L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c18
Se è vero che, come ribadito anche
dall’accordo di relazione tra le due organizzazioni internazionali del 2004
[18]
, la Corte penale internazionale, come ogni altro soggetto dell’ordinamento,
è tenuta a rispettare i principi e le regole di natura consuetudinaria contenute nella
Carta delle Nazioni Unite, appare tuttavia più complicato far discendere dall’art. 103
un’automatica supremazia dell’azione del Consiglio sull’attività giurisdizionale della
Corte. Questi richiami all’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite, infatti, non
sembrano tenere in adeguata considerazione la lettera della disposizione e quella che ne
è stata fino ad oggi la concreta applicazione. Come già osservato in dottrina, infatti,
l’art. 103 «n’affirme nulle part que la Charte ou même que les obligations en vertu de
la Charte sont “supérieures” aux autres accords ou
¶{p. 507}à leurs obligations»
[19]
. Anche nella prassi, del resto, questa norma è stata in generale impiegata
per lo più per «donner une solution à des conflits concrets entre obligations»
[20]
. In altri termini, l’art. 103 non sarebbe volto a sancire la prevalenza
della Carta delle Nazioni Unite rispetto a qualsiasi altro trattato internazionale, ma
sarebbe più semplicemente una regola per la soluzione dei possibili conflitti tra
obblighi degli Stati. A differenza di quello che le ricostruzioni più sopra richiamate
suggeriscono, infatti, l’art. 103 sembra chiaramente diretto a determinare la prevalenza
per gli Stati, e non per tutti i soggetti dell’ordinamento internazionale, degli
obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite. Nonostante il carattere universale
di alcuni principi espressi nella Carta delle Nazioni Unite e l’impegno assunto dalla
stessa Corte a rispettarne il contenuto e le finalità, il tribunale non è assoggettato
ad una regola volta a disciplinare ipotesi di conflitti tra obblighi che possono
potenzialmente sorgere per gli Stati membri delle Nazioni Unite.
Anche nei rapporti qui in esame,
come spesso accaduto in altri contesti, l’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite viene
in sostanza interpretato in maniera estensiva, come meccanismo generale di coordinamento
intersistemico: invece di essere impiegato come norma di soluzione di conflitti
normativi tra obblighi statali confliggenti, viene invocato per sancire
l’inammissibilità di qualsiasi pretesa di controllo giurisdizionale sulle decisioni
politiche del Consiglio. Non è qui possibile ripercorrere le numerose interpretazioni
che sono state avanzate sul contenuto e la portata dell’art. 103, la cui applicazione
appare, alla luce della prassi, essere in costante evoluzione negli ultimi decenni
[21]
. Ciò che rileva ai ¶{p. 508}fini di un’analisi dei rapporti
tra Consiglio di sicurezza e Corte penale internazionale, è il fatto che, in molti casi,
l’art. 103 sembra essere stato invocato sul piano istituzionale «in quanto espressivo
della superiorità del sistema delle Nazioni Unite»
[22]
o della supremazia della sicurezza internazionale su ogni altro scopo dell’ordinamento
[23]
.¶{p. 509}
Siffatta concezione dell’art. 103
conduce a riconoscere al Consiglio una sorta di insindacabile autorità di imporre le
condotte che più ritiene opportune a tutti i soggetti dell’ordinamento internazionale,
incluse eventuali autorità giurisdizionali chiamate ad applicare le sue decisioni
[24]
. L’art. 103, in altre parole, può essere espressione di un modello che, per
quanto volto a mettere in connessione tra loro diversi sistemi normativi, finisce per
garantire di fatto una prevalenza alla discrezionalità politica del Consiglio, in quanto
portatore degli interessi collettivi consacrati nella Carta delle Nazioni Unite, su
qualsiasi forma di controllo giurisdizionale. Nei rapporti tra Corte penale
internazionale e Consiglio di sicurezza, questa prospettiva non fa altro che
assoggettare la funzione giudiziaria alle esigenze del mantenimento della pace ed
escludere qualsiasi possibilità di sindacato giurisdizionale sulle decisioni politiche
assunte dal Consiglio sulla base del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.
Insomma, la legalità sarebbe soltanto una, quella del Consiglio di sicurezza delle
Nazioni Unite.
3. Il principio «Kompetenz-Kompetenz», la teoria della «political question» e il problema delle legalità separate
Una volta scartata l’ipotesi di una
prevalenza gerarchica, e una conseguente sorta di immunità giurisdizionale delle
risoluzioni del Consiglio di sicurezza, si tratta di definire la natura e la portata del
sindacato di validità che la Corte può essere chiamata a svolgere.
