Note
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Su tale aspetto, l’opinione della dottrina è unanime; tra le prime ad esprimersi in tal senso, Dhanda [2006-2007].
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La nota distinzione teorica tra libertà negativa e libertà positiva, che nella sua accezione «classica» (peraltro oggetto di numerose censure, laddove ha storicamente sancito la preminenza dei diritti di libertà su quelli sociali, e ulteriormente messa in crisi proprio dalla critica proveniente dagli studi sulla disabilità) implica un diverso ruolo del potere pubblico ai fini della loro tutela, è stata applicata da Benedetto Saraceno anche alla critica al modello residenziale [2021, 43]. Una volta intrapreso il processo di allontanamento da specifici luoghi segreganti (che, almeno per le persone con disabilità, non può dirsi invero ancora concluso), si tratta ora di procedere al pieno ed eguale riconoscimento di tali persone quali soggetti di diritto, nonché alla costruzione delle condizioni che consentano l’accesso ai diritti e l’esercizio delle libertà faticosamente conquistate.
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È opportuno richiamare l’attenzione sul fatto che il Comitato (d’ora innanzi Comitato CRPD) ha adottato le Guidelines in oggetto con il supporto dei rappresentanti delle organizzazioni delle persone con disabilità, riuniti all’interno della Global Coalition on Deinstitutionalization.
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Per il riferimento a ulteriori parametri normativi violati, tra i quali l’articolo 14, cfr. sempre il punto 6 delle Guidelines on Deinstitutionalization, Including in Emergencies (2022).
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Le posizioni espresse dal Comitato CRPD sono infatti condivise anche da altre istituzioni sovranazionali, come l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, che nel 2022 ha adottato la risoluzione n. 2431 proprio sul tema della deistituzionalizzazione delle persone con disabilità, seguita dalla raccomandazione n. 2227, più specificamente relativa all’ambito della salute mentale. Del resto, nel contesto europeo, già nel 2018 la Fundamental Rights Agency (FRA) aveva ribadito la necessità di promuovere la transizione dall’istituzionalizzazione al community living.
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In relazione a talune di queste pratiche, la dottrina italiana parla di «manicomi nascosti» [Merlo e Tarantino 2018], così recuperando anche la specifica memoria del paradigma della psichiatria istituzionale, messo in crisi dal pensiero basagliano.
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Sul tema, in una prospettiva più ampia, cfr. Facchi e Giolo, che si soffermano anche sulla c.d. «autonomia inclusiva» [2020, 46-48], riferibile pure al caso delle persone con disabilità.
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General Comment n. 1, par. 40: «Respecting the right to legal capacity of persons with disabilities on an equal basis with others includes respecting the right of persons with disabilities to liberty and security of the person. The denial of the legal capacity of persons with disabilities and their detention in institutions against their will, either without their consent or with the consent of a substitute decision-maker, is an ongoing problem. This practice constitutes arbitrary deprivation of liberty and violates articles 12 and 14 of the Convention. States parties must refrain from such practices and establish a mechanism to review cases whereby persons with disabilities have been placed in a residential setting without their specific consent». Si noti che, alla luce degli ulteriori documenti richiamati e delle considerazioni svolte finora, il riferimento agli istituti è da intendersi come meramente esemplificativo dei contesti al cui interno può verificarsi la privazione della libertà (la quale può appunto avvenire anche nella comunità, o nel contesto familiare); ne consegue la necessità di garantire che, anche al di fuori di tali luoghi, non siano riprodotte le medesime logiche segreganti.
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Per alcune considerazioni in merito, cfr. infra, par. 4.
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Per un’analisi in chiave comparata, anche di carattere storico, cfr. Bach e Espejo Yaksic[2022]; si veda inoltre Clough [2017].
