L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c8
I fragili confini del territorio: a proposito dell'efficacia extraterritoriale dei diritti
Notizie Autori
Raffaele Bifulco è professore di Diritto costituzionale, Università «Luiss –
Guido Carli».
Notizie Autori
Chiara Gentile è dottoranda di ricerca in «Diritto dell’Unione europea e
ordinamenti nazionali», Università degli Studi di Ferrara.
Abstract
Il tema degli scontri tra le differenti fonti normative, e soprattutto dei
rapporti conflittuali tra il diritto nazionale e sovranazionale viene in questo
capitolo affrontato nel concreto dei problemi relativi alla dimensione
a-territoriale del mondo della rete. Prendendo in considerazione gli ordinamenti
giuridici di Stati Uniti, Canada, Unione europea, Germania e della Commissione
Europea dei Diritti dell’Uomo, si cercherà di mostrare i differenti approcci
riguardo alla tutela e al trattamento dei dati personali dei cittadini e, quindi, al
trasferimento dei dati e alla sorveglianza elettronica, nonché alle modalità di
estensione dei diritti fondamentali extraterritoriali.
1. Introduzione
La relazione tra dato personale e
diritti fondamentali è relativamente recente. Pur essendo la nozione di dato personale
ontologicamente collegata a quella di persona fisica, la prima assume un rilievo
giuridico nevralgico dal momento in cui il dato inizia ad essere oggetto di trattamento,
cioè di «qualsiasi operazione o insieme di operazioni, compiute con o senza l’ausilio di
processi automatizzati e applicate a dati personali o insieme di dati personali»
[1]
.
È vanto della tradizione giuridica
europea aver tematizzato l’incidenza del trattamento dei dati sui diritti e sulle
libertà delle persone fin dalla Convenzione sulla protezione delle persone rispetto al
trattamento automatizzato di dati di carattere personale n. 108, adottata a Strasburgo
il 28 gennaio 1981, nell’ambito del Consiglio d’Europa. L’art. 1 stabilisce esser scopo
della Convenzione «quello di garantire, sul territorio di ogni Parte, ad ogni persona
fisica, qualunque siano la sua cittadinanza o residenza, il rispetto dei diritti e delle
libertà fondamentali, ed in particolare del diritto alla vita privata, nei confronti
dell’elaborazione automatizzata dei dati di carattere personale che la riguardano».
Come è noto, il rapporto fra
trattamento dei dati e diritti fondamentali è stato poi ribadito a livello di Comunità
europea con la direttiva 95/46/CE e poi, da ultimo, con il Regolamento (UE) 2016/679
relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati
personali. Può essere interessante notare che, mentre l’art. 1 della direttiva metteva
in relazione la «tutela dei diritti e delle ¶{p. 192}libertà
fondamentali delle persone fisiche e particolarmente del diritto alla vita privata, con
riguardo al trattamento dei dati personali», l’art. 1 del regolamento si rivela più
anodino, annunciando che «il presente regolamento stabilisce norme relative alla
protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali nonché
norme relative alla libera circolazione di tali dati». Solo apparentemente sono stati
eliminati da tale ultimo enunciato i riferimenti a diritti e libertà fondamentali
giacché è oramai l’art. 8, par. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea a conferire rango di fondamentalità al diritto di ogni individuo «alla
protezione dei dati di carattere personale che lo riguardano».
Abbiamo indugiato in questa semplice
rassegna di disposizioni normative perché non capita spesso di assistere, come si fosse
in un laboratorio di analisi, alla progressiva formazione di un diritto e alla sua
attrazione all’apice dell’ordinamento europeo. Si deve alla progressiva consapevolezza
dei rischi per la persona derivanti dal trattamento dei dati la progressiva «ascensione»
alla fondamentalità, almeno nell’ambito dell’ordinamento sovranazionale. In tale
consapevolezza entra oramai anche l’estrema esposizione che la persona corre in ragione
della esistenza della rete: in questa infrastruttura, che ha cambiato nel profondo le
nostre abitudini, le persone lasciano quotidianamente una tale molteplicità di dati da
permettere di ottenere molte informazioni sui loro gusti, abitudini, tendenze e
relazioni personali. Ce lo ricordano i Considerando 5 e 6 del GDPR che sottolineano il
«considerevole aumento dei flussi transfrontalieri dei dati personali» e «la rapidità
dell’evoluzione tecnologica e la globalizzazione», che permettono «tanto alle imprese
private quanto alle autorità pubbliche di utilizzare dati personali, come mai in
precedenza, nello svolgimento delle loro attività».
