Edoardo Chiti, Alberto di Martino, Gianluigi Palombella (a cura di)
L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c2
Certamente topoi degli ultimi decenni come la protezione equivalente [24]
, il principio Solange [25]
o i controlimiti [26]
italiani hanno reso possibili accomodamenti al livello delle {p. 43}autorità istituzionali coinvolte, definiti da canoni stabiliti dalla giurisprudenza. Ma, allo stesso tempo, deve riconoscersi il ricorrente montare di quella che appare una sorta di resistenza nel rapporto tra legalità: nelle alterne sorti odierne dell’aureo internazionalismo dei lunghi decenni del secondo Novecento postbellico, sembra disperdersene la priorità etica mitigatrice dei nazionalismi (e degli egoismi) degli Stati. Ad emergere è anche l’argomento identitario [27]
che risale al Maastricht Urteil e al Lissabon Urteil [28]
, alla recente pronuncia post Weiss della Corte costituzionale tedesca [29]
, o alle resistenze russe e britanniche verso la ECtHR sul voto ai detenuti [30]
, e via seguendo.
{p. 44}
Nell’insieme, la ratio delle relazioni appare più legata all’autocomprensione delle corti disposte più a rimanere custodi verso autorità esterne, che a prendere in carico il peso delle ragioni che di volta in volta provengono da altri regimi concorrenti. Anche il rapportarsi delle corti tende ad oscillare dal problema in attesa di giustizia, alla domanda di primacy dell’una o dell’altra. Ma la questione è evidentemente la prima, non la seconda. Pur dovendo superare quella «acoustic separation» in cui i sistemi ignorano reciprocamente le scelte altrui, il dialogo, per quanto commendevole, resta più spesso nell’ottica di ordinamenti che rimangono come «cicli» separati, secondo la metafora proposta da Triepel [31]
con riguardo alla vita parallela del diritto statale e di quello internazionale. Al contrario, il confronto tra gli ordinamenti non dovrebbe avvenire, come ciascuno pretende, alternativamente nell’uno o nell’altro ordinamento (e dunque nel mero «interesse» dell’uno o dell’altro) e, nell’occorrenza dei casi, non può non avvenire che su un terzo terreno, il quale, come ci accingiamo a mostrare, è esso stesso un terreno di diritto [32]
. {p. 45}
Se ci si sposta dal piano astratto dei diversi ordinamenti a quello concreto del caso, l’evocazione di più legalità che il caso compie determina un’intersezione di effetti giuridici, la quale è un fenomeno giuridico in senso proprio. Il caso situato come all’incrocio tra ordinamenti non è terra di nessuno, ma uno spazio in cui convergono discipline derivanti da più fonti: paradossalmente è un luogo in cui c’è più diritto e la questione giuridica riguarda proprio quale sia la disciplina di un fatto cui è associato un eccesso di diritto.
L’eccesso di diritto è un fenomeno primario spesso erroneamente scambiato per l’assenza di norma. Ma quest’ultima dovrebbe richiamare piuttosto ben altri scenari di «vuoto giuridico». Si pensi alle tristemente note logiche con cui l’Amministrazione statunitense aveva collocato i sospetti di terrorismo nella detenzione della Baia di Guantanamo. La Corte Suprema riuscì a maggioranza a sostenere che anche in quel non-luogo, sottratto formalmente alla giurisdizione statunitense come a quella cubana, il principio dell’Habeas corpus doveva trovare applicazione. E, nella sua opinione dissenziente, Antonin Scalia stigmatizzò la decisione precisamente per l’effetto che avrebbe avuto: far sorgere garanzie giuridiche in tutti gli «angoli del mondo» utilizzati dal governo statunitense, sfruttando in essi l’assenza di diritto per sottrarre i propri atti ai vincoli operanti per il tempo di pace o in tempo di guerra [33]
.
