senso, già G. Marinucci, Fatto e scriminanti. Note dommatiche e politico-criminali, in «Riv. it. dir. e proc. pen.», 1983, n. 2, pp. 1190 ss., spec. 1237, concludendo però in favore della prevalenza «stabile» della norma sul diritto o sul dovere.