Note
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Vale rinviare alla c.d. «giuspubblicistica tedesca» e tra i suoi maestri, a C.F. von Gerber, Diritto pubblico (1913), Milano, Giuffrè, 1971; O. Mayer, Deutsche Verwaltungsrecht, Leipzig, Duncker & Humblot, 1895. Significativa silloge in G. del Vecchio, On the Statuality of Law, in «Journal of Comparative Legislation and International Law», 19, 1937, n. 1, pp. 8 ss.
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A.E. Cammarata, Formalismo e sapere giuridico, Milano, Giuffrè, 1963, passim.
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All’interno di una vastissima letteratura, si vedano almeno N. Luhmann, Sociologia del diritto, Roma-Bari, Laterza, 1997 e Id., La differenziazione del diritto, Bologna, Il Mulino, 1990.
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S. Romano, L’ordinamento giuridico (1918), Firenze, Sansoni, 19462, p. 111.
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Per es. cfr. G. Teubner e A. Fischer-Lescano, Regime-Collisions: The Vain Search for Legal Unity in the Fragmentation of Global Law, in «Michigan Journal of International Law», 25, 2004, pp. 999 ss.
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Il campo di applicazione è stato soprattutto quello dell’Unione europea; si veda oggi per esempio, M. Fichera, Solidarity, Heterarchy, and Political Morality, in «Jus Cogens», 9, 2020, pp. 1 ss.
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N. Walker, Beyond boundary disputes and basic grids: Mapping the global disorder of normative orders, in «International Journal of Constitutional Law», 6, luglio-ottobre 2008, n. 3-4, pp. 373 ss.
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Per quanto sotto significati non sempre tra loro coincidenti, la nozione è alquanto ricorrente. Si veda per esempio R. Cotterell, Does Global Legal Pluralism need a Concept of Law?, in U. Baxi, C. McCrudden e A. Paliwala (a cura di), Law’s Ethical, Global and theoretical Contexts. Essays in Honor of William Twining, Cambridge, Cambridge University Press, 2015, p. 310. Vi ha dedicato il suo volume N. Roughan, Authorities: Conflicts, Cooperation, and Transnational Legal Theory, Oxford, Oxford University Press, 2013, che scrive: «The relative authority theory argues that, when there are multiple prima facie legitimate authorities in interacting or overlapping domains, and there is no outweighing reason to have just one singular authority, then those prima facie legitimate authorities can have only relative authority and must coordinate or cooperate or tolerate one another in order to be legitimate for their subjects. In these circumstances, law can still claim to possess legitimate authority; indeed, claiming legitimate authority remains an important part of law’s having authority».
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G. Palombella, È possibile una legalità globale? Il «Rule of law» e la «governance» del mondo, Bologna, Il Mulino, 2012, cap. III: Una mappa del globo: Legalità al plurale, pp. 107 ss.; E. Scoditti, Legalità al plurale, in «Quaderni costituzionali», 2013, pp. 1031 ss.
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Y. Shany, International Courts as Interlegality Hubs, in J. Klabbers e G. Palombella (a cura di), The Challenge of Inter-legality, Cambridge, Cambridge University Press, 2019, pp. 319 ss.
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Su questo punto, cfr. G. Palombella, Interlegalità. L’interconnessione tra ordini giuridici, il diritto, e il ruolo delle corti, in «Diritto e questioni pubbliche», 2018, pp. 315 ss., 323.
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Sulla funzione della regola di riconoscimento in Hart, si noti quanto, anche in senso parzialmente «liberalizzante», ricordava Giorgio Pino: «La norma di riconoscimento, dunque, anziché essere una lista di criteri di validità, è l’insieme dei criteri e delle considerazioni normative che guidano il giudice nelle sue attività di applicazione del diritto: può dirigere il giudice verso l’applicazione di norme valide o, come pure può ben accadere, verso l’applicazione di norme e standards di altro tipo; e includerà anche un ordine di preferenza delle varie fonti, metodologie interpretative ed autorità decisionali rilevanti. Nel complesso, nei sistemi giuridici contemporanei, prodotti da complesse stratificazioni storiche, con molteplici livelli di fonti del diritto, e con complicate interazioni con altri sistemi giuridici, è abbastanza implausibile che la norma di riconoscimento consista di un insieme assiomatico, nettamente strutturato di criteri; più probabilmente, sarà un insieme di considerazioni normative defettibili, che funzionerà più o meno come la ricerca di un equilibrio riflessivo» (La norma di riconoscimento come ideologia delle fonti, in «Analisi e diritto», 2015, pp. 183 ss., 198). Cfr. anche G. Palombella, L’autorità dei diritti, Roma-Bari, Laterza, 2002, pp. 105-106.