Se la (pretesa) assenza di diritto si lascia esemplificare da simili ipotesi, l’eccesso di diritto richiama, a sua volta, a prima vista, un mero, irrisolto coacervo. Ma i suoi elementi richiedono {p. 46}di essere considerati nel loro insieme e nelle circostanze date. Questa considerazione complessiva non può compiersi se il ragionamento giuridico resta vincolato dai limiti di «giurisdizione» che ciascun sistema unilateralmente tende ad imporvi. Per questo, all’eccesso di diritto dovrebbe corrispondere quel jurisdictional overstepping che mira alla considerazione di tutte le fonti normative rilevanti, rinunciando a determinazioni puramente unilaterali, basate sulla mera conformità ad una sola di esse. Nel caso Al Dulimi [34]
, la ECtHR condannò la Svizzera per violazione dell’art. 6 della Convenzione, a tutela dei diritti di difesa e accesso alla giustizia di Mr. Al Dulimi, colpito a seguito di risoluzione del Consiglio di sicurezza dalla sanzione che imponeva il blocco dei suoi beni. Se la Svizzera, tuttavia, avesse rispettato l’art. 6 della Convenzione avrebbe così violato la norma al vertice del sistema delle Nazioni Unite, l’art. 103 della Carta che riconosce il primato, incondizionato, delle obbligazioni nascenti dal sistema ONU (e quindi dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza). La difficoltà fondamentale ancora una volta discendeva dalla incoerenza interna del diritto inter- ed extra-statale. Il giudizio qui non poteva risolversi su basi meramente formali, e la Corte assunse in sostanza il punto di vista del «partecipante» in un insieme normativo composito in cui l’ordinamento svizzero e due diversi regimi internazionali erano interconnessi; considerò la relazione tra le corrispondenti «istituzioni» e la ratio delle previsioni normative rilevanti: ponendosi in questo spazio comune, e interlegale, la Corte eccedeva il proprio margine di stretta giurisdizione nella Convenzione, analizzando e soppesando anche le ragioni al fondo della Carta dei diritti e del regime di sicurezza ONU [35]
.
Nell’«in-between» dei regimi giuridici, che si realizza nell’episodio concreto, non c’è – si è detto sopra – un vuoto dal punto di vista giuridico. Si è prodotta una sovrapposi{p. 47}zione/convergenza di effetti promananti da legalità distinte la quale impone che la norma del caso concreto sia fissata sulla base di quella convergenza. Che delle corti siano all’opera, è peraltro il segno esteriore che un diritto c’è, il quale si rivela presto un fenomeno non solo intra-ordinamentale, ma anche inter-ordinamentale. Se il diritto, nelle circostanze dell’interlegalità, emerse nel caso, appare come un continuum [36]
privo pertanto di soluzioni di continuità, la prospettiva delle corti che devono farsene carico diviene così giuridica e non strategica.
Quest’ultimo aspetto emerge anche per differentiam rispetto agli esiti delle teorie autenticamente «pluraliste». Nella nota proposizione del pluralismo avanzata da Neil McCormick, pluralità e autonomia normativa dei sistemi vengono in primo piano, ma resta irrisolto il problema se vi siano criteri giuridici capaci di controllare, di volta in volta, le loro relazioni. È per questa ragione che in una seconda fase del suo lavoro McCormick sposa un pluralismo meno genuino in cui la soluzione delle sovrapposizioni e dei conflitti dipende da una regola sovraordinata ed esterna: si tratta del pluralismo risolto «under international law» [37]
. La creazione di questa cornice internazionalistica cui spetta la decisione ultima, l’ultima parola, trasforma le autonomie, su cui il pluralismo si fonda, in subsistemi del {p. 48}diritto internazionale, che di conseguenza detiene i criteri di validità ultima. Sotto questo profilo, il pluralismo revoca se stesso. La difficoltà dell’ottica pluralistica nel trattare in termini giuridici e non meramente strategici (o politici, di negoziazione, di opportunità) le relazioni e le questioni inter-sistemiche distingue, per quanto detto sopra, il pluralismo dalla prospettiva dell’interlegalità per la quale nella concorrenza tra fonti emerge un diritto interlegale. Tutto questo induce ad approfondire come l’interlegalità reagisca sul diritto dei casi.

4. Il diritto interlegale e le sue assonanze casistiche

Al diritto casistico è immanente la logica del precedente e del ragionamento in forma analogica. Dove vi è una comune sostanza fattuale, lì deve essere una medesima soluzione giuridica: «Ubi eadem aequitas, ibi idem ius», dicevano i maestri della interpretatio medievale. Com’è noto, l’analogia dei fatti nell’identificazione della regola del caso comporta che al precedente si faccia riferimento fino alla soglia di similitudine dei fatti, oltre la quale intervengono gli adattamenti al caso concreto, secondo le tradizionali tecniche del distinguishing e limiting applicate dal giudice di common law [38]
.
