Note
  1. Tribe e Matz evidenziano il radicamento dell’istituto dell’habeas corpus nella forma di Stato nordamericana, spendendo il riferimento di tale garanzia quale presidio contro il «tyrannical imprisonment» [2014, 195]. Sull’evoluzione storica del sistema nella cultura anglo-americana, cfr., tra gli altri, Halliday [2010].
  2. La citazione è tratta da Modugno [1995].
  3. Di recente, in Italia, si segnala lo studio monografico di Perchinunno [2020] che, pur spingendosi a toccare i profili di attualità – e segnatamente l’emergenza sanitaria da COVID-19 – non si prefigge di affrontare tutti i profili di evoluzione della libertà in parola che si esamineranno in questo contributo.
  4. Cfr., in particolare, Amato [1967]; Barbera [1967]; Chiavario e Elia [1977]; Politi [2000]; Ferrante [2012].
  5. Già Bauman [1999] rilevava come tra le grandi paure del secolo vi fosse quella del Panopticon, di un penetrante sguardo sulla corporeità del singolo che ne lasciava intuire e preconizzare la fragilità, contro misure invasive surrettizie che, da quell’osservare costante e sbilanciato in termini di potere, trova ragioni di inquietudine e insicurezza assai significative.
  6. In merito, valgono le considerazioni svolte nel dibattito che vede protagonista la dottrina penalistica, da Pelissero [2008].
  7. Nella cultura anglosassone è ben illustrato da Munro [2002] che individua la radice cognitiva generale di questo modo di intendere le libertà in senso negativo, cioè come residuali «in so far as legal limitations did not impinge on them». È evidente la derivazione di questa impostazione dal principio generale alla base del liberalismo anglosassone «whatever is not unlawful might lawfully be done». Sul problema di metodo, in Italia, v. Amato [1977].
  8. Sul punto, se si vuole, cfr. Pace e Piccione [2006].
  9. Il nomen juris di tale istituzione di garanzia è poi mutato in quello di Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale.
  10. Sia concesso rinviare in questa prospettiva, agli spunti delineati in Piccione [2019a].
  11. Si veda, da ultimo, Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale [2023].
  12. Ripropone il problema analiticamente Cerri [1995].
  13. Cfr. ad esempio Cassese [1994], che definisce le libertà civili «gli spazi liberi che ogni Governo deve garantire ai cittadini, non interferendo nella loro sfera privata». Nell’elenco offerto dall’A. è inserito anche il diritto a non subire provvedimenti arbitrari da parte delle autorità pubbliche. Abbracciando tale ottica, la struttura della libertà personale, tenderebbe per sua natura a configurarsi come perimetro difensivo – ma pur sempre a contenuto indeterminato – contro le misure invasive illegittime improntate all’istituto dell’arresto e dell’incarcerazione.
  14. Quanto sia debitrice la cultura anglosassone dell’idea dell’individuazione del concetto di libertà, attraverso gli atti che la limitano, traspare anche dalla netta affermazione contenuta in una pronuncia, non a caso con parte il Regno Unito, secondo cui: «protection from arbitrary interference by the state with an individual’s liberty is a fundamental human right and as such is protected by art. 5 of the ECHR». Così Brogan vs United Kingdom, 1989, 11 EHHR, 117, 134.
  15. Per una reinterpretazione del distico «libertà positiva» e «libertà negativa», cfr. Veca [2019], secondo il quale la distinzione resta descrittiva a seconda del tipo di arena di cui si tratta: «può trattarsi dell’arena in cui siamo liberi da interferenze o vincoli, quali che siano, e allora saremo negativamente liberi. Se viceversa l’arena è quella in cui siamo liberi di interferire o vincolare, allora saremo positivamente liberi».
  16. Cfr. Berlin [1959].
  17. Cfr. ultra, paragrafo successivo.
  18. In tal senso Pace[1992].
  19. Sul punto, è di non trascurabile importanza Corte costituzionale, sent. n. 127 del 2022, la quale, nello statuire che la quarantena domiciliare conseguente alla constatazione di positività al COVID-19 non integra incisione della libertà personale, offre al contempo l’opportunità di passare in rassegna l’intero sistema di orientamenti ricostruttivi, intessuto dalla giurisprudenza costituzionale nel corso di un cinquantennio.
