L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c3
Dalla regola per il caso al caso della regola
Notizie Autori
Alberto di Martino è professore di Diritto penale, Scuola Superiore
Sant’Anna.
Abstract
Il caso concreto rappresenta il luogo di convergenza delle varie qualificazioni
normative e, quindi, la dimensione in cui le diverse fonti del diritto avanzano
pretese di legittima primarietà regolatoria, senza che però vi sia realmente alcun
criterio o principio ordinatore. A fronte di tale pretesa di primarietà da parte
delle diverse fonti del diritto l’interlegalità rappresenta l’unico criterio di
mediazione tra le forze in gioco. Il capitolo si concentra in primo luogo sul ruolo
determinante della fisionomia del caso nelle decisioni, per poi operare una
fondamentale distinzione tra i concetti di fatto e di caso e giungendo, infine, a
riflessioni che evidenziano l’importanza di una corretta ricostruzione del caso,
nonché della sua narrazione e interpretazione.
1. Premessa
Il presente contributo è dedicato ad
uno snodo concettuale chiave nella teoria dell’interlegalità: il ruolo del caso concreto
quale punto di convergenza di qualificazioni normative che avanzano pretese regolatorie
fornite di pari legittimità, senza che sia possibile stabilire la «regola» che
disciplina il caso in base a criteri astrattamente determinabili secondo un principio
ordinatore. Sono le caratteristiche del caso concreto, invece, che definiscono il campo
sul quale si gioca la partita delle regole: tutte le qualificazioni convergenti dovranno
precipitare nella decisione, e la scelta fra quelle destinate a regolare il caso dipende
per l’appunto dalla fisionomia di questo. Quando molte disposizioni normative,
appartenenti a diversi ordinamenti, sono legittimate a disciplinare i rapporti cui esse
si riferiscono (nei termini che saranno esplicitati poco oltre: cfr. § 2), nessuna può
esser considerata come prevista in astratto e soprattutto in via esclusiva per quei
rapporti; è il «caso», invece, a definire il campo di intervento delle
molteplici qualificazioni convergenti, concorrenti, di segno
eventualmente – in realtà, spesso – opposto; ed è rispetto a questo che dovrà esser
definita di volta in volta la regola che lo disciplina: questa non si applica
al caso per virtù propria, operando una meccanica sussunzione,
ma deriva dal caso per effetto di una scelta ch’esso impone fra
molteplici, legittimi paradigmi di qualificazione normativa.
Dopo un breve, preliminare esame del
significato che il caso concreto ha per la categoria dell’interlegalità, ci si
soffermerà sul concetto di «caso», su quale sia il suo rapporto con l’altro concetto
inscindibilmente ad esso legato, quello di «fatto», e su come questi concetti e la loro
relazione esprimano la natura per l’appunto casistica del diritto
interlegale.¶{p. 66}
2. Universo interlegale: moto in espansione, principio d’inclusione, gravitazione sul caso concreto
Interlegalità è lo strumento
concettuale adeguato a tematizzare proprio quelle situazioni, ormai tutt’altro che
eccezionali o limitate a determinate materie o branche del diritto, nelle quali la
«precettività giuridica» è condivisa fra più ordinamenti
[1]
. Ciò dev’essere inteso nel senso che ogni ordinamento può produrre effetti
giuridici in costanza di quelli prodotti da altri ordinamenti, senza che sia possibile
istituire una relazione gerarchica, o addirittura un qualunque tipo di relazione tra le
fonti che hanno la pretesa di disciplinare una situazione concreta. In tutte queste
situazioni, il «diritto rilevante»
[2]
, cioè il diritto che disciplina le condotte dei soggetti coinvolti e che, in
caso di controversia, deve o può essere applicato dal giudice, è prodotto da vari
soggetti, senza che sia identificabile un «creatore», cioè un’unica fonte legittima
originaria che pianifica la regola e i suoi effetti.
Fino a che il diritto si è definito
in relazione ai confini nazionali, l’universo delle fonti era stazionario e governato da
un principio di esclusione, nel senso che erano fonti del diritto solo quelle abilitate
ad essere tali dal diritto nazionale, ed al loro interno le regole d’applicazione erano
definite secondo principi chiaramente identificabili: nell’ordinamento italiano, ad
esempio, i principi di gerarchia e più recentemente di competenza. L’incontro con il
diritto internazionale e sovranazionale ha soltanto parzialmente scosso quella
struttura, introducendo un principio d’inclusione di quelle fonti. In effetti, anche le
relazioni fra diritto internazionale/sovranazionale e diritto nazionale sono apparse a
lungo regolate secondo principi identificabili, per quanto rappresentati come opposti.
Si tratta, cioè, delle prospettive monistica e dualistica, quali chiavi di lettura dei
rapporti fra sistemi ¶{p. 67}nazionali e ordinamento internazionale
[3]
. In realtà, l’una e l’altra differiscono nell’identificare il principio che
coordinerebbe i distinti ordinamenti, ma non mettono affatto in discussione che un
principio regolativo esista effettivamente.