La spinta del fatto (in questo caso,
il fatto tecnologico) non si ferma qui. L’uso incontrollato dei dati personali da parte
di autorità pubbliche annulla uno dei tratti centrali dei dati fondamentali, vale a dire
il loro radicarsi nel rapporto verticale tra Stato e cittadino, che è anche, come è ben
noto, la dimensione originaria e primigenia dei diritti fondamentali. Se il dato di un
cittadino italiano o tedesco ¶{p. 193}entra nel flusso transfrontaliero,
esso può essere intercettato, in maniera non consentita, anche da autorità straniere. In
questa vicenda un doppio fattore di novità va evidenziato: la violazione del diritto
fondamentale avviene ad opera di un soggetto pubblico straniero e, soprattutto, grazie
alle tecnologie più recenti legate ad Internet, può avvenire al di fuori del territorio
dello Stato che perpetra la violazione.
La natura tentacolare della cd.
sorveglianza elettronica, messa in atto dai servizi segreti degli Stati occidentali e
capace di intercettare, attraverso la rete, le forme private e spontanee della
comunicazione quotidiana e di penetrare così nel tessuto comunicativo della società
civile (secondo la ricostruzione che ne fa il Tribunale costituzionale federale tedesco
nella sentenza esaminata nel par. 5), lascia emergere così un nuovo e inusitato grumo
problematico della dogmatica dei diritti fondamentali, che possiamo sintetizzare nella
locuzione «efficacia extraterritoriale dei diritti fondamentali». Si tratta di un
problema solo in parte nuovo, legato – in specie ma non solo, come si vedrà – alla
dimensione aterritoriale della rete, destinato ad accentuarsi con l’avanzamento delle
tecnologie informatiche.
È un problema solo in parte nuovo
perché soprattutto nell’ordinamento statunitense il tema oggetto di esame in queste
pagine è stato affrontato da tempo sia dalla giurisprudenza che dalla dottrina. In
questo sistema giuridico, come in quello canadese, la questione dell’efficacia
extraterritoriale si è posta soprattutto nell’ambito di efficacia dell’habeas
corpus nei confronti di cittadini stranieri, sottoposti a restrizioni
della libertà personale.
Nelle pagine che seguono saranno
esaminati casi giurisdizionali in cui i problemi cui si è accennato emergono con
evidenza. L’esperienza statunitense, messa a fuoco nel par. 2, si rivela di estremo
interesse sia perché è sostanzialmente il primo ordinamento a confrontarsi con il
problema dell’efficacia extraterritoriale sia perché permette di osservare un’evoluzione
dell’approccio adoperato dal giudice costituzionale nell’affrontare il tema. Di notevole
rilievo anche il caso canadese esaminato nel par. 3, il quale, nel peculiare rapporto
che instaura tra diritto internazionale e costituzione ¶{p. 194}nel caso
Hape, permette di mettere in risalto le differenze di approccio
al problema presenti nelle plurime legalità europee. Nella specie quella dell’UE e
quella della CEDU sono sinteticamente esaminate nel par. 4 attraverso, anche in questo
caso, un focus su recenti sentenze legate al trasferimento dei dati e alla sorveglianza
elettronica. Nel par. 5 l’attenzione si concentra su una recente sentenza del Tribunale
costituzionale federale tedesco che rappresenterà una pietra di paragone per le future
pieghe che la questione dell’efficacia extraterritoriale assumerà nel continente
europeo.
2. Le aperture di «Boumediene» e i dubbi per il futuro nella tormentata esperienza statunitense
La Corte Suprema degli Stati Uniti
(CS) è stata investita di questioni attinenti alla sfera territoriale di applicazione
dei diritti fondamentali sin dalla fine del XIX secolo, sviluppando un’ampia e
articolata giurisprudenza, che per ragioni di spazio non può essere ripercorsa in questa sede
[2]
. Basti segnalare che mentre esiste ormai un consolidato orientamento che
ammette l’applicazione extraterritoriale della Costituzione nei confronti dei cittadini statunitensi
[3]
, lo stesso non può dirsi per gli stranieri. Nella nota sentenza
United States v. Verdugo-Urquidez
[4]
la CS ha escluso l’estensione del privilegio dell’habeas corpus
(habeas) a un cittadino messicano –
arre¶{p. 195}stato negli Stati Uniti – a cui gli agenti statunitensi
avevano perquisito la casa – in Messico – senza apposito mandato, riconoscendo,
tuttavia, che anche i cittadini stranieri hanno diritto all’habeas
quando possono considerarsi membri della comunità nazionale, ovverosia «when they have
come within the territory of, and have developed substantial connections with, this
country» (p. 2).
