L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c10
La questione è stata affrontata
in un recente caso giurisprudenziale in cui era contestata la fattispecie di
sottrazione e trattenimento di minore all’estero di cui all’art. 574
bis c.p.
[13]
al padre che aveva portato con sé in Pakistan i propri figli minori di
nazionalità pakistana impedendo alla madre l’esercizio della potestà genitoriale.
Per risolvere questo
¶{p. 249}caso è necessario stabilire se gli
elementi normativi della «sottrazione del minore al genitore esercente la
responsabilità genitoriale» e dell’«impedimento dell’esercizio della responsabilità
genitoriale» debbano essere qualificati sulla base dell’ordinamento italiano avente
giurisdizione ai sensi dell’art. 6 c.p. oppure dell’ordinamento straniero – nella
specie pakistano – chiamato a regolare i rapporti familiari, in quanto legge
nazionale dei figli, dall’art. 36 della l. 31 maggio 1995 n. 218 di diritto
internazionale privato.
Qualora trovi applicazione la
legge pakistana, la quale riserva al padre ogni decisione riguardante la potestà sui
figli, la scelta dell’imputato di condurre i figli in Pakistan al suo seguito non
integrerebbe una «sottrazione» né impedirebbe l’esercizio della potestà genitoriale
materna – insussistente secondo la legge pakistana – o comunque costituirebbe
manifestazione di un diritto che la legge pakistana riconosce al padre.
La soluzione della Cassazione
di escludere la rilevanza normativa della legge pakistana ai fini del giudizio di
responsabilità penale pare condivisibile nel risultato ma lascia alcuni dubbi con
riguardo al metodo.
Deve infatti criticarsi
l’idoneità dell’affermazione della Corte, secondo cui le norme di diritto
internazionale privato «sono dirette ad individuare la legge applicabile nel proprio
ambito di disciplina ovvero nei rapporti tra privati», ad escludere l’applicazione
della legge pakistana: anche nel caso di specie, la legge straniera è richiamata non
in quanto legge penale bensì come norma extrapenale applicabile ai rapporti
privatistici a loro volta integranti la tipicità della fattispecie. La Corte avrebbe
potuto semmai escludere il richiamo per violazione dei limiti posti dall’ordinamento
all’ingresso della legge straniera: la stessa legge di diritto internazionale
privato prevede che la norma straniera non trovi applicazione ove sia violato il
limite dell’ordine pubblico (art. 16 l. 218/1995) – in questo caso rinvenibile nel
principio di eguaglianza dei coniugi anche nei rapporti con i figli, desumibile
dagli artt. 29 e 30 Cost. – e qualora le norme interne concorrenti con quelle
straniere nella qualificazione del rapporto siano «ad applicazione necessaria»,
come, ai ¶{p. 250}sensi dell’art. 36 bis l.
218/1995, le norme che attribuiscono ad entrambi i genitori la responsabilità
genitoriale.
Oltretutto, ad escludere la
legge pakistana sarebbe stata dirimente già la corretta descrizione del fatto.
Consistendo nel trasferimento del minore in un Paese differente da quello di
residenza, non in un «mero» atto di esercizio della potestà genitoriale, esso
andrebbe qualificato, come la stessa Cassazione ammette, secondo la Convenzione
dell’Aja del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori:
quest’ultima, all’art. 3, individua nella legge dello Stato in cui il minore aveva
la propria residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento (nel caso
di specie, l’Italia) la legge da applicare per valutare l’eventuale illiceità del
fatto.
2.3. Fatto (anche solo parzialmente) extraterritoriale e limiti territoriali delle norme prevenzionistiche integratrici della colpa
L’efficacia normativa del
diritto straniero pare forse più facilmente argomentabile con riguardo al fatto
realizzato, in tutto o in parte, sul territorio estero.
L’esame di tale ipotesi
interseca il dibattito sulla necessità della «doppia qualificazione penale» – sia
secondo l’ordinamento interno sia secondo l’ordinamento straniero – ai fini della
punizione del fatto commesso fuori del territorio nazionale
[14]
; come anche quello, in parte connesso, sui limiti territoriali
dell’efficacia precettiva delle fattispecie penali, in relazione alla loro struttura
e al bene giuridico protetto
[15]
. ¶{p. 251}
Si discute innanzitutto se
l’applicazione della legge italiana ai fatti commessi all’estero da cittadini o
stranieri ai sensi degli artt. 9 e 10 c.p.
