Edoardo Chiti, Alberto di Martino, Gianluigi Palombella (a cura di)
L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c10
Nel diritto internazionale, la possibilità di configurare l’individuo come destinatario diretto delle norme è fortemente dibattuta [58]
. Sconfessate le posizioni aprioristiche, l’interprete è chiamato a ricostruire la portata delle singole norme alla luce della formulazione della disposizione e delle regole di interpretazione del diritto internazionale.
{p. 269}
La soluzione può essere differente sulla base di diversi fattori: l’ambito di regolazione del diritto internazionale interessato, le intenzioni dei soggetti che hanno concorso alla formazione della disposizione – a seconda che risulti o meno che oggetto del trattato sia esclusivamente la regolazione delle relazioni tra gli Stati – e il contenuto specifico della disposizione. Oltre a valutarne la completezza e l’eventuale esplicita designazione del destinatario, l’interprete deve considerare la tipologia di situazione soggettiva definita, ossia se si tratti di un diritto o di un obbligo [59]
. E infatti, dal momento che l’obbligo è una situazione limitativa della sfera giuridica dell’individuo, la cui violazione lo espone ad una responsabilità, la relativa previsione dovrebbe essere espressa. Oltretutto, ove le norme internazionali siano preordinate alla repressione penale dei comportamenti devianti, il principio di legalità penale impone generalmente l’adozione di una normativa nazionale di recepimento.
Rispetto alle convenzioni internazionali sui diritti umani appare di certo più agevole riconoscere la produzione di effetti diretti in capo agli individui, a maggior ragione laddove le stesse convenzioni – come nel caso della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – prevedano un meccanismo di ricorso per far valere il diritto davanti al giudice internazionale.
Perché possa rilevare ai sensi dell’art. 51 c.p., infine, la norma sovranazionale deve essere sufficientemente chiara e determinata; non soltanto come condizione perché possa spiegare un effetto diretto, ma anche per rispettare l’esigenza di legalità che richiede di tracciare una linea di demarcazione riconoscibile tra le condotte legalmente meritevoli di tutela o doverose e quelle penalmente illecite.{p. 270}
Come si vedrà, dal momento che non sempre i requisiti evidenziati della norma sovranazionale emergono nitidamente, possono sorgere dei dubbi sulla sussumibilità della condotta dell’individuo sotto le fattispecie dell’esercizio del diritto e dell’adempimento del dovere. Tra gli estremi della rilevanza ai sensi dell’art. 51 c.p. e della totale irrilevanza della norma sovranazionale rispetto alla qualificazione del fatto, il caso può offrire un ampio ventaglio di ipotesi ricostruttive.

4. Un caso di studio: la rilevanza delle norme internazionali sul dovere di soccorso in mare

Il peso delle questioni sinora affrontate si apprezza soprattutto se si analizza un caso specifico e attuale di interazione tra norme internazionali e norme incriminatrici interne.
Recenti casi giurisprudenziali [60]
hanno acceso il dibattito sulla rilevanza penale delle condotte del comandante della nave di un’ONG che si trovi a soccorrere in alto mare i migranti abbandonati alla deriva e a condurli nelle acque o nei porti dello Stato costiero ritenuto un porto sicuro in assenza della relativa autorizzazione [61]
. In queste ipotesi i giudici si sono trovati a dover conciliare gli obblighi internazionali pattizi dello Stato, con specifico riferimento al dovere di soccorso dei naufraghi e alla tutela dei diritti dei {p. 271}migranti, con le fattispecie incriminatrici di volta in volta contestate. Tra le più dibattute l’art. 12, co. 1, del testo unico sull’immigrazione (d.lgs. 286/1998) che punisce «chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato».
Banco di prova dell’intersezione tra dovere di soccorso in mare e fattispecie penale costituirà anche il delitto di inosservanza della limitazione o del divieto di transito e sosta nel mare territoriale, recentemente introdotto dall’art. 1, co. 2, d.l. 21 ottobre 2020, n. 130 conv. con l. 18 dicembre 2020, n. 173 [62]
. Tale disposizione è interessante poiché introduce sulla carta un criterio di coordinamento espresso tra le norme sul soccorso e la fattispecie di inosservanza del provvedimento ministeriale nella misura in cui esclude l’integrazione della fattispecie qualora la nave abbia svolto operazioni di soccorso debitamente comunicate alle autorità competenti e realizzate nel rispetto delle indicazioni da queste ultime fornite purché «emesse sulla base degli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali in materia di diritto del mare, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e delle norme nazionali, internazionali ed europee in materia di diritto di asilo» [63]
. {p. 272}
Le questioni affrontate sinora dalla giurisprudenza hanno riguardato non tanto l’astratta precettività delle norme internazionali nell’ordinamento – ritenuta pacifica ai sensi degli artt. 10 e 117 Cost. – quanto la rispettiva rilevanza nella valutazione di responsabilità penale dell’individuo che ha realizzato il fatto qualificato come reato dal diritto interno.
