Edoardo Chiti, Alberto di Martino, Gianluigi Palombella (a cura di)
L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c18
Se è vero che, come ribadito anche dall’accordo di relazione tra le due organizzazioni internazionali del 2004 [18]
, la Corte penale internazionale, come ogni altro soggetto dell’ordinamento, è tenuta a rispettare i principi e le regole di natura consuetudinaria contenute nella Carta delle Nazioni Unite, appare tuttavia più complicato far discendere dall’art. 103 un’automatica supremazia dell’azione del Consiglio sull’attività giurisdizionale della Corte. Questi richiami all’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite, infatti, non sembrano tenere in adeguata considerazione la lettera della disposizione e quella che ne è stata fino ad oggi la concreta applicazione. Come già osservato in dottrina, infatti, l’art. 103 «n’affirme nulle part que la Charte ou même que les obligations en vertu de la Charte sont “supérieures” aux autres accords ou
{p. 507}à leurs obligations» [19]
. Anche nella prassi, del resto, questa norma è stata in generale impiegata per lo più per «donner une solution à des conflits concrets entre obligations» [20]
. In altri termini, l’art. 103 non sarebbe volto a sancire la prevalenza della Carta delle Nazioni Unite rispetto a qualsiasi altro trattato internazionale, ma sarebbe più semplicemente una regola per la soluzione dei possibili conflitti tra obblighi degli Stati. A differenza di quello che le ricostruzioni più sopra richiamate suggeriscono, infatti, l’art. 103 sembra chiaramente diretto a determinare la prevalenza per gli Stati, e non per tutti i soggetti dell’ordinamento internazionale, degli obblighi derivanti dalla Carta delle Nazioni Unite. Nonostante il carattere universale di alcuni principi espressi nella Carta delle Nazioni Unite e l’impegno assunto dalla stessa Corte a rispettarne il contenuto e le finalità, il tribunale non è assoggettato ad una regola volta a disciplinare ipotesi di conflitti tra obblighi che possono potenzialmente sorgere per gli Stati membri delle Nazioni Unite.
Anche nei rapporti qui in esame, come spesso accaduto in altri contesti, l’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite viene in sostanza interpretato in maniera estensiva, come meccanismo generale di coordinamento intersistemico: invece di essere impiegato come norma di soluzione di conflitti normativi tra obblighi statali confliggenti, viene invocato per sancire l’inammissibilità di qualsiasi pretesa di controllo giurisdizionale sulle decisioni politiche del Consiglio. Non è qui possibile ripercorrere le numerose interpretazioni che sono state avanzate sul contenuto e la portata dell’art. 103, la cui applicazione appare, alla luce della prassi, essere in costante evoluzione negli ultimi decenni [21]
. Ciò che rileva ai {p. 508}fini di un’analisi dei rapporti tra Consiglio di sicurezza e Corte penale internazionale, è il fatto che, in molti casi, l’art. 103 sembra essere stato invocato sul piano istituzionale «in quanto espressivo della superiorità del sistema delle Nazioni Unite» [22]
o della supremazia della sicurezza internazionale su ogni altro scopo dell’ordinamento [23]
.{p. 509}
Siffatta concezione dell’art. 103 conduce a riconoscere al Consiglio una sorta di insindacabile autorità di imporre le condotte che più ritiene opportune a tutti i soggetti dell’ordinamento internazionale, incluse eventuali autorità giurisdizionali chiamate ad applicare le sue decisioni [24]
. L’art. 103, in altre parole, può essere espressione di un modello che, per quanto volto a mettere in connessione tra loro diversi sistemi normativi, finisce per garantire di fatto una prevalenza alla discrezionalità politica del Consiglio, in quanto portatore degli interessi collettivi consacrati nella Carta delle Nazioni Unite, su qualsiasi forma di controllo giurisdizionale. Nei rapporti tra Corte penale internazionale e Consiglio di sicurezza, questa prospettiva non fa altro che assoggettare la funzione giudiziaria alle esigenze del mantenimento della pace ed escludere qualsiasi possibilità di sindacato giurisdizionale sulle decisioni politiche assunte dal Consiglio sulla base del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite. Insomma, la legalità sarebbe soltanto una, quella del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

3. Il principio «Kompetenz-Kompetenz», la teoria della «political question» e il problema delle legalità separate

Una volta scartata l’ipotesi di una prevalenza gerarchica, e una conseguente sorta di immunità giurisdizionale delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza, si tratta di definire la natura e la portata del sindacato di validità che la Corte può essere chiamata a svolgere.