  20. Lo rileva la stessa Corte costituzionale, nella sent. n. 27 del 1959, in Giur. Cost. 1959, secondo cui la discrezionalità del legislatore nel prevedere le fattispecie in astratto privative o limitative della libertà personale non è piena, giacché resta in mano alla stessa Corte costituzionale di sindacare quelle circostanze in cui «nel disporre limitazioni dei diritti di libertà, incorra in una qualsiasi violazione delle norme della Costituzione». Come pure, rientra nell’area dei limiti del diritto di libertà in commento, l’enucleazione dei casi in cui il modulo procedimentale si sposta verso la procedura eccezionale di cui al terzo comma dell’articolo 13 Cost.
    Infatti, come emerge con chiarezza da Corte costituzionale, sent. n. 223 del 2004, spetta sempre alla Corte costituzionale, il controllo sul corretto bilanciamento tra il conferire poteri eccezionali all’autorità di pubblica sicurezza e «la tutela di esigenze previste dalla Costituzione, tra cui in primo luogo quelle connesse al perseguimento delle finalità del processo penale, tali da giustificare, nel bilanciamento tra interessi meritevoli di tutela, il temporaneo sacrificio della libertà personale, in attesa dell’intervento dell’autorità giudiziaria».
  21. Così, tra le altre, Corte costituzionale, sent. n. 15 del 1982.
  22. Così la seminale Corte costituzionale, sent. n. 30 del 1962, in cui viene esplicitamente enucleata la c.d. «libertà morale». Sul punto, si tornerà con particolare riferimento alla struttura di questo diritto in riguardo alle persone con disabilità.
  23. Peraltro, i sistemi di ponderazione dell’afflittività e del grado di invadenza di ciascuna misura, per verificare se sussistano gli estremi di una limitazione della libertà personale, e quindi si ponga la necessità del rispetto stretto delle garanzie di cui all’articolo 13 Cost., resta una tecnica decisoria assai spesso impiegata anche da parte della Corte Suprema statunitense. Cfr., infatti, 133 Supreme Court 1958 (2013), Maryland vs King, in cui si rinviene l’impiego del reasonableness test, per decidere della legittimità costituzionale del prelievo di campioni di DNA sul soggetto in stato di fermo sulla base di indizi di colpevolezza, per poter procedere alla sua identificazione. La maggioranza dei giudici incentra la tecnica decisoria sulla necessità di bilanciare il significant government interest, con il diritto alla privacy. Non stupisce, dunque, che lungo la traiettoria argomentativa seguita dalla Corte Suprema si trovi un’analitica disamina degli indici di invasività della misura: viene così in rilievo il luogo ove si deve provvedere al prelievo del campione (che nel caso di specie era stata la stessa stazione di polizia ove era stato effettuato il fermo del sospettato); del pari, la sentenza trova rilevante soffermarsi sulla natura medico-clinica necessaria al prelievo di DNA, qualificandola come non di natura chirurgica e comunque poco invasiva, tanto da essere accomunabile al prelievo di impronte digitali. Vale ribadire come la dissenting opinion muova dalla constatazione, solo apparentemente banale, per cui il IV Emendamento postula una specifica autorizzazione da parte del giudice, per provvedere a un’ispezione corporale, a nulla valendo discernere sul grado di incisività della singola misura, per provare ad argomentarne una sorta di assorbimento nell’autorizzazione al fermo che sta alla base di una sequela concatenata di provvedimenti incidenti sull’integrità della persona.
  24. Ma il discorso vale, ovviamente, anche per l’intero ordine giudiziario, giacché in tale materia l’ordinanza con cui si solleva la questione incidente di costituzionalità diviene uno strumento con cui interrogare la Corte costituzionale, dando impulso attivo e continuo alla costruzione definitoria della libertà personale.
  25. Con il termine anglosassone, si intende il palpeggiamento a fini di perquisizione. L’istituto fu sottoposto a scrutinio di costituzionalità con la pronuncia Corte cost., sent. 27 gennaio 1972, n. 13.
