Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c9
Nel caso si risponda negativamente a
tale primo quesito, ne seguirà, l’assunzione quale oggetto delle funzioni del Garante,
la libertà personale nel suo significato costituzionale più ampio e omnicomprensivo
[37]
. Che il ruolo del Garante non possa ridursi alla mera sorveglianza delle
modalità con cui si realizzano le restrizioni della libertà personale, lo dimostrano
plurimi e concordanti elementi logici, derivanti da un’interpretazione sistematica del
suo statuto di funzionamento. In primo luogo, l’assegnazione di un compito di vigilanza
deve essere effettuato alla luce della stella polare delle discipline interne e
sovranazionali, per il rispetto delle quali, notoriamente, non basta che le singole
condizioni detentive, limitative o privative della libertà personale non violino il
limite dei trattamenti disumani e degradanti, ma occorre anche che si rispettino le
altre garanzie procedurali e contenutistiche della limitazione della libertà fisica
delle persone, ivi compresi i limiti finalistici per i quali esse sono previste
comminate o eseguite. Ne deriva che la funzione di controllo del Garante può e anzi deve
spingersi a valutare la compatibilità delle singole discipline di legge
¶{p. 224}con le guarentigie costituzionali, con quelle previste dalla
CEDU e dalle altre fonti pattizie internazionali che riguardano la libertà della
persona. Non a caso, il Garante è soggetto consultato, cioè chiamato a esprimersi con
puntuali pareri, sui testi di normazione primaria che modifichino e comunque incidano
sulla libertà personale in Italia.
Del resto, questa funzione rientra
certamente tra quelle che la dottrina ha cercato di ascrivere ai controlli
costituzionali, delineandone i tratti nel modo che segue: a)
accessorietà e connessione dipendente rispetto al potere o ai poteri che si controllano;
b) impossibilità di controllare in assenza di meccanismi atti a
sviluppare conoscenza delle fattispecie da esaminare; c)
impossibilità dell’atto del controllante di modificare l’atto controllato;
d) disgiunzione tra funzione di controllo e di amministrazione
attiva che pone in essere gli atti del controllo
[38]
.
Il ruolo del Garante è dunque quello
di soggetto controllante, l’oggetto di tale attività è anche l’insieme dei presupposti
giuridici che possono dare vita alle restrizioni e limitazioni della libertà personale,
i parametri in base ai quali declinare l’attività di controllo sono in primo luogo
l’articolo 13 Cost. e l’articolo 5 CEDU. In definitiva, la competenza del Garante può
definirsi quella di considerare nella maniera più estesa il quadro delle misure da cui
difendere la libertà fisica dell’individuo [Amato 2014]. Di qui l’esercizio di una
funzione di controllo che si è spinta ben oltre il nucleo essenziale delle garanzie
della libertà, ha ridefinito l’area delle limitazioni e ha lambito i determinanti che
integrano le limitazioni esterne del diritto costituzionale.
Alla luce di questo complessivo
ruolo svolto dall’autorità di garanzia, il tema del contenuto del bene costituzionale
libertà personale, la sua separazione e distinzione dalle libertà di movimento e di
autodeterminazione, la questione di ciò che ricade o meno nel raggio di protezione
dell’articolo 13 Cost., rappresentano oggi soltanto le basi per l’analisi dei nuovi
fenomeni che riguardano la libertà personale; occorre allora tenere in conto gli
effettivi presupposti di limitazione e le condizioni materiali della sua restrizione. Vi
è in primo luogo l’attività di controllo sui luoghi di restrizione della libertà
personale conseguenti all’irrogazione della sanzione penale della reclusione
intramuraria. Al monitoraggio e al controllo sull’esecuzione penale nella dimensione
penitenziaria, si affianca la competenza allo studio degli altri luoghi di restrizione
della libertà personale, tradizionalmente intesa come internamento, e riconducibile in
primo luogo all’universo delle misure di sicurezza di carattere personale e
¶{p. 225}detentivo: la casa di lavoro e la colonia agricola, da una
parte; le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, dall’altra.