Quanto al diritto sovranazionale, dal
canto suo, il principio di primauté dell’ordinamento comunitario
prima, dell’Unione ora, può suscitare discussioni sui termini ed i limiti della sua
applicazione, ma ancora una volta non sulla sua esistenza.
In una realtà multi-centro qual è
quella contemporanea
[4]
, invece, la struttura stazionaria e i principi e le relazioni fra gli ambiti
normativi differenti sono messi radicalmente in discussione. L’universo della
normatività è in moto di espansione, quanto alle fonti che disciplinano le relazioni
umane, e governato da una «regola d’inclusione», quanto alla loro contestuale
legittimazione.
In moto di espansione, perché le
realtà oggetto di regolazione giuridica sono realtà interconnesse, oltreché
strutturalmente eterogenee nella loro complessità: Mireille Delmas-Marty ha parlato di
«enchevêtrement des espaces normatifs», un affastellamento che tocca tutti gli ambiti,
dal diritto dei contratti a quello dell’ambiente, dal diritto penale a quello del lavoro
e al diritto societario
[5]
. Si pensi ad un esempio che può esser considerato paradigmatico, quello
¶{p. 68}della regolazione della rete, nella quale intervengono attori
globali non soltanto pubblici – ordinamenti giuridici in senso proprio – ma anche entità
private e tuttavia partecipi a pieno titolo di quell’attività regolatoria
[6]
.
Al contempo, si tratta anche di un
universo governato dalla forza centripeta d’un principio di inclusione, nel senso cioè
che tutte le fonti sono legittimate a disciplinare la realtà di relazioni umane a cui
esse si riferiscono, siano esse immediate cioè intercorrenti fra persone fisiche reali o
mediate (in particolare dalla tecnologia; o da schermi di personalità giuridica, quali
le corporations).
D’altronde, proprio il riconoscere
che vi sono situazioni di fatto le quali acquistano giuridicità alla stregua di
molteplici parametri di qualificazione, nazionali, sovranazionali, internazionali, porta
ad ammettere che la fonte di giuridicità
[7]
possa essere anche ravvisata in discipline di origine non soltanto statuale,
ma anche privata: ciò accade quando siano attribuiti o comunque riconosciuti poteri
regolatori ad organizzazioni non statuali, per l’appunto anche private. Le molteplici
qualificazioni che caratterizzano il diritto interlegale possono dunque provenire non
soltanto da ordinamenti giuridici, ma anche da altri complessi istituzionali,
eventualmente costruiti dall’autonomia privata (in particolare dall’iniziativa economica
o regolatoria privata). Quando più fonti sono produttive di effetti giuridici rispetto
alla situazione concreta, e nessuna relazione di preminenza può di per sé essere
stabilita in astratto, il diritto che governa le relazioni giuridiche è quello che
risulta – come è stato scritto – dall’interconnessione che si stabilisce fra le diverse
legalità (o normatività) del caso concreto: il diritto, «composito e multiverso», non ha
più la forma della regola generale astratta, bensì quella del caso concreto. Su queste
¶{p. 69}basi, come scrivono Palombella e Scoditti, tutta la forza di
gravità del fenomeno interlegale è «concentrata nel fondo del caso concreto», il quale
attrae, per così dire, le fonti di qualificazione; «[l]e circostanze che si irradiano
dal fatto evocano diversi ordinamenti e danno vita al fenomeno dell’interlegalità:
all’unitarietà del fatto si contrappone la pluralità delle fonti, a sua volta derivante
dalla necessità che la sua disciplina ha imposto»
[8]
. Il diritto interlegale è un diritto del caso concreto. Questo caso tuttavia
non è terra di nessuno, come si è opportunamente precisato, ma uno spazio in cui,
convergendo discipline derivanti da più fonti, c’è – per così dire – più densità di
diritto e la questione giuridica consiste proprio nel determinare quale sia la
disciplina di un fatto cui questo eccesso di diritto è associato.
Sul rapporto tra interlegalità e
disciplina del caso è necessaria sin da subito una precisazione: l’interlegalità si
profila come un metodo di gestione del caso. Non si tratta, però,
di un metodo funzionale a raggiungere una soluzione piuttosto che un’altra, cioè di una
categoria che esprime in quanto tale un criterio sostanziale, contenutistico di
decisione; si tratta invece di una categoria concettuale che conferisce legittimità alle
varie legalità – o, se si preferisce, normatività – che si riferiscono ad un caso
concreto. Talvolta accade che tale legittimità sia espressamente conferita, per
decisione unilaterale
[9]
di «prise en compte» di un ordina
¶{p. 70}mento straniero
[10]
; ma proprio in simile situazione, in cui la dimensione interlegale è assunta
esplicitamente a livello normativo, la soluzione della convergenza non può che avvenire
a livello di decisione sul caso concreto, orientata dalle sue caratteristiche. In
astratto è definito solo il metodo plurale; la soluzione è affidata all’arbitro delle
circostanze del caso (il giudice, in primo luogo); è facile che il criterio sostanziale
sia elastico e (gius-)politico, come gli «interessi della giustizia», o la generica
«comity» internazionale, peraltro «generica» soltanto in un’ottica giuspositivista,
perché nelle relazioni internazionali è criterio ben attestato da un paio di secoli. E
tuttavia sono clausole generali che gli ordinamenti ben conoscono a prescindere da
situazioni di interlegalità, ogni qualvolta l’universo delle qualificazioni giuridiche
confligga con altri paradigmi di valore (si pensi alle clausole dell’interesse pubblico,
dell’ordine pubblico, del buon costume, ecc.).