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Quello che porta all’elaborazione della soggettività giuridica è un lungo processo di costruzione storica che, con von Savigny, raggiunge un significativo livello di astrazione. Anche la nozione generale e astratta di capacità era sconosciuta all’esperienza romana e medievale [Stagl e Maragno 2023; limitatamente alla capacità d’agire, Guida 2019]. Sulla costruzione del soggetto di diritto (con inevitabili riferimenti alla capacità, per le ragioni esplicitate), Naffine [2003]; Celermajer e Lefebvre [2020]. Si appunta specificamente sulla capacità in relazione al soggetto con disabilità Barrientos Grandon [2022].
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Si veda, al riguardo, von Savigny [1886-1888, par. 60, 1-2].
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Il dibattito sul punto è molto partecipato sia all’interno dell’ordinamento italiano, sia nel contesto internazionale. È ormai ampiamente disvelato, infatti, come l’antropologia politica implicita del soggetto di diritto sia caratterizzata da razionalità, autonomia e indipendenza. Sul tema, si vedano anche Fineman [2004]; Marella [1998; 2020]; Nedelsky [2011].
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Oltre a Zatti [2003] e alle Scuole che fanno capo a Stanzione e Rodotà, non può mancare un espresso richiamo a Cendon [1988].
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Seppur in termini non coincidenti con quelli utilizzati in questa sede, esprime tali rilievi Zatti [2003, 58].
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Su quest’ultimo aspetto, cfr. infra, par. 5.
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Per un’analisi più dettagliata di tale profilo, cfr. Series e Nilsson [2018, 344].
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Cfr. General Comment n. 1.
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Per un inquadramento dei dibattiti in questione, molto partecipati e dalle forti interconnessioni, sia permesso rimandare a Bernardini [2021].
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Per un’analisi più ampia, Dhanda [2017].
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In tale prospettiva, non si è mancato di osservare come la nozione di capacità giuridica a cui fa riferimento la traduzione italiana del testo debba essere intesa quale richiamo alla capacità d’agire [Cera e Della Fina 2019]. Tuttavia, richiamare quella che sul piano teorico generale costituisce una conversione della capacità d’agire in quella giuridica può risultare fuorviante ai fini del discorso; per tale ragione, questo scritto farà riferimento alla capacità legale, intesa come unione di capacità giuridica e d’agire.
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In letteratura, l’appello alla neutralità è fatto proprio sia in relazione allo specifico tema della capacità sia, più in generale, per richiamare l’attenzione sulla necessità di limitare la possibilità che le istituzioni si ingeriscano nella vita delle persone con disabilità. Sul primo profilo, cfr. Minkowitz [2011]; sul secondo, Flynn e Arstein-Kerslake [2017]. In merito al dibattito relativo alla dissociazione tra mental e legal capacity, cfr. anche Craigie et al. [2019]; Glen [2012]; Kong [2017, specialmente 18-50]; Opgenhaffen [2022].
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Cfr. General Comment n. 1, par. 13.
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Cfr. General Comment n. 1, par. 15: «[...] where a person is considered to have impaired decision-making skills, often because of a cognitive or psychosocial disability, his or her legal capacity to make a particular decision is consequently removed. This is decided simply on the basis of the diagnosis of an impairment (status approach), or where a person makes a decision that is considered to have negative consequences (outcome approach), or where a person’s decision-making skills are considered to be deficient (functional approach). The functional approach attempts to assess mental capacity and deny legal capacity accordingly. It is often based on whether a person can understand the nature and consequences of a decision and/or whether he or she can use or weigh the relevant information. This approach is flawed for two key reasons: a) it is discriminatorily applied to people with disabilities; and b) it presumes to be able to accurately assess the inner-workings of the human mind and, when the person does not pass the assessment, it then denies him or her a core human right — the right to equal recognition before the law. [...]». A differenza dei primi due modelli, patentemente contrari all’articolo 12 CRPD, la criticità del terzo risiede nelle modalità con le quali vi si ricorre, che attualmente tendono a configurarsi come discriminatorie nei confronti delle persone con disabilità. Per questa ragione, tutti e tre i modelli vengono ascritti alla «prima ondata» dell’approccio dei diritti umani alla capacità legale, mentre si può ritenere che l’articolo 12 inauguri una «seconda ondata» [sul punto, Consiglio d’Europa 2017, 7]. A ben vedere, non può però escludersi che, ove condotto in modo neutro rispetto alla disabilità, l’approccio funzionale sia compatibile con la CRPD.
