Ciro Tarantino (a cura di)
Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c15
Alla luce di quanto osservato, è evidente come l’articolo 12 introduca al riguardo un forte elemento di discontinuità. Invero, se la capacità legale non deve dipendere da quella mentale, e se ciascun soggetto di diritto è egualmente titolare della capacità legale, allora a ogni individuo deve essere riconosciuto il medesimo «diritto ai diritti», compresi quelli di autodeterminazione e di scelta [25]
. Ciò deve chiaramente valere anche per tutte le persone con disabilità, comprese quelle psicosociali, intellettive o cognitive. Da tale assunto consegue che gli istituti giuridici che privino un individuo con disabilità dei propri diritti in ragione della sua asserita incapacità non possono in alcun modo essere considerati conformi al dettato normativo della Convenzione. Tra questi, devono essere inclusi gli istituti che negano ab origine, o comunque consentono, la completa privazione della capacità legale e, su tale base, quella della libertà personale o di scelta, a causa della sola presenza di un deficit, reale o percepito. In breve, l’articolo 12 impone di abbandonare la risposta tradizionalmente offerta dal diritto per la «gestione» della disabilità, ossia la protezione
{p. 353}incapacitante dell’individuo, poiché nel «nuovo» paradigma il soggetto con disabilità è riconosciuto come capace. Si tratta allora di comprendere quale sia, all’interno di tale paradigma teorico, la «nuova» funzione del diritto.

3.2. Secondo nodo concettuale: il sostegno alla capacità e i suoi limiti

Nel nuovo paradigma, il diritto è chiamato a interferire nella sfera di azione del soggetto non più in chiave «contenitiva», ma al fine di garantirne la libertà e di promuoverne l’autonomia, tanto creando le condizioni per l’esercizio dei diritti, quanto attraverso la predisposizione di concrete forme di supporto. Ciò rende evidente come la CRPD richieda l’abbandono della prospettiva individualista sul soggetto, a favore di una che sia incentrata sulla relazionalità [26]
. È appunto a tale mutamento di prospettiva sul piano teorico che dev’essere rapportata la transizione dalla sostituzione a un sostegno (o supporto), che costituisce un’estrinsecazione necessaria del diritto alla capacità legale universale, quando non il suo elemento qualificante [27]
.
Si tratta del secondo nodo concettuale relativo all’articolo 12, probabilmente il più dibattuto in dottrina. La posizione adottata al riguardo dal Comitato CRPD è chiara: nel riaffermare la capacità legale universale, l’organismo internazionale aderisce alla «filosofia del supporto» [Flynn e Arstein-Kerslake 2014, 124] e, su tale base, pone in capo agli Stati parte l’obbligo di prevedere misure appropriate di sostegno all’esercizio della capacità legale – in ogni caso in cui quest’ultimo si renda necessario – nonché quello di individuare misure di salvaguardia. Il Comitato nega recisamente che sia possibile contemplare modalità di sostituzione dell’interessato in relazione alle scelte che lo riguardano e, di conseguenza, che gli istituti diretti alla sua totale incapacitazione siano legittimi.
A fronte della posizione espressa dal Comitato, e nonostante la volontà di escludere la sostituzione sia riscontrabile anche analizzando i lavori preparatori [28]
, parte della dottrina non ha mancato di sollevare alcune perplessità. In primo luogo, si interroga sull’ammissibilità di un processo {p. 354}decisionale sostitutivo, seppur di carattere residuale [29]
. Taluni sostengono infatti che in alcuni casi, per quanto marginali (come lo stato vegetativo o le circostanze in cui sia richiesto un supporto ad alta intensità), non si possa evitare di abbandonare il supporto per ricorrere alla sostituzione, pena la messa in scena di una finzione giuridica [30]
. Inoltre, la dottrina si chiede secondo quali modalità debba essere fornito il supporto, ossia come declinare in concreto la previsione in base alla quale gli Stati parte devono adottare le misure (sempre temporanee e rivedibili, secondo quanto prescritto dall’art. 12, par. 3) atte a favorire l’accesso delle persone con disabilità al sostegno da esse richiesto per l’esercizio della propria capacità. Infine, più di recente la dottrina si è soffermata anche sui profili dell’influenza indebita e del conflitto di interessi, contestando la visione per certi versi irenica che, talvolta, sembra sottesa al principio del supporto [31]
.