Il dibattito sull’estensione delle
garanzie costituzionali ai cittadini stranieri acquista nuova linfa con la dura lotta al
terrorismo internazionale intrapresa dagli Stati Uniti in seguito agli attacchi dell’11
settembre 2001
[5]
: il Dipartimento della difesa nel 2004 istituisce appositi Tribunali
militari (Combatant Status Review Tribunals, CSRTs), per accertare se i detenuti presso il carcere di Guantanamo siano
affiliati a gruppi terroristici e, se del caso, qualificarli come enemy
combatants; il Congresso approva nel 2005 il Detainee Treatment
Act (DTA)
[6]
, che attribuisce alla Corte di appello del DC Circuit
la giurisdizione esclusiva sulla revisione delle decisioni dei CSRTs, e nel 2006 il
Military Commissions Act (MCA)
[7]
, che nega l’habeas ai detenuti stranieri qualificati
enemy combatants
[8]
.
In tale contesto si colloca il
tortuoso iter giudiziario che ha condotto alla sentenza Boumediene v.
Bush
[9]
. I ricorrenti,
¶{p. 196}cittadini stranieri arrestati in
Afghanistan, Bosnia e Gambia e detenuti presso il carcere di Guantanamo, dopo essere
stati dichiarati enemy combatants, hanno invocato
l’habeas e contestato l’appartenenza alla rete terroristica di
al-Qaeda. Dopo l’emanazione del DTA, il procedimento è proseguito dinanzi alla Corte di
appello del DC Circuit, che sulla base del MCA ha rigettato
l’istanza ed escluso l’applicabilità della cd.
Suspension Clause (art. 1, sez. 9, c. 2, Cost.), secondo cui
l’habeas non può essere sospeso «se non
quando, in caso di ribellione o di invasione, lo esiga la sicurezza pubblica». La
decisione viene allora impugnata dinanzi alla CS, chiamata a valutare se le tutele
costituzionali invocate dai ricorrenti possano essere negate per via della qualifica di
enemy combatants o del luogo di detenzione.
Note
[1] Art. 4, par. 1, n. 2, Regolamento (UE) 2016/679.
[2] Sul punto si rinvia, ex multis, a: C. Keitner, Rights beyond borders, in «Yale Journal International Law», 36, 2011, pp. 55 ss.; J. Lobel, Fundamental norms, International Law, and the Extraterritorial Constitution, in «Yale Journal International Law», 36, 2011, pp. 307 ss.; G.L. Neuman, Whose Constitution?, in «Yale Law Journal», 100, 1991, pp. 909 ss.
[3] Emblematica è la sentenza 354 US 1 (1957), Reid v. Covert, che trae origine dal ricorso di una cittadina americana, condannata da una corte marziale per l’omicidio del marito commesso quando questi era in servizio in Inghilterra. In tale occasione la CS afferma che quando agiscono contro cittadini statunitensi all’estero, i poteri pubblici sono vincolati al rispetto della Costituzione (nel caso di specie, dell’art. 3, c. 2, e degli Emendamenti V e VI). Tuttavia, nella propria concurring opinion Justice Harlan ammette l’estensione extraterritoriale della Costituzione fintantoché le circostanze non la rendano «impractical and anomalous» (p. 75).
[4] 494 US 259 (1990).
[5] Cfr. E. Castorina e C. Nicolosi, «Sovranità dei valori» e sviluppo della tutela dei diritti fondamentali: note sull’evoluzione della giurisprudenza statunitense, in «ForumQuad.Cost.», 19 novembre 2015, pp. 7 ss.
[6] L’emanazione del DTA segue alla sentenza 542 US 466 (2004), Rasul v. Bush, secondo cui, ai sensi dello Statute 28U.S.C.§2241, le corti federali hanno giurisdizione a conoscere dei ricorsi relativi all’habeas corpus presentati dagli stranieri detenuti presso il carcere di Guantanamo (cfr. D.L. Sloss, Rasul v. Bush, in «American Journal of International Law», 98, 2004, pp. 788 ss.).
[7] Il MCA segue alla sentenza 548 US 557, Hamdan v. Rumsfeld, che dispone che il DTA non si applica ai casi già pendenti al momento in cui il Congresso lo aveva approvato (cfr. D. Phillips, «Hamdan v. Rumsfeld»: the Bush Administration and «the rule of law», in «Asian Journal of Academic Studies», 25, 2006, pp. 40 ss.).
[8] Alla luce della successiva giurisprudenza della CS, nel 2009 il MCA è stato emendato al fine di assicurare una maggiore protezione dei diritti dei detenuti.
[9] 553 US 723 (2008). Per le singole fasi procedimentali, cfr. M. Anderson, «Boumediene v. Bush»: flashpoint in the ongoing struggle to determine the rights of Guantanamo detainees, in «Maine Law review», 60, 2008, pp. 243 ss.