In principio, si potrebbe sostenere che la giurisdizione dei tribunali penali internazionali sia limitata all’accertamento della responsabilità penale per la commissione di crimini {p. 510}internazionali. Non si può escludere, tuttavia, che queste stesse giurisdizioni siano chiamate in talune circostanze a pronunciarsi anche su questioni che non attengono direttamente alla attribuzione di responsabilità individuali. In particolare, è possibile che i tribunali penali internazionali, così come qualsiasi altro organo giudiziario, si trovino a dover risolvere una serie di questioni preliminari per determinare l’ambito della propria competenza giurisdizionale; tra tali questioni è spesso rientrata anche quella relativa alla validità delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza.
Il problema del sindacato giurisdizionale delle decisioni del Consiglio di sicurezza si è infatti posto in più di un’occasione nel corso degli ultimi decenni di fronte a diversi tribunali penali internazionali. Com’è noto, il Tribunale per la ex Iugoslavia si è ad esempio domandato se la creazione di un tribunale penale internazionale da parte del Consiglio di sicurezza può essere considerata una misura conforme alla Carta delle Nazioni Unite ai fini del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Quel Tribunale si è quindi trovato a dover decidere se e come esercitare un controllo di validità sulle risoluzioni del Consiglio di sicurezza che ne hanno disposto l’istituzione.
Le diverse risposte fornite nella giurisprudenza dei tribunali penali internazionali rivelano il carattere non pacifico della questione. In un primo momento, la camera di prima istanza del Tribunale per la ex Iugoslavia, nel caso Tadić, aveva sottolineato di non potersi considerare «a constitutional court set up to scrutinize the actions of organs of the United Nations» [25]
. Più nello specifico, ad avviso del tribunale di primo grado, il giudice penale ha una serie di «clearly defined powers», che concernono «a quite specific and limited criminal jurisdiction»: il tribunale non avrebbe quindi alcuna autorità «to investigate the legality of its creation by the Security Council» [26]
.{p. 511}
Nello stesso caso Tadić, la camera d’appello del Tribunale per la ex Iugoslavia ha però accolto una posizione in qualche modo opposta e destinata a segnare la futura giurisprudenza in materia. I giudici di secondo grado, infatti, hanno messo in evidenza che l’ordinamento internazionale non è composto da un «integrated judicial system» e che spetta a ciascun tribunale il compito di determinare il contenuto del proprio atto istitutivo e definire il perimetro del proprio potere giurisdizionale [27]
. Nelle parole dei giudici del Tribunale per la ex Iugoslavia, infatti, «the plea based on the invalidity of constitution of the International Tribunal goes to the very essence of jurisdiction» [28]
. Per questa ragione, la camera d’appello ritiene di dover esaminare, in via incidentale, «the legality of its establishment by the Security Council».
{p. 512}
Note
[18] Negotiated Relationship Agreement between the International Criminal Court and the United Nations, 22 luglio 2004, ICC-ASP/3/Res.1.
[19] R. Kolb, L’article 103 de la Charte des Nations Unies, in «Recueil des Cours de l’Académie de Droit International», 2014, p. 242.
[20] Ibidem.
[21] Alcuni di questi problemi interpretativi sono illustrati da J-M. Thouvenin, Article 103, in J-P. Cot, A. Pellet e M. Forteau, La Charte des Nations Unies, Paris, Economica, 2005, pp. 2133-2147. Sono molti, in dottrina, a far discendere il carattere costituzionale della Carta proprio dall’art. 103, considerato un «constitutional principle of the international community», cfr. C. Tomuschat, International Law as a Coherent System: Unity or Fragmentation?, in M.H. Arsanjani, J. Cogan, R. Sloane e S. Wiessner, Looking to the Future: Essays on International Law in Honor of W. Michael Reisman, The Hague, Brill, 2011, p. 337. Come è noto, il primato delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza su altri obblighi internazionali è stato garantito attraverso un richiamo a tale disposizione in diverse occasioni dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea. Si vedano le note decisioni del 21 settembre 2005, causa T-306/01, Yusuf e Al Barakaat International Foundation c. Consiglio e Commissione (Raccolta, 2005, pp. II – 3533) e T-315/01, Kadi c. Consiglio e Commissione (Raccolta, 2005, pp. II – 3649), oggetto, peraltro, di numerose critiche. Cfr., ad esempio, E. Cannizzaro, A