L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c10
Il problema si pone
soprattutto rispetto alla condotta di ingresso nel porto: come è stato fatto notare
[91]
, le norme internazionali non prevedono in capo agli Stati competenti un
immediato obbligo di accoglienza delle navi nei propri porti, ma solo un obbligo di
coordinamento per l’individuazione di un luogo di sbarco sicuro. Prima di tale
individuazione,
¶{p. 284}salve interpretazioni ai limiti del
rispetto del principio di legalità, non sussisterebbe un obbligo giuridico dello
Stato di accogliere i naufraghi, né del comandante di farli sbarcare anche in
assenza di indicazioni.
Nelle situazioni di stallo, in
cui non venga indicato alcun porto sicuro verso cui dirigersi e vi sia il rischio
per i migranti di essere ricondotti nel porto «non sicuro» di partenza, l’ingresso
del comandante nelle acque territoriali e nel porto parrebbe allora qualificabile
preferibilmente, secondo una lettura armonica delle norme internazionali sul
soccorso in mare e delle norme sui diritti umani come condotta necessitata
[92]
o come soccorso difensivo
[93]
: il comandante agisce per difendere l’integrità psico-fisica dei
naufraghi migranti o – pare possibile affermare proprio alla luce delle norme
internazionali – il loro diritto a ricevere soccorso in un
porto sicuro dove vengano rispettati i rispettivi diritti fondamentali, come anche
il diritto al non respingimento, contro il pericolo attuale di essere trasferiti in
un porto non sicuro dove non riceveranno protezione alcuna ed è probabile che
subiranno persecuzioni.
In questo modo la norma
internazionale sul soccorso in mare consente l’applicazione di una causa di
giustificazione diversa dall’adempimento del dovere – come lo stato di necessità o
la legittima difesa – che scrimina la condotta non in sé e per sé, ma in quanto
funzionale alla realizzazione di un assetto di interessi da tutelare
[94]
.
Con riguardo al caso
Rackete possono essere riproposti i medesimi dubbi
sull’idoneità delle norme internazionali a fondare il dovere del comandante di fare
ingresso nel porto in mancanza di autorizzazione. Oltretutto, anche ove
¶{p. 285}essi siano risolti in senso positivo, l’applicazione
dell’art. 51 c.p. pare discutibile proprio sulla base della concreta vicenda in
esame: sembra doversi dubitare che la condotta contestata alla comandante – lo
speronamento della motovedetta della guardia di finanza – fosse «strumentalmente
necessaria» all’adempimento del dovere di soccorso; tale comportamento sembrerebbe
di per sé travalicare i limiti interni del dovere
[95]
.
In ogni caso, qualora pure si
dovesse ritenere che la realizzazione della condotta fosse nello specifico
necessaria per l’adempimento del dovere di soccorso, la prevalenza della norma sul
dovere rispetto alla fattispecie penale non avrebbe dovuto essere data per scontata
ma avrebbe dovuto essere valutata alla luce dei limiti esterni del dovere derivanti
dalla rilevanza degli interessi con esso confliggenti; e ciò pure in presenza di una
norma internazionale sul dovere vincolante per il diritto interno ai sensi degli
artt. 10 e 117 Cost.
Può quindi censurarsi il
percorso argomentativo dei giudici in quanto, pur attingendo in parte alla
preminenza assiologica delle norme internazionali sul soccorso in mare e alla
relativa connessione con la tutela dei diritti fondamentali della persona, attiene
soprattutto alla prevalenza formale del diritto internazionale rispetto al diritto interno
[96]
. Ebbene, la prevalenza della norma internazionale avrebbe dovuto essere
rafforzata da argomentazioni calibrate sul concreto atteggiarsi degli interessi in
gioco; da una parte, quelli sottesi al dovere di soccorso, dall’altro, quelli
tutelati dal reato di violenza a pubblico ufficiale. E ciò anche in relazione alle
modalità di realizzazione dei primi e al sacrificio imposto ai secondi. Ad esempio,
soffermandosi sull’effettiva insussistenza di modalità alternative per consentire lo
sbarco senza violare la legge penale e mettere a repentaglio beni omogenei a quelli
¶{p. 286}tutelati proprio attraverso l’adempimento del dovere, quale
l’incolumità fisica di altre persone
[97]
.