Affinché dal confronto fra le singolarità possa emergere la norma del caso concreto, si deve riconoscere un principio di riferimento con un’estensione maggiore del singolo caso. Il principio ha qui una funzione regolativa, ossia il suo carattere normativo è una forma ordinatrice e selettiva dell’esperienza, alla quale ultima, tuttavia, non può essere ridotto [39]
: non nasce dal caso in sé, ma è il risultato di un’esi
{p. 49}genza normativa [40]
, che respinge la formazione integralmente empirica della regola.
Note
[24] Espresso testualmente da ECtHR 30 giugno 2005, Case No. 45036/98, Bosphorus Hava Yolları Turizm ve Ticaret Anonim Şirketi v Ireland (ma nella sostanza presente in precedenza, per es. nella decisione tedesca Solange I [cfr. infra, nota seguente] che usa un’espressione… equivalente: «la protezione effettiva dei diritti fondamentali deve essere assicurata nello stesso modo garantito dalla legge fondamentale» tedesca).
[25] Internationale Handelsgesellschaft mbH v Einfuhr- und Vorratsstelle für Getreide und Futtermittel (1970) Case 11/70, nota come Solange I, è un caso di diritto europeo e costituzionale tedesco, concernente il conflitto tra un ordinamento nazionale e l’Unione. Re Wünsche Han- delsgesellschaft (22 October 1986) BVerfGE 73, 339, è la decisione nota come Solange II.
[26] Cfr. Decisione «Frontini» Corte cost., sent. n. 183 del 1973.
[27] Di una terza ondata, a questo riguardo, parlano D. Lustig e J. Weiler, Judicial Review in the Contemporary World: Retrospective and prospective, in «I-CON», 16, 2018, n. 2, p. 315.
[28] Sul Trattato di Maastricht (BVerfG 89, 155, 12 ottobre 1993) e sul Trattato di Lisbona (BVerfG 123, 267, 30 giugno 2009).
[29] La Corte costituzionale tedesca (Secondo senato) nel suo giudizio senza precedenti del 5 maggio 2020, 2 BvR 859/15 ha deciso la illegittimità costituzionale del Public Sector Purchase Programme (PSPP) adottato dalla European Central Bank: la decisione contraddice quella assunta dalla Corte di giustizia nel preliminary ruling dell’11 dicembre 2018 (Weiss and Others, C-493/17), secondo cui il programma non eccedeva il mandato della Banca centrale, né violava il divieto di operare nel finanziamento economico degli Stati. La Corte tedesca di conseguenza assume che il giudizio della Corte europea, colpevole, tra l’altro, di non aver correttamente utilizzato il test di proporzionalità secondo il modello tedesco, valga tamquam non esset. Come ha scritto Jacques Ziller, «the BverfG is for the first time giving effect to its more or less explicit threat not to implement rulings of the ECJ, which was already expressed in several of its earlier judgments, in particular the judgment on the Treaty of Lisbon, and in the text of its references for preliminary rulings in the Gauweiler and Weiss cases: the BverfG arrogates to itself the power to make a final assessment of the legality of an act of the European Union and thus threatens to dismantle the unity of application of Union law» (J. Ziller, The unbearable heaviness of the German constitutional judge, consultabile all’indirizzo https://ceridap.eu/the-unbearable-heaviness-of-the-german-constitutional-judge-on-the-judgment-of-the-second-chamber-of-the-german-federal-constitutional-court-of-5-may-2020-concerning-the-european-central-banks-pspp/).
[30] Cfr. A. Sajo e S. Giuliano, The Perils of Complacency: The European Human Rights Backlash, in Klabbers e Palombella, The Challenge of Inter-legality, cit., pp. 230 ss., 239-240.
[31] H. Triepel, Völkerrecht und Landesrecht, Leipzig, C.L. Hirschfeld, 1899, p. 111.
