L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c2
L’interlegalità e la ragion giuridica del diritto contemporaneo
Notizie Autori
Gianluigi Palombella è professore di Filosofia del diritto, Scuola Superiore
Sant’Anna.
Notizie Autori
Enrico Scoditti è consigliere della Corte di Cassazione.
Abstract
Il capitolo offre un quadro d’insieme specificamente teorico in merito al tema
dell’interlegalità, con il fine di mostrare i modi con cui essa può fungere da
strumento utile nei processi di attuazione amministrativa delle politiche pubbliche.
Si affronterà anzitutto il percorso che a partire dall’esclusivismo del diritto
monopolistico caratteristico dello Stato moderno ha condotto al sorgere del diritto
pluralistico e, successivamente, interlegale a causa della coazione di molteplici
soggetti, logiche e criteri che riguardano ambiti legislativi sovra, inter e
trans-nazionali. L’analisi della particolare articolazione del diritto interlegale è
condotta sulla base dell’osservazione delle interferenze e delle collaborazioni tra
le forze normative, sulla base del loro reciproco riconoscimento e sui legami di
collaborazione o di interferenza.
1. Il tempo della legalità al plurale
Legalità è un sostantivo al singolare
per il giurista europeo formatosi nel tempo dominato dall’esperienza della statualità.
Lo Stato moderno, quale precipitato del lungo processo di monopolizzazione della forza,
ha condotto all’accentramento della legalità, dotandola di un vertice, dal quale si
dipartono le articolazioni di un’unitaria entità
[1]
. La norma giuridica diventa così, dopo il sovrapporsi medievale di una
pluralità di ordinamenti, per definizione esclusiva. In pagine che hanno formato nel
secolo scorso i giuristi italiani, Angelo Ermanno Cammarata scriveva che la giuridicità
risiede nell’assunzione della norma come unica ed esclusiva regolatrice dell’attività pratica
[2]
. Il diritto è necessariamente «unico» se deve esercitare la propria forza
precettiva. Ma questa unicità è fatta dipendere dalla riduzione della capacità di
produzione di norme ad una fonte sovrana e dalla definizione di «confini», atti a
delimitare una sfera interna, separandola da ogni possibile «esterno». L’intera
dimensione giuridico-normativa conosce una logica binaria, che consente di distinguere
tra norme e fatti, annoverando le prime nell’area chiusa del sistema ordinamentale e i
secondi fuori di esso. Pertanto, la complessa costruzione artificiale che allinea
Stato-sovranità-ordinamento dispone di un potere essenziale e sottile, al di
¶{p. 30}là del monopolio della coercizione, che non è solo quello di
«normare» ma anche quello di eleggere ciò che vale e di relegare ciò che residua a mero
fatto.
Per riprendere il linguaggio di una
delle più influenti teorie della scienza sociale novecentesca, la teoria dei sistemi di
Niklas Luhmann, nel momento in cui un senso specificatamente giuridico si differenzia
dagli altri contesti dell’agire, tutto ciò che è all’esterno dei confini segnati da quel
senso diventa un ambiente indeterminato di possibilità sottoposto alle operazioni
selettive del diritto. Alla base di quest’ultimo vi è l’asimmetria che connota il
rapporto fra un sistema e l’ambiente che lo circonda
[3]
.
Nel tempo della legalità al
singolare vive naturalmente anche la pluralità degli ordinamenti
giuridici, ma essa non intacca l’esclusività moderna, si dispone lungo piani non
assimilabili a quelli del mondo precedente, caratterizzato dalla co-vigenza, ossia dalla
nota concorrenza medievale di ordinamenti.
La compatibilità fra l’esclusività
del criterio giuridico ed il pluralismo viene instaurata, proprio come nelle tesi di
Cammarata, attraverso la relatività della distinzione fra il diritto ed il fatto. C’è
sempre una distinzione fra un elemento materiale e l’elemento formale corrispondente al
valore giuridico, solo che quella distinzione è relativa e dipende
dal punto di vista dell’osservatore: pertanto, ciò che è valore, se muta l’angolo di
osservazione, può essere derubricato a fatto. Dal punto di vista dell’attore collocato
entro un dato ordinamento giuridico, gli altri ordinamenti esistono, ma non quale valore
giuridico (qualità riservata all’«interno»), bensì come fatto, o come ambiente, per
riprendere il linguaggio di Luhmann. Ogni ordinamento può quindi diventare
fatto/ambiente per l’altro ordinamento. Ciò che importa è che la distinzione, fra valore
e fatto o fra sistema e ambiente, non venga mai meno, pena la fine della giuridicità
come criterio esclusivo di valutazione.