Note
[1] Cfr. J. Klabbers e G. Palombella (a cura di), The Challenge of Inter-legality, Cambridge, Cambridge University Press, 2019.
[2] G. Palombella e E. Scoditti, L’interlegalità e la ragion giuridica del diritto contemporaneo, in questo volume. A questo scritto si riferiscono anche le citazioni che seguono nel testo, spec. §§ 2 e 4.
[3] Le relative nozioni sono di comune dominio: la teoria monista «originaria» «propugna la supremazia del diritto interno sul diritto internazionale»; quella dualista ritiene che l’ordinamento internazionale sia «separato e distinto dai sistemi giuridici interni»; quella monista «internazionalista» «afferma il pluralismo ma anche l’unità degli ordinamenti giuridici, e nel contempo postula la supremazia del diritto internazionale sui sistemi giuridici interni» (cfr. A. Cassese, Diritto internazionale, Bologna, Il Mulino, 2006, pp. 281-283).
[4] Mi limito a ricordare l’importante voce di M. Delmas-Marty, Vers un droit commun de l’humanité, Paris, Textuel, 1995; Ead., Trois défis pour un droit mondial, Paris, Seuil, 1998; Ead., Études juridiques comparatives et internationalisation du droit, Paris, Fayard, 2003; Ead., Le pluralisme ordonné, Paris, Seuil, 2006.
[5] M. Delmas-Marty, Recensione a J. Allard e A. Garapon, Les juges dans la mondialisation. La nouvelle révolution du droit, in «Critique internationale», 28, 2005, pp. 187-189: 188.
[6] Cfr. il saggio di G. Fiorinelli, Ordinamenti interconnessi. Il contributo dell’interlegalità alla regolazione della rete, in questo volume.
[7] Per tale si può intendere «any fact that embeds normative propositions, and determines the bindingness (adoption-worthiness) of these propositions, by virtue of such an embedment»: per questa definizione cfr. G. Sartor, Legal Reasoning. A Cognitive Approach to the Law, Dordrecht, Springer, 2007, p. 657.
[8] Palombella e Scoditti, L’interlegalità e la ragion giuridica del diritto contemporaneo, cit.
[9] Può trattarsi innanzi tutto di un ordinamento statuale (cfr. ad es. il CLOUD Act statunitense ricordato nel citato saggio di Fiorinelli, p. 417: il provider destinatario di un obbligo di produzione di prove elettroniche disposto da un’autorità statunitense potrebbe presentare una richiesta di annullamento dell’ordine quando questo possa collidere con obblighi contrastanti previsti da uno Stato terzo: cfr. sec 103 (b): «(2) Motions to quash or modify. – (A) A provider of electronic communication service to the public or remote computing service, including a foreign electronic communication service or remote computing service, that is being required to disclose pursuant to legal process issued under this section the contents of a wire or electronic communication of a subscriber or customer, may file a motion to modify or quash the legal process where the provider reasonably believes – (…) (ii) that the required disclosure would create a material risk that the provider would violate the laws of a qualifying foreignment)». Ancora, la rilevanza di più legalità può essere prevista dal diritto sovranazionale (cfr. ad es. art. 45 del regolamento noto come GDPR; inoltre, artt. 15, 16 della Proposta di regolamento del parlamento europeo e del Consiglio relativo agli ordini di produzione e di conservazione di prove elettroniche in materia penale [17.4.2018, COM 2018/225/final]). Può inoltre venire in considerazione un’autorità privata, quando i criteri di azione con i quali essa regola un’attività su scala globale prevedano di considerare situazioni di conflitto con leggi nazionali. Si pensi, quanto al governo della rete Internet, al caso dell’ICANN, che ha emanato un testo di Procedure for Handling WHOIS Conflicts with Privacy Law, in relazione alle questioni che possono sorgere circa la pubblicazione dei dati identificativi di chi registra un dominio in rete.
[10] Ciò può accadere anche nella materia più legata alla sovranità statuale, il diritto penale, ogni qualvolta l’ordinamento straniero sia direttamente o indirettamente preso in considerazione: così accade, ad esempio, quando per la punizione di un fatto commesso all’estero si richieda la cd. doppia incriminazione, cioè ch’esso sia punito anche nel luogo dove è stato commesso; o siano considerate le cause di non punibilità riconosciute dalla lex loci, concretamente prodottesi; o ancora, quando sia espressamente previsto che la pena inflitta e già scontata all’estero per uno stesso fatto sia comunque computata in quella da scontare nello stato che ha proceduto per la seconda volta (cd. Anrechnungsprinzip).