Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c26
Filippo Venturi
Profili di responsabilità penale degli operatori
socio-sanitari. Regressioni giurisprudenziali, progressioni dottrinaliSi ringrazia il professor Alberto di Martino per l’attenta revisione del lavoro
Notizie Autori
Filippo Venturi
- PhD in Criminal Law - è assegnista di ricerca in diritto penale presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. È stato visiting researcher presso il Max Planck Institute di Friburgo, l’University of Toronto e l’École normale supérieure di Parigi.
Abstract
In termini generali, la responsabilità penale può sorgere da un’azione oppure da un’omissione del soggetto agente. Nel primo caso, si parla di condotta attiva (reato di azione o commissivo). Nel secondo caso, invece, di condotta omissiva (reato di omissione o omissivo). Nella materia che ci occupa, a rilevare è soprattutto la nozione di omissione penalmente rilevante. In termini assai sintetici, è opportuno rammentare che gli operatori sanitari sono gravati da una posizione di protezione nei confronti dell’integrità psico-fisica dei pazienti affidati alle loro cure. Preliminarmente, però, è opportuno osservare che, come è ovvio, molti trattamenti terapeutici, sia chirurgici sia farmacologici, anche quando hanno esito fausto possono determinare un’alterazione anatomica significativa, apparentemente assimilabile a una lesione personale. Risulta indiscutibile che lo psichiatra possa, in primo luogo, rispondere se l’evento autolesivo è conseguenza di una sua azione (venendosi a configurare in tal caso una responsabilità commissiva). Si pensi al caso in cui lo psichiatra somministri una dose errata di farmaci, da cui deriva uno scompenso psichico e una conseguente condotta autolesiva del paziente. Con riguardo all’ipotesi in cui l’azione dell’operatore sanitario determina un comportamento eterolesivo del paziente, l’inquadramento giuridico è ancora più complesso. Con riguardo agli atti eterolesivi del paziente affetto da disturbo psichico, invece, la funzione di cura dello psichiatra non pare a chi scrive poter fornire alcun argomento in grado di giustificare la configurazione di un obbligo, a suo carico, di impedire condotte aggressive verso altre persone. Sia consentito peraltro incidentalmente osservare che, anche laddove si volesse aderire all’orientamento giurisprudenziale, secondo cui l’operatore sanitario è obbligato a impedire gli atti autolesivi ed eterolesivi del soggetto affetto da malattia mentale, comunque l’accertamento di una sua effettiva responsabilità penale dovrebbe risultare estremamente difficoltoso e improbabile. In conclusione, dunque, il rapporto tra salute, libertà e dignità della persona con disabilità (anche) mentale va ripensato. L’integrità psico-fisica è recessiva rispetto alla libertà e dignità del paziente.
1. Inquadramento della responsabilità penale omissiva
Come è noto, in termini generali, la
responsabilità penale può sorgere da un’azione oppure da un’omissione del soggetto
agente. Nel primo caso, si parla di condotta attiva (reato di azione o commissivo). Nel
secondo caso, invece, di condotta omissiva (reato di omissione o omissivo)
[1]
.
Nella materia che ci occupa, a
rilevare è soprattutto la nozione di omissione penalmente rilevante: l’operatore
sanitario viene infatti spesso chiamato a rispondere per non aver impedito che il
decorso della malattia determinasse un nocumento alla salute del paziente. In sede
introduttiva, quindi, conviene brevemente soffermarsi sulla responsabilità penale
omissiva per fornire alcune coordinate utili a orientarsi nella materia in esame.
L’omissione consiste nel «non
compiere l’azione possibile che il soggetto ha il dovere giuridico di compiere»
[Mantovani 2017, 124]. Si tratta, quindi, di un giudizio normativo che riguarda «il
contrasto tra ciò che il soggetto ha fatto e ciò che avrebbe dovuto fare» [Padovani
2019, 144].
Ovviamente, affinché un’omissione
sia penalmente rilevante, è necessario che il comando giuridico sia presidiato dalla
sanzione penale: si pensi all’omissione di soccorso ex articolo 593
c.p. In questo caso, il legislatore punisce direttamente l’omissione di una certa
condotta (si parla perciò, a tal riguardo, di reato omissivo proprio).