La solitaria voce di Santi Romano, in
Italia, manifestò l’inadeguatezza dell’intero, dogmatico, assetto della
giuridi¶{p. 31}cità, ponendo in questione anche uno degli assiomi da cui
quell’assetto dipendeva:
Quale, infatti, potrebbe essere il nesso necessario fra il diritto e lo Stato, per cui il primo non potrebbe altrimenti immaginarsi che come un prodotto del secondo? Non solo non si può dimostrare che questo nesso esista, ma si può dimostrare che non esiste. Infatti, mentre il concetto del diritto si determina perfettamente senza quello dello Stato, al contrario non è possibile definire lo Stato senza ricorrere al concetto di diritto [4] .
Al di là dell’istituzionalismo che
Santi Romano adottò per interpretare quella società plurale che il Novecento avrebbe
consacrato, uno sguardo alla giuridicità del millennio medievale relativizza la
costruzione «ontologicamente» statalistica del diritto. Presa sul serio, questa diversa
visione del diritto, che ne promuove la ri-espansione oltre il vincolo concettuale dello
Stato, mina alla base il dispositivo fondamentale che questo attivava: quello
dell’esclusività, con il connesso potere di attribuzione di
valore, l’elezione e la determinazione del discrimine tra fatti e norme. Da questo
diverso angolo visuale, la giuridicità non decadrebbe né avrebbe fine se perdesse il
carattere dell’esclusività.
La teoria del diritto, del resto, non
dovrebbe poter ignorare lo stato delle cose.
Quest’ultimo, com’è noto, è oggi
descritto alquanto diversamente da quello con cui si erano misurati molti grandi
giuristi del Novecento. Su uno stesso livello di produzione giuridica convivono gli
Stati nazionali, a competenza territoriale e vocazione universale (lo Stato quale ente
«a fini generali»), i sistemi di amministrazione de-territorializzati ed a vocazione
specialistica, regimi regionali o globali che esercitano poteri regolatori non sempre
riducibili alla catena di controllo degli Stati (sul piano sostanziale o anche sul piano
formale), gli ordinamenti sovranazionali su base regionale derivanti da parziali
cessioni di sovranità da parte degli Stati nazionali (è il caso dell’Unione europea),
gli ordinamenti ¶{p. 32}puramente giurisdizionali che presidiano
specialmente la violazione dei diritti umani, per rammentare in breve un vasto elenco.
Sovente essi si pongono a un identico livello di produzione giuridica, ossia manifestano
una co-vigenza di ordinamenti, concorrendo in relazione ad un medesimo contesto fattuale
a definirne la disciplina. Da un lato non si dà gerarchia che stabilisca un ordine, e
dall’altro le autorità di produzione normativa, che siano di origine pubblica, privata o
ibrida, restano autoreferenziali (self-observing systems,
self-contained regimes
[5]
), operano in prospettive non disegnate per coordinarsi tra loro in direzione
di un qualche bene comune, cui debbano subordinarsi. Lo «stato delle cose» suggerisce,
tra l’altro, che la congerie di autorità normative insiste su spazi funzionali
integrando ciascuna la visione dell’altra, occupando i suoi angoli ciechi, senza che vi
sia un preordinato effetto complessivo, né che divergenze e conflitti siano
effettivamente risolubili tramite assunti d’ordine formale o gerarchico. Per questa
ragione, l’eterarchia
[6]
dell’insieme è apparsa la meno controversa caratteristica di un dis-ordine orizzontale
[7]
per altri versi molto problematico. Ne deriva, tra l’altro, che la
costruzione teorica più plausibile della stessa natura dell’autorità, sul piano
giuridico, appare sempre più avvicinarsi a quella di una «relative authority»
[8]
che sostituisce miti di «esclusività» precedenti.¶{p. 33}
Legalità diventa
legalities, un sostantivo al plurale (come
consente la lingua inglese)
[9]
. Il confronto tra legalità molteplici, di diverso livello, di diversa
natura, estensione e dislocazione, portatrici di meri imperativi di efficienza
regolativa o espressive delle comunità sociali realmente esistenti, resta la conseguenza
inevitabile di interconnessioni formali o sostanziali tra gli
oggetti stessi di regimi o ordinamenti diversi (diritti umani,
sicurezza, commercio, ambiente, e via seguendo), inevitabili al punto da entrare in
contrasto con la presunzione di autoreferenziale esclusività che ciascuna sfera
normativa mantiene. Data l’inevitabile complessità, molti dei problemi giuridici da
affrontare sono solo fittiziamente questioni isolate relative a un singolo settore
regolativo, e al contrario sono più spesso inquadrabili da prospettive normative
multiple ispirate da logiche e finalità interferenti. Come ha scritto Yuval Shany,
in complex social systems composed of multiple regulatory frameworks, one set of «legalities» must be cognizant of other sets of «legalities», notwithstanding the stance taken by any specific legal order toward the way in which specific normative conflicts should be reconciled (e.g., monism, dualism, or pluralism). This means that some form of cross-regulation – inter-legality – is essential, even if at a «second-order» level; that is, between the institutions interpreting and applying the competing regulatory frameworks [10] .