  26. Se si ritiene, si veda ancora, sul punto, Pace e Piccione [2006].
  27. Inizialmente, furono sottratti al garantista principio costituzionale della riserva di giurisdizione proprio gli atti coercitivi di natura istantanea, da Corte cost., sent. 27 gennaio 1972, n. 13.
    Si trattava di una sentenza assai deludente, già nel contesto culturale di un tempo tanto lontano, e che finiva per salvare misure di carattere certamente coercitivo e privativo della libertà personale, mediante l’affermazione, assai pericolosa.
    La tesi dalla Corte, poi sconfessata, era la seguente: «È evidente che tale procedura (il controllo giurisdizionale sull’atto privativo della libertà personale) è necessaria solo quando si tratti di provvedimenti che danno luogo a restrizione duratura della libertà e, nel caso dell’accompagnamento coattivo, detta condizione non ricorre trattandosi di provvedimento che incide in modo del tutto temporaneo sulla libertà personale».
    È la famosa pronuncia che sottraeva le limitazioni istantanee al controllo giurisdizionale. Venne, in seguito, del tutto superata.
  28. Inizialmente, l’articolo 4 r.d. n. 773/1931 venne salvato dalla Corte costituzionale sulla base di distinguo piuttosto discutibili che, comunque, non hanno retto al tempo. La Corte sostenne, per un periodo piuttosto lungo, che i prelievi di sangue e le indagini psicologiche e psichiatriche ricadrebbero nel raggio di applicazione dell’articolo 13 Cost.; invece, le misure che attingono solo all’esterno della persona, restando integra la disponibilità del corpo, non dovrebbero, di necessità, vedersi applicate le garanzie costituzionali previste dall’articolo 13 Cost.
    Tutto ciò si trae dall’antica pronuncia della Corte costituzionale, sent. n. 30 del 1962. Anche questo criterio quantitativo dell’incisione della misura, assai aleatorio, finì per far perdere tracce di sé nella giurisprudenza costituzionale.
  29. In questo senso, tra i primi Elia [1962]; torna diffusamente sul punto Filippetta [2001].
  30. Conviene riportare il testo completo dell’articolo 5 CEDU che, non senza termini assai discutibili, sposa il principio dell’elenco chiuso dei fini per i quali si può procedere a limitare la libertà personale dei singoli. Dispone, infatti: «Nessuno può essere privato della sua libertà, eccetto che nei casi seguenti e per via legale: a) se è detenuto legittimamente dopo un condanna da parte di un tribunale competente; b) se è stato oggetto di un arresto o di una detenzione legittima per inosservanza di una ordinanza emessa, conformemente alla legge, da un tribunale o per garantire l’esecuzione di un’obbligazione prevista dalla legge; c) se è stato arrestato o detenuto per essere condotto avanti l’autorità giudiziaria, quando si ha il fondato motivo di supporre che abbia commesso un reato o si ha motivo di credere che è necessario impedire che commetta un reato o che fugga dopo il compimento di questo; d) se si tratta della detenzione legittima di un minore, stabilita per la sua educazione controllata o della detenzione disposta al fine di tradurlo avanti l’autorità competente; e) se si tratta dell’arresto o della detenzione legittima di una persona capace di diffondere una malattia contagiosa, di un alienato, di un alcolizzato, di un tossicomane o di un vagabondo; f) se si tratta dell’arresto o della detenzione legittima di una persona per impedirle di entrare nel territorio clandestinamente o contro la quale è in corso un procedimento di espulsione o di estradizione. [...]».
  31. Cfr., al riguardo, le storiche e gemellari Corte costituzionale sentt. nn. 348 e 349 del 2009.
  32. Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Grande Camera, sent. 23 febbraio 2017, De Tommaso contro Italia. Sulla pronuncia si dovrà tornare in seguito, data la sua rilevanza anche in tema di pericolosità sociale e di qualità delle disposizioni di natura penale. Basti qui rilevare che la sentenza fa segnare una certa prossimità della logica di giudizio impiegata con la Corte costituzionale, sullo specifico profilo dei rapporti tra libertà personale e libertà di circolazione, a muovere proprio dalle relative misure limitative.
  33. Sul punto, Viganò [2016].
  34. Si fa riferimento alla celebre Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, sent. 6 novembre 1980, Guzzardi contro Italia.