5. Conclusioni
Con le osservazioni sinora svolte
si è cercato di evidenziare gli interrogativi che il giudice penale deve porsi per
verificare se un fatto sussumibile sotto una fattispecie incriminatrice interna risulti
regolato anche da una norma sovranazionale o straniera e per determinare le conseguenze
dell’eventuale duplice qualificazione sul giudizio di responsabilità penale.
Dopo aver tentato di classificare
i casi di intersezione tra norma incriminatrice interna e norma «estranea» per
verificare quali di essi offrano degli esempi di veri e propri conflitti interlegali, ci
si è soffermati sull’ipotesi in cui la fattispecie incriminatrice interferisce con una
norma sovranazionale che attribuisca un diritto o imponga un dovere. A fronte della
frequente invocazione della scriminante dell’art. 51 c.p. come norma idonea a
«governare» le situazioni di interlegalità che vedono interagire la fattispecie
incriminatrice con la norma sovranazionale, si è tentato di delimitarne l’ambito di
applicazione coerentemente con la propria funzione di norma risolutiva di conflitti «in
concreto».
Dall’analisi è emersa la necessità
di escludere l’applicazione dell’art. 51 c.p. rispetto a conflitti astratti tra
ordinamento interno e ordinamento sovranazionale. Come anche nei casi in cui la norma
sovranazionale, per la propria struttura e il proprio contenuto, non sia idonea ad
attribuire all’individuo una situazione giuridica soggettiva di diritto o di dovere
espressa e determinata.¶{p. 287}
L’analisi del caso di studio
relativo alla rilevanza delle norme internazionali sul soccorso in mare ha consentito
proprio di cogliere il valore aggiunto del ragionamento interlegale rispetto alla
decisione di casi caratterizzati da intersezioni normative. Un metodo aperto alla
considerazione di tutte le legalità rilevanti e ad una costruzione «mobile» dei relativi
rapporti, secondo una logica definita dal caso anziché dai rigidi e astratti paradigmi
della logica inter-ordinamentale, consente di inquadrare l’esatta portata
dell’interazione tra le istanze normative e di conciliare nella decisione tutti i valori
dalle medesime espressi.
Note
[91] Cfr. Spena, Smuggling umanitario e scriminanti, cit., p. 1864, secondo cui mentre esisterebbe un obbligo assoluto di non sbarcare i naufraghi in un luogo «non sicuro» secondo i parametri della Convenzione SAR, d’altra parte, l’obbligo positivo di sbarco è condizionato all’individuazione di un pos ad opera degli Stati competenti. Le norme internazionali infatti non prevedono sugli Stati competenti un immediato obbligo di accoglienza delle navi nei propri porti, ma un obbligo di coordinamento per l’individuazione di un luogo di sbarco sicuro.
[92] Cfr. ibidem, p. 1865.
[93] Cfr. A. di Martino e L. Ricci, L’inosservanza della limitazione o del divieto di transito e sosta nel mare territoriale come delitto, cit., pp. 17-18.
[94] Sulla distinzione tra le scriminanti dell’esercizio del diritto e dell’adempimento del dovere, «a condotta vincolata», e le altre cause di giustificazione, «a condotta libera», cfr. Consulich, Lo statuto penale delle scriminanti, cit., pp. 142 ss. e, soprattutto evidenziando la peculiarità della scriminante dell’esercizio del diritto, Spena, Diritti e responsabilità penale, cit., pp. 345 ss.
[95] Sui limiti intrinseci della condotta scriminabile ai sensi dell’art. 51 c.p., con riguardo però all’esercizio del diritto, cfr. Mantovani, Esercizio del diritto, cit.; Spena, Diritti e responsabilità penale, cit., pp. 371 ss.
[96] Nell’ordinanza del gip, sembra richiamarsi il criterio della lex superior ai sensi dell’art. 117 Cost. Nella sentenza della Cassazione si fa riferimento al diritto consuetudinario direttamente applicabile ai sensi dell’art. 10 Cost.
[97] In questo senso anche V. Valentini, Dovere di soccorrere o diritto di speronare? Qualche spunto (quasi) a caldo sul caso Sea Watch 3, in «Criminalia», 2018, pp. 802 ss. Può peraltro anche sostenersi che una verifica più attenta al caso concreto sarà oggetto del giudizio di merito, essendo il giudizio della Cassazione sulla legittimità della mancata convalida dell’arresto limitato al controllo di ragionevolezza dell’operato di coloro che hanno eseguito l’arresto.