Orbene, se pure le obiezioni mosse pongono questioni di indubbio rilievo, sembra tuttavia che la polarizzazione del dibattito e la mancanza di chiarezza concettuale che ne è alla base abbiano contribuito a dare luogo ad alcuni fraintendimenti, forse acuiti dalla formulazione ambigua dell’articolo 12. Ciononostante, dall’analisi congiunta dell’articolo 12 e del General Comment n. 1 è possibile trarre utili indicazioni in merito al perimetro che deve essere rispettato.
Innanzitutto, è indubitabile come la presunzione di capacità e il sostegno al suo esercizio siano e debbano essere considerate la norma. Parimenti, non può essere sollevato dubbio alcuno sul fatto che la volontà e le preferenze della persona costituiscano il fulcro di tale sistema. Questo significa che la richiesta, l’accettazione e la designazione dei supporti alla capacità sono tenute a rispondere alla volontà e alle preferenze del singolo, il quale mantiene su di esse un indefettibile potere di scelta. Ciò implica anche che i supporti concretamente disponibili debbano essere molteplici, accessibili (sì da garantire l’effettività del diritto alla scelta del supporto) e configurarsi come concrete modalità di superamento dei regimi sostitutivi. Questi ultimi devono intendersi come «any systems whereby: 1) “legal capacity is removed from a person”; 2) a substituted decision maker can be “appointed” against the person’s will; or 3) any decision made by a “substitute decision maker” is based on the objective “best interest” of the person rather than on their “will and preference”» [Series e Nilsson 2018, 365; General Comment n. 1]. A tal fine, sarà necessario tenere conto delle peculiari modalità espressive e di comprensione del soggetto interessato, al quale bisognerà fornire misure di accessibilità e {p. 355}accomodamenti ragionevoli, diretti appunto a facilitarne la manifestazione di volontà. In breve, ai sensi dell’articolo 12, par. 3, gli Stati sono tenuti a realizzare un sistema stratificato di supporto a intensità crescente, mentre è chiara l’inammissibilità degli istituti di protezione ispirati a una logica incapacitante.
Quanto ai casi difficili, ai quali talvolta ci si appella per mettere in discussione la possibilità di implementare il principio del sostegno, assume rilievo quella che la dottrina internazionale individua come distinzione tra substitute decision-making e substitute judgement [Phillips e Wendler 2015]. A ben vedere, infatti, può ravvisarsi una compatibilità con il dettato convenzionale pure in quei casi – che devono però sempre essere considerati come residuali e come eccezioni alla regola – ove la decisione sia presa per la persona, purché ciò avvenga conformemente a una volontà che sia stata precedentemente espressa (ad esempio, all’interno di disposizioni anticipate di trattamento), o che sia comunque ricostruibile avuto riguardo al suo percorso di vita. Quello che si configura come criterio della miglior interpretazione possibile della volontà e delle preferenze della persona interessata deve infatti basarsi sull’evidenza concreta, non può essere in alcun modo speculativo. È dunque bandito ogni riferimento al best interest di tipo oggettivo, chiara espressione di un approccio paternalistico e incapacitante alla disabilità, mentre pare potersi ammettere la configurabilità di quello che, nell’ordinamento italiano, è conosciuto come best interest soggettivo – e che, nei fatti, sembra corrispondere proprio al substitute judgement –, laddove quest’ultimo assume comunque come fondante il principio della centralità della persona interessata, accordando appunto rilievo prioritario alla sua volontà e preferenze [32]
.

3.3. Terzo nodo concettuale: influenza indebita e conflitto di interessi

Infine, il terzo nodo concettuale attiene al profilo delle garanzie. Si tratta di un aspetto che ha ricevuto un’attenzione assai limitata da parte della dottrina [33]
, finora interessata in principal modo a rimarcare l’inno{p. 356}vatività del paradigma basato sul sostegno. Tuttavia, come si è già avuto modo di osservare, l’articolo 12 non si limita a prevedere la necessità di riconoscere centralità alla volontà e alle preferenze della persona della cui capacità si discute. Ai sensi dell’articolo 12, par. 4, gli Stati parte sono tenuti anche ad assicurare che le misure relative all’esercizio della capacità legale forniscano alla persona interessata garanzie adeguate ed efficaci, in modo tale da prevenire abusi, come conflitti di interessi e influenza indebita [34]
.