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In breve, nella prospettiva della CRPD, la razionalità non è più l’elemento che qualifica il soggetto di diritto, esplicitamente o implicitamente. Sul piano teorico, si assiste cioè all’affermazione del soggetto di diritto (ontologicamente) vulnerabile anche nell’ambito del diritto internazionale dei diritti umani. Del resto, la positivizzazione dell’assunto filosofico del sé vulnerabile e relazionale è diretta proprio a «scardinare» le dicotomie sulle quali è eretto il diritto moderno, date in primo luogo dalla contrapposizione tra capacità e incapacità, tra vulnerabilità e invulnerabilità, tra autonomia e paternalismo, tra empowerment e protezione.
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Come osservato in precedenza, tale attenzione permette di riformulare in termini relazionali anche il concetto di autonomia, secondo una tendenza diffusa ormai da qualche decennio. Cfr. Christman e Anderson [2005]; Mackenzie [2014]; Oshana [2020].
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Sulla centralità del supported decision making per il concetto di capacità legale universale, nell’ambito della vasta letteratura si vedano Series, Arstein-Kerslake e Kamundia [2017]; Arstein-Kerslake [2017]; Series e Nilsson [2018].
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Cfr. Report of the Ad Hoc Committee on a Comprehensive and Integral International Convention on the Protection and Promotion of the Rights and Dignity of Persons with Disabilities on Its Seventh Session (February 2006), A/AC.265/2006/2.
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In relazione al fronte più moderato, che ammette appunto questa possibilità, cfr. Freeman et al. [2015]; Szmukler [2017]; Skowron [2019]; Carney et al. [2019].
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Tra i primi a sollevare la questione, Quinn [2010, 17].
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Su tale ultimo punto, cfr. infra, par. 3.3.
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Per quanto riguarda l’ordinamento italiano, la distinzione tra i due tipi di best interest è chiaramente percepibile almeno a partire dal noto caso Englaro. Si noti che né la dottrina, né il Comitato CRPD sembrano avere affrontato la questione relativa alla possibilità che la volontà e le preferenze della persona non possano essere in alcun modo conosciute facendo riferimento a posizioni precedentemente espresse o al suo percorso di vita. In tal caso, la cifra relazionale della capacità legale suggerisce di fare riferimento ai legami familiari o di amicizia per cercare una possibile risposta.
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Tra le eccezioni, Constantino Caycho e Bregaglio Lazarte [2022]; Craigie [2021], che però affrontano il tema principalmente in relazione alla capacità contrattuale e non ai profili della libertà personale e di scelta. Questa tendenza è peraltro rivelatrice di un approccio diffuso nella cultura giuridica, che tende ad assumere una prospettiva riduzionista sulla capacità legale, ritenendola sostanzialmente coincidente con quella di tipo privatistico, che si estrinseca appunto in primo luogo nei termini di una capacità contrattuale.
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Tali misure devono possedere una serie di caratteristiche individuate dall’articolo 12, par. 4: «States Parties shall ensure that all measures that relate to the exercise of legal capacity provide for appropriate and effective safeguards to prevent abuse in accordance with international human rights law. Such safeguards shall ensure that measures relating to the exercise of legal capacity respect the rights, will and preferences of the person, are free of conflict of interest and undue influence, are proportional and tailored to the person’s circumstances, apply for the shortest time possible and are subject to regular review by a competent, independent and impartial authority or judicial body. The safeguards shall be proportional to the degree to which such measures affect the person’s rights and interests».
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Anche in questo caso, deve essere superato ogni automatismo sul punto: il fatto che una persona sia disabile non comporta automaticamente la necessità di un supporto, che costituisce piuttosto un suo diritto, che potrà eventualmente decidere di esercitare.
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Si noti che il riferimento non è all’individuo, ma all’azione da lui compiuta.
