Edoardo Chiti, Alberto di Martino, Gianluigi Palombella (a cura di)
L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c2
Affinché dal confronto fra le singolarità possa emergere la norma del caso concreto, si deve riconoscere un principio di riferimento con un’estensione maggiore del singolo caso. Il principio ha qui una funzione regolativa, ossia il suo carattere normativo è una forma ordinatrice e selettiva dell’esperienza, alla quale ultima, tuttavia, non può essere ridotto [39]
: non nasce dal caso in sé, ma è il risultato di un’esi
{p. 49}genza normativa [40]
, che respinge la formazione integralmente empirica della regola.
Ora, con riguardo a una situazione interlegale, sappiamo che per il giudice non si tratta di dare attuazione a una enunciazione astratta e generale, ma di considerare le diverse concorrenti fonti normative alla luce della situazione di interlegalità e delle circostanze concrete. Le operazioni che l’interlegalità richiede sono dunque più d’una: tra esse, il riconoscimento delle disposizioni normative rilevanti provenienti da ordini, regimi, fonti tra loro autonome comporta la collocazione di queste su un unico piano comune al caso [41]
e la enucleazione dei principi di cui esse sono portatrici. Il fatto è da quelle fonti diversamente qualificato, e per questo appare poi formulabile in termini di «caso» [42]
. Ma le diverse qualificazioni giuridiche contenute nelle concorrenti legalità non possono essere assunte ciascuna come la regola del caso, come accade nell’applicazione del diritto legislativo, semplicemente perché il caso non è costruibile, in circostanze di interlegalità, come una fattispecie unica. Nessuna delle {p. 50}legalità presa in sé e in astratto può essere assunta come portatrice della regola da «applicare» al caso. Se la fattispecie è a più dimensioni, la regola del caso concreto non è posta dal giudice mediante la mera corrispondenza empirica di un fatto ad una norma presupposta, come avviene con riguardo al comune diritto legislativo, ma attraverso l’utilizzazione delle concorrenti rationes normative offerte dalle legalità rilevanti in re [43]
.
Alcuni dei casi in cui è stato coinvolto l’ordinamento giuridico italiano possono essere riguardati anche sotto questa prospettiva. Nel caso Lautsi la ECtHR ha discusso in re in che cosa consista il principio di laicità, il diritto di libertà dalla religione, nonché quali siano il valore specifico, la funzione e la conseguenza del crocifisso – e dei simboli religiosi – nelle scuole pubbliche: la regola del caso, accertata a Strasburgo (contraddittoriamente) per due volte, al di là del merito, contiene una congiunta elaborazione delle pretese normative della convenzione e dell’ordinamento italiano; non si tratta di un mero arbitraggio nei limiti delle opposte ragioni, bensì dell’individuazione di un principio ordinatore: la regola che ne risulta deve infatti essere proiettata su un piano di universalizzabilità, e {p. 51}dunque resistere alla prova della sua proiezione sul sistema dei diritti convenzionali in relazione agli ordinamenti membri [44]
. Il caso Taricco [45]
più recentemente, contiene un mirabile esempio di uso del rinvio preliminare, guidato dalle circostanze del caso a rivolgere domande di «principio» alla Corte di giustizia, autrice di una decisione la cui «regola» era «sembrata» entrare in rotta di collisione con principi di rango costituzionale nell’ordinamento italiano. Le domande poste hanno indotto la Corte di giustizia a ridefinire l’estensione della «regola» adattandola in base ad un principio di riconoscimento e di compatibilità con l’ordinamento dello stato membro, in quanto portatore di ragioni primarie anche per l’ordinamento europeo: in particolare quelle riassumibili nel principio di legalità. Si è trattato, in fondo, di una rivalutazione, non più unilaterale, dei principi normativi in gioco, che non avrebbe {p. 52}potuto svolgersi né in astratto né separatamente «entro» i confini di ciascun ordinamento. Si noti che il punto del primato o dell’effetto diretto dell’ordinamento dell’Unione su quello dello stato membro non è venuto in gioco e non è stato dunque il criterio di risoluzione del caso. In un’altra decisione italiana, sulle c.d. «pensioni svizzere», la nostra Corte costituzionale ha elaborato i principi domestici di eguaglianza e di sostenibilità economica in contrasto con il principio del giusto processo (art. 6 Convezione) sollevato dalla ECtHR (per interferenza della legge successiva sui procedimenti in corso). La nostra Corte ha opposto alla tutela «parcellizzata» dei diritti, cui è tenuta la Convenzione, «una valutazione sistemica, e non isolata, dei valori coinvolti dalla norma di volta in volta scrutinata», facendo così valere, a fronte del carattere «astratto» delle norme convenzionali, l’esigenza di bilanciamento con riferimento al concreto contesto ed al sistema ordinamentale in cui quelle norme devono valere [46]
.
