Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c25
Massimiliano Verga A chi lo chiedo? Proposta per un Punto Unico Informativo sui benefici, le tutele e i servizi a favore delle persone con disabilità e dei loro familiari
Notizie Autori
Massimiliano Verga
insegna Sociologia dei diritti fondamentali all’Università di Milano Bicocca, dove è referente del Dipartimento di Giurisprudenza per gli studenti con disabilità e con disturbi specifici dell’apprendimento. È presidente dell’Associazione di studi su Diritto e Società e vicedirettore della rivista «Sociologia del diritto». Tra le pubblicazioni: Zigulì. La mia vita dolceamara con un figlio disabile (Mondadori, 2012) e Un gettone di libertà. Come ho imparato a essere padre di figli diversi: una storia di amore e di handicap (Mondadori, 2014).
Abstract
Come è noto, uno dei principali dilemmi che attanagliano gli studiosi dei fenomeni giuridici è l’annosa questione relativa al divario che separa la dimensione formale delle norme dalla loro dimensione sostanziale, vale a dire la distanza tra la ratio e gli obiettivi degli enunciati normativi e la loro concreta attuazione. La questione è chiaramente retorica. Talvolta tra le righe, talaltra in maniera più evidente, nel nostro ordinamento convivono infatti diverse previsioni normative che paiono chiaramente suggerire la creazione di un Punto Unico Informativo sulla disabilità. Secondo il più recente rapporto ISTAT in materia, in Italia vi sono oltre tre milioni di persone con limitazioni gravi e tali da impedire lo svolgimento delle abituali attività quotidiane. Comprensibilmente, l’ISTAT osserva le criticità con le lenti di un ente di ricerca chiamato a produrre e comunicare analisi, previsioni e informazioni statistiche. Vale a dire, non indossa le lenti di chi riveste un ruolo decisionale e/organizzativo. Ma le persone con disabilità non hanno l’urgenza di interpellare l’ISTAT, semmai hanno bisogno di parlare agevolmente con le proprie amministrazioni locali, con l’INPS e con le ASL di competenza (o ATS, USL, ASP che dir si voglia). E soprattutto hanno necessità di un luogo, facilmente identificabile e raggiungibile, dove poter manifestare le proprie necessità e verificare se e come queste ultime rientrino nelle previsioni di tutela dell’ordinamento. Resta l’idea che dovrebbero essere i medesimi attori istituzionali a farsi promotori del riconoscimento sostanziale delle tutele, dei benefici e dei servizi in favore delle persone con disabilità e di chi si prende cura, sotto diversi profili, della loro potenziale piena partecipazione alla vita sociale.
1. Introduzione
Come è noto, uno dei principali
dilemmi che attanagliano gli studiosi dei fenomeni giuridici (in particolare, i
sociologi e i filosofi del diritto) è l’annosa questione relativa al divario che separa
la dimensione formale delle norme dalla loro dimensione sostanziale, vale a dire la
distanza tra la ratio e gli obiettivi degli enunciati normativi e
la loro concreta attuazione.
In materia di disabilità – pur a
fronte di un’apprezzabile mole formale di tutele, benefici e servizi già riconosciuti
dal nostro ordinamento a favore delle persone con disabilità e dei loro familiari –
questa distanza risulta particolarmente significativa e, non di rado, compromette,
parzialmente o completamente, la loro effettiva fruibilità, sia in ragione di una
(legittima) mancanza di conoscenza, da parte dei potenziali beneficiari, delle
previsioni del legislatore, sia in ragione dei tempi d’attesa difficilmente prevedibili
che connotano il loro eventuale riconoscimento, sia in ragione, infine, delle tortuose
modalità per accedervi.
Sotto questo profilo, infatti, non
pare inopportuno ricordare come tale divario, che si traduce in un «vuoto di tutele»
sostanziale, talvolta soltanto temporaneo ma comunque estremamente probabile e non privo
di evidenti criticità, sia da imputare anche a un contesto giuridico e sociale
caratterizzato da una profonda complessità, in particolare per quanto attiene ai servizi
esistenti sul territorio e ai referenti dei servizi medesimi. Una complessità che, non è
altrettanto fuori luogo sottolineare, nel nostro Paese risulta chiaramente amplificata
dalla frammentazione costituzionale delle competenze coinvolte (tra sanità e assistenza
sociale, tra Stato, Regioni, Province, Comuni).