In principio, si potrebbe sostenere
che la giurisdizione dei tribunali penali internazionali sia limitata all’accertamento
della responsabilità penale per la commissione di crimini
¶{p. 510}internazionali. Non si può escludere, tuttavia, che queste
stesse giurisdizioni siano chiamate in talune circostanze a pronunciarsi anche su
questioni che non attengono direttamente alla attribuzione di responsabilità
individuali. In particolare, è possibile che i tribunali penali internazionali, così
come qualsiasi altro organo giudiziario, si trovino a dover risolvere una serie di
questioni preliminari per determinare l’ambito della propria competenza giurisdizionale;
tra tali questioni è spesso rientrata anche quella relativa alla validità delle
risoluzioni del Consiglio di sicurezza.
Il problema del sindacato
giurisdizionale delle decisioni del Consiglio di sicurezza si è infatti posto in più di
un’occasione nel corso degli ultimi decenni di fronte a diversi tribunali penali
internazionali. Com’è noto, il Tribunale per la ex Iugoslavia si è ad esempio domandato
se la creazione di un tribunale penale internazionale da parte del Consiglio di
sicurezza può essere considerata una misura conforme alla Carta delle Nazioni Unite ai
fini del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Quel Tribunale si è
quindi trovato a dover decidere se e come esercitare un controllo di validità sulle
risoluzioni del Consiglio di sicurezza che ne hanno disposto l’istituzione.
Le diverse risposte fornite nella
giurisprudenza dei tribunali penali internazionali rivelano il carattere non pacifico
della questione. In un primo momento, la camera di prima istanza del Tribunale per la ex
Iugoslavia, nel caso Tadić, aveva sottolineato di non potersi
considerare «a constitutional court set up to scrutinize the actions of organs of the
United Nations»
[25]
. Più nello specifico, ad avviso del tribunale di primo grado, il giudice
penale ha una serie di «clearly defined powers», che concernono «a quite specific and
limited criminal jurisdiction»: il tribunale non avrebbe quindi alcuna autorità «to
investigate the legality of its creation by the Security Council»
[26]
.¶{p. 511}
Nello stesso caso
Tadić, la camera d’appello del Tribunale per la ex Iugoslavia
ha però accolto una posizione in qualche modo opposta e destinata a segnare la futura
giurisprudenza in materia. I giudici di secondo grado, infatti, hanno messo in evidenza
che l’ordinamento internazionale non è composto da un «integrated judicial system» e che
spetta a ciascun tribunale il compito di determinare il contenuto del proprio atto
istitutivo e definire il perimetro del proprio potere giurisdizionale
[27]
. Nelle parole dei giudici del Tribunale per la ex Iugoslavia, infatti, «the
plea based on the invalidity of constitution of the International Tribunal goes to the
very essence of jurisdiction»
[28]
. Per questa ragione, la camera d’appello ritiene di dover esaminare, in via
incidentale, «the legality of its establishment by the Security
Council».
¶{p. 512}
Note
[18] Negotiated Relationship Agreement between the International Criminal Court and the United Nations, 22 luglio 2004, ICC-ASP/3/Res.1.
[19] R. Kolb, L’article 103 de la Charte des Nations Unies, in «Recueil des Cours de l’Académie de Droit International», 2014, p. 242.
[20] Ibidem.
