Note
  1. Terzo considerando del preambolo allo Statuto di Roma.
  2. Per una ricostruzione storica dei rapporti tra Nazioni Unite e giurisdizioni penali internazionali, si veda L. Condorelli e S. Villalpando, Les Nations Unies et les juridictions penales internationales, in J-P. Cot, M. Forteau e A. Pellet (a cura di), La Charte des Nations Unies: commentaire article par article, Paris, Economica, 2005, pp. 201 ss.
  3. Sul ruolo della giustizia penale nel ristabilimento della pace si veda, tra gli altri, V. Gowlland-Debbas, The Security Council and Issues of Responsibility under International Law, in «Recueil des cours de l’Académie de droit international», 2012, in particolare pp. 298-346.
  4. Nel primo dibattito interno al Consiglio di sicurezza sul ruolo della Corte penale internazionale emerse chiaramente l’idea di un ruolo «funzionale» dell’attività della Corte rispetto al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale; cfr. Concept Note of the Open Debate of the Security Council on Peace and Justice with a special focus on ICC, 17 ottobre 2012, S/PV.6849. Parte della dottrina, invero, ha sottolineato come l’impatto dell’azione della Corte sui conflitti armati in corso – in virtù delle numerose e complesse ricadute che può avere e delle ragioni politiche che hanno condotto alla sua attivazione – sia in realtà «not only largely unpredictable but also non-linear», cfr. P. Kastner, Armed Conflicts and Referrals to the International Criminal Court, in «Journal of International Criminal Justice», 2014, p. 481.
  5. «No peace without justice» era il motto che ha sospinto, nelle posizioni spesso assunte da diverse organizzazioni non governative, l’istituzione dei primi tribunali penali internazionali negli anni Novanta. Per alcune considerazioni sulla natura complementare dei due organi, e più in generale sulle diverse forme che l’interazione tra pace e giustizia può assumere, si vedano i contributi, tra i tanti, di V. Gowlland-Debbas, The Role of the Security Council in the New International Criminal Court from a Systemic Perspective, in L. Boisson de Chazournes e V. Gowlland-Debbas (a cura di), The International Legal System in Quest of Equity and Universality/L’ordre juridique international, un système en quête d’équité et d’universalité, Liber Amicorum Georges Abi-Saab, 2001, p. 632; D.R. Verduzco, The Relationship between the ICC and the United Nations Security Council, in C. Stahn (a cura di), The Law and Practice of the International Criminal Court, Oxford, Oxford University Press, 2015, pp. 30-64; J.E. Mendez e J. Kelley, Peace Making, Justice and the ICC, in C. De Vos, S. Kendall e C. Stahn (a cura di), Contested Justice, Cambridge, Cambridge University Press, 2015, pp. 479-495. Si ricostruiscono, in quest’ultimo contributo, tre diverse possibili relazioni: la Corte come strumento a disposizione del Consiglio per il mantenimento della pace; l’idea, non pienamente realizzata, di una totale autonomia istituzionale e di una netta separazione di mandati e funzioni; e il Consiglio come organo esecutivo e di attuazione delle decisioni giudiziali. Da un punto di vista diverso, più ampio e politologico, la divisione che alcuni hanno compiuto è tra liberali, che mettono in luce gli effetti positivi della creazione dei tribunali penali per il ristabilimento di una pacifica convivenza tra i popoli, e realisti, che tendono a vederne più che altro gli effetti destabilizzanti, cfr. G.J. Bass, Stay the Hand of Vengeance: The Politics of War Crimes Tribunals, Princeton, Princeton University Press, 2000, in particolare pp. 284-310. L’autore, pur ritenendo modesti i risultati raggiunti nelle passate esperienze di repressione dei crimini internazionali, invita a non lasciare alle vittime dei crimini l’arma della vendetta (qualsiasi forma essa possa assumere) e a preservare il ruolo in qualche modo di mediatore che può essere svolto dai tribunali internazionali: «a great advantage of international legalism is that it institutionalizes and moderates desires for revenge» (ibidem, p. 304).