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H.L.A. Hart, Il concetto del diritto, Torino, Einaudi, 2002, pp. 118 ss. (a p. 291 Hart differenzia la propria nozione di norma di riconoscimento da quella fondamentale di Kelsen).
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A volerne estendere le implicazioni e mutatis mutandis potrebbe rivelarsi interessante al confronto, non solo per differentiam, la discussione di termini come validità ed applicabilità svolta da Giorgio Pino, in particolare con riferimento ai cd. «metacriteri» di applicabilità che si formano in relazione alla cultura giuridica rilevante: G. Pino, Teoria analitica del diritto, vol. I: Teoria della norma, Pisa, ETS, 2016, specie pp. 152-154.
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È significativo che l’«apprendimento» su cui sembra concentrarsi la discussione in tema di governance e di regolazione non solo concerne l’evolversi delle regole, ma anche l’istituzionalizzazione di nuove autorità normative o giudicanti. Criticamente scrive Jorge Viñuales, «[A]ll too often, discussions of trial-and-error processes focus neither on trial nor on errors» (J.E. Viñuales, Experiments in International Adjudication. Past and Present, in I. de la Rasilla e J.E. Viñuales [a cura di], Experiments in International Adjudication, Cambridge, Cambridge University Press, 2019, pp. 11 ss., 11). In diritto internazionale per esempio, secondo Viñuales, il focus cade sull’istituzione di nuovi, stabili tribunali arbitrali, o di una corte permanente, o di giudici specializzati ecc. Il baricentro dell’interesse dovrebbe riguardare essenzialmente il progresso del ragionamento giuridico e la incrementale ridefinizione delle modalità e dei rapporti tra norme che ne risulta (appunto il focus su trial and errors).
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Si tratta della tesi sostenuta da Antonio Ruggeri, del quale si veda a titolo esemplificativo, fra i numerosi scritti, Maggiore o minor tutela nel prossimo futuro per i diritti fondamentali?, in «Consulta OnLine», 5 febbraio 2015, n. 1, pp. 33 ss.
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Tanto l’art. 53 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, quanto l’art. 53 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, prevedono una simile regola: tuttavia, dal punto di vista dell’interlegalità, questa è in realtà la norma che disciplina solo il conflitto fra più fonti, e segnatamente il conflitto fra più carte dei diritti. Si veda in generale sull’art. 53, E. Crivelli, Commento all’art. 53 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in S. Bartole, P. De Sena e V. Zagrebelsky (a cura di), Commentario breve alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, CEDAM, 2012, pp. 774 ss.
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Ne è divenuta ormai rappresentativa sostenitrice e forum di elaborazione la rivista «Global Constitutionalism» (CUP) (https://www. cambridge.org/core/journals/global-constitutionalism). Criticamente, Jan Klabbers, spiegando il sospetto che il global constitutionalism sia più un’ideologia che una teoria: J. Klabbers, Constitutionalism as Theory, in J. Dunoff e M. Pollack (a cura di), International Legal Theory, Cambridge, Cambridge University Press, 2020. Cfr. anche G. Palombella, Dal costituzionalismo alle relazioni tra legalità, in «Diritto e Questioni pubbliche», 16, 2016, pp. 249 ss.