  35. Per considerare il panorama europeo, conviene muovere dall’istituzione francese che, a partire dal nome dell’Autorità, sottopone ad attività di controllo i luoghi della restrizione; sul punto, cfr., infatti, il Contrôleur Général des lieux de privation de liberté [2017]. Sembra trattarsi di un istituto che muove dalla precompressione della separatezza ordinamentale dei luoghi di restrizione della libertà personale, giacché, tra l’altro, al loro interno l’Autorità deve verificare il rispetto dei diritti fondamentali nella loro interezza.
  36. L’articolo 7 del decreto legge 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10, ha istituito il Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale e gli ha attribuito le funzioni puntualmente enumerate nel comma 5 del medesimo articolo che così dispone:
    Il Garante nazionale, oltre a promuovere e favorire rapporti di collaborazione con i garanti territoriali, ovvero con altre figure istituzionali comunque denominate, che hanno competenza nelle stesse materie:
    a) vigila, affinché l’esecuzione della custodia dei detenuti, degli internati, dei soggetti sottoposti a custodia cautelare in carcere o ad altre forme di limitazione della libertà personale sia attuata in conformità alle norme e ai principi stabiliti dalla Costituzione, dalle convenzioni internazionali sui diritti umani ratificate dall’Italia, dalle leggi dello Stato e dai regolamenti;
    b) visita, senza necessità di autorizzazione, gli istituti penitenziari, gli ospedali psichiatrici giudiziari e le strutture sanitarie destinate ad accogliere le persone sottoposte a misure di sicurezza detentive, le comunità terapeutiche e di accoglienza o comunque le strutture pubbliche e private dove si trovano persone sottoposte a misure alternative o alla misura cautelare degli arresti domiciliari, gli istituti penali per minori e le comunità di accoglienza per minori sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria, nonché, previo avviso e senza che da ciò possa derivare danno per le attività investigative in corso, le camere di sicurezza delle Forze di polizia, accedendo, senza restrizioni, a qualunque locale adibito o comunque funzionale alle esigenze restrittive;
    c) prende visione, previo consenso anche verbale dell’interessato, degli atti contenuti nel fascicolo della persona detenuta o privata della libertà personale e comunque degli atti riferibili alle condizioni di detenzione o di privazione della libertà;
    d) richiede alle amministrazioni responsabili delle strutture indicate alla lettera b) le informazioni e i documenti necessari; nel caso in cui l’amministrazione non fornisca risposta nel termine di trenta giorni, informa il magistrato di sorveglianza competente e può richiedere l’emissione di un ordine di esibizione;
    e) verifica il rispetto degli adempimenti connessi ai diritti previsti agli articoli 20, 21, 22, e 23 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, e successive modificazioni, presso i centri di identificazione e di espulsione previsti dall’articolo 14 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, accedendo senza restrizione alcuna in qualunque locale;
    f) formula specifiche raccomandazioni all’amministrazione interessata, se accerta violazioni alle norme dell’ordinamento ovvero la fondatezza delle istanze e dei reclami proposti ai sensi dell’articolo 35 della legge 26 luglio 1975, n. 354. L’amministrazione interessata, in caso di diniego, comunica il dissenso motivato nel termine di trenta giorni;
    g) trasmette annualmente una relazione sull’attività svolta ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, nonché al Ministro dell’interno e al Ministro della giustizia.
  37. Per il sistema francese, è eloquente lo stesso nome dell’istituzione omologa: Le Contrôleur général des lieux de privation de liberté. La direttrice per declinare le funzioni di controllo di quell’istituzione risiede certamente nell’indagine sui luoghi ove si realizzano le limitazioni della libertà personale. Una scelta che, evidentemente, il legislatore italiano ha ritenuto di non seguire, confermando l’opportunità di prendere in considerazione non solo le sedi e gli ambiti spaziali teatro di privazioni e compressioni della libertà fisica, ma la completa congerie delle misure che su di essa incidono, anche quando non integrano forme più o meno classiche di detenzione o internamento.
  38. Sul punto, cfr. l’analisi di Galeotti [1962], nonché da ultimo Luciani [2017]. Quest’ultimo A. chiarisce, peraltro, che le connotazioni dell’attività di controllo sono trasversali al diritto amministrativo e al diritto costituzionale.