[16]
sia subordinata al requisito della doppia incriminazione; ossia alla
previsione del fatto come reato tanto nell’ordinamento italiano, quanto
nell’ordinamento straniero in cui il fatto è realizzato. La rilevanza della
lex loci per la valutazione dei fatti realizzati all’estero
pare necessaria per assicurare tanto il rispetto del principio di sovranità
territoriale, quanto la ratio garantistica del principio di
legalità in materia penale, volta a consentire al soggetto di determinare il proprio
comportamento sulla base della prevedibilità delle conseguenze delle proprie azioni
[17]
.
La questione dell’efficacia
normativa del diritto straniero e dell’integrazione di conflitti interlegali si può
porre anche nei casi di giurisdizione territoriale fondata sul principio ubiquitario
di cui all’art. 6, co. 2, c.p. secondo cui il locus commissi
delicti può determinarsi tanto con riguardo al luogo di realizzazione
della condotta, quanto con riferimento al luogo di verificazione dell’evento. Una
questione problematica riguarda la sussistenza di limiti territoriali rispetto alle
fattispecie colpose d’evento ove la condotta sia commessa all’estero e l’evento non
voluto si verifichi successivamente nel territorio italiano di talché è nel
territorio straniero – e quindi secondo le leggi ivi vigenti – che il soggetto ha
orientato il proprio comportamento e agito. Rispetto a queste ipotesi risulta
cruciale stabilire se l’elemento normativo che integra la tipicità colposa, ossia
l’inosservanza della regola cautelare generica o specifica volta ad impedire
l’evento, ¶{p. 252}debba essere regolato dal diritto del luogo in
cui è realizzata la condotta o da quello del luogo in cui si verifica l’evento non
voluto. A favore della prima opzione milita l’osservanza dei principi di legalità e
prevedibilità in materia penale e la vocazione domestica delle norme cautelari che
definiscono le fattispecie colpose
[18]
.
Simile interrogativo è stato
recentemente affrontato dalla giurisprudenza con riguardo alla configurabilità della
responsabilità amministrativa da reato prevista dal d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 in
capo all’ente che abbia la propria sede principale all’estero ma che si trovi ad
operare anche in Italia e ivi sia commesso, nel suo interesse o vantaggio, il reato
della persona fisica soggetto apicale o sottoposto di cui l’ente è chiamato a
rispondere ai sensi dell’art. 5 d.lgs. 231/2001.
L’art. 4 d.lgs. 231/2001
[19]
prevede la giurisdizione italiana rispetto all’illecito dell’ente avente
la «sede principale» nel ¶{p. 253}territorio dello Stato anche
qualora il reato nel suo interesse o a vantaggio sia commesso all’estero. Nulla dice
invece dell’ipotesi del reato territoriale realizzato nell’interesse o a vantaggio
di un ente privo di sede principale nel territorio dello Stato per cui ci si è
chiesti se esista la giurisdizione italiana in questo caso.
La risposta dipende
dall’orientamento sostenuto circa la struttura dell’illecito dell’ente. Il
«confinamento» all’estero del fatto dell’ente e la sua valutazione alla stregua
delle norme ivi vigenti è più agevolmente sostenibile se si ritiene l’autonomia
dell’illecito dell’ente rispetto a quello della persona fisica e se ne individua la
tipicità nell’inosservanza di una condotta diligente – l’adozione e attuazione dei
modelli prevenzionistici richiamati dalla legge – idonea ad impedire il reato della
persona fisica
[20]
.
Ove si aderisca a questa
opzione, la commissione in Italia del reato della persona fisica nell’interesse o a
vantaggio dell’ente non potrebbe fondare, in assenza di un’espressa previsione di
legge in tal senso, la giurisdizione italiana anche rispetto al fatto, autonomo,
dell’ente che abbia la propria sede principale all’estero. Proprio l’art. 4 d.lgs.
231/2001, fissando il criterio giurisdizionale della sede principale dell’ente,
costituirebbe espressione della scelta legislativa di individuare il locus
commissi delicti ai fini del radicamento della giurisdizione nel
luogo in cui si è verificato il difetto di organizzazione
[21]
.
La giurisdizione italiana
sembrerebbe dover essere negata, inoltre, proprio per i limiti territoriali
dell’illecito derivanti
¶{p. 254}dalla tipicità colposa; ossia per
l’impossibilità di riconoscere efficacia precettiva alle norme prevenzionistiche
interne nei confronti della condotta di organizzazione tenuta all’estero.
Note
[13] Ci si può domandare a tal proposito se, qualora il fatto di reato presenti degli elementi normativi riferibili a rapporti giuridici dotati di elementi di estraneità rispetto all’ordinamento interno, la legge di diritto internazionale privato n. 218/1995 o le convenzioni di diritto internazionale privato possano rendere rilevanti norme straniere ai fini della valutazione di tipicità del fatto o, come interessa in questa sede, di antigiuridicità, cfr. Cass. pen., sez. III, 20 novembre 2019, n. 7590, in banca dati Dejure.