Se la nozione di conflitto di interessi è nota anche nell’ordinamento italiano, quella di influenza indebita è invece pressoché sconosciuta ai sistemi di civil law. Secondo una definizione offerta dal Comitato CRPD – forse un po’ angusta, ma comunque rilevante ai sensi dell’interpretazione dell’articolo 12, par. 4 – essa ricorre quando la qualità dell’interazione tra la persona di supporto e quella assistita presenta segni di paura, aggressività, minaccia, inganno o manipolazione (cfr. General Comment n. 1, par. 22). Il Comitato CRPD osserva inoltre che le garanzie nell’esercizio della capacità legale devono includere la protezione nei confronti dell’influenza indebita e che è sempre necessario rispettare i diritti, la volontà e le preferenze della persona, compreso il diritto di assumersi rischi e compiere errori (ibidem). Tuttavia, l’organismo internazionale presta scarsa attenzione al profilo dell’operazionalizzazione delle relative tutele.
Ebbene, tale previsione assume rilievo innanzitutto sul piano teorico. Invero, si è già osservato come, riconoscendo che le persone con disabilità possono richiedere un sostegno per l’esercizio della capacità [35]
, l’articolo 12 diparta dalla concezione di soggetto autonomo propria della tradizione liberale, aderendo a una prospettiva relazionale. Al riguardo, proprio il par. 4 rivela come non ci si possa esimere dall’adottare una posizione normativa in merito al tipo di influenza esercitata. Si deve ammettere, infatti, che le relazioni di supporto, anche quelle molto strette, presentano rischi particolari, connessi appunto al conflitto di interessi o all’influenza {p. 357}indebita, che in concreto possono caratterizzare l’interazione tra la persona con disabilità e quella di supporto in termini negativi.
Si tratta dunque di comprendere cosa debba essere fatto al riguardo, atteso che il Comitato ONU non si esprime sul punto. Per parte della dottrina, in tali circostanze è necessario rispettare sempre e comunque la decisione dell’interessato; per questo, anche qualora un individuo si trovi all’interno di una relazione abusante, le istituzioni pubbliche devono offrire il supporto che gli consenta di allontanarsi da tale relazione, ma la sua eventuale decisione di farvi ritorno dovrà prevalere [Arstein-Kerslake 2016]. La preminenza della prospettiva del potere pubblico costituirebbe, infatti, una forma di disempowerment della persona con disabilità, che non pare ammissibile anche alla luce dell’apprezzamento neutrale della disabilità richiesto dalla Convenzione ONU.
D’altro canto, c’è invece chi ritiene necessario ricondurre tale circostanza all’«etica dell’autonomia» [Keeling 2022, 53], e su tale base osserva come il modello del supporto richieda non solo di procedere a una comprensione relazionale del sé e dell’autonomia, ma anche dei limiti legittimamente apponibili a quest’ultima. In questa prospettiva, si amplia l’attenzione anche alle condizioni in cui una scelta è esercitata e, su tale base, si ritiene che sia possibile scegliere liberamente di entrare in una relazione oppressiva, ma che la decisione di rimanere al suo interno non possa essere considerata autonoma [36]
, poiché l’ambiente è costitutivo dell’autonomia stessa; nelle ipotesi in oggetto, l’intervento pubblico è dunque legittimo, e finanche richiesto.
A differenza della prima prospettiva, la seconda consente di valutare la bontà o meno della relazione di supporto, e pare dunque preferibile. Il punto necessita certamente di essere ulteriormente approfondito, ma pone una serie di questioni che sono rilevanti per la definizione della portata precettiva dell’articolo 12, par. 4. Quest’ultimo, infatti, impone agli Stati parte di intervenire quando ci sono preoccupazioni di abuso, ma sempre nel rispetto della volontà e delle preferenze del soggetto [37]
. La questione nodale attiene pertanto alla possibilità di considerare autonome la volontà e le preferenze che risultino da relazioni oppressive, al fine di comprendere se esse vadano rispettate [ibidem, 54] quale espressione dell’autentica volontà dell’individuo. Ciò permette di definire le condizioni e i limiti dell’intervento statale nella sfera di autodeterminazione e libertà; peraltro, lo Stato interferisce nella sfera individuale anche ai sensi dell’articolo 12, par. 3, in quanto è tenuto a predisporre le condizioni
{p. 358}dell’azione e a supportare la capacità della persona. In ultima analisi, allora, anche in presenza di relazioni in cui siano ravvisabili forme di influenza indebita, si richiede di procedere a un bilanciamento – che potrà avvenire unicamente in relazione al caso concreto e senza che possano operare meccanismi presuntivi – tra la libertà (personale e di scelta) della persona e la sua protezione [Craigie 2021], avuto riguardo al peculiare ruolo assunto da quest’ultima nel contesto della capacità legale universale. Chiaramente, resta esclusa l’ammissibilità di una salvaguardia incapacitante, in quanto è comunque necessario proteggere l’integrità del processo di identificazione della volontà e delle preferenze dell’individuo.