  6. Interessante al riguardo è l’analisi sull’azione della Corte in Uganda proposta da K. Peschke, The ICC Investigation into the Conflict in Northern Uganda: Beyond the Dichotomy of Peace versus Justice, in B.S. Brown (a cura di), Research Handbook on International Criminal Law, Cheltenham, Elgar, 2011, pp. 178-205 e da J.N. Clark, Peace, Justice and the International Criminal Court, in «Journal of International Criminal Justice», 2011, pp. 521-545. Sulla effettiva capacità della Corte di incidere sul ristabilimento della pace nella Repubblica democratica del Congo, si veda invece O. Kambala, Entre négligence et complaisance: les risques de dérapage de la Cour pénale internationale en RDC, Kinshasa, Le Phare, 28 ottobre 2004, disponibile su http://fr.allafrica.com/stories/200410290050.html. Sul più generale impatto della Corte penale internazionale nei processi di giustizia transizionale, si veda il contributo di C. Stahn, The Geometry of Transitional Justice, in «Leiden Journal of International Law», 2005, pp. 425-466.
  7. La richiesta di sospendere l’azione giurisdizionale, peraltro, non implica necessariamente che il Consiglio si stia materialmente e attivamente occupando di quella determinata situazione. Per questo motivo, parla di una possibile e pericolosa «paralisi», data dalla congiunta inazione delle Nazioni Unite e della Corte, N. Elaraby, The Role of the Security Council and the Independence of the International Criminal Court: Some Reflections, in M. Politi e G. Nesi (a cura di), The International Criminal Court: A Challenge to Impunity, Aldershot, Routledge, 2001, p. 46.
  8. Per un’analisi delle molteplici forme di interazione, e di conflitto, tra le due organizzazioni, sia consentito rimandare a A. Bufalini, I rapporti tra la Corte penale internazionale e il Consiglio di sicurezza, Napoli, Editoriale Scientifica, 2018.
  9. Si possono qui riportare alcune tesi dirette a riconoscere all’art. 103 l’effetto di attribuire ai fini della Carta delle Nazioni Unite, ed in particolare, al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, la natura di «international public order to which other treaty regimes and the international organizations giving effect to them must conform», cfr. D. Shelton, International Law and «Relative Normativity», in M. Evans (a cura di), International Law, Oxford, Oxford University Press, 2006, p. 178. Per una critica alle concezioni, per così dire, eccessivamente «estensive» della natura «costituzionale» della Carta, si può vedere G. Arangio-Ruiz, On the Security Council’s «law-making», in «Rivista di diritto internazionale», 2000, p. 683.
  10. Cfr., tra le altre, la posizione piuttosto esplicita di Singapore, UN doc. S/PV.4568, p. 23, ove si afferma chiaramente che un siffatto esercizio del potere di deferral sarebbe «within the Security Council’s authority».
  11. Tra i tanti, si veda in questo senso anche N. Jain, A Separate Law for Peacekeepers: The Clash between the Security Council and the International Criminal Court, in «European Journal of International Law», 2005, p. 247.
  12. Ibidem.
  13. R. Wedgwood, The International Criminal Court: An American View, in «European Journal of International Law», 1999, p. 98.
  14. Ibidem.
  15. Report to the Secretary-General of the Commission of Experts to Review the Prosecution of Serious Violations of Human Rights in Timor-Leste (then East Timor) in 1999, S/2005/458, 26 maggio 2005, par. 455.
  16. A dire il vero, non sono in molti ad aver sostenuto una tale tesi, ma si veda J. Pichon, Internationaler Strafgerichtshof und Sicherheitsrat der Vereinten Nationen, Heidelberg, Springer, 2011, p. 350.
  17. Ibidem. Alcune ricostruzioni tendono ad attribuire un ruolo all’accordo di relazione, e al riconoscimento delle responsabilità delle Nazioni Unite, al fine di confermare la prevalenza dell’azione del Consiglio su quella della Corte. In particolare, secondo queste tesi, l’accordo di relazione del 2004 «does not validate any aspect of the ICC work that would purport to override the established mechanisms of maintenance of international peace and security centered on the leading role of the UNSC in situations endangering peace and security», cfr. J. Doria, Conflicting Interpretation of the ICC Statute - Are the Rules of Interpretation of the Vienna Convention Still Relevant?, in M. Fitzmaurice, O. Elias e P. Merkouris (a cura di), Treaty Interpretation and the Vienna Convention on the Law of Treaties: 30 Years on, Leiden-Boston, Martinus Nijhoff, 2010, p. 310.
  18. Negotiated Relationship Agreement between the International Criminal Court and the United Nations, 22 luglio 2004, ICC-ASP/3/Res.1.