In realtà, però, con riguardo ai
reati di evento (in cui il legislatore, nella norma incriminatrice, punisce la
causazione – attiva, ossia tramite azione – di un certo evento: ad esempio l’omicidio
ex articolo 575 c.p., in cui si sanziona l’aver cagionato la
morte di un uomo), il codice penale stabilisce un’equivalenza tra cagionare l’evento e
non averlo impedito. In ¶{p. 584}particolare, l’articolo 40, comma, 2
c.p. così recita: «Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire,
equivale a cagionarlo». Pertanto, un reato di evento come l’omicidio può essere
integrato (non solo, come è ovvio, da un’azione ma) anche da un’omissione (si parla
perciò di reato omissivo improprio): si pensi al bagnino che omette di soccorrere il
nuotatore in difficoltà (che poi, a causa del mancato soccorso, affoga) o al medico che
omette di curare adeguatamente il paziente a lui affidato (che poi, a causa del decorso
della malattia non curata, decede).
Va rimarcato che ai fini della
configurazione di una responsabilità penale omissiva è necessaria la presenza di un
obbligo giuridico di impedire il tipo di evento che si è verificato
[2]
.
Anche per tale ragione, la dottrina
e la giurisprudenza maggioritarie hanno elaborato la nozione di posizione di garanzia:
affinché un soggetto risponda dell’evento, è necessario che egli abbia un legame
qualificato con l’interesse protetto dalla norma penale. Accanto all’obbligo giuridico
di impedire l’evento, dunque, è necessario riscontrare anche una funzione di garanzia:
per tale ragione, si parla di concezione mista, formale-sostanziale [Mantovani 2017,
157]. Riprendendo gli esempi sopra richiamati, è evidente che il passante che veda il
nuotatore in balìa delle onde o il soggetto ferito per strada non risponderà, laddove
costoro dovessero morire, di omicidio, ma solo di omissione di soccorso. E ciò in quanto
egli non ha, rispetto all’interesse protetto dalla fattispecie di omicidio (il bene
giuridico della vita), alcuna relazione qualificata (a differenza del bagnino o del
medico).
Secondo l’impostazione
tradizionale, esistono due tipi di posizione di garanzia. La prima è quella di colui che
deve proteggere un certo interesse, tutelandolo da pericoli esterni: si tratta della
c.d. posizione di protezione, ad esempio quella di cui sono gravati i genitori rispetto
ai figli (art. 147 c.c.). La seconda è quella di colui che deve controllare una
determinata fonte di pericolo affinché non produca eventi lesivi: si tratta della c.d.
posizione di controllo, di cui un esempio è l’obbligo dei proprietari di animali
pericolosi di impedire che essi possano arrecare danno a terzi (art. 2052 c.c.)
[Padovani 2019, 170].
Va comunque ricordato che per
accertare la responsabilità penale è necessario che sia integrato non solo il fatto
descritto dalla norma incriminatrice (elemento oggettivo del reato, c.d. fatto tipico) –
con una condotta commissiva o omissiva in grado di «cagionare» (nei termini anzidetti)
l’evento tipizzato – ma anche l’antigiuridicità (ossia l’assenza di una causa di
¶{p. 585}giustificazione, come la legittima difesa o lo stato di
necessità) e l’elemento soggettivo (ossia, il dolo o la colpa rispetto al fatto).
Queste note generalissime sono
necessarie a inquadrare il tema della (eventuale) responsabilità penale dell’operatore
sanitario rispetto alla persona disabile.
2. Cenni generali sulla responsabilità penale dell’operatore sanitario. La posizione di protezione del paziente
In termini assai sintetici, è
opportuno rammentare che gli operatori sanitari sono gravati da una posizione di
protezione nei confronti dell’integrità psico-fisica dei pazienti affidati alle loro
cure.
Tale conclusione è pacificamente
desunta, con riguardo ai medici dipendenti da una struttura pubblica, dagli articoli 2 e
32 Cost., dagli articoli 2, 14 e 25 della l. n. 833/1978 e dall’articolo 1, comma 1, del
d.lgs. n. 502/1992.