Nelle pronunce in materia [64]
la Corte di Cassazione ha riconosciuto che le norme internazionali dei trattati sul diritto del mare ratificati dall’Italia [65]
, come anche il diritto internazionale consuetudinario direttamente applicabile ai sensi dell’art. 10 Cost., fondano il dovere {p. 273}del comandante di soccorrere i migranti alla deriva. Oltretutto, sulla base di una lettura sistematica delle varie norme internazionali – riconosciute rilevanti quantomeno sul piano interpretativo anche se di soft law [66]
– e conforme alle convenzioni internazionali sui diritti dei rifugiati e sui diritti fondamentali della persona [67]
, ha sottolineato che il contenuto del dovere di soccorso non è limitato alla presa in carico dei migranti a bordo della nave – azione meramente provvisoria, inidonea a garantirne la piena tutela – ma include anche il loro trasporto in un porto sicuro; ossia un luogo dove gli stessi vedano assicurato il rispetto dei diritti fondamentali e possano presentare domanda di protezione internazionale [68]
.
Nell’ormai celebre caso Rackete [69]
la Suprema Corte, nell’ambito del giudizio di convalida dell’arresto della comandante, ha ritenuto ipotizzabile la scriminante dell’adempimento del dovere di soccorso dei migranti [70]
rispetto alla
{p. 274}condotta di speronamento della motovedetta della guardia di finanza realizzata dalla comandante, dopo aver atteso per giorni l’indicazione del porto sicuro in cui far sbarcare i migranti soccorsi, per fare ingresso nel porto di Lampedusa nonostante la mancanza di autorizzazione delle autorità italiane. Rispetto a tale condotta è stata contestata la fattispecie di violenza a pubblico ufficiale di cui all’art. 336 c.p.
Note
[58] Sulla posizione dell’individuo nel diritto internazionale, cfr. A. Peters, Beyond human rights. The legal status of the individual in international law, Cambridge, Cambridge University Press, 2016.
[59] Cfr. M. Starita, Il dovere di soccorso in mare e il «diritto di obbedire al diritto» (internazionale) del comandante della nave privata, in «Dir. umani e dir. intern.», 2019, n. 1, p. 39, il quale, riprendendo l’orientamento di B. Conforti, Diritto internazionale, Napoli, ESI, 2010, p. 345, sottolinea che le norme preordinate alla creazione di obblighi nei confronti dei privati, richiederebbero una normativa interna che ne integri il precetto almeno allorquando tali norme siano preordinate anche alla repressione penale dei comportamenti devianti.
[60] Si pensi, in particolare, al giudizio nei confronti della comandante della nave Sea Watch, Carola Rackete, che ha visto la Cassazione pronunciarsi in sede di impugnazione dell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari che aveva rigettato la convalida dell’arresto della comandante in quanto ravvisava i presupposti per l’applicabilità della causa di giustificazione dell’adempimento del dovere (Cass. pen., sez. III, 16 gennaio 2020, n. 6626, in «Foro it.», 2020, n. 2, pp. 289 ss., con nota di F. Parisi). La Corte di legittimità ha confermato l’ordinanza ritenendo immune da vizi la valutazione del giudice per le indagini preliminari sulla verosimiglianza della causa di giustificazione invocata.
[61] Per una panoramica delle possibili qualificazioni giuridiche di tali condotte, S. Bernardi, I (possibili) profili penalistici delle attività di ricerca e soccorso in mare, in «Dir. pen. cont. – Riv. trim.», 2018, n. 1, pp. 134 ss.