Il criterio decisorio ha un’origine necessariamente casistica, e questa richiede a sua volta la considerazione, sia in sé sia nella loro relazione, delle rationes normative che gli ordinamenti offrono, in circostanze individuate.

5. Ragione medievale e ragione moderna

5.1 Emerge più distintamente a questo punto la distinzione fra l’orientamento alle circostanze del fatto, nel diritto interlegale, e il cosiddetto «reicentrismo» medievale. La distanza dipende dal riferimento al principio normativo. Nell’universo medievale la ragione giuridica riposa sul presupposto di un’idea sostanziale che è al fondo di ogni {p. 53}caso controverso e che è compito dell’interprete scoprire e portare alla luce. Quella sostanza corrisponde all’aequitas [47]
e la regola ne è la manifestazione. La regola preesiste pertanto al caso e deve solo essere rinvenuta da colui che dice il diritto [48]
.
Il diritto casistico in chiave moderna ha in comune con quello medievale l’orientamento al caso. Tuttavia nel contesto medievale, le leges sono una ricognizione autoritativa di una preesistente convenientia rerum, e dunque sono da rintracciarsi [49]
nelle cose in sé. L’apparente frammentarietà del multiverso giuridico medievale non solo è tenuta insieme proprio dal diritto, come insegna lo storico Paolo Grossi, ma sullo sfondo presuppone quell’ordine universale ispirato dall’alto, celebrato da agostiniani e tomisti. Nulla sta da sé, ma è parte di un mondo ordinato a sua somiglianza da Dio. Ed è solo dentro di esso che anche il principe deve perseguire il bene comune [50]
, che figura come un presupposto pilastro materiale della medievale ontologia «pratica».
La ragione moderna opera diversamente. L’interprete non si rivolge al caso come per rintracciarvi il giusto e il bene che vi sarebbe (ontologicamente) sotteso, il diritto non è un’entità preesistente da ritrovare nelle cose ma è un artificio: la comparsa illuministica dell’idea del soggetto legislatore distanzia per sempre dagli assunti propri del reicentrismo medievale. Questo «superamento» impedisce di tracciare una linea continua, nonostante le istruttive, illuminanti somiglianze, tra due versanti mai totalmente coincidenti, da un lato gli intrecci di legalità medievale
{p. 54}dall’altro il presente proliferare di interlegalità; da un lato il reicentrismo pre-illuministico dall’altro quello emergente nel terzo millennio; da un lato l’equità da rinvenire nel caso dall’altro il principio regolativo che tende a disciplinarlo; da un lato una concezione della casistica e dell’aggiudicazione come dispersione e contestualità al caso dall’altro il diritto come artificio ordinatore.
Note
[39] Quel principio ha natura formale, per questo potrebbe ben essere considerato schiettamente trascendentale, alla stessa stregua del principio regolativo kantiano: «Un principio della maggiore possibile continuazione ed estensione della esperienza; un principio, per cui nessun limite empirico può valere come limite assoluto; quindi un principio della ragione, che, come regola, postula ciò che da noi deve farsi nel regresso, e non anticipa ciò che nell’oggetto è dato in sé innanzi a ogni regresso» (I. Kant, Critica della ragion pura, Roma-Bari, Laterza, 1977, vol. II, p. 413).
[40] Più diffusamente E. Scoditti, Non solo forma: fenomenologia giudiziaria del diritto, in «Il Pensiero. Rivista di filosofia», 2019, n. 2, pp. 127 ss.
[41] Il famoso rapporto della Commissione di diritto internazionale, del 2006, suggeriva le risorse logico-giuridiche tradizionali per il superamento della «frammentazione», ma all’interno di un quadro normativo comune tracciato dai confini dell’ordinamento internazionale, e aggiungendo comunque il caveat che la Commissione non aveva assunto il compito di risolvere anche i problemi conseguenti al carattere istituzionale della frammentazione. Quest’ultimo evidentemente restava impregiudicato, ma è proprio in ragione di ciò che il ricorso alle risorse logico-argomentative sopra indicate avrebbe potuto rivelarsi non risolutivo. Si veda M. Koskenniemi, Introduction, par. 13, p. 11 di Conclusions of the Work of the Study Group on the Fragmentation of International Law: Difficulties Arising from the Diversification and Expansion of IL, ILC, 58 sess., 2006 (A/61/10, par. 251) (http://untreaty.un.org/ilc/reports/2006/2006report.htm).