Altrettanto vale, come è stato
recentemente ribadito dalla Corte di Cassazione, per gli infermieri e, più in generale,
per tutti gli operatori di una struttura sanitaria (ex art. 1.,
comma 1, della l. n. 251/2000)
[3]
. Si tratta di un principio già espresso nel 2019 proprio con riguardo
all’omissione delle doverose attività di cura con riguardo a una paziente disabile di
una RSA
[4]
.
Apparentemente, peraltro, al fine
di configurare in capo all’operatore sanitario il dovere di impedire l’evento infausto,
in giurisprudenza viene reputato sufficiente l’instaurarsi di una relazione
diagnostico-terapeutica con il paziente, a prescindere dai rapporti giuridici formali
tra le parti: emerge, dunque, un’impostazione sostanzialista [Sale 2013], che prescinde
dall’individuazione di un preciso obbligo giuridico. Tuttavia, è probabile che la
giuridicità dell’obbligo impeditivo venga ritenuta ovvia, tanto da non necessitare
nemmeno di essere esplicitata: essa, come anticipato, deriva, per tutti i dipendenti del
servizio sanitario nazionale, proprio dagli articoli 2 e 32 Cost., dagli articoli 2, 14
e 25 della l. n. 833/1978 e dall’articolo 1, comma 1, del d.lgs. n. 502/1992 [Mantovani
2017, 170].
Per l’operatore sanitario privato,
invece, la posizione di garanzia si radica nel contratto che egli (o la struttura in cui
opera) stipula con il paziente.
Pertanto, l’esercente la
professione sanitaria potrà rispondere sul piano penale non solo – come chiunque altro –
delle condotte attive che hanno determinato un danno al paziente, ma anche
dell’omissione delle cure necessarie a preservarne l’integrità
psico-fisica.¶{p. 586}
Il nodo gordiano nello specifico
ambito della cura della disabilità (anche) psichica è però rappresentato dall’estensione
di questa posizione di protezione. Ci si chiede, infatti, se e quali atti del paziente
l’operatore sanitario è chiamato a impedire (in quanto estrinsecazione della malattia
mentale che egli deve trattare). È evidente, infatti, che è necessario distinguere tra
atti autolesivi e atti eterolesivi, e che tale distinzione ha decisive ricadute sul
ruolo dell’operatore sanitario della disabilità e sul suo rapporto terapeutico con il
paziente, nonché sulla libertà di autodeterminazione di quest’ultimo. Sul tema ci si
soffermerà tra breve.
2.1. La responsabilità penale dell’operatore per trattamenti sanitari (con esito infausto)
Preliminarmente, però, è
opportuno osservare che, come è ovvio, molti trattamenti terapeutici, sia chirurgici
sia farmacologici, anche quando hanno esito fausto possono determinare
un’alterazione anatomica significativa, apparentemente assimilabile a una lesione
personale. In verità, però, va rammentato che un’ipotesi di questo tipo non si
presta a integrare il reato di lesioni personali in quanto l’intervento terapeutico
con esito fausto, pur potendo determinare un’alterazione anatomica, non cagiona
alcuna «malattia» nel senso chiarito dalla Corte di Cassazione. Se il risultato del
trattamento terapeutico è positivo, infatti, manca qualsivoglia compromissione
dell’assetto funzionale dell’organismo (che anzi viene preservato da ulteriori
peggioramenti). Tale conclusione non muta anche laddove manchi il consenso informato
del paziente. Anzi, anche in tale ipotesi, le Sezioni Unite hanno precisato che la
condotta dell’operatore sanitario con esito fausto è priva di qualsivoglia rilevanza
penale: non solo, infatti, manca la «malattia» necessaria a integrare il reato di
lesioni personali, ma anche quell’evento costrittivo che è richiesto dal reato di
violenza privata
[5]
.
L’operatore sanitario, quindi,
risponderà sul piano penale solo dell’eventuale esito infausto del trattamento
terapeutico svolto. Anche a tal riguardo, comunque, va chiarito che laddove tale
trattamento sia somministrato con il consenso informato del paziente e nel rispetto
delle leges artis non vi potrà essere alcuna responsabilità
penale: l’attività sanitaria è, in questa ipotesi, lecita e l’evento dannoso rientra
nell’ambito del c.d. rischio consentito. Manca, del resto, la colpa dell’operatore,
il quale agisce nel rispetto delle regole cautelari che disciplinano l’attività da
lui svolta.