Note
[25] In breve, nella prospettiva della CRPD, la razionalità non è più l’elemento che qualifica il soggetto di diritto, esplicitamente o implicitamente. Sul piano teorico, si assiste cioè all’affermazione del soggetto di diritto (ontologicamente) vulnerabile anche nell’ambito del diritto internazionale dei diritti umani. Del resto, la positivizzazione dell’assunto filosofico del sé vulnerabile e relazionale è diretta proprio a «scardinare» le dicotomie sulle quali è eretto il diritto moderno, date in primo luogo dalla contrapposizione tra capacità e incapacità, tra vulnerabilità e invulnerabilità, tra autonomia e paternalismo, tra empowerment e protezione.
[26] Come osservato in precedenza, tale attenzione permette di riformulare in termini relazionali anche il concetto di autonomia, secondo una tendenza diffusa ormai da qualche decennio. Cfr. Christman e Anderson [2005]; Mackenzie [2014]; Oshana [2020].
[27] Sulla centralità del supported decision making per il concetto di capacità legale universale, nell’ambito della vasta letteratura si vedano Series, Arstein-Kerslake e Kamundia [2017]; Arstein-Kerslake [2017]; Series e Nilsson [2018].
[28] Cfr. Report of the Ad Hoc Committee on a Comprehensive and Integral International Convention on the Protection and Promotion of the Rights and Dignity of Persons with Disabilities on Its Seventh Session (February 2006), A/AC.265/2006/2.
[29] In relazione al fronte più moderato, che ammette appunto questa possibilità, cfr. Freeman et al. [2015]; Szmukler [2017]; Skowron [2019]; Carney et al. [2019].
[30] Tra i primi a sollevare la questione, Quinn [2010, 17].
[31] Su tale ultimo punto, cfr. infra, par. 3.3.
[32] Per quanto riguarda l’ordinamento italiano, la distinzione tra i due tipi di best interest è chiaramente percepibile almeno a partire dal noto caso Englaro. Si noti che né la dottrina, né il Comitato CRPD sembrano avere affrontato la questione relativa alla possibilità che la volontà e le preferenze della persona non possano essere in alcun modo conosciute facendo riferimento a posizioni precedentemente espresse o al suo percorso di vita. In tal caso, la cifra relazionale della capacità legale suggerisce di fare riferimento ai legami familiari o di amicizia per cercare una possibile risposta.
[33] Tra le eccezioni, Constantino Caycho e Bregaglio Lazarte [2022]; Craigie [2021], che però affrontano il tema principalmente in relazione alla capacità contrattuale e non ai profili della libertà personale e di scelta. Questa tendenza è peraltro rivelatrice di un approccio diffuso nella cultura giuridica, che tende ad assumere una prospettiva riduzionista sulla capacità legale, ritenendola sostanzialmente coincidente con quella di tipo privatistico, che si estrinseca appunto in primo luogo nei termini di una capacità contrattuale.
[34] Tali misure devono possedere una serie di caratteristiche individuate dall’articolo 12, par. 4: «States Parties shall ensure that all measures that relate to the exercise of legal capacity provide for appropriate and effective safeguards to prevent abuse in accordance with international human rights law. Such safeguards shall ensure that measures relating to the exercise of legal capacity respect the rights, will and preferences of the person, are free of conflict of interest and undue influence, are proportional and tailored to the person’s circumstances, apply for the shortest time possible and are subject to regular review by a competent, independent and impartial authority or judicial body. The safeguards shall be proportional to the degree to which such measures affect the person’s rights and interests».
[35] Anche in questo caso, deve essere superato ogni automatismo sul punto: il fatto che una persona sia disabile non comporta automaticamente la necessità di un supporto, che costituisce piuttosto un suo diritto, che potrà eventualmente decidere di esercitare.
[36] Si noti che il riferimento non è all’individuo, ma all’azione da lui compiuta.
[37] Anche in questo caso, le salvaguardie possono assumere forme differenti, come la presenza di sistemi di monitoraggio esterno o l’allocazione di precise responsabilità in capo ai soggetti che prendono parte al processo di supporto.