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Anche in questo caso, le salvaguardie possono assumere forme differenti, come la presenza di sistemi di monitoraggio esterno o l’allocazione di precise responsabilità in capo ai soggetti che prendono parte al processo di supporto.
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Di recente, Paolo Addis [2021] ha richiamato le considerazioni di Franco Modugno in merito alle nozioni di libertà accolte nella Costituzione italiana, la cui impostazione non sembra dissimile da quella della CRPD.
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Sul concetto in questione, cfr. Addis [2021] e infra, in questa ricerca.
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Tale possibilità è prevista dall’articolo 19 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati. Al riguardo, dal punto di vista interpretativo emerge il problema dell’estensione dei limiti apponibili alle riserve all’articolo 12 CRPD. Alla luce di quanto osservato, e data la fondamentale importanza dell’articolo 12 in ordine al riconoscimento della capacità legale universale, diretta a favorire l’eguale riconoscimento delle persone con disabilità di fronte alla legge, in particolare tramite la transizione dalla sostituzione al supporto, ci si può interrogare sul rispetto dell’articolo 46, par. 1 CRPD, che sul punto riprende quanto stabilito dall’articolo 19 della Convenzione di Vienna, e in base al quale non sono ammesse riserve incompatibili con l’oggetto e lo scopo della Convenzione stessa.
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Per un’analisi, Caivano [2014]; Bach e Kerzner [2010; 2020].
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O, negli ordinamenti appartenenti al sistema del Consiglio d’Europa, alla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani, che peraltro si sta aprendo al riconoscimento della capacità legale universale. Nell’ambito del Consiglio d’Europa, già prima della CRPD il Comitato dei Ministri aveva adottato alcune raccomandazioni (nel 1999, 2004 e 2009) in cui esortava gli Stati membri ad applicare principi come non discriminazione, flessibilità, preservazione della capacità legale, proporzionalità e rispetto dei desideri delle persone sottoposte a procedimenti relativi alla capacità. Se certamente non si può ritenere che queste raccomandazioni siano mosse dalla volontà di adempiere a quanto stabilito dall’articolo 12 CRPD, atteso che ne precedono l’entrata in vigore, al loro interno si possono però riconoscere gli elementi qualificanti di tale previsione normativa. Più interessante è invece il percorso evolutivo della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani, in relazione alla dichiarazione di assoluta incapacità e all’istituzionalizzazione (su cui si veda brevemente infra, par. 5).
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Concluding Observations on the Initial Report of Italy, punti 27-28. Nel tempo, le censure in merito alla presenza di istituti di incapacitazione hanno riguardato anche altri ordinamenti: cfr., ad esempio, Concluding Observations of the Committee on the Rights of Persons with Disabilities: Tunisia, Fifth Session: 11-15 April 2011 (Geneva, 2011). CRPD/C/ESP/CO/1, nonché i report relativi a Spagna (CRPD/C/ESP/CO/1), Ungheria (CRPD/C/HUN/CO/1), Perù (CRPD/C/PER/CO/1), Argentina (CRPD/C/ARG/CO/1), Cina (CRPD/C/CHN/CO/1), Paraguay (CRPD/C/PRY/CO/1), Austria (CRPD/C/AUT/CO/1), Norvegia (CRPD/C/NOR/CO/1, maggio 2019, parr. 19-20), Nepal (CRPD/C/NPL/CO/1, 16 aprile 2018, parr. 21-22), Repubblica Ceca (CRPD/C/CZE/CO/1, 15 maggio 2015, parr. 22-23).
