Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c15
La disamina effettuata in questa
sede permette di svolgere alcune considerazioni conclusive in merito al paradigma della
capacità legale accolto all’interno della CRPD. Innanzitutto, deve ribadirsi come
l’articolo 12 riaffermi – e non attribuisca –
un diritto umano universale, di cui tutti i soggetti sono titolari
[53]
, che non può essere negato in ragione della disabilità pena la violazione
del principio di eguaglianza. Riconoscere nella capacità legale un diritto universale
implica che ogni persona sia titolare del diritto di effettuare le scelte che la
riguardano e di agire conseguentemente, secondo la propria volontà e preferenze
[54]
. L’eventualità che, nel caso concreto, si renda necessario apprestare un
sostegno a tal fine, non può dunque in alcun modo incidere sulla titolarità del diritto
né, nella mutata prospettiva che la CRPD impone di adottare, può essere considerata
espressione dell’incapacità del soggetto. Infatti, la Convenzione abbandona la già
richiamata concezione individualistica del sé e dei diritti che ha dominato il pensiero
giuridico e il diritto positivo negli ultimi secoli – e in relazione alla quale
l’istituto della capacità ha assunto, non di rado, una funzione discriminatoria –, a
favore di una prospettiva relazionale
[55]
. Nel mutato quadro teorico-concettuale, il mantenimento dell’idea binaria
¶{p. 363}della capacità, ossia della netta alternativa tra un pieno e un vuoto
[56]
, rivela la propria obsolescenza e non può trovare legittimità alcuna.
Invero, il superamento della dicotomia in oggetto richiede e implica l’adesione a una
concezione di capacità di tipo graduale: in base al paradigma accolto all’interno della
CRPD, che proibisce in modo categorico tanto il mancato riconoscimento, quanto la
completa ablazione della capacità legale, alla persona è sempre riferibile un ampio
spettro di capacità e competenze, le quali non rilevano in relazione a una disabilità
genericamente intesa, ma in rapporto alla concreta situazione in ordine alla quale si
richiede una specifica competenza della persona.
Chiaramente, il fatto che la
capacità legale sia un diritto umano universale non può portare a concludere
automaticamente che esso sia anche un diritto assoluto; le restrizioni alla capacità
legale sono ammesse, infatti, anche in questo nuovo paradigma, in quanto l’esercizio dei
diritti richiede comunque una certa consapevolezza di sé
[57]
. Tuttavia, se il binarismo ottocentesco viene meno, muta inevitabilmente non
solo la prospettiva con la quale riferirsi alla capacità, secondo quanto appena
osservato, ma anche quella attraverso cui valutare la legittimità delle misure di
protezione. Da un lato, l’abrogazione delle previsioni completamente ablative della
capacità d’agire, così come quella delle misure comunque incapacitanti, diviene
necessaria. Dall’altro, gli istituti giuridici che non presentino tali caratteristiche
devono sempre assicurare che la persona mantenga il controllo sull’esercizio dei propri
diritti, nonché supportarla nel processo decisionale, senza poter mai prescindere dal
rispetto della sua volontà e preferenze [Gooding 2013; Kohn 2021]. Non va dimenticato,
infatti, che l’individuo è e rimane capace anche qualora si renda necessaria l’adozione
di strumenti di supporto. In questo mutato quadro concettuale, cambia pertanto la
questione assunta come centrale sul piano giuridico: non la titolarità della capacità
(che dev’essere indiscussa) e, conseguentemente, dei diritti, ma la presenza e la
legittimità delle misure che ne regolino l’esercizio.
Tale prospettiva, che sul piano
teorico pare richiamarsi a una concezione sostantiva dell’autonomia, richiede anche di
effettuare una valutazione normativa dei contesti (fisici e relazionali) in cui un
individuo si trova, al fine di consentire a quest’ultimo un esercizio libero ed
effettivo della propria capacità legale. Per questo, è necessario non solo garantire
¶{p. 364}la presenza delle condizioni abilitanti della capacità, quali
possono essere gli strumenti – necessariamente plurali – di sostegno, ma anche prevedere
salvaguardie che assicurino l’assenza di coercizione e di influenza indebita.
Alla luce di quanto osservato, le
indicazioni provenienti dall’articolo 12 assumono fondamentale importanza anche ai fini
della garanzia dell’eguale diritto delle persone con disabilità di vivere nella comunità
con la stessa libertà personale e di scelta delle altre persone. Lo si evince, in
particolare, in relazione alla permanenza all’interno degli istituti, qualora essa
avvenga contro la volontà dell’interessato, o prescindendo dal suo consenso,
sostituito da quello del legale rappresentante. Appare
evidente, infatti, come tanto il divieto di procedere alla completa ablazione della
capacità legale della persona con disabilità previsto dalla CRPD, quanto i correlati
limiti ivi posti al potere di sostituzione, mal si concilino con l’istituzionalizzazione
non volontaria. Invero, anche qualora un individuo sia sottoposto a misure limitative
della sua capacità legale, in alcun modo l’articolo 12 legittima a prescindere dalla sua
volontà e preferenze, a considerare queste ultime espressione di meri capricci o
desideri, o ad agire in senso ad esse contrario; piuttosto, dovrà esserne garantita la
piena valorizzazione. Inoltre, ai sensi dell’articolo 12, dovranno essere sottoposte ad
attento scrutinio anche le preferenze espresse dal soggetto all’interno delle strutture
in oggetto, in quanto l’eventuale carattere istituzionalizzante delle stesse – da
accertarsi in concreto, secondo i parametri individuati nelle Guidelines on
Deinstitutionalization, Including in Emergencies – potrebbe favorire la
presenza di forme di influenza indebita.