  19. R. Kolb, L’article 103 de la Charte des Nations Unies, in «Recueil des Cours de l’Académie de Droit International», 2014, p. 242.
  20. Ibidem.
  21. Alcuni di questi problemi interpretativi sono illustrati da J-M. Thouvenin, Article 103, in J-P. Cot, A. Pellet e M. Forteau, La Charte des Nations Unies, Paris, Economica, 2005, pp. 2133-2147. Sono molti, in dottrina, a far discendere il carattere costituzionale della Carta proprio dall’art. 103, considerato un «constitutional principle of the international community», cfr. C. Tomuschat, International Law as a Coherent System: Unity or Fragmentation?, in M.H. Arsanjani, J. Cogan, R. Sloane e S. Wiessner, Looking to the Future: Essays on International Law in Honor of W. Michael Reisman, The Hague, Brill, 2011, p. 337. Come è noto, il primato delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza su altri obblighi internazionali è stato garantito attraverso un richiamo a tale disposizione in diverse occasioni dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea. Si vedano le note decisioni del 21 settembre 2005, causa T-306/01, Yusuf e Al Barakaat International Foundation c. Consiglio e Commissione (Raccolta, 2005, pp. II – 3533) e T-315/01, Kadi c. Consiglio e Commissione (Raccolta, 2005, pp. II – 3649), oggetto, peraltro, di numerose critiche. Cfr., ad esempio, E. Cannizzaro, A Machiavellian Moment? The UN Security Council and the Rule of Law, in «International Organizations Law Review», 2006, pp. 189 ss. e B. Conforti, Decisioni del Consiglio di sicurezza e diritti fondamentali in una bizzarra sentenza del Tribunale comunitario di primo grado, in Diritto dell’Unione Europea, 2006, pp. 333 ss. La Corte europea dei diritti umani, invece, non ha mai direttamente applicato l’art. 103 e ha sempre di fatto evitato di esprimersi sulla portata di tale norma rispetto agli obblighi in materia di diritti umani degli Stati parte della Convenzione. La Corte di Strasburgo ha però in alcune circostanze richiamato l’esistenza dell’art. 103 per affermare una sorta di supremazia del fine del mantenimento della pace e della sicurezza, cfr. Corte europea dei diritti umani, Stichting Mothers of Srebrenica et al. v. The Netherlands, ricorso n. 65542/12, 11 giugno 2013, e Behrami and Behrami v. France e Saramati v. France, Germany and Norway, ricorso n. 71412/01 and 78166/01, 2 maggio 2007, par. 148. A livello interno, l’applicazione dell’art. 103, come norma che sancisce la prevalenza degli obblighi della Carta ONU, è stata invece prospettata in più di un’occasione, cfr. Youssef Nada v. State Secretariat for Economic Affairs and Federal Department of Economic Affairs, Administrative Appeal Judgment, 14 novembre 2007, BGE 133 II 450, 1A 45/2007 e Association Mothers of Srebrenica et al. v. The United Nations, The State of the Netherlands intervening, Netherlands Supreme Court, 13 aprile 2012, par. 4.3.6.
  22. Così, criticamente, L. Gradoni, Il lato oscuro dell’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite, in M. Meccarelli, P. Palchetti e C. Sotis (a cura di), Le regole dell’eccezione. Un dialogo interdisciplinare a partire dalla questione del terrorismo, Macerata, Università, 2011, p. 268.
  23. Si veda l’atteggiamento critico su questa concezione di P. De Sena, Sanzioni individuali del Consiglio di sicurezza, art. 103 della Carta delle Nazioni Unite e rapporti fra sistemi normativi, in F. Salerno (a cura di), Sanzioni «individuali» del Consiglio di sicurezza e garanzie processuali fondamentali, Padova, CEDAM, 2010, pp. 45 ss.
  24. Cfr. C. Chinkin, Jus Cogens, Article 103 of the UN Charter and Other Hierarchical Techniques of Conflict Solution, in «Finnish yearbook of International Law», 2006, pp. 63 ss. Sottolinea questo pericolo anche Kolb, L’article 103 de la Charte des Nations Unies, cit., pp. 249 ss.
  25. Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia, Prosecutor v. Tadić, Decision on the Defence Motion on Jurisdiction, Trial Chamber, IT-94-1-T,10 agosto 1995, par. 5.