[62] Con tale intervento è stata sostituita la disciplina dettata dal cd. decreto sicurezza bis (d.l. n. 53/2019 conv. con l. 77/2019) che puniva con una sanzione amministrativa l’inosservanza dei provvedimenti del Ministero dell’interno volti ad impedire l’ingresso, il transito o la sosta delle navi del mare territoriale. Il d.l. n. 130/2020 prevede che il potere di limitare o vietare il transito e la sosta delle navi nel mare territoriale sia esercitato dal ministro dell’Interno di concerto con il ministro della Difesa e con il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, previa informazione al presidente del Consiglio dei ministri e ne sanziona l’inosservanza con la multa.
[63] Per un commento sulla nuova disposizione particolarmente attento ai profili di intersezione tra la disciplina nazionale e le fonti internazionali, cfr A. di Martino e L. Ricci, L’inosservanza della limitazione o del divieto di transito e sosta nel mare territoriale come delitto, in www.lalegislazionepenale.eu, 1 marzo 2021, pp. 1-19.
[64] Cass. pen., sez. III, 16 gennaio 2020, cit.; Cass. pen., sez. I, 23 aprile 2018, n. 56138; Cass. pen., sez. IV, 30 marzo 2018, n. 14709; Cass. pen., sez. I, 27 marzo 2014, n. 14510.
[65] Ci si riferisce, in particolare, all’art. 98 della Convenzione di Montego Bay che riconosce un obbligo di soccorso in capo agli Stati: «Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri: a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo; b) proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa; c) presti soccorso, in caso di abbordo, all’altra nave, al suo equipaggio e ai suoi passeggeri e, quando è possibile, comunichi all’altra nave il nome della propria e il porto presso cui essa è immatricolata, e qual è il porto più vicino presso cui farà scalo. 2. Ogni Stato costiero promuove la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea e, quando le circostanze lo richiedono, collabora a questo fine con gli Stati adiacenti tramite accordi regionali». La Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (Convenzione SOLAS) obbliga il «comandante di una nave che si trovi nella posizione di essere in grado di prestare assistenza, avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare, a procedere con tutta rapidità alla loro assistenza, se possibile informando gli interessati o il servizio di ricerca e soccorso del fatto che la nave sta effettuando tale operazione» (Capitolo V, Regolamento 33[1]). La Convenzione internazionale di Amburgo sulla ricerca e il soccorso in mare del 1979 (Convenzione SAR – Search and Rescue) obbliga gli Stati parte a «garantire che sia prestata assistenza ad ogni persona in pericolo in mare (…) senza distinzioni relative alla nazionalità o allo status di tale persona o alle circostanze nelle quali tale persona viene trovata» (capitolo 2.1.10) ed a «fornirle le prime cure mediche o di altro genere ed a trasferirla in un luogo sicuro» (capitolo 1.3.2).
[66] Vengono prese in considerazione anche le linee guida sul trattamento delle persone in mare, adottate dal Comitato per la sicurezza dell’IMO, allegate alla convenzione SAR, che dispongono che il governo responsabile per la zona SAR in cui avviene il recupero sia tenuto ad assicurare un porto sicuro, e cioè «un luogo dove le operazioni di soccorso si considerano concluse; dove la sicurezza dei sopravvissuti e la loro vita non è più minacciata; le necessità primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte; e può essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale». D’altra parte si richiama la Risoluzione n. 1821 del 21 giugno 2011 del Consiglio d’Europa, secondo cui «la nozione di “luogo sicuro” non può essere limitata alla sola protezione fisica delle persone ma comprende necessariamente il rispetto dei loro diritti fondamentali” in quanto – come sostiene la Cassazione nel caso Rackete – “pur non essendo fonte diretta del diritto, costituisce un criterio interpretativo imprescindibile del concetto di “luogo sicuro” nel diritto internazionale».
[67] In particolare, la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo statuto dei rifugiati e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali con particolare riguardo al divieto di trattamenti inumani e degradanti e al divieto di respingimento collettivo.
[68] In questo senso soprattutto Cass. pen., sez. III, 16 gennaio 2020, cit.
[69] Cass. pen., sez. III, 16 gennaio 2020, n. 6626, cit.
[70] L’art. 385 c.p.p. vieta l’arresto o il fermo quando «appaia» – secondo un giudizio di «verosimile sussistenza» come definito dalla Cassazione nel caso Rackete – che il fatto sia stato «compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima ovvero in presenza di una causa di non punibilità». Sulle diverse opzioni interpretative del concetto di apparenza, cfr. C. Scaccianoce, art. 385 c.p.p., in A. Giarda, G. Spangher, Codice di procedura penale commentato, Milano, Giuffrè, 2017, pp. 843 ss.