Tale quadro di competenze del
Garante – che copre l’intero mosaico dei provvedimenti privativi e limitativi della
libertà personale nel sistema eseguiti in precisi plessi istituzionali – non è però
esaustivo. Non da oggi, infatti, vi è la diffusa sensibilità per esaminare anche le
incisioni della libertà personale estranee a fini penali
[39]
. Con questa espressione, si intendono quelle misure che attingono sì la
libertà fisica della persona, ma senza trovare fondamento diretto nella pretesa
punitiva, né nella sua specifica dimensione declinata sul versante delle misure di
sicurezza. Si tratta di un ventaglio di provvedimenti coercitivi presenti
nell’ordinamento, ma rispetto ai quali è avvertita una duplice esigenza; quella di
poterne ottenere una visione complessiva e globale; quella di coglierne la valenza
pratica e l’incidenza sulla qualità della vita delle persone nel nostro ordinamento.
La scienza costituzionalistica si
era occupata a fasi alterne di queste tematiche, anche per via della diffusa adesione
alla citata linea interpretativa secondo la quale provvedimenti limitativi della libertà
personale potrebbero essere disciplinati solo a determinati e puntuali fini:
l’inflizione di sanzioni di carattere penale e di misure di prevenzione in senso lato
(art. 25 Cost.); l’esecuzione di trattamenti sanitari coercitivi (art. 32, comma 2,
Cost.); la soddisfazione di esigenze di contenimento e trattamento speciale del minore
(art. 31 Cost.).
Le considerazioni appena svolte
inducono a riconoscere un’ulteriore, possibile linea di indirizzo delle funzioni del
Garante. Si tratta del controllo contro le forme di incapacitazione, segregazione e istituzionalizzazione
[40]
che trovano una radice di codificazione giuridica nella Convenzione delle
Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità
[41]
. L’impianto e le singole disposizioni di tale Convenzione impongono, tra
l’altro, che «tutte le persone che vivono l’esperienza della disabilità, in ragione di
un problema di salute fisica o psichica, se private della libertà nel corso di un
procedimento giudiziario, restino, su base di eguaglianza con gli altri, titolari delle
garanzie previste dalla normativa internazionale sui diritti umani e siano trattate in
conformità con gli scopi e i principi della Convenzione, compreso quello che prevede
l’accomodamento ragionevole». Ne discende un’opzione interpretativa della tutela del
diritto alla salute ¶{p. 226}e, per quanto possibile, all’autonomia e
pienezza della vita delle persone che va assai al di là della necessaria tutela del
nucleo essenziale del diritto fondamentale di cui all’articolo 32 Cost. in condizione di
segregazione, cattività o restrizione. Si prospetta così l’esigenza di assicurare, anche
in questo sensibile punto di intersezione tra condizione di disabilità e limitazione
della libertà fisica, le spinte al massimo grado di integrazione e sviluppo della
persona, un favor per la pienezza e il dinamico dispiegarsi delle
facoltà del soggetto, per rimuovere l’ostacolo determinato dalla sua condizione di
disabilità o infermità.
Vi è da ultimo da prospettare
l’ambito in cui la posizione di controllo preventivo e successivo, costellata dei poteri
e delle competenze puntuali assegnate al Garante, può dispiegare un effetto virtuoso, al
di fuori dei temi tradizionali inerenti alla tutela dell’articolo 13 Cost. e oltre i
rilevanti punti di contatto tra vicende della restrizione della libertà fisica ed
esigenze di protezione della salute. Si tratta di quell’area – se ne tratteggiavano i
confini in apertura di questo lavoro – relativa alle misure coercitive nei riguardi dei
migranti, alle residue compressioni della libertà fisica per fini strumentali e di accertamento
[42]
, alle surrettizie limitazioni effettuate come risposta, per lo più
automatica, al mancato rispetto di una prescrizione di carattere solo apparentemente obbligatorio
[43]
. ¶{p. 227}
Si è qui di fronte a un arcipelago
di disposizioni legislative, che per lo più sfuggono a una ricostruzione organica; la
loro portata, pure, non deve essere sottovalutata perché esse nascondono il volto di
dispositivi di incisione sulla disponibilità fisica del proprio corpo, i quali
concorrono a delineare il panorama dei rapporti tra autorità e libertà nell’ordinamento.