Le interazioni, filtrate attraverso
le pronunce delle Corti, nazionali o sovranazionali, ci restituiscono una realtà
giuri
¶{p. 34}dica che appare mettere in relazione ciò che è nato per non
esserlo, ossia impone sia pure incrementalmente interferenze non previste negli statuti
normativi di quei self-observing systems identificati nelle
pionieristiche letture sistemiche di Gunther Teubner.
Note
[1] Vale rinviare alla c.d. «giuspubblicistica tedesca» e tra i suoi maestri, a C.F. von Gerber, Diritto pubblico (1913), Milano, Giuffrè, 1971; O. Mayer, Deutsche Verwaltungsrecht, Leipzig, Duncker & Humblot, 1895. Significativa silloge in G. del Vecchio, On the Statuality of Law, in «Journal of Comparative Legislation and International Law», 19, 1937, n. 1, pp. 8 ss.
[3] All’interno di una vastissima letteratura, si vedano almeno N. Luhmann, Sociologia del diritto, Roma-Bari, Laterza, 1997 e Id., La differenziazione del diritto, Bologna, Il Mulino, 1990.
[5] Per es. cfr. G. Teubner e A. Fischer-Lescano, Regime-Collisions: The Vain Search for Legal Unity in the Fragmentation of Global Law, in «Michigan Journal of International Law», 25, 2004, pp. 999 ss.
[6] Il campo di applicazione è stato soprattutto quello dell’Unione europea; si veda oggi per esempio, M. Fichera, Solidarity, Heterarchy, and Political Morality, in «Jus Cogens», 9, 2020, pp. 1 ss.
[7] N. Walker, Beyond boundary disputes and basic grids: Mapping the global disorder of normative orders, in «International Journal of Constitutional Law», 6, luglio-ottobre 2008, n. 3-4, pp. 373 ss.
[8] Per quanto sotto significati non sempre tra loro coincidenti, la nozione è alquanto ricorrente. Si veda per esempio R. Cotterell, Does Global Legal Pluralism need a Concept of Law?, in U. Baxi, C. McCrudden e A. Paliwala (a cura di), Law’s Ethical, Global and theoretical Contexts. Essays in Honor of William Twining, Cambridge, Cambridge University Press, 2015, p. 310. Vi ha dedicato il suo volume N. Roughan, Authorities: Conflicts, Cooperation, and Transnational Legal Theory, Oxford, Oxford University Press, 2013, che scrive: «The relative authority theory argues that, when there are multiple prima facie legitimate authorities in interacting or overlapping domains, and there is no outweighing reason to have just one singular authority, then those prima facie legitimate authorities can have only relative authority and must coordinate or cooperate or tolerate one another in order to be legitimate for their subjects. In these circumstances, law can still claim to possess legitimate authority; indeed, claiming legitimate authority remains an important part of law’s having authority».
[9] G. Palombella, È possibile una legalità globale? Il «Rule of law» e la «governance» del mondo, Bologna, Il Mulino, 2012, cap. III: Una mappa del globo: Legalità al plurale, pp. 107 ss.; E. Scoditti, Legalità al plurale, in «Quaderni costituzionali», 2013, pp. 1031 ss.
[10] Y. Shany, International Courts as Interlegality Hubs, in J. Klabbers e G. Palombella (a cura di), The Challenge of Inter-legality, Cambridge, Cambridge University Press, 2019, pp. 319 ss.