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Gli esiti più rilevanti di questo orientamento giurisprudenziale riguardano, oltre al riconoscimento esplicito della necessità di muovere oltre l’impianto ottocentesco della capacità, quello del diritto della persona con disabilità che sia sottoposta a istituti di protezione di compiere anche atti personalissimi, il cui presupposto non può che essere un mutamento di paradigma in ordine alla presunzione di capacità relativa a chi sia disabile. Al riguardo, di recente la giurisprudenza ha considerato l’audizione personale del beneficiario di amministrazione di sostegno un adempimento essenziale ai fini dell’applicazione della misura di protezione, laddove consente di rispettare la dignità della persona e si rivela strumentale allo scopo stesso dell’istituto. Anche in tale circostanza, è dunque necessario rispettare i diritti, la volontà e le preferenze della persona, in quanto altrimenti si produrrebbe un’ingiustificata limitazione della capacità d’agire dell’interessato. In merito ai profili summenzionati, cfr. Corte costituzionale sentt. nn. 114 e 144 del 2019; Cass. civ., I sez., sent. n. 11536 del 2017; Cass. civ. I sez., ord. n. 2462 del 2022; Cass. civ., I sez., ord. n. 3462 del 2022; Cass. civ., I sez., ord. n. 1667 del 2023; Cass. civ., III sez., ord. n. 9384 del 2023.
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Il riferimento è in primo luogo alle censure relative all’amministrazione di sostegno, ma la medesima logica sembra accolta anche dalla legge n. 219 del 2017 sulle Disposizioni anticipate di trattamento, che all’articolo 3 ammette l’interdizione e l’inabilitazione, nonché il potere sostitutivo dell’amministratore di sostegno.
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In una prospettiva più ampia, sull’inclusione delle persone con disabilità nel welfare finlandese quali soggetti agenti, anche in riferimento alla CRPD, cfr. Mustaniemi-Laakso, Katsui e Heikkilä [2022].
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In merito alle varie riforme, cfr. Martinez-Pujalte [2019]; Donnelly, Harding e Tas¸ciog˘lu [2022]; Flynn, Arstein-Kerslake, de Bhailis e Serra [2020]; Bach e Espejo Yaksic [2022].
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Così la Costa Rica, il Perù e la Colombia.
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Ad esempio, in Germania e nella Repubblica Ceca.
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Per un utile orientamento in merito alle diverse tipologie di accordo, cfr. Lynch e Howlett [2022, 14-15].
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In mancanza di criteri di accertamento della capacità pienamente conformi all’articolo 12, quest’ultimo può infatti essere considerato compatibile con la CRPD, qualora non sia applicato in modo discriminatorio.
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Si tratta del Decision Support Service, a cui sono stati assegnati compiti informativi, di regolamentazione e registrazione degli accordi di supporto decisionale, nonché di supervisione e monitoraggio, ivi compreso il ruolo di amicus curiae.
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La capacità legale universale non riguarda, pertanto, solo le persone con disabilità (sul punto, cfr. Dhanda [2012]; Francis [2021]; Opgenhaffen [2022]; nel contesto italiano, sia permesso richiamare nuovamente Bernardini [2021]).
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Chiaramente, fermo restando il principio milliano del danno.
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La disabilità stessa è definita in termini relazionali, ai sensi dell’articolo 1, par. 2 CRPD.
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Si richiama al «pieno» e al «vuoto» relativi alla concezione ottocentesca di capacità la Corte di Cassazione italiana, in Cass. civ., I sez., sent. n. 11536 del 2017.
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Alla luce di quanto osservato in questa sede, è chiaro tuttavia come quest’ultima richieda l’adozione di una prospettiva multidimensionale, che assuma come prioritaria la centralità della persona. Sembra realistico prevedere anche un onere argomentativo aggiuntivo, che permetta di comprendere perché si ritiene che la persona abbia o meno la capacità di prendere la decisione nel caso concreto, con un livello di dettaglio commisurato alla gravità dell’intervento e all’urgenza della situazione.
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Al riguardo, cfr. Shtukaturov v. Russia (application no. 44009/05); Ivinovic´ v. Croatia (application no. 13006/13); A.N. v. Lithuania (application no. 17208/08); A.-M. v. Finland (application no. 53251/13); N. v. Romania (no. 2) (application no. 38047/18). Nel 2023, il medesimo orientamento ha anche portato alla condanna dell’ordinamento italiano, nel caso Calvi e C.G. v. Italia (application n. 46412/21).
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Cass. civ., I sez., ord. n. 21887 del 2022.
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Cass. civ., I sez., ord. n. 32321 del 2022.