  26. Ibidem.
  27. Ad avviso della camera d’appello, in sostanza, «the first obligation of the Court as of any other judicial body is to ascertain its own competence» (ibidem). Per quanto la giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia relativa al sindacato di validità delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza non sia sempre di agevole interpretazione e conduca talvolta a risultati incerti, sembrano andare in questa direzione alcune parole pronunciate dalla stessa Corte nel parere consultivo sulle Conseguenze giuridiche per gli Stati della continua presenza dell’Africa del Sud in Namibia (Sud-Ovest africano), nonostante la risoluzione 276 (1970), parere del 21 giugno 1971, in «ICJ Reports», 1971, p. 45: «the Court does not possess powers of judicial review or appeal in respect of the decisions taken by the United Nations organs concerned. The question of the validity or conformity with the Charter of General Assembly resolution 2145 (XXI) or of related Security Council resolutions does not form the subject of the request for advisory opinion. However, in the exercise of its judicial function and since objections have been advanced the Court, in the course of its reasoning, will consider these objections before determining any legal consequences arising from those resolutions». La bibliografia sulle relazioni tra Consiglio di sicurezza e Corte internazionale di giustizia è sterminata, ma si possono richiamare almeno L. Condorelli, La Corte internazionale di giustizia e gli organi politici delle Nazioni Unite, in «Rivista di diritto internazionale», 1994, pp. 897-921 e M.I. Papa, I rapporti tra Corte internazionale di giustizia e Consiglio di sicurezza, Padova, CEDAM, 2006.
  28. Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia, Prosecutor v. Tadić, Decision on the Defence Motion for Interlocutory Appeal on Jurisdiction, Camera d’Appello, IT-91-1-AR72, 2 ottobre 1995, par. 12.
  29. Si tratta di una prerogativa inerente e intrinseca alla stessa funzione giudiziaria che, in principio, «does not need to be expressly provided for in the constitutive documents», cfr. Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia, Prosecutor v. Tadić, Decision on the Defence Motion for Interlocutory Appeal on Jurisdiction, Camera d’Appello, IT- 94-1-AR72, 2 October 1995, par. 18. All’interno dello Statuto di Roma vi sono peraltro almeno due disposizioni che sembrano esplicitare tale principio: l’art. 19 dispone che la Corte «shall satisfy itself that it has jurisdiction in any case brought before it», e una delle clausole finali, l’art. 119, prevede, in termini più generali, che «[a]ny dispute concerning the judicial functions of the Court shall be settled by the decision of the Court». Il primo a definire il concetto qui richiamato, anche se nel diverso contesto del riparto di competenze tra Stati e Bund, è stato H. Böhlau, Competenz-Competenz? Erläuterungen zu Artikel 78 der Verfassung des Norddeutschen Reichs, Leipzig, De Gruyter, 1869, p. 2. Sul principio, in relazione invece ai tribunali internazionali, si vedano, tra i tanti, C.R.F. Amerasinghe, Jurisdiction of International Tribunals, The Hague-London-New York, Brill, 2003; U.M. Iaccarino, Della c.d. competenza della competenza dei tribunali internazionali, Napoli, Morani, 1962; F.I. Shihata, The power of the International Court to determine its own jurisdiction, The Hague, Springer, 1965; L. Boisson de Chazournes, The Principle of Compétence de la Compétence in International Adjudication and its Role in an Era of Multiplication of Courts and Tribunals, in M.H. Arsanjani, J.K. Cogan e S. Weissner (a cura di), Looking to the Future: Essays on International Law in Honor of W. Michael Reisman, Leiden, Martinus Nijhoff , 2010, pp. 1027-1064.
  30. J.E. Alvarez, Nuremberg Revisited: The Tadić Case, in «European Journal of International Law», 1996, p. 247. Per una interessante critica ad alcuni aspetti delle conclusioni raggiunte nelle due decisioni, si veda Id., The Likely Legacies of Tadić, in «ILSA Journal of International and Comparative Law», 1997, pp. 613-620.
  31. R. Higgins, Policy Considerations and the International Judicial Process, in «The International and Comparative Law Quarterly», 1968, p. 80.
