L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c6
L’interlegalità e la cultura della giustificazione
Notizie Autori
Orlando Scarcello è borsista di ricerca post-dottorato, Institute for
European Law, KU Leuven.
Abstract
Il capitolo è dedicato al confronto tra due specifiche concezioni del diritto
pubblico, ovvero l’interlegalità e la cosiddetta culture of justification, la quale
considera la legittimità delle decisioni da parte delle pubbliche autorità sulla
base della loro giustificabilità razionale e non solo della fonte normativa di
provenienza. L’analisi comparativa segue due linee principali: una mirata a
sottolineare le somiglianze e le differenze, l’altra di carattere riassuntivo che si
domanda se tali concezioni possano essere considerate come parte della stessa
tipologia. Se è vero che entrambe vengono considerate come sia descrittive che
normative, la culture of justification viene infine distinta dall’interlegalità a
causa della mancanza di tematiche quali i rapporti con il diritto sovra, trans e
inter-nazionale.
1. Introduzione
Nel presente lavoro si esamineranno
i rapporti tra la teoria dell’inter-legalità, come elaborata sino a questo momento, e la
cd. cultura della giustificazione (culture of justification).
Benché la prima sia una teoria
ancora in stato di evoluzione, mentre la seconda può ormai considerarsi una concezione
del diritto (pubblico) ormai consolidata, si tenterà di evidenziarne i numerosi tratti
di somiglianza. In definitiva, benché sia difficile identificare una vera e propria
derivazione dell’interlegality dalla cultura della giustificazione,
è probabile che la prima rappresenti in un certo senso una prosecuzione ed un’evoluzione
dello stesso milieu culturale, fondato sull’idea per cui la
legittimità delle decisioni delle pubbliche autorità debba passare anche per la
giustificabilità razionale delle stesse (e non solo per la mera provenienza da una
determinata fonte). Ad ogni modo, benché questo tratto accomuni le due teorie, è
necessario sottolineare anche le significative differenze. Nello specifico, la
culture of justification, come si vedrà, ha origine in contesti
precipuamente nazionali, laddove l’interlegalità mira a descrivere (e mutare) i rapporti
tra ordinamenti diversi, all’interno ma soprattutto al di là dello Stato. Ne derivano,
si sosterrà, differenze non trascurabili in termini sia di portata normativa (piano
prescrittivo), sia di oggetto di indagine (piano descrittivo).
La prima parte del saggio sarà
dedicata ad esporre i tratti fondamentali delle due teorie, in modo da chiarirne gli
elementi salienti ai fini del confronto (§ 2). Successivamente, si passerà alla fase
comparativa, evidenziando prima le affinità e poi le differenze tra le due (§ 3), per
poi giungere alle osservazioni conclusive (§ 4).¶{p. 138}
Al termine dell’indagine, la
speranza è di rintracciare una possibile «somiglianza di famiglia» e di collocare meglio
la nascente idea di interlegalità in un quadro culturale più ampio.
2. Interlegalità e «culture of justification»: un ritratto
Come anticipato nell’introduzione,
in questo paragrafo si tenterà di individuare le caratteristiche principali delle due
teorie, prima della fase comparativa.
Per quanto concerne l’interlegalità
, preliminarmente val la pena di ricordare ancora che si tratta di un approccio in fase
di evoluzione: le indicazioni che si possono trarre, pertanto, restano passibili di
futuri «emendamenti» nel prossimo futuro. In secondo luogo, la breve sintesi che si
presenterà in questo paragrafo riguarda la parte più strettamente teorica
dell’interlegalità, più che le sue applicazioni ad aree specifiche del diritto (penale,
amministrativo, internazionale, costituzionale e via dicendo). Infine, le indicazioni
saranno tratte soprattutto a partire dal volume The Challenge of
Inter-legality del 2017, che rappresenta, ad oggi, la fonte più
«consolidata» sulla teoria, stante la già ricordata possibilità di future evoluzioni
[1]
.
2.1. L’interlegalità
La teoria dell’interlegalità
ruota attorno a due grandi «perni», uno descrittivo, l’altro normativo.
Il primo avanza una
considerazione relativa all’interconnessione tra ordinamenti giuridici
contemporanei. L’avvento e la crescita inarrestabile di regimi normativi al di là
dello Stato (UE, WTO, WHO, ISO), siano essi regionali o globali, genera
cluster di norme, composti dalla risultante di ordinamenti
giuridici autonomi in concorrenza reciproca ¶{p. 139}o in
concorrenza rispetto agli Stati. Qualora queste norme concorrenti siano coerenti
l’una con l’altra, nulla quaestio; in altri casi, tuttavia, si
verificheranno (potenziali) conflitti
[2]
.