[14] Sul tema già I. Caraccioli, L’incriminazione da parte dello Stato straniero dei delitti commessi all’estero e il principio di stretta legalità, in «Riv. it. dir. proc. pen.», 1962, n. 2, pp. 998 ss. Più recentemente D. Micheletti, Delitti commessi all’estero e validità extraterritoriale della legge penale: profili sistematici e questioni interpretative, in «Ann. Univ. Ferrara – Sc. Giur.», 1999, pp. 148 ss.; A. di Martino, La frontiera e il diritto penale, Torino, Giappichelli, 2006, passim.
[15] Il tema è stato affrontato da F. Dean, Norma penale e territorio. Gli elementi di territorialità in relazione alla struttura del reato, Milano, Giuffrè, 1963; più recentemente di Martino, La frontiera e il diritto penale, cit.; D. Micheletti, Reato e territorio, in «Criminalia», 2009, pp. 579 ss.
[16] Maggiori dubbi riguardano il rispetto della doppia incriminazione per i casi di giurisdizione extraterritoriale fondata sul criterio della difesa di cui agli artt. 7 e 8 c.p. Sul tema cfr. Micheletti, Delitti commessi all’estero e validità extraterritoriale della legge penale, cit., pp. 148 ss.
[17] Sul tema cfr. di Martino, La frontiera e il diritto penale, cit., pp. 120 ss. Recentemente riconosce la problematica anche Cass. pen., sez. V, 10 marzo 2016, n. 13525, su cui T. Trinchera, Limiti spaziali all’applicazione della legge penale italiana e maternità surrogata all’estero, in «Riv. it. dir. e proc. pen.», 2017, n. 4, pp. 1392 ss.
[18] Si ricorda che recentemente le Sezioni unite della Suprema Corte hanno riconosciuto che la legge penale applicabile al fatto nei reati caratterizzati da uno «iato temporale» tra la condotta e l’evento sia quella vigente al momento della realizzazione della condotta. Il tempus commissi delicti ai fini dell’individuazione della legge penale applicabile in caso di successione di leggi nel tempo ai sensi dell’art. 2 c.p. va quindi individuato nel momento in cui viene realizzata la condotta, e non in quello in cui si verifica l’evento, a garanzia dell’individuo dal momento che «è la condotta il punto di riferimento temporale essenziale a garantire la “calcolabilità” delle conseguenze penali e, con essa, l’autodeterminazione della persona: ed è a tal punto di riferimento temporale che deve essere riconnessa l’operatività del principio di irretroattività ex art. 25 Cost.» (Cass. Sez. Un. 19 luglio 2018, n. 40986, § 7.1). La Cassazione ricorda comunque come invece l’art. 6 c.p. accolga un criterio alternativo ai fini della determinazione del tempus commissi delicti a legittimazione del criterio ubiquitario di giurisdizione territoriale (§ 6.2). Peraltro, le stesse argomentazioni della Corte a favore del criterio della condotta per il caso in cui sussista uno «iato temporale» tra condotta ed evento possono essere riproposte per il caso in cui sussista tra gli stessi uno «iato spaziale».
[19] Per un commento sulla dimensione internazionale della responsabilità dell’ente si rimanda, anche per la dottrina ivi citata a G. Di Vetta, Commento art. 4 (Reati commessi all’estero), in Compliance. Responsabilità da reato degli enti collettivi, Milano, Wolters Kluwer, 2019, pp. 62 ss. Si veda anche S. Manacorda, Limiti spaziali della responsabilità degli enti e criteri d’imputazione, in «Riv. it. dir. proc. pen.», 2012, pp. 91 ss.
[20] Tra i vari, O. Di Giovine, Lineamenti sostanziali del nuovo illecito punitivo, in G. Lattanzi (a cura di), Reati e responsabilità degli enti. Guida al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, Torino, Giappichelli, 2010, pp. 3 ss. Sul modello unitario, in particolare per la tesi della fattispecie plurisoggettiva, cfr. C.E. Paliero, La responsabilità degli enti: profili di diritto sostanziale, in Impresa e giustizia penale: tra passato e futuro, Milano, Giuffrè, 2009, pp. 277 ss. e recentemente Id., La colpa di organizzazione tra responsabilità collettiva e responsabilità individuale, in «Riv. trim. Dir. pen. ec.», 2018, n. 1-2, pp. 175 ss.
[21] Cfr. P.M. Gemelli, Società con sede all’estero e criteri di attribuzione della responsabilità ex d.lgs. 231/01: compatibilità e incompatibilità, in «Rivista 231», 2012, p. 22.