La prospettiva accolta
dall’articolo 12 dialoga con alcune recenti tendenze giurisprudenziali. Per esempio, sul
piano sovranazionale la Corte Europea dei Diritti Umani non ha mancato di affermare in
più occasioni che la dichiarazione di incapacità legale assoluta viola il principio di
proporzionalità, e come tale è contraria alla Convenzione europea dei diritti umani
(CEDU). Inoltre, ad avviso della Corte, l’istituzionalizzazione non volontaria che
consegua a una dichiarazione di totale o parziale incapacità può presentare profili di
contrarietà all’articolo 8 della medesima Convenzione, che tutela il rispetto del
diritto alla vita privata e familiare
[58]
. La valutazione relativa alla legittimità della procedura in oggetto deve
guardare al concreto bilanciamento tra la protezione dell’individuo e la garanzia della
sua libertà, nell’ambito di un procedimento all’interno del quale il coinvolgimento
della persona interessata assume carattere inde¶{p. 365}fettibile e il
rispetto dei suoi diritti, unitamente a quello della sua volontà e preferenze, deve
sempre essere garantito.
In questa prospettiva, interessanti
sollecitazioni provengono anche dall’ordinamento italiano, ove la giurisprudenza, oltre
a muovere nella direzione del superamento del binarismo tra capacità e incapacità che si
è già avuto modo di ricordare, ha rimarcato anche la particolare pregnanza assunta
dall’audizione della persona interessata nel procedimento diretto all’attivazione
dell’amministrazione di sostegno. L’audizione serve infatti ad accertare l’eventuale
volontà contraria del soggetto interessato dalla misura di protezione, sì da
salvaguardare il suo diritto di autodeterminazione
[59]
. La giurisprudenza ha osservato inoltre come le dichiarazioni della persona
beneficiaria di una misura di protezione debbano essere tenute in considerazione anche
nel caso in cui essa manifesti la propria opposizione all’applicazione di tale misura,
qualora la sua posizione sia espressa con lucidità; infine, ritiene che debba essere
vagliata la viabilità degli strumenti alternativi che siano stati proposti
[60]
.
Orbene, se con tutta probabilità il
richiamo alla lucidità rende evidente l’utilità delle precisazioni effettuate dal
Comitato CRPD in merito alla distinzione tra capacità mentale e capacità legale al fine
di prevenire discriminazioni al riguardo, tuttavia pare difficile non rinvenire anche in
questo indirizzo giurisprudenziale un deciso orientamento diretto al riconoscimento
della centralità della volontà e delle preferenze dell’individuo. Parimenti, è nitido il
richiamo all’importanza di garantire la pluralità degli strumenti di supporto e di
assicurare l’effettività del diritto di scelta della persona interessata. Si può dunque
ritenere che la CRPD si inserisca in un processo di trasformazione che va oltre il dato
normativo, per riguardare i diversi formanti del diritto e, più in generale, la stessa
cultura giuridica. Al contempo, va rimarcato come sia proprio la portata precettiva
dell’articolo 12 a rivelare l’indefettibilità, oltre che l’urgenza, di procedere a
quegli interventi normativi, tanto di carattere riformista quanto di tipo abolizionista,
che consentano di dare concreta attuazione al diritto umano alla capacità legale
universale.
Note
[53] La capacità legale universale non riguarda, pertanto, solo le persone con disabilità (sul punto, cfr. Dhanda [2012]; Francis [2021]; Opgenhaffen [2022]; nel contesto italiano, sia permesso richiamare nuovamente Bernardini [2021]).
[54] Chiaramente, fermo restando il principio milliano del danno.
[55] La disabilità stessa è definita in termini relazionali, ai sensi dell’articolo 1, par. 2 CRPD.
[56] Si richiama al «pieno» e al «vuoto» relativi alla concezione ottocentesca di capacità la Corte di Cassazione italiana, in Cass. civ., I sez., sent. n. 11536 del 2017.
[57] Alla luce di quanto osservato in questa sede, è chiaro tuttavia come quest’ultima richieda l’adozione di una prospettiva multidimensionale, che assuma come prioritaria la centralità della persona. Sembra realistico prevedere anche un onere argomentativo aggiuntivo, che permetta di comprendere perché si ritiene che la persona abbia o meno la capacità di prendere la decisione nel caso concreto, con un livello di dettaglio commisurato alla gravità dell’intervento e all’urgenza della situazione.
[58] Al riguardo, cfr. Shtukaturov v. Russia (application no. 44009/05); Ivinovic´ v. Croatia (application no. 13006/13); A.N. v. Lithuania (application no. 17208/08); A.-M. v. Finland (application no. 53251/13); N. v. Romania (no. 2) (application no. 38047/18). Nel 2023, il medesimo orientamento ha anche portato alla condanna dell’ordinamento italiano, nel caso Calvi e C.G. v. Italia (application n. 46412/21).
[59] Cass. civ., I sez., ord. n. 21887 del 2022.
[60] Cass. civ., I sez., ord. n. 32321 del 2022.