  32. D. Bowett, Judicial and Political Functions of the Security Council and the International Court of Justice, in H. Fox (a cura di), The Changing Constitution of the United Nations, 1973, p. 84. Una posizione simile è stata assunta anche dal giudice Lauterpacht, nella propria opinione separata annessa all’ordinanza della Corte internazionale di giustizia nel noto caso relativo alla Applicazione della Convenzione contro il genocidio (Bosnia-Erzegovina c. Iugoslavia). Pur riconoscendo l’esistenza di un potere di controllo di validità delle decisioni del Consiglio di sicurezza da parte della Corte internazionale di giustizia, Lauterpacht ha messo in rilievo che «there can be no less doubt that it does not embrace any right of the Court to substitute its discretion for that of the Security Council». Corte internazionale di giustizia, opinione separata del giudice Lauterpacht, Applicazione della Convenzione contro il genocidio (Bosnia-Erzegovina c. Jugoslavia), ordinanza del 13 settembre 1993, in «ICJ Reports», 1993, p. 439, par. 99.
  33. Alla luce del ragionamento compiuto dalla Corte Suprema americana nella storica decisione Marbury v. Madison, evitare che gli organi giudiziari invadano la sfera della discrezionalità politica sarebbe proprio il principio cardine della separazione dei poteri, cfr. Marbury vs. Madison, in Reports of decision in Supreme Court, t. I. Alla sentenza, tradizionalmente, viene attribuito l’importante merito di aver introdotto il sindacato di costituzionalità negli Stati Uniti. Sulla teoria della political question, si può vedere, in generale, T. Franck, Political Questions/Judicial Answers, Princeton, Princeton University Press, 1992. Naturalmente anche le Corti costituzionali degli ordinamenti europei continentali si sono dovute confrontare con la teoria della political question. Il ruolo assegnato alle Corti costituzionali in questi sistemi è, come è noto, quello di valutare se le scelte legislative siano compatibili con i parametri della Costituzione, un’operazione piuttosto complessa di fronte a carte costituzionali che individuano più che altro elenchi di diritti fondamentali da tutelare (che possono porsi in contrasto tra loro) e obiettivi programmatici. Anche al giudice delle leggi, il principio della separazione dei poteri può quindi imporre di sottrarsi da un sindacato nei confronti di quegli aspetti della questione sottoposta che presuppongono una certa discrezionalità degli organi politici. Al riguardo, può qui solo essere richiamato lo storico confronto su chi debba essere il vero custode della costituzione tra Hans Kelsen (H. Kelsen, Wer soll der Hüter der Verfassung sein?, in Die Justiz, 1930/1931, pp. 576-628; trad. it. H. Kelsen, La giustizia costituzionale, a cura di C. Geraci, Milano, Giuffrè, 1981, pp. 229-291) e Carl Schmitt (C. Schmitt, Der Hüter der Verfassung, in Archiv des öffentlichen Rechts, 1929, pp. 161-237; trad. it. Il custode della Costituzione, Milano, Giuffrè, 1981). Su alcuni dei problemi accennati, si può vedere, tra i tanti, A. Ruggeri, Materiali per uno studio dei limiti al sindacato si costituzionalità delle leggi (introduzione a una teoria giuridica della funzione giurisprudenziale consequenziale), in «Giurisprudenza costituzionale», 1985, pp. 355 ss.
  34. Cfr. M. Arcari, Coordinamento e concorrenza tra organi politici delle organizzazioni internazionali e istanze giurisdizionali internazionali, in M. Vellano (a cura di), Il futuro delle Organizzazioni internazionali. Prospettive giuridiche, Napoli, SIDI - Società italiana di diritto internazionale, 2015, in particolare pp. 159-163.
  35. Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia, Prosecutor v. Tadić, Decision on the Defence Motion for Interlocutory Appeal on Jurisdiction, Camera d’Appello, IT- 94-1-AR72, 2 October 1995.
  36. Ibidem, parr. 20-21.
  37. Tribunale speciale per il Libano, Decision on the Defence Appeals Against the Trial Chambers «Decision on the Defence Challenges to the Jurisdiction and Legality of the Tribunal», Camera d’Appello, STL1101/PT/AC/AR90.1, 24 ottobre 2012, par. 35.