Addirittura, secondo un certo
orientamento, dibattuto ma riemerso anche recentemente, il personale sanitario
andrebbe esente da responsabilità penale in caso di esito infausto del trattamento
somministrato anche ¶{p. 587}quando manchi il consenso informato del
paziente ma siano state rispettate le leges
artis: poiché la necessità del consenso
informato non costituisce una regola cautelare, infatti, la sua assenza non può
determinare la colpa del terapeuta
[6]
.
Nel caso in cui, invece, il
trattamento terapeutico abbia un esito infausto e vi sia stata una violazione delle
leges artis, l’operatore sanitario potrà rispondere di
omicidio o lesioni colpose, a seconda dell’evento lesivo verificatosi. La
valutazione della colpa dell’esercente la professione sanitaria è peraltro, da
sempre, uno dei temi più dibattuti di tale segmento del diritto penale. Basti in
questa sede ricordare in modo cursorio che, con la legge Gelli-Bianco (l. n.
24/2017), il legislatore ha introdotto una speciale causa di non punibilità per il
caso in cui l’evento lesivo sia stato determinato da imperizia
[7]
: in quest’ipotesi, ex articolo
590-sexies c.p., «la punibilità è esclusa quando sono
rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate
ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche
clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee
guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto». Si tratta di una
formula che ha destato, in dottrina e in giurisprudenza, alcune incertezze, cui
hanno tentato di porre rimedio le Sezioni Unite esprimendo il seguente principio di
diritto, che conviene riportare per intero:
L’esercente la professione sanitaria risponde, a titolo di colpa, per morte o lesioni personali derivanti dall’esercizio di attività medico-chirurgica: a) se l’evento si è verificato per colpa (anche «lieve») da negligenza o imprudenza; b) se l’evento si è verificato per colpa (anche «lieve») da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali; c) se l’evento si è verificato per colpa (anche «lieve») da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee guida o di buone pratiche che non risultino adeguate alla specificità del caso concreto; d) se l’evento si è verificato per colpa «grave» da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni, di linee guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle specifiche difficoltà tecniche dell’atto medico.
Secondo il Supremo Collegio,
dunque, se le linee guida non sono adeguate al caso concreto oppure (sebbene
adeguate) vengono eseguite in
¶{p. 588}maniera gravemente imperita,
l’operatore sanitario non potrà beneficiare della causa di non punibilità delineata
dall’articolo 590-sexies.
Note
[1] Per i necessari riferimenti manualistici, sia sufficiente il rinvio a Padovani [2019, 138 e 142-145]. Cfr. anche Mantovani [2017, 124-125].
[2] Le opinioni relative alle fonti idonee a generare tale obbligo divergono. Secondo alcuni, come Padovani [2019, 145-146], si può trattare di qualsiasi fonte giuridica, compresa la consuetudine. Secondo altri, come De Francesco [2018, 220] e Mantovani [2017, 162], la fonte deve essere comunque dotata di rango legislativo.
[3] Cass. pen., sez. IV, 29 gennaio 2021, n. 16132.
[4] Cass. pen., sez. IV, 29 marzo 2019, n. 39256.
[5] Cass. pen., SS.UU., 21 gennaio 2009, n. 2437.
[6] Cass. pen., sez. IV, 14 settembre 2022, n. 48619. Contra, Cass. pen., sez. IV, 20 aprile 2010, n. 21799.
[7] Con riguardo alla colpa generica, l’articolo 43 c.p. distingue tra imprudenza, negligenza e imperizia. Con prudenza si allude, in particolare, «alla necessità di evitare il compimento di certe azioni pericolose», con la diligenza a «una condotta attiva volta a prevenire il versificarsi di un’offesa», mentre con la perizia, infine, «all’osservanza di regole consistenti in prescrizioni di ordine tecnico». Così De Francesco [2018, 447].