Il rimedio ordinariamente
utilizzato nella seconda serie di casi è la divisione «funzionale»: ripartire le
materie di competenza, secondo un modello impiegato anche nei rapporti tra Stati ed
entità sub-statali. Tuttavia, la capacità della divisione funzionale di evitare i
conflitti si rivela spesso assai limitata
[3]
(anche in questo caso replicando fenomeni visibili anche a livello
nazionale). Ne risulta evidenziato il carattere composito del diritto contemporaneo:
ogni fatto è giuridicamente qualificato (o qualificabile) da più norme, tratte da
regimi normativi diversi, da una composite law
[4]
. Non sempre è possibile risolvere il conflitto
utilizzando criteri «formali» di tipo gerarchico: esiste forse una gerarchia materiale
[5]
tra diritto dell’Unione europea e risoluzioni del Consiglio di sicurezza
ONU in casi come Kadi I, analoga a quella che è possibile
riscontrare tra costituzioni nazionali e fonti primarie? La decisione sulla
disciplina da applicare caso per caso deve tenere in considerazione l’insieme delle
norme oggettivamente coinvolte, anche in assenza di criteri formali di soluzione
delle antinomie.
La teoria, dunque, si allontana
marcatamente da una concettualizzazione dei rapporti tra ordinamenti nei termini
classici del monismo e del dualismo del XX secolo. Da un lato, il monismo presuppone
una overarching legality già esistente che la teoria
dell’interlegalità, per il realismo insito nel suo lato descrittivo, non può accettare
[6]
. Questo tratto, ¶{p. 140}peraltro, la distingue con ogni
probabilità anche dal global constitutionalism, che può in un
certo senso intendersi come una teoria monista dei rapporti tra ordinamenti
[7]
. D’altra parte, neppure il dualismo è considerato accettabile. Per il
dualismo «esiste» un solo ordinamento giuridico e l’interprete può applicare norme
esterne solo quando siano internalizzate per mezzo di una norma di rinvio (formale o
materiale); prima di quel momento essa esiste solo come «fatto bruto». La teoria
rifiuta esplicitamente questa concettualizzazione: tutti i distinti
normative claims vanno intesi come norme, non come meri
fatti. Tali sono sia per gli operatori giuridici coinvolti (giudici, avvocati,
funzionari), sia per il soggetto che ne subirà l’applicazione. Pertanto, anche il
dualismo è rigettato
[8]
. Più sfumata, infine, la differenza col cd. pluralismo giuridico
[9]
. Il pluralismo cd. radicale, per riprendere un’espressione di Neil MacCormick
[10]
, è considerato insufficiente perché non offre una soluzione giuridica,
ma solo politica, dei conflitti: non pone alcun obbligo giuridico di trovare una
mediazione, un bilanciamento tra le norme in conflitto. Tuttavia, anche altre
versioni del pluralismo sono respinte perché continuano a concepire i rapporti tra
ordinamenti come rapporti tra sistemi di norme, entità chiuse da una
Grundnorm
[11]
. Una norma è allora giuridica solo se precedentemente inclusa in un
sistema, laddove la teoria ¶{p. 141}dell’interlegalità tende a
riconoscere un valore autonomo ai precetti che riguardano il caso concreto.