[21] Alcuni di questi problemi interpretativi sono illustrati da J-M. Thouvenin, Article 103, in J-P. Cot, A. Pellet e M. Forteau, La Charte des Nations Unies, Paris, Economica, 2005, pp. 2133-2147. Sono molti, in dottrina, a far discendere il carattere costituzionale della Carta proprio dall’art. 103, considerato un «constitutional principle of the international community», cfr. C. Tomuschat, International Law as a Coherent System: Unity or Fragmentation?, in M.H. Arsanjani, J. Cogan, R. Sloane e S. Wiessner, Looking to the Future: Essays on International Law in Honor of W. Michael Reisman, The Hague, Brill, 2011, p. 337. Come è noto, il primato delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza su altri obblighi internazionali è stato garantito attraverso un richiamo a tale disposizione in diverse occasioni dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea. Si vedano le note decisioni del 21 settembre 2005, causa T-306/01, Yusuf e Al Barakaat International Foundation c. Consiglio e Commissione (Raccolta, 2005, pp. II – 3533) e T-315/01, Kadi c. Consiglio e Commissione (Raccolta, 2005, pp. II – 3649), oggetto, peraltro, di numerose critiche. Cfr., ad esempio, E. Cannizzaro, A Machiavellian Moment? The UN Security Council and the Rule of Law, in «International Organizations Law Review», 2006, pp. 189 ss. e B. Conforti, Decisioni del Consiglio di sicurezza e diritti fondamentali in una bizzarra sentenza del Tribunale comunitario di primo grado, in Diritto dell’Unione Europea, 2006, pp. 333 ss. La Corte europea dei diritti umani, invece, non ha mai direttamente applicato l’art. 103 e ha sempre di fatto evitato di esprimersi sulla portata di tale norma rispetto agli obblighi in materia di diritti umani degli Stati parte della Convenzione. La Corte di Strasburgo ha però in alcune circostanze richiamato l’esistenza dell’art. 103 per affermare una sorta di supremazia del fine del mantenimento della pace e della sicurezza, cfr. Corte europea dei diritti umani, Stichting Mothers of Srebrenica et al. v. The Netherlands, ricorso n. 65542/12, 11 giugno 2013, e Behrami and Behrami v. France e Saramati v. France, Germany and Norway, ricorso n. 71412/01 and 78166/01, 2 maggio 2007, par. 148. A livello interno, l’applicazione dell’art. 103, come norma che sancisce la prevalenza degli obblighi della Carta ONU, è stata invece prospettata in più di un’occasione, cfr. Youssef Nada v. State Secretariat for Economic Affairs and Federal Department of Economic Affairs, Administrative Appeal Judgment, 14 novembre 2007, BGE 133 II 450, 1A 45/2007 e Association Mothers of Srebrenica et al. v. The United Nations, The State of the Netherlands intervening, Netherlands Supreme Court, 13 aprile 2012, par. 4.3.6.
[22] Così, criticamente, L. Gradoni, Il lato oscuro dell’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite, in M. Meccarelli, P. Palchetti e C. Sotis (a cura di), Le regole dell’eccezione. Un dialogo interdisciplinare a partire dalla questione del terrorismo, Macerata, Università, 2011, p. 268.
[23] Si veda l’atteggiamento critico su questa concezione di P. De Sena, Sanzioni individuali del Consiglio di sicurezza, art. 103 della Carta delle Nazioni Unite e rapporti fra sistemi normativi, in F. Salerno (a cura di), Sanzioni «individuali» del Consiglio di sicurezza e garanzie processuali fondamentali, Padova, CEDAM, 2010, pp. 45 ss.
[24] Cfr. C. Chinkin, Jus Cogens, Article 103 of the UN Charter and Other Hierarchical Techniques of Conflict Solution, in «Finnish yearbook of International Law», 2006, pp. 63 ss. Sottolinea questo pericolo anche Kolb, L’article 103 de la Charte des Nations Unies, cit., pp. 249 ss.
[25] Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia, Prosecutor v. Tadić, Decision on the Defence Motion on Jurisdiction, Trial Chamber, IT-94-1-T,10 agosto 1995, par. 5.
[26] Ibidem.
[27] Ad avviso della camera d’appello, in sostanza, «the first obligation of the Court as of any other judicial body is to ascertain its own competence» (ibidem). Per quanto la giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia relativa al sindacato di validità delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza non sia sempre di agevole interpretazione e conduca talvolta a risultati incerti, sembrano andare in questa direzione alcune parole pronunciate dalla stessa Corte nel parere consultivo sulle Conseguenze giuridiche per gli Stati della continua presenza dell’Africa del Sud in Namibia (Sud-Ovest africano), nonostante la risoluzione 276 (1970), parere del 21 giugno 1971, in «ICJ Reports», 1971, p. 45: «the Court does not possess powers of judicial review or appeal in respect of the decisions taken by the United Nations organs concerned. The question of the validity or conformity with the Charter of General Assembly resolution 2145 (XXI) or of related Security Council resolutions does not form the subject of the request for advisory opinion. However, in the exercise of its judicial function and since objections have been advanced the Court, in the course of its reasoning, will consider these objections before determining any legal consequences arising from those resolutions». La bibliografia sulle relazioni tra Consiglio di sicurezza e Corte internazionale di giustizia è sterminata, ma si possono richiamare almeno L. Condorelli, La Corte internazionale di giustizia e gli organi politici delle Nazioni Unite, in «Rivista di diritto internazionale», 1994, pp. 897-921 e M.I. Papa, I rapporti tra Corte internazionale di giustizia e Consiglio di sicurezza, Padova, CEDAM, 2006.
[28] Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia, Prosecutor v. Tadić, Decision on the Defence Motion for Interlocutory Appeal on Jurisdiction, Camera d’Appello, IT-91-1-AR72, 2 ottobre 1995, par. 12.