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Vale la pena notare che la stessa coerenza di un impianto monista, kelseniano si reggeva invece sulla sua struttura dinamica e dunque grazie al carattere formale delle autorizzazioni e delegazioni normative che «agganciano» in un tessuto unico una serie di «ordini» i cui aspetti materiali, sostanziali, in una parola «impuri» finiscono tuttavia tra parentesi, immunizzando la coerenza complessiva della legalità «unica» dagli attriti e le incompatibilità che ne scaturirebbero. Come Kelsen spiega, in un ordinamento di tipo «statico» le relative «norme sono in vigore (…) per il fatto che la loro validità può essere ricondotta ad una norma, nel cui contenuto si può sussumere il contenuto di tutte le norme che costituiscono l’ordinamento, così come il particolare si può sussumere nel generale» (H. Kelsen, La dottrina pura del diritto, trad. it. di M. Losano, Torino, Einaudi, 1975, p. 219). La norma fondamentale in tal caso è quella dal cui contenuto può essere dedotto il contenuto delle altre norme «mediante un’operazione logica» (ibidem, p. 220). Al contrario in un ordinamento di tipo dinamico la norma fondamentale semplicemente istituisce «una fattispecie produttiva di norme» ossia è «una regola che determina come si devono produrre le norme generali ed individuali dell’ordinamento» (ibidem, pp. 220-221).
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CJEU, Joined Cases C-402/05 P and C-415/05 P, Kadi v Council, ECLI:EU:C:2008:461.
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La decisione fu criticata perché a differenza di quanto aveva disposto il Tribunale di primo grado nel 2005, la Corte non si uniformava al diritto internazionale e appariva ad alcuni ripetere una specie di American style exceptionalism, che contraddice gli atteggiamenti propri dell’Unione europea sin dagli anni Cinquanta: G. de Burca, The Road Not Taken: The EU as a Global Human Rights Actor, in «American Journal of International Law», 105, 2011, pp. 649 ss.
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G. Palombella, Theory, Realities, and Promises of Interlegality. A Manifesto, in Klabbers e Palombella (a cura di), The Challenge of Inter-legality, cit., pp. 363 ss., 378.
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Tra i molti lavori sulla questione, E. Kassoti, Fragmentation and inter-judicial dialogue: The CJEU and the ICJ at the interface, in «European Journal of Legal Studies», 8, 2015, n. 2, pp. 21 ss.
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Espresso testualmente da ECtHR 30 giugno 2005, Case No. 45036/98, Bosphorus Hava Yolları Turizm ve Ticaret Anonim Şirketi v Ireland (ma nella sostanza presente in precedenza, per es. nella decisione tedesca Solange I [cfr. infra, nota seguente] che usa un’espressione… equivalente: «la protezione effettiva dei diritti fondamentali deve essere assicurata nello stesso modo garantito dalla legge fondamentale» tedesca).
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Internationale Handelsgesellschaft mbH v Einfuhr- und Vorratsstelle für Getreide und Futtermittel (1970) Case 11/70, nota come Solange I, è un caso di diritto europeo e costituzionale tedesco, concernente il conflitto tra un ordinamento nazionale e l’Unione. Re Wünsche Han- delsgesellschaft (22 October 1986) BVerfGE 73, 339, è la decisione nota come Solange II.
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Cfr. Decisione «Frontini» Corte cost., sent. n. 183 del 1973.
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Di una terza ondata, a questo riguardo, parlano D. Lustig e J. Weiler, Judicial Review in the Contemporary World: Retrospective and prospective, in «I-CON», 16, 2018, n. 2, p. 315.
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Sul Trattato di Maastricht (BVerfG 89, 155, 12 ottobre 1993) e sul Trattato di Lisbona (BVerfG 123, 267, 30 giugno 2009).
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La Corte costituzionale tedesca (Secondo senato) nel suo giudizio senza precedenti del 5 maggio 2020, 2 BvR 859/15 ha deciso la illegittimità costituzionale del Public Sector Purchase Programme (PSPP) adottato dalla European Central Bank: la decisione contraddice quella assunta dalla Corte di giustizia nel preliminary ruling dell’11 dicembre 2018 (Weiss and Others, C-493/17), secondo cui il programma non eccedeva il mandato della Banca centrale, né violava il divieto di operare nel finanziamento economico degli Stati. La Corte tedesca di conseguenza assume che il giudizio della Corte europea, colpevole, tra l’altro, di non aver correttamente utilizzato il test di proporzionalità secondo il modello tedesco, valga tamquam non esset. Come ha scritto Jacques Ziller, «the BverfG is for the first time giving effect to its more or less explicit threat not to implement rulings of the ECJ, which was already expressed in several of its earlier judgments, in particular the judgment on the Treaty of Lisbon, and in the text of its references for preliminary rulings in the Gauweiler and Weiss cases: the BverfG arrogates to itself the power to make a final assessment of the legality of an act of the European Union and thus threatens to dismantle the unity of application of Union law» (J. Ziller, The unbearable heaviness of the German constitutional judge, consultabile all’indirizzo https://ceridap.eu/the-unbearable-heaviness-of-the-german-constitutional-judge-on-the-judgment-of-the-second-chamber-of-the-german-federal-constitutional-court-of-5-may-2020-concerning-the-european-central-banks-pspp/).