Il rigetto del pluralismo, di
quello radical in particolar modo, ci porta concettualmente
molto vicini al secondo «pilastro» della teoria, quello normativo. Al di là del
rifiuto di pensare al caso concreto come oggetto di regolazione da parte di più
«sistemi», conta l’idea che non si possa accettare a cuor leggero di non avere
soluzioni giuridiche, ma solo politiche, al conflitto. Da questo punto di vista è
essenziale la prospettiva dell’individuo e delle sue legittime aspettative
[12]
: Mr. Kadi ha il diritto a sapere qual è la norma
che lo riguarda e sulla base di quali considerazioni giuridiche. Questo punto è
particolarmente importante perché sottolinea la centralità per l’interlegalità di un
punto che, come vedremo, è essenziale anche per la culture of
justification: la legittima aspettativa degli individui a ricevere
una giustificazione giuridica coerente su quale norma si applichi. Il giudice è
responsabile per l’intero complesso di norme coinvolte nel caso e non può
semplicemente ignorare uno o più dei regimi coinvolti, dichiarandosi incompetente a
valutarne la rilevanza
[13]
. Dal punto di vista normativo, pertanto, l’interlegalità prescrive ai
giudici di prendere in considerazione l’insieme delle norme oggettivamente e
bilanciarle, motivando l’applicazione dell’una e la disapplicazione dell’altra
[14]
. Benché l’aspirazione a fornire una risposta giuridica anche quando essa
sembri assente risenta probabilmente di influenze dworkiniane
[15]
, non è accolta l’idea di una one right answer. Per
citare Klabbers sull’emblematico caso Kadi: «What the case
makes clear is that matters cannot be convincingly reduced to a single jurisdiction
or a single body of expertise […]. What is important to appreciate is that, as a
technical matter, the
¶{p. 142}case could easily have had a
different outcome»
[16]
. Ponderate tutte le norme rilevanti, il giudice non giunge alla risposta
corretta, ma più modestamente evita l’ingiustizia che deriva da un’argomentazione
chiaramente lacunosa
[17]
. La responsabilità per l’intero, formula sintetica che riassume
probabilmente l’intera parte prescrittiva del progetto, parte dal presupposto che il
giudice debba valutare la normativa rilevante e tentare di rendere la risposta
giuridicamente più adeguata, ma che non necessariamente giungerà ad uno specifico
risultato e che, ad ogni modo, avrà ottemperato al proprio dovere attraverso
un’argomentazione congrua, non raggiungendo un esito particolare.
Note
[1] G. Palombella e J. Klabbers (a cura di), The Challenge of Inter-legality, Cambridge, Cambridge University Press, 2017.
[2] Cfr. J. Klabbers e G. Palombella, Introduction, in Palombella e Klabbers (a cura di), The Challenge of Inter-legality, cit., pp. 1 ss., 10.
[3] Cfr. G. Palombella, Theory, Realities, and Promises of Interlegality. A Manifesto, in Palombella e Klabbers (a cura di), The Challenge of Inter-legality, cit., pp. 363 ss., 367.
[4] Cfr. ibidem, p. 375.
[5] Sulla nozione di gerarchia materiale si veda G. Pino, Teoria analitica del diritto I, Pisa, ETS, 2016, pp. 170-173. Si veda in generale l’intero capitolo VII per un’esposizione esaustiva sulle gerarchie normative.
[6] Cfr. Palombella, Theory, Realities, and Promises of Interlegality, cit., pp. 367-368.
[7] Si veda per tutti A. Peters, The Merits of Global Constitutionalism, in «Indiana Journal of Global Legal Studies», 16, 2009, n. 2, pp. 397 ss. Per uno sguardo d’insieme sulla cd. «costituzionlizzazione» del diritto internazionale, cfr. A. Bianchi, International Law Theories: An Inquiry into Different Ways of Thinking, Oxford, Oxford University Press, 2016, cap. 3.
[8] Cfr. Palombella, Theory, Realities, and Promises of Interlegality, cit., pp. 370-371.
[9] «It is rather fair to say that inter-legality would relocate pluralism without rejecting some of its main findings» (ibidem, p. 372).
[10] Cfr. N. MacCormick, Beyond the Sovereign State, in «Modern Law Review», 56, 1993, n. 1, pp. 1 ss.; Id., The Maastricht Urteil: Sovereignty Now, in «European Law Journal», 1, 1995, n. 3, pp. 259 ss.
[11] Cfr. Palombella, Theory, Realities, and Promises of Interlegality, cit., pp. 373-374. Si veda anche G. Palombella, «Formats» of Law and Their Intertwining, in Palombella e Klabbers (a cura di), The Challenge of Inter-legality, cit., pp. 38-41.
[12] Cfr. Palombella, Theory, Realities, and Promises of Interlegality, cit., p. 369.
[13] Cfr. ibidem, pp. 385-390.
[14] Cfr. ibidem, 386.
[15] Cfr. R. Dworkin, Hard Cases, in Id., Taking Rights Seriously, Cambridge (MA), Harvard University Press, 1978, pp. 81 ss.
[16] J. Klabbers, Judging Interlegality, in Palombella e Klabbers (a cura di), The Challenge of Inter-legality, cit., pp. 346-347.
[17] Cfr. Palombella, Theory, Realities, and Promises of Interlegality, cit., pp. 362 e 383.