[42] Sulla distinzione tra fatto e caso, si veda in questo volume il capitolo di A. di Martino, Dalla regola per il caso al caso della regola.
[43] Ostacoli alla considerazione della pluralità delle qualificazioni sono però non rari. La tutela dei diritti politici dei prigionieri richiesta dalla ECtHR, Anchugov and Gladkov, appl. 11157/04, 4 July 2013 (violazione art. 3 del Protocollo I della Convenzione) contrasta con l’art. 32 della Costituzione russa che prevede l’esclusione dei diritti politici di tutti i detenuti senza distinzioni di gravità dei reati e di durata della pena. Si tratta di un caso insolubile per il giudice costituzionale russo: il quale «rispondendo» il 19 aprile 2016 (No. 12-П/2016) non ha accolto né rideterminato la regola del caso, ma definito la sentenza ECtHR «impossibile da seguire». Le ragioni addotte non riguardano tanto il punto di merito (se spetti o meno il diritto di voto a qualche categoria di detenuti), ma la relazione tra l’ordinamento costituzionale e quello convenzionale, la natura e i termini dell’impegno a suo tempo sottoscritto dallo stato membro, e così via. La decisione costituzionale dunque viaggia largamente al di sopra del caso da risolvere. Nondimeno si è poi accettato che la decisione russa al proprio § 5.5 consentisse comunque un qualche rispetto della sentenza dell’ECtHR suggerendo che il legislatore avrebbe potuto sollevare il divieto per una categoria di detenuti sottoposti a una pena «separata» attraverso il confinamento in «colonie».
[44] Indipendentemente dal merito, proprio quest’ottica sembra suggerita dall’intervento di Joseph Weiler innanzi alla Grande Camera della Corte di Strasburgo nel 2010 sul caso Lautsi: Weiler ricolloca le circostanze del caso entro il più complesso «sistema» europeo di scelte costituzionali e culturali, e suggerisce che la regola individuata dalla prima decisione della ECtHR rispondeva a un principio inaccettabile per il pluralismo europeo: «Una regola per tutti, come ha deciso la seconda Camera, priva di un contesto storico, politico, demografico e culturale non è solamente sconsigliabile, ma mina il pluralismo, la diversità e la tolleranza più autentici che la Convenzione intende salvaguardare, e che sono il marchio dell’Europa». (Intervento trascritto in traduzione italiana disponibile al link https://www.diritticomparati.it/lintervento-di-josep-weiler-alla-corte-di-strasburgo-sul-crocifisso/).
[45] Se la CJEU (Grand Chamber) 8 settembre 2015, Case C-105/14, Ivo Taricco and Others (a seguito di rinvio preliminare del Tribunale di Cuneo) aveva considerato i ridotti termini di prescrizione italiani per reati in violazione dell’IVA, contrastanti con gli interessi e le norme dell’Unione, la nostra Corte rivolge, di rimando (Rinvio preliminare 23 nov. 2016, n. 24/2017), stringenti domande alla CJEU, sottolineando il carattere sostanziale in Italia (e non procedurale) della prescrizione e l’insuperabilità del principio di legalità e del diritto di conoscere le conseguenze penali delle proprie azioni non dopo (e attraverso) le sentenze, ma prima di esse. La CJEU ha accolto gli argomenti della nostra Corte, contemplando eccezioni alla propria precedente «regola», in caso di contrasto con il principio di legalità: CJEU, 5 dicembre 2017, Case C-42/17, M.A.S. and M.B.
[46] Sent. Corte Cost. n. 264 del 2012, su cui E. Scoditti, Se un diritto umano diventa diritto fondamentale: la Cedu come parametro interposto di costituzionalità, in «Il Foro italiano», 136, 2013, n. 1, col. 788. Cfr. G. Palombella, La politica come limite al diritto? Contrasti normativi oltre lo Stato, Napoli, ESI, 2018, pp. 9 ss. Il caso è originato in considerazione del ricalcolo dei contributi versati in Svizzera agli effetti del trattamento pensionistico italiano.
[47] P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, Roma-Bari, Laterza, 1997, p. 177.
[48] Cfr. ibidem, pp. 135 ss.; P. Costa, Iurisdictio. Semantica del potere politico nella pubblicistica medievale (1100-1433), Milano, Giuffrè, 2002, pp. 134 ss.
[49] Reicentrismo qui indica il fuoco sul complesso intreccio fattuale dei significati sociali rilevanti per la valutazione e la decisione giuridica di situazioni concrete: le cose stesse, in altre parole, sono logicamente precedenti rispetto alla regula juris, considerata come un’ulteriore fase, un successivo distillato o un derivato da esse.
[50] Tommaso, Quaestiones, 91 ss.