  39. Se si vuole, cfr. Piccione [2002].
  40. Si tratta di termini che sorgono dal tessuto compositivo dell’articolo 19 della Convenzione ONU e che si sono poi condensati in concetti pregnanti, se non altro perché integrati fra le competenze dei gruppi di lavoro previsti in seno all’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il cui Gruppo 4 è investito della funzione di vigilanza e indirizzo per il «Contrasto alla segregazione».
  41. La Convenzione, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 13 dicembre 2006 ed entrata in vigore il 3 maggio 2008, è stata ratificata dall’Italia con la legge 3 marzo 2009, n. 18.
  42. L’istituto dell’accompagnamento coattivo, che segue al mancato rispetto dell’obbligo di presentarsi alla pubblica sicurezza, fu sottoposto a scrutinio di costituzionalità nella pronuncia Corte cost., sentenza 27 gennaio 1972, n. 13. Si tratta di una sentenza assai deludente, già nel contesto culturale di un tempo tanto lontano, e che finiva per salvare misure di carattere certamente coercitivo e privativo della libertà personale, mediante l’affermazione, pericolosa e in seguito sconfessata dalla Corte, per cui: «È evidente che tale procedura (il controllo giurisdizionale sull’atto privativo della libertà personale) è necessaria solo quando si tratti di provvedimenti che danno luogo a restrizione duratura della libertà e, nel caso dell’accompagnamento coattivo, detta condizione non ricorre trattandosi di provvedimento che incide in modo del tutto temporaneo sulla libertà personale».
    Non troppo diversamente va considerata la natura dei mezzi coercitivi di accertamento che implicano certamente l’invasività nei riguardi della fisicità del soggetto.
    Inizialmente, l’articolo 4 r.d. n. 773/1931 venne salvato dalla Corte costituzionale sulla base di distinguo piuttosto discutibili che, comunque, non hanno retto al tempo. La Corte sostenne, per un periodo piuttosto lungo, che i prelievi di sangue e le indagini psicologiche e psichiatriche ricadrebbero nel raggio di applicazione dell’articolo 13 Cost.; invece, le misure che attingono solo all’esterno della persona, restando integra la disponibilità del corpo, non dovrebbero, di necessità, vedersi applicate le garanzie costituzionali previste dall’articolo 13 Cost.
    Tutto ciò si trae dall’antica pronuncia della Corte costituzionale, sentenza 22 marzo 1962, n. 30, in Giur. Cost., 1962, 541 ss. Anche questo criterio quantitativo dell’incisione della misura, assai aleatorio, finì per far perdere tracce di sé nella giurisprudenza costituzionale.
  43. Il problema delle misure in apparenza obbligatorie, ma in realtà di carattere coercitivo, è analizzato in profondità da Pace [1997] che delinea peraltro la complessa relazione tra garanzie della libertà personale e presidi di tutela giurisdizionale diversi da quelli imposti dall’articolo 13 Cost., quali, ad esempio, i mezzi di impugnativa e ricorso di cui dispone il singolo su propria iniziativa e contro l’irrogazione della singola misura.
    Il tema è plasticamente rappresentato da quelle misure fondate su obblighi di presenza, di firma o di disponibilità rigidamente imposti in orari concomitanti con un evento cui si vuole evitare che il soggetto interessato partecipi.
    La sentenza che più nettamente si occupa della possibile «truffa delle etichette» è Corte costituzionale, sentenza 23 maggio 1997, n. 144 che riassume i punti di approdo precedentemente raggiunti dalla giurisprudenza costituzionale e ha anche il merito di mettere in evidenza l’interdipendenza tra i mezzi di garanzia della libertà personale e le altre forme di tutela giudiziaria e processuale di cui dispone il singolo.