[32] Si può proporre di interpretare questo spazio comune di diritto «tra» il diritto internazionale e quello costituzionale, dunque «tra» due ordinamenti, anche attraverso una possibile lettura delle conseguenze della decisione della nostra Corte costituzionale n. 238/2014 che rifiuta di uniformarsi alle sentenze della Corte internazionale di giustizia – Germany v. Italy del 2012 – secondo cui la norma consuetudinaria sull’immunità degli Stati esclude il giudizio dei tribunali italiani legittimamente impedendo alle vittime l’accesso alla giustizia e la protezione dei diritti della persona, nei confronti dello Stato responsabile di crimini di guerra (e anche in mancanza di altri rimedi). Oltre che ribadire i pilastri di principio della Costituzione italiana (la protezione degli artt. 2 e 24 Cost.), la decisione sembra elevare una questione di diritto, non riducibile a una mera contesa tra due ordinamenti. Più estesamente, G. Palombella, German War Crimes and the Rule of International Law, in «Journal of International Criminal Justice», 14, luglio 2016, n. 3, pp. 607 ss.; e anche Id., Senza identità. Dal diritto internazionale alla Corte costituzionale tra consuetudine, Jus cogens e principi «supremi», in «Quaderni costituzionali», 35, settembre 2015, n. 3, pp. 815 ss. Ancor più decisamente, però, valgono altri casi, tra cui l’esempio della decisione della ECtHR nel caso Al Dulimi, come ricordiamo infra.
[33] Rasul v. Bush, 542 US 466 (2004). Si legga anche questa rivelatrice parte del dissent di Scalia: «Di norma, noi consideriamo gli interessi di coloro che hanno fatto affidamento sulle nostre decisioni. Oggi la Corte fa saltar fuori una trappola per l’Esecutivo, assoggettando allo scrutinio delle corti federali Guantanamo Bay, sebbene non si sia mai ritenuto prima d’ora che questa ricadesse entro la loro giurisdizione – e così trasformandola in un luogo dove è insensato avere confinato detenuti stranieri in tempo di guerra [and thus making it a foolish place to have housed alien wartime detainees]». Così, secondo Scalia, abbandonando i propri precedenti, la Corte «estende l’ambito di applicazione dell’habeas corpus ai quattro angoli della terra» (ibidem, pp. 497-498).
[34] ECtHR, Al-Dulimi et Montana Management Inc. c. Suisse, 26 novembre 2013. Ma si veda anche, tre anni dopo, Grand Chamber, 21 giugno 2016.
[35] Più estesamente, si veda G. Palombella, The principled, and winding, road to Al-Dulimi. Interpreting the interpreters, in «QIL-Questions of international law», 6, 2014, pp. 15 ss.
[36] Il punto è sottolineato tra l’altro in Palombella, Interlegalità. L’interconnessione tra ordini giuridici, il diritto e il ruolo delle Corti, cit., p. 331: con riguardo a «questioni che (…) sorgono tra più sistemi», la «soluzione è posta precisamente “al di là” di ciascuno di essi», e dunque «può essere trovata solamente in termini inter-sistemici: i quali contraddicono il destino dell’aut-aut (essere di “un sistema o niente”) e configurano la legalità come un continuum».
[37] La versione radicale del pluralismo e quella soft sono esemplificate nella traiettoria dei lavori di Neil McCormick che passa così dalla prima alla seconda. Si vedano, N. McCormick, Risking Constitutional Collision in Europe?, in «Oxford Journal of Legal Studies», 18, 1998, n. 3, pp. 517 ss., 517; Id., Beyond the Sovereign State, in «Modern Law Review», 56, 1993, pp. 1 ss.; Id., The Maastricht-Urteil: Sovereignty Now, in «European Law Journal», 1, 1995, pp. 259 ss.; Id., Questioning Sovereignty: Law, State, and Nation in the European Commonwealth, Oxford, Oxford University Press, 1999.
[38] Naturalmente, la determinazione del precedente e il suo uso fanno parte della pratica delle corti, ben al di là della tradizione specifica di common law. A questo riguardo si veda soprattutto l’illuminante studio di M. Jacob, Precedents and Case-based Reasoning in the European Court of Justice, Cambridge, Cambridge University Press, 2014.
[39] Quel principio ha natura formale, per questo potrebbe ben essere considerato schiettamente trascendentale, alla stessa stregua del principio regolativo kantiano: «Un principio della maggiore possibile continuazione ed estensione della esperienza; un principio, per cui nessun limite empirico può valere come limite assoluto; quindi un principio della ragione, che, come regola, postula ciò che da noi deve farsi nel regresso, e non anticipa ciò che nell’oggetto è dato in sé innanzi a ogni regresso» (I. Kant, Critica della ragion pura, Roma-Bari, Laterza, 1977, vol. II, p. 413).
[40] Più diffusamente E. Scoditti, Non solo forma: fenomenologia giudiziaria del diritto, in «Il Pensiero. Rivista di filosofia», 2019, n. 2, pp. 127 ss.