  38. Ibidem.
  39. Ibidem, par. 52. Anche in dottrina non mancano simili prese di posizione; vi è chi ha affermato, ad esempio, che il Consiglio di sicurezza «is not bound by any definition or formula as to what constitues a threat to or breach of the peace or act of aggression», cfr. T.D. Gill, Legal and Some Political Limitations on the Power of the U.N. Security Council to Exercise its Enforcement Powers Under Chapter VII of the Charter, in «Netherlands Yearbook of International Law», 1995, p. 40. Già Kelsen, del resto, sosteneva, in termini più generali, che le risoluzioni del Consiglio, adottate sulla base del capitolo VII della Carta, non sono necessariamente vincolate al rispetto del diritto internazionale, dal momento che «the purpose of the enforcement action under Article 39 is not to maintain or restore the law, but to maintain or restore peace, which is not necessarily identical with the law», (H. Kelsen, The Law of the United Nations: A Critical Analysis of Its Fundamental Problems, London, Lawbook Exchange, 1951, p. 294). In questo stesso senso possono essere lette anche alcune osservazioni di R. Higgins, The Place of International Law in the Settlement of Disputes by the Security Council, in «American Journal of International Law», 1970, in particolare pp. 15-18.
  40. Si vedano le riflessioni in tal senso compiute da M. Buscemi, The non-justiciability of third-party claims before UN internal dispute settlement mechanisms. The «politicization» of (financially) burdensome questions, in «QIL-Questions of International Law», 2020, pp. 23-49.
  41. Cfr. Yassin Abdullah Kadi e Al Barakaat Internationl Foundation c. Consiglio e Commissione, cause riunite C-402/05 e C-415/05 P, sentenza del 3 settembre 2008, par. 326. Nonostante la difficoltà di ricostruire una chiara linea argomentativa seguita dalla Corte, già nei primi commenti alla sentenza si accennava alla «impressione di discontinuità fra ordinamento comunitario e diritto internazionale che emerge dalla sentenza», cfr. E. Cannizzaro, Sugli effetti delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza nell’ordinamento comunitario: la sentenza della Corte di giustizia nel caso Kadi, in «Rivista di diritto internazionale», 2008, p. 1078.
  42. Corte europea dei diritti umani, Nada c. Svizzera, ric. n. 10593/08, 12 settembre 2012.
  43. Si può vedere a riguardo E. De Wet, From Kadi to Nada: Judicial Techniques Favouring Human Rights over United Nations Security Council Sanctions, in «Chinese Journal of International Law», 2013, pp. 787-807 e volendo anche A. Bufalini e P. Palchetti, Potere, sicurezza e diritti dei terroristi (o presunti tali), in A. Ballarini, Prometeo. Studi su eguaglianza, democrazia, laicità, Torino, Giappichelli, 2015, pp. 155-169.
  44. Tribunale speciale per il Libano, Decision on the Defence Appeals Against the Trial Chambers, cit., par. 48.
  45. Ibidem, richiamando l’opinione separata del giudice Giorgio Malinverni nel caso Nada c. Svizzera, cit., par. 15.
  46. In questa direzione, con un una particolare attenzione al caso Al-Dulimi (Corte europea dei diritti umani [Grande Camera], Al-Dulimi and Montana Management Inc. c. Svizzera, ric. n. 5809/08, 21 giugno 2016) e alla nota sentenza n. 238/2014 della Corte costituzionale italiana, le riflessioni di G. Palombella, Theory, Realities, and Promises of Interlegality: A Manifesto, in J. Klabbers e G. Palombella (a cura di), The Challenge of Inter-legality, Cambridge, Cambridge University Press, 2019, in particolare pp. 386-390.
  47. È il caso delle primissime risoluzioni adottate dal Consiglio di sicurezza nei primi anni di vita del tribunale (risoluzioni 1422[2002] e 1487[2003]). La totale assenza del presupposto materiale alla base delle richieste sospensive del Consiglio in queste ipotesi può far ritenere che ci si trovi qui di fronte a decisioni dal carattere arbitrario e che nulla hanno a che fare con gli scopi delle Nazioni Unite. Tra le tantissime ricostruzioni critiche di questa prassi del Consiglio, si vedano M. Arcari, La risoluzione 1422 (2002) relativa ai rapporti tra Corte penale internazionale e forze di peacekeeping, in «Rivista di diritto internazionale», 2003, pp. 723-731; C. Stahn, The Ambiguities of Security Council Resolution 1422, in «European Journal of International Law», 2003, pp. 85-104; R. Cryer e N.D. White, The ICC and the Security Council: An Uncomfortable Relationship, in J. Doria, H-P. Gasser e M.C. Bassiouni (a cura di), The Legal Regime of the International Criminal Court: Essays in Honour of Professor Igor Blishchenko, Leiden, Martinus Nijhoff, 2009, pp. 455-484.