  44. Tuttavia, cfr. la recente pronuncia del Tribunale costituzionale federale tedesco che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disciplina legislativa adottata dal Land Baden Württemberg, che prevedeva e regolava la contenzione dei pazienti in strutture pubbliche detentive. L’accesso al giudizio di legittimità costituzionale delle disposizioni del Land è avvenuto mediante il ricorso diretto ex articolo 19 LF e il Bundesverfassungsgericht ha statuito dei principi determinanti che assumono valenza paradigmatica in Europa. In primo luogo, è stato stabilito che l’impiego di restrizioni fisiche nei riguardi dei pazienti deve essere autonomamente autorizzato con decisione giurisdizionale e non può, dunque, ritenersi assorbito nella disposizione di una restrizione generale della libertà, quale in confinamento giudiziario in luogo di cura. In secondo luogo, la base giuridica per potersi giustificare un’interferenza tanto incisiva sulla libertà e l’integrità fisica (art. 2. comma 2, LF) deve essere particolarmente specifica e rigorosa, per soddisfare il requisito di proporzionalità. Cfr. BVerfG, 2 Senato, ord. 24 luglio 2018 – 2 BvR 309/15, 2 BvR 502/16. La vicenda – se si vuole – sembra dimostrare la forza garantista del Verfassungsbeschwerde e del Recurso de Amparo, avverso le limitazioni e le privazioni occulte e anomiche della libertà personale.
  45. La denominazione è tratta da Marmot e Wilkinson [2006]. Cfr. infra, par. 7.
  46. Sul tema della definizione degli stati di a-nomia, cfr., di recente, Agamben [2003], il quale vi riconosce una sospensione della vigenza del diritto e ne tratteggia il dominio della violenza dei poteri coercitivi e della violenza in generale.
  47. Dispone infatti l’articolo 14: «1. Gli Stati Parti garantiscono che le persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri: (a) godano del diritto alla libertà e alla sicurezza personale; (b) non siano private della loro libertà illegalmente o arbitrariamente, che qualsiasi privazione della libertà sia conforme alla legge e che l’esistenza di una disabilità non giustifichi in nessun caso una privazione della libertà.
    Gli Stati parte assicurano che, nel caso in cui le persone con disabilità siano private della libertà a seguito di qualsiasi procedura, esse abbiano diritto su base di uguaglianza con gli altri, alle garanzie previste dalle norme internazionali sui diritti umani e siano trattate conformemente agli scopi ed ai principi della presente Convenzione, compreso quello di ricevere un accomodamento ragionevole».
  48. Cfr., supra, par. 3.1.
  49. L’espressione letterale è quella di «People of unsound mind». Si tratta di una dizione piuttosto infelice che sconta una terminologia appartenente a domini scientifici che hanno fatto registrare notevoli modificazioni semantiche e persino di statuto epistemologico.
  50. Per una sintetica concettualizzazione dei lemmi rivenienti dalla Convenzione ONU, si rimanda supra a Tarantino, che prospetta il quadro di contesto e la struttura del volume.
  51. Dispone l’articolo 19: «Gli Stati Parti alla presente Convenzione riconoscono il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone, e adottano misure efficaci ed adeguate al fine di facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità di tale diritto e la loro piena integrazione e partecipazione nella società, anche assicurando che: (a) le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione; (b) le persone con disabilità abbiano accesso ad una serie di servizi a domicilio o residenziali e ad altri servizi sociali di sostegno, compresa l’assistenza personale necessaria per consentire loro di vivere nella società e di inserirvisi e impedire che siano isolate o vittime di segregazione; (c) i servizi e le strutture sociali destinate a tutta la popolazione siano messe a disposizione, su base di uguaglianza con gli altri, delle persone con disabilità e siano adattate ai loro bisogni».
  52. Sul punto, Colapietro e Girelli [2020].
  53. Quella nel corpo del testo è la definizione di disabilità adottata nel punto e) del Preambolo alla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità.
  54. La formula era quella recata dalla l. n. 36 del 1904, che disciplinava sistematicamente il trattamento dell’infermo di mente, seguendo l’impronta segregazionista e affidando all’ospedale psichiatrico (prima ancora manicomio) il ruolo e la funzione di curare il disturbo mediante la privazione della libertà personale in un’istituzione speciale.
  55. Sul punto si rinvia infra, all’analisi svolta da Addis in merito al rapporto tra lo sviluppo di direttrici di politica sociale improntate al paternalismo e la condizione giuridica delle persone con disabilità.
  56. Per questa prospettiva, nell’ambito disciplinare degli studi sociologici, cfr. Bruni [2021].
  57. Dimostra piena consapevolezza del peso che i due indirizzi di politica dell’assistenza possono dispiegare anche sull’effettività della libertà personale, lo stesso Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale [2017, 142].