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Cfr. A. Sajo e S. Giuliano, The Perils of Complacency: The European Human Rights Backlash, in Klabbers e Palombella, The Challenge of Inter-legality, cit., pp. 230 ss., 239-240.
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H. Triepel, Völkerrecht und Landesrecht, Leipzig, C.L. Hirschfeld, 1899, p. 111.
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Si può proporre di interpretare questo spazio comune di diritto «tra» il diritto internazionale e quello costituzionale, dunque «tra» due ordinamenti, anche attraverso una possibile lettura delle conseguenze della decisione della nostra Corte costituzionale n. 238/2014 che rifiuta di uniformarsi alle sentenze della Corte internazionale di giustizia – Germany v. Italy del 2012 – secondo cui la norma consuetudinaria sull’immunità degli Stati esclude il giudizio dei tribunali italiani legittimamente impedendo alle vittime l’accesso alla giustizia e la protezione dei diritti della persona, nei confronti dello Stato responsabile di crimini di guerra (e anche in mancanza di altri rimedi). Oltre che ribadire i pilastri di principio della Costituzione italiana (la protezione degli artt. 2 e 24 Cost.), la decisione sembra elevare una questione di diritto, non riducibile a una mera contesa tra due ordinamenti. Più estesamente, G. Palombella, German War Crimes and the Rule of International Law, in «Journal of International Criminal Justice», 14, luglio 2016, n. 3, pp. 607 ss.; e anche Id., Senza identità. Dal diritto internazionale alla Corte costituzionale tra consuetudine, Jus cogens e principi «supremi», in «Quaderni costituzionali», 35, settembre 2015, n. 3, pp. 815 ss. Ancor più decisamente, però, valgono altri casi, tra cui l’esempio della decisione della ECtHR nel caso Al Dulimi, come ricordiamo infra.
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Rasul v. Bush, 542 US 466 (2004). Si legga anche questa rivelatrice parte del dissent di Scalia: «Di norma, noi consideriamo gli interessi di coloro che hanno fatto affidamento sulle nostre decisioni. Oggi la Corte fa saltar fuori una trappola per l’Esecutivo, assoggettando allo scrutinio delle corti federali Guantanamo Bay, sebbene non si sia mai ritenuto prima d’ora che questa ricadesse entro la loro giurisdizione – e così trasformandola in un luogo dove è insensato avere confinato detenuti stranieri in tempo di guerra [and thus making it a foolish place to have housed alien wartime detainees]». Così, secondo Scalia, abbandonando i propri precedenti, la Corte «estende l’ambito di applicazione dell’habeas corpus ai quattro angoli della terra» (ibidem, pp. 497-498).
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ECtHR, Al-Dulimi et Montana Management Inc. c. Suisse, 26 novembre 2013. Ma si veda anche, tre anni dopo, Grand Chamber, 21 giugno 2016.
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Più estesamente, si veda G. Palombella, The principled, and winding, road to Al-Dulimi. Interpreting the interpreters, in «QIL-Questions of international law», 6, 2014, pp. 15 ss.
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Il punto è sottolineato tra l’altro in Palombella, Interlegalità. L’interconnessione tra ordini giuridici, il diritto e il ruolo delle Corti, cit., p. 331: con riguardo a «questioni che (…) sorgono tra più sistemi», la «soluzione è posta precisamente “al di là” di ciascuno di essi», e dunque «può essere trovata solamente in termini inter-sistemici: i quali contraddicono il destino dell’aut-aut (essere di “un sistema o niente”) e configurano la legalità come un continuum».