Nelle pagine seguenti mi ripropongo
di condurre alcune riflessioni volte a promuovere la creazione di un «Punto Unico
Informativo sulla disabilità» (d’ora in avanti, PUI), da intendersi, da un lato, come
luogo di prossimità al servizio delle persone con disabilità e dei loro familiari
¶{p. 562}e, da un altro lato, come promotore di nuove pratiche
all’insegna della condivisione e della responsabilizzazione collettiva in materia di
disabilità.
Più precisamente, per un verso il
PUI risulterebbe un innovativo strumento di raccordo tra i vari attori istituzionali e i
potenziali beneficiari, offrendo a questi ultimi una panoramica esaustiva sia delle
eventuali provvidenze economiche – e, più in generale, dei benefici riconosciuti dal
nostro ordinamento – sia dei servizi offerti, tanto a livello locale quanto a livello
nazionale; per un altro verso, nella prospettiva di un altrettanto innovativo strumento
di promozione di un welfare di comunità, oltre a svolgere una quanto mai necessaria
funzione di consulenza, assumerebbe le sembianze di un luogo di raccolta e scambio di
informazioni fondato anche sulla partecipazione attiva dei medesimi beneficiari ai quali
è principalmente (seppur non esclusivamente) rivolto.
In quest’ottica, infatti, se da un
lato è proprio il vuoto di conoscenza delle previsioni e dei servizi rivolti alle
persone con disabilità a giustificare la creazione del PUI, da un altro lato giova
riconoscere come le persone con disabilità e i loro familiari, facendo di necessità
virtù, nel corso degli anni abbiano comunque maturato una serie di invidiabili
competenze su come muoversi nei confronti dei differenti attori istituzionali. Questo
prezioso e insostituibile patrimonio di conoscenza, soprattutto in merito ai servizi
presenti sul territorio a livello locale, è tuttavia oggetto di un passaparola che
avviene per lo più attraverso i canali informali degli incontri occasionali o, nella
migliore delle ipotesi, attraverso la rete del mondo associativo di riferimento. E,
precisamente sotto questo profilo, la creazione di un collettore quale appunto il PUI –
una sorta di «mappatura operativa» in grado di offrire anche un ventaglio di
riferimenti, indirizzi, numeri di telefono – consentirebbe una circolazione più rapida
ed efficace di tutte queste conoscenze, con evidenti benefici per le persone con
disabilità, sia nella prospettiva dei tempi impiegati per acquisirle, sia nei termini di
un quanto mai necessario alleggerimento delle fatiche messe in campo per imparare a
muoversi nell’attuale ginepraio delle norme e dei servizi.
La prima parte di questo contributo
mira a mettere in luce le previsioni formalmente auspicate e riconosciute dal
legislatore italiano in materia di informazione e comunicazione ma che, con ogni
evidenza, risultano in buona parte ancora disattese sul piano sostanziale. Sotto questo
profilo, proprio in ragione della centralità attribuita alla conoscenza delle previsioni
in materia di disabilità che caratterizza il nostro ordinamento, l’ipotesi di creare un
luogo di raccordo e di dialogo tra i vari soggetti istituzionali coinvolti e i
potenziali beneficiari pare del tutto in linea con gli enunciati normativi fatti propri
dal legislatore e, in ultima analisi, con gli obiettivi che diverse leggi in materia di
disabilità dichiarano di voler raggiungere in questo ambito. E in questo senso, proprio
l’esigua attuazione di questi ¶{p. 563}obiettivi dovrebbe impegnare il
legislatore a individuare nuove strategie tanto di raccolta quanto di trasmissione delle
informazioni.