  58. Per la trattazione di questo tema e della sua portata confliggente con le categorie classiche alla base della capacità di agire conosciuta nei sistemi di Civil Law, si rinvia infra al contributo di Bernardini, favorevole allo sviluppo di un concetto di capacità legale universale quale presupposto indefettibile dell’esercizio delle libertà.
  59. Per il testo completo dell’articolo 14 della Convenzione, cfr. supra nt. 47.
  60. Valga richiamare il ricco itinerario motivazionale alla base di Corte costituzionale, sent. n. 99 del 2019, con la quale la Corte estese i margini applicativi della c.d. «detenzione domiciliare umanitaria» in favore delle persone in esecuzione penale che manifestino un disturbo mentale tale da essere incompatibile con la permanenza in carcere.
  61. L’analisi teorica di questa prospettiva si rinviene in Honneth [2017]. Dello stesso A., tuttavia, è opportuno considerare lo sviluppo approfondito della tesi, volta a destrutturare la differenza classica tra le libertà e le altre situazioni giuridiche soggettive, che è svolta in Honneth [2015].
  62. Per la rielaborazione del concetto, con spunti in riferimento al concetto di libertà sociale, cfr. Ridola [2018].
  63. Sul punto, sia consentito rinviare a Piccione [2019b].
  64. Cfr., al riguardo, Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale [2018].
  65. Del resto, dei processi di de-istituzionalizzazione, in chiave diacronica, può riscontrarsi una progressiva costanza di sviluppo. Basti pensare allo smantellamento degli ospedali psichiatrici giudiziari e delle Case di cura e custodia, alla definitiva declaratoria di illegittimità costituzionale della misura di sicurezza del Riformatorio giudiziario da parte della Corte costituzionale; a una vitale spinta per la costruzione, nel nostro impianto sanzionatorio criminale, di un sistema di pene principali diverse da quella carceraria intramuraria. Sul fronte delle intersezioni tra salute, disabilità e atti e misure coercitive, si intuiscono i termini di una sfida assai più ampia di quel che si crederebbe. E in tale ambito il Garante può farsi volano e diffusore degli indici critici in cui proliferano le indebite restrizioni della libertà personale e anche delle sommerse lesioni del bene giuridico tutelato dall’articolo 13 Cost.
    Ne discende, in particolare, la pressante esigenza di far fronte alle nuove istituzionalizzazioni, a far decrescere l’investimento dell’offerta sanitaria orientata sulla degenza, sulla cronicizzazione, sui luoghi del contenimento e del trattamento intensivo che rischiano di divenire invitanti e magnetici sfoghi per raccogliere e costringere la marginalità sociale e i nuovi disagi. Il controllo preventivo del Garante, infine, può spingersi a esplorare la faglia in cui la restrizione della libertà personale diviene incompatibile con la tutela del diritto fondamentale alla salute dell’individuo. Ed è qui, naturalmente che si situa la sfida che orbita intorno alla grande riforma incompiuta, quella tratteggiata dal d.lgs. 22 giugno 1999, n. 230, in tema di sanità penitenziaria.
  66. L’articolo 1, comma 2, lett. f) della l. n. 227 del 2021 conferisce delega al Governo per l’istituzione di un Garante per le disabilità.
  67. Sul punto, cfr. infra, par. 3 di questo contributo.
  68. Cfr. Corte cost., sent. n. 349 del 1993, in cui si legge nel punto 4.2. del Considerato in diritto, che «la sanzione detentiva non può comportare una totale ed assoluta privazione della libertà della persona; ne costituisce certo una grave limitazione, ma non la soppressione. Chi si trova in stato di detenzione, pur privato della maggior parte della sua libertà, ne conserva sempre un residuo, che è tanto più prezioso in quanto costituisce l’ultimo ambito nel quale può espandersi la sua personalità individuale».
  69. Sul punto, cfr. ex multis, Corte cost. sentt. n. 351 del 1996, n. 20 del 2017, e, infine, n. 122 del 2017.
  70. In tema, si veda, di recente, proprio la citata Corte cost., sent. n. 20 del 2017, con nota di Mengozzi [2017].