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La versione radicale del pluralismo e quella soft sono esemplificate nella traiettoria dei lavori di Neil McCormick che passa così dalla prima alla seconda. Si vedano, N. McCormick, Risking Constitutional Collision in Europe?, in «Oxford Journal of Legal Studies», 18, 1998, n. 3, pp. 517 ss., 517; Id., Beyond the Sovereign State, in «Modern Law Review», 56, 1993, pp. 1 ss.; Id., The Maastricht-Urteil: Sovereignty Now, in «European Law Journal», 1, 1995, pp. 259 ss.; Id., Questioning Sovereignty: Law, State, and Nation in the European Commonwealth, Oxford, Oxford University Press, 1999.
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Naturalmente, la determinazione del precedente e il suo uso fanno parte della pratica delle corti, ben al di là della tradizione specifica di common law. A questo riguardo si veda soprattutto l’illuminante studio di M. Jacob, Precedents and Case-based Reasoning in the European Court of Justice,Cambridge, Cambridge University Press, 2014.
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Quel principio ha natura formale, per questo potrebbe ben essere considerato schiettamente trascendentale, alla stessa stregua del principio regolativo kantiano: «Un principio della maggiore possibile continuazione ed estensione della esperienza; un principio, per cui nessun limite empirico può valere come limite assoluto; quindi un principio della ragione, che, come regola, postula ciò che da noi deve farsi nel regresso, e non anticipa ciò che nell’oggetto è dato in sé innanzi a ogni regresso» (I. Kant, Critica della ragion pura, Roma-Bari, Laterza, 1977, vol. II, p. 413).
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Più diffusamente E. Scoditti, Non solo forma: fenomenologia giudiziaria del diritto, in «Il Pensiero. Rivista di filosofia», 2019, n. 2, pp. 127 ss.
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Il famoso rapporto della Commissione di diritto internazionale, del 2006, suggeriva le risorse logico-giuridiche tradizionali per il superamento della «frammentazione», ma all’interno di un quadro normativo comune tracciato dai confini dell’ordinamento internazionale, e aggiungendo comunque il caveat che la Commissione non aveva assunto il compito di risolvere anche i problemi conseguenti al carattere istituzionale della frammentazione. Quest’ultimo evidentemente restava impregiudicato, ma è proprio in ragione di ciò che il ricorso alle risorse logico-argomentative sopra indicate avrebbe potuto rivelarsi non risolutivo. Si veda M. Koskenniemi, Introduction, par. 13, p. 11 di Conclusions of the Work of the Study Group on the Fragmentation of International Law: Difficulties Arising from the Diversification and Expansion of IL, ILC, 58 sess., 2006 (A/61/10, par. 251) (http://untreaty.un.org/ilc/reports/2006/2006report.htm).
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Sulla distinzione tra fatto e caso, si veda in questo volume il capitolo di A. di Martino, Dalla regola per il caso al caso della regola.
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Ostacoli alla considerazione della pluralità delle qualificazioni sono però non rari. La tutela dei diritti politici dei prigionieri richiesta dalla ECtHR, Anchugov and Gladkov, appl. 11157/04, 4 July 2013 (violazione art. 3 del Protocollo I della Convenzione) contrasta con l’art. 32 della Costituzione russa che prevede l’esclusione dei diritti politici di tutti i detenuti senza distinzioni di gravità dei reati e di durata della pena. Si tratta di un caso insolubile per il giudice costituzionale russo: il quale «rispondendo» il 19 aprile 2016 (No. 12-П/2016) non ha accolto né rideterminato la regola del caso, ma definito la sentenza ECtHR «impossibile da seguire». Le ragioni addotte non riguardano tanto il punto di merito (se spetti o meno il diritto di voto a qualche categoria di detenuti), ma la relazione tra l’ordinamento costituzionale e quello convenzionale, la natura e i termini dell’impegno a suo tempo sottoscritto dallo stato membro, e così via. La decisione costituzionale dunque viaggia largamente al di sopra del caso da risolvere. Nondimeno si è poi accettato che la decisione russa al proprio § 5.5 consentisse comunque un qualche rispetto della sentenza dell’ECtHR suggerendo che il legislatore avrebbe potuto sollevare il divieto per una categoria di detenuti sottoposti a una pena «separata» attraverso il confinamento in «colonie».