La seconda parte è dedicata
all’incontro con la disabilità e al ruolo giocato dalla cosiddetta «prima
comunicazione». In particolare, verrà messo in evidenza come l’inevitabile
riprogettazione delle traiettorie esistenziali delle persone coinvolte richieda forme di
accompagnamento a oggi per lo più assenti, non soltanto con riferimento alle modalità
con cui viene riportato l’evento, ma anche con riferimento alle tutele e ai servizi
previsti per i protagonisti di quest’ultimo.
Nella terza parte, infine, da un
lato verranno evidenziate le attuali criticità che non di rado compromettono la
conoscenza delle previsioni in materia di disabilità e, da un altro lato, verranno
avanzate alcune proposte mirate ad agevolare l’accesso alle tutele e ai servizi rivolti
alle persone con disabilità e ai loro familiari. In particolare, per un verso verrà
sottolineata la necessità di individuare nuove modalità comunicative tra i diversi
ambiti di competenza istituzionale e, per un altro verso, verrà posta la questione in
merito alla possibilità che siano proprio i medesimi attori istituzionali a doversi
attivare nei confronti dei potenziali beneficiari, anziché attendere, come oggi accade,
che siano questi ultimi a sollecitarli al fine di veder riconosciute le tutele già
formalmente affermate dall’ordinamento.
2. Il PUI è nei cassetti dell’ordinamento?
La questione è chiaramente
retorica. Talvolta tra le righe, talaltra in maniera più evidente, nel nostro
ordinamento convivono infatti diverse previsioni normative che paiono chiaramente
suggerire la creazione di un Punto Unico Informativo sulla disabilità, precisamente in
un’ottica di effettività dei diritti, ovvero nei termini della loro piena e concreta
esigibilità, e di efficacia delle norme, ovvero nei termini della piena e concreta
realizzazione degli intenti formali del legislatore.
A mia conoscenza, il riferimento
più esplicito si trova nella legge n. 112/2016, comunemente conosciuta come la legge sul
«Dopo di noi». L’articolo 7, non a caso rubricato «Campagne informative», per l’appunto
ci ricorda che
La Presidenza del Consiglio dei ministri avvia, nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, campagne informative al fine di diffondere la conoscenza delle disposizioni della presente legge e delle altre forme di sostegno pubblico previste per le persone con disabilità grave, in modo da consentire un più diretto ed agevole ricorso agli strumenti ¶{p. 564}di tutela previsti per l’assistenza delle persone con disabilità prive del sostegno familiare, nonché di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla finalità di favorire l’inclusione sociale delle persone con disabilità.
Sebbene desti più di una
perplessità il richiamo a «nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica» – una
formula purtroppo ricorrente e che costantemente ci ricorda come le politiche sociali
siano comunque subordinate a valutazioni di natura economica – e, per un verso, occorra
registrare che, pur a distanza di diversi anni, tali previsioni siano rimaste soltanto
un auspicio, per un altro verso è comunque apprezzabile che, nero su bianco, il
legislatore abbia sottolineato la necessità sia di «diffondere la conoscenza», sia di
individuare delle modalità che possano «consentire un più diretto ed agevole ricorso
agli strumenti di tutela», tra l’altro andando oltre le finalità specifiche della legge
in esame, con un preciso riferimento anche alle «altre forme di sostegno pubblico». E,
sotto questo profilo, pur non essendovi un esplicito rimando anche alla creazione di uno
sportello informativo, l’articolo 7 lascia pochi dubbi sulle intenzioni (formali) del
legislatore.
La legge n. 112 non è tuttavia un
caso isolato, potendosi registrare ulteriori richiami su questo tema anche in altri
interventi normativi, per quanto sia forse richiesto un maggiore sforzo interpretativo.