La dottrina si è servita di alcune conclusioni cui sono pervenuti seminali studi del
mondo anglosassone, il cui orientamento realistico ha fondato la conclusione per cui, se
il soggetto chiamato ad adempiere a un obbligo non può vantare alcun concreto spazio di
autodeterminazione, si verte nell’ambito di limitazione della libertà personale.
Necessita in tali casi la soddisfazione delle garanzie tipiche dell’habeas
corpus. In questo senso, uno scarto di tipo metodologico, rispetto ai
problemi classici della teoria e della pratica della libertà costituzionale, discende
proprio dall’esercizio delle prerogative del Garante, il quale non solo ha contribuito a
segnalare la crisi del controllo giurisdizionale sulle misure limitative e a
prospettarne le vie di superamento, ma ha schiuso nuovi fronti di interesse.
Tra questi vale citare: i casi in
cui si assiste alla riduzione – al vero e proprio svuotamento – del controllo
giurisdizionale che si sfibra fino a divenire un procedimento meramente cartolare, privo
di sostanziale forza garantista; l’intersezione tra i presupposti per l’adozione di
misure coercitive e la contestuale esigenza di assicurare la tutela ad altre situazioni
giuridiche costituzionalmente tutelate (il diritto di asilo e la protezione umanitaria,
previste e disciplinate dall’art. 10 Cost., il diritto fondamentale alla salute
disciplinato dall’art. 32 Cost.); i problemi specifici delle garanzie della libertà
personale per i soggetti fragili e, tra di essi, le persone con disabilità.
In quest’ultimo ambito lo sguardo
prospettico del Garante si è fatto grandangolare e le prospettive di indagine
sull’effettività della libertà personale delle persone con disabilità sembrano per
conseguenza arricchite. Dal punto di vista culturale, le inedite direttrici di studio
delle concrete vicende della libertà personale sono segnate dall’impulso alla
progressiva valorizzazione della condizione della persona al centro del giudizio di
convalida delle misure provvisorie ex articolo 13, comma 3, Cost.,
e dall’esigenza di valutare gli effetti degli istituti, quali i ricoveri e le degenze
circondati di prescrizioni, solo in apparenza non incidenti
¶{p. 228}sulla libertà personale, ma tali da alimentare autentiche
anticamere per le restrizioni implicite e di fatto della libertà.
5. Privazioni occulte e libertà di fatto delle persone con disabilità
Per la libertà personale è
certamente valida l’affermazione per cui il suo statuto vive di una penombra di
indeterminato, ovvero «di decisioni, interessi, micro-atti, che esso non determina e da
cui invece, risulta, al di là di riflessi espliciti e formali, determinato» [Cerri
1995].
Ne discende che lo studio delle
dinamiche che trovano spazio nei luoghi dove si sviluppano i trattamenti e gli
accertamenti sanitari obbligatori e volontari, nonché nelle circostanze in cui si presta
assistenza alle persone anziane e non autosufficienti, schiude profili problematici sui
quali la giurisprudenza costituzionale non ha sino ad ora trovato campi e ambiti di
intervento diretto
[44]
. Si tratta, per lo più, di misure restrittive implicite, privazioni
indirette, limitazioni conseguenti a crisi di vita, al regredire dei livelli di
assistenza o alla caduta nelle sfere della marginalità. Ciò accade in ambiti, dunque,
dove la condizione della persona è tale da essere immersa in uno stato di soggezione che
favorisce la segregazione. Vi sono indici per queste condizioni che si possono
denominare come determinanti sociali
[45]
dell’effettività della libertà personale. La condizione è quella di
individui con limitata capacità di agire o con una contrazione della sfera di
autodeterminazione.
Occorre dunque evidenziare la mappa
dei punti in cui si riscontrano i nodi tra la condizione di disabilità e le limitazioni
implicite della libertà personale. Situazioni pratiche e contingenze riguardanti la
gestione e l’organizzazione del luogo di ricovero o di permanenza, condizioni di a-
¶{p. 229}nomia
[46]
, l’impossibilità effettiva