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Indipendentemente dal merito, proprio quest’ottica sembra suggerita dall’intervento di Joseph Weiler innanzi alla Grande Camera della Corte di Strasburgo nel 2010 sul caso Lautsi: Weiler ricolloca le circostanze del caso entro il più complesso «sistema» europeo di scelte costituzionali e culturali, e suggerisce che la regola individuata dalla prima decisione della ECtHR rispondeva a un principio inaccettabile per il pluralismo europeo: «Una regola per tutti, come ha deciso la seconda Camera, priva di un contesto storico, politico, demografico e culturale non è solamente sconsigliabile, ma mina il pluralismo, la diversità e la tolleranza più autentici che la Convenzione intende salvaguardare, e che sono il marchio dell’Europa». (Intervento trascritto in traduzione italiana disponibile al link https://www.diritticomparati.it/lintervento-di-josep-weiler-alla-corte-di-strasburgo-sul-crocifisso/).
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Se la CJEU (Grand Chamber) 8 settembre 2015, Case C-105/14, Ivo Taricco and Others (a seguito di rinvio preliminare del Tribunale di Cuneo) aveva considerato i ridotti termini di prescrizione italiani per reati in violazione dell’IVA, contrastanti con gli interessi e le norme dell’Unione, la nostra Corte rivolge, di rimando (Rinvio preliminare 23 nov. 2016, n. 24/2017), stringenti domande alla CJEU, sottolineando il carattere sostanziale in Italia (e non procedurale) della prescrizione e l’insuperabilità del principio di legalità e del diritto di conoscere le conseguenze penali delle proprie azioni non dopo (e attraverso) le sentenze, ma prima di esse. La CJEU ha accolto gli argomenti della nostra Corte, contemplando eccezioni alla propria precedente «regola», in caso di contrasto con il principio di legalità: CJEU, 5 dicembre 2017, Case C-42/17, M.A.S. and M.B.
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Sent. Corte Cost. n. 264 del 2012, su cui E. Scoditti, Se un diritto umano diventa diritto fondamentale: la Cedu come parametro interposto di costituzionalità, in «Il Foro italiano», 136, 2013, n. 1, col. 788. Cfr. G. Palombella, La politica come limite al diritto? Contrasti normativi oltre lo Stato, Napoli, ESI, 2018, pp. 9 ss. Il caso è originato in considerazione del ricalcolo dei contributi versati in Svizzera agli effetti del trattamento pensionistico italiano.
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P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, Roma-Bari, Laterza, 1997, p. 177.
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Cfr. ibidem, pp. 135 ss.; P. Costa, Iurisdictio. Semantica del potere politico nella pubblicistica medievale (1100-1433), Milano, Giuffrè, 2002, pp. 134 ss.
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Reicentrismo qui indica il fuoco sul complesso intreccio fattuale dei significati sociali rilevanti per la valutazione e la decisione giuridica di situazioni concrete: le cose stesse, in altre parole, sono logicamente precedenti rispetto alla regula juris, considerata come un’ulteriore fase, un successivo distillato o un derivato da esse.
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Tommaso, Quaestiones, 91 ss.
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Su cui si veda A. Cassese, Remarks on Scelle’s Theory of «Role Splitting» (dédoublement fonctionnel) in International Law, in «European Journal of International Law», 1, 1990, pp. 210 ss.
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E. Scoditti, Articolare le costituzioni. L’Europa come ordinamento giuridico integrato, in «Materiali per una storia della cultura giuridica», 2004, pp. 189 ss.