Machiavellian Moment? The UN Security Council and the Rule of Law, in «International Organizations Law Review», 2006, pp. 189 ss. e B. Conforti, Decisioni del Consiglio di sicurezza e diritti fondamentali in una bizzarra sentenza del Tribunale comunitario di primo grado, in Diritto dell’Unione Europea, 2006, pp. 333 ss. La Corte europea dei diritti umani, invece, non ha mai direttamente applicato l’art. 103 e ha sempre di fatto evitato di esprimersi sulla portata di tale norma rispetto agli obblighi in materia di diritti umani degli Stati parte della Convenzione. La Corte di Strasburgo ha però in alcune circostanze richiamato l’esistenza dell’art. 103 per affermare una sorta di supremazia del fine del mantenimento della pace e della sicurezza, cfr. Corte europea dei diritti umani, Stichting Mothers of Srebrenica et al. v. The Netherlands, ricorso n. 65542/12, 11 giugno 2013, e Behrami and Behrami v. France e Saramati v. France, Germany and Norway, ricorso n. 71412/01 and 78166/01, 2 maggio 2007, par. 148. A livello interno, l’applicazione dell’art. 103, come norma che sancisce la prevalenza degli obblighi della Carta ONU, è stata invece prospettata in più di un’occasione, cfr. Youssef Nada v. State Secretariat for Economic Affairs and Federal Department of Economic Affairs, Administrative Appeal Judgment, 14 novembre 2007, BGE 133 II 450, 1A 45/2007 e Association Mothers of Srebrenica et al. v. The United Nations, The State of the Netherlands intervening, Netherlands Supreme Court, 13 aprile 2012, par. 4.3.6.
[22] Così, criticamente, L. Gradoni, Il lato oscuro dell’art. 103 della Carta delle Nazioni Unite, in M. Meccarelli, P. Palchetti e C. Sotis (a cura di), Le regole dell’eccezione. Un dialogo interdisciplinare a partire dalla questione del terrorismo, Macerata, Università, 2011, p. 268.
[23] Si veda l’atteggiamento critico su questa concezione di P. De Sena, Sanzioni individuali del Consiglio di sicurezza, art. 103 della Carta delle Nazioni Unite e rapporti fra sistemi normativi, in F. Salerno (a cura di), Sanzioni «individuali» del Consiglio di sicurezza e garanzie processuali fondamentali, Padova, CEDAM, 2010, pp. 45 ss.
[24] Cfr. C. Chinkin, Jus Cogens, Article 103 of the UN Charter and Other Hierarchical Techniques of Conflict Solution, in «Finnish yearbook of International Law», 2006, pp. 63 ss. Sottolinea questo pericolo anche Kolb, L’article 103 de la Charte des Nations Unies, cit., pp. 249 ss.
[25] Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia, Prosecutor v. Tadić, Decision on the Defence Motion on Jurisdiction, Trial Chamber, IT-94-1-T,10 agosto 1995, par. 5.
[26] Ibidem.
[27] Ad avviso della camera d’appello, in sostanza, «the first obligation of the Court as of any other judicial body is to ascertain its own competence» (ibidem). Per quanto la giurisprudenza della Corte internazionale di giustizia relativa al sindacato di validità delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza non sia sempre di agevole interpretazione e conduca talvolta a risultati incerti, sembrano andare in questa direzione alcune parole pronunciate dalla stessa Corte nel parere consultivo sulle Conseguenze giuridiche per gli Stati della continua presenza dell’Africa del Sud in Namibia (Sud-Ovest africano), nonostante la risoluzione 276 (1970), parere del 21 giugno 1971, in «ICJ Reports», 1971, p. 45: «the Court does not possess powers of judicial review or appeal in respect of the decisions taken by the United Nations organs concerned. The question of the validity or conformity with the Charter of General Assembly resolution 2145 (XXI) or of related Security Council resolutions does not form the subject of the request for advisory opinion. However, in the exercise of its judicial function and since objections have been advanced the Court, in the course of its reasoning, will consider these objections before determining any legal consequences arising from those resolutions». La bibliografia sulle relazioni tra Consiglio di sicurezza e Corte internazionale di giustizia è sterminata, ma si possono richiamare almeno L. Condorelli, La Corte internazionale di giustizia e gli organi politici delle Nazioni Unite, in «Rivista di diritto internazionale», 1994, pp. 897-921 e M.I. Papa, I rapporti tra Corte internazionale di giustizia e Consiglio di sicurezza, Padova, CEDAM, 2006.
[28] Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia, Prosecutor v. Tadić, Decision on the Defence Motion for Interlocutory Appeal on Jurisdiction, Camera d’Appello, IT-91-1-AR72, 2 ottobre 1995, par. 12.