A cominciare dalla più recente legge «Delega al Governo in materia di disabilità», la
legge n. 227/2021, dove a mio parere è possibile trovare un riscontro in linea con
quanto propongo. Già all’articolo 1 sulle finalità della delega, al comma 1, si afferma
infatti che
il Governo è delegato ad adottare [...] uno o più decreti legislativi per la revisione e il riordino delle disposizioni vigenti in materia di disabilità [...] al fine di garantire alla persona con disabilità di ottenere il riconoscimento della propria condizione, anche attraverso una valutazione della stessa congruente, trasparente e agevole che consenta il pieno esercizio dei suoi diritti civili e sociali, compresi il diritto alla vita indipendente e alla piena inclusione sociale e lavorativa, nonché l’effettivo e pieno accesso al sistema dei servizi, delle prestazioni, dei trasferimenti finanziari previsti e di ogni altra relativa agevolazione [...].
L’ipotesi di un PUI, anche
decentrato (come dovrebbe essere) e a carattere locale, trova spazio anche leggendo
quanto riportato al comma 5 del medesimo articolo 1, nel quale si asserisce che i
decreti legislativi già richiamati
intervengono [...] nei seguenti ambiti: a) definizione della condizione di disabilità, nonché revisione, riordino e semplificazione della normativa di settore; [...] d) informatizzazione dei processi valutativi e di archiviazione; e) riqualificazione dei servizi pubblici in materia di inclusione e accessibilità [...],¶{p. 565}
dove quanto previsto alle lettere
a) e d) può ragionevolmente intendersi
come il presupposto per una «riqualificazione dei servizi pubblici» che, altrettanto
ragionevolmente, può assumere anche le sembianze della proposta oggetto di questo
contributo.
A confortare quanto sostengo non è
forse fuori luogo riprendere anche quanto si afferma all’articolo 2. Al comma 2, lettera
c), punto 1, si sottolinea infatti la necessità di «prevedere
modalità di coordinamento tra le amministrazioni competenti per l’integrazione della
programmazione sociale e sanitaria nazionale e regionale», mentre alla lettera
d) – anticipando un aspetto sul quale tornerò anche in seguito
– si invita esplicitamente, «con riguardo all’informatizzazione dei processi valutativi
e di archiviazione», a istituire
nell’ambito degli interventi previsti nel PNRR, piattaforme informatiche, accessibili e fruibili [...] che, nel rispetto del principio della riservatezza dei dati personali, coadiuvino i processi valutativi e l’elaborazione dei progetti di vita individuali, personalizzati e partecipati, consentano la consultazione delle certificazioni e delle informazioni riguardanti i benefici economici, previdenziali e assistenziali e gli interventi di assistenza socio-sanitaria che spettano alla persona con disabilità, garantendo comunque la semplificazione delle condizioni di esercizio dei diritti delle persone con disabilità e la possibilità di effettuare controlli, e contengano anche le informazioni relative ai benefici eventualmente spettanti ai familiari o alle persone che hanno cura della persona con disabilità.
Anche in questo caso, con buona
evidenza, si tratta di previsioni mirate a una razionalizzazione della raccolta delle
informazioni, appunto quale presupposto sia per «l’elaborazione dei progetti di vita
individuali», sia in un’ottica di «semplificazione delle condizioni di esercizio dei
diritti delle persone con disabilità», vale a dire, riprendendo quanto ho accennato in
sede introduttiva, agevolando le modalità di accesso alle tutele e ai servizi previsti
dall’ordinamento, al fine di garantire un riconoscimento non puramente formale.
Sotto questo profilo, merita
menzionare anche quanto riportato alla lettera e) del medesimo
articolo 2, comma 2. Ai punti 1 e 2, infatti, si legge che
con riguardo alla riqualificazione dei servizi pubblici in materia di inclusione e accessibilità, [occorre]: 1) prevedere che presso ciascuna amministrazione possa essere individuata una figura dirigenziale preposta alla programmazione strategica della piena accessibilità, fisica e digitale, delle amministrazioni da parte delle persone con disabilità nell’ambito del piano integrato di attività e organizzazione previsto dall’articolo 6 del decreto-legge 9 giugno 2021 [...]; 2) prevedere la partecipazione dei rappresentanti delle associazioni delle persone con disabilità maggiormente rappresentative alla formazione della sezione del piano relativa alla programmazione strategica di cui al numero 1).¶{p. 566}