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Trattasi, com’è noto, di una delle questioni principali cui si riferisce gran parte della teoria del diritto contemporanea. Si può considerare tale questione come largamente riflessa nel dibattito tra Hart e Dworkin (e forse ancora più tra i sostenitori dell’uno o dell’altro). Tra le moltissime, un’utile via d’accesso resta Scott Shapiro, The Hart-Dworkin debate: a short guide for the perplexed, in «Public Law and Legal Theory» WP series, marzo 2007, n. 7, pp. 1 ss. Sulla evoluzione della questione nel rapporto tra i due autori (e anche per i riferimenti bibliografici) N. Stavropoulos, The Debate that never was, in «Harvard Law Review», 130, 2017, pp. 2082 ss.
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Secondo la definizione che ne dà la Corte di Cassazione italiana, Sez. U., 9 settembre 2021, n. 24414, par. 23.1, la quale ha sostenuto, nel caso concernente l’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche, che l’adozione del criterio della proporzionalità comporta la «natura chiaroscurale del bilanciamento del diritto fondamentale».
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G. Palombella, Oltre il principio di legalità dentro e fuori lo Stato. I due versanti del diritto e il «rule of law», in G. Pino e V. Villa (a cura di), «Rule of law». L’ideale della legalità, Bologna, Il Mulino, 2016, pp. 64 ss.; Id., È possibile una legalità globale?, cit., cap. I: L’ideale della legalità e il «rule of law», pp. 17-66.
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Anche la sovranità inglese è condivisa tra Corona, Lords e Commons, e il diritto evolve anche attraverso il common law e le corti, interpreti ultime, peraltro, della coerenza complessiva del sistema: secondo A.V. Dicey: «Il Parlamento è il legislatore supremo, ma dal momento in cui il Parlamento ha manifestato il suo volere in qualità di autorità legiferante, tale volere viene assoggettato all’interpretazione che è posta in essere dai giudici del paese, e a loro volta, i giudici che operano sotto l’influenza della mentalità del magistrato non meno che sotto quella dello spirito della common law sono inclini a interpretare le eccezioni legislative ai princìpi di common law secondo modalità che non riscuoterebbero l’approvazione di un collegio di funzionari della Corona, o delle Camere del Parlamento se queste fossero invitate ad interpretare le loro stesse statuizioni». (A.V. Dicey, Introduzione allo studio del diritto costituzionale. Le basi del costituzionalismo inglese, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 348-349).
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Gli Stati costituzionali approssimano tale «dualità» proteggendo, anche dalle maggioranze sovrane e parlamentari, principi e diritti cui attribuiscono lo stesso rango del principio democratico da cui discende la legislazione «politica».
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L. Fuller, La moralità del diritto, Milano, Giuffrè, 1986, pp. 65-122; J. Raz, The Rule of Law and Its Virtue, in Id., The Authority of Law, Oxford, Clarendon Press, 1979, pp. 214-218.
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G. Palombella, The Rule of Law at home and abroad, in «Hague Journal on the Rule of Law», 8, 2016, pp. 1 ss.
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Per esempio, come scrive Yuval Shany: «[I]t is the combination of discretion on the part of national authorities and non-intrusive review by international courts which may produce the right mix between deference and supervision, in the light of the comparable advantages of the two sets of actors» (Y. Shany, Toward a General Margin of Appreciation Doctrine in International Law?, in «European Journal of International Law», 15, 2005, pp. 907 ss., 907).
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Come John Rawls (Una teoria della giustizia, Milano, Feltrinelli, 1984) sostiene: «I principi di diritto e della giustizia limitano le soddisfazioni cui si dà valore, impongono restrizioni sulle concezioni ragionevoli del proprio bene». I principi della giustizia «specificano i confini che il sistema dei fini umani deve rispettare» (ibidem, pp. 42-43). La rilevanza del giusto si studia anche nella Critica della ragion pratica, nella quale Kant sostiene che il nostro concetto di «bene» non dovrebbe determinare ciò che è «giusto» e definire ciò che vale come «legge morale», ma al contrario «è la legge morale che anzitutto determina e rende possibile il concetto del bene» (Critica della ragion pratica, Roma-Bari, Laterza, 1982, p. 79).
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Sul diritto come condizione epistemica per riconoscere l’ingiustizia, che in uno stato di natura mancherebbe di essere riconoscibile (e nessuna obiezione potrebbe essere sollevata contro di essa), I. Kant, La metafisica dei costumi, Roma-Bari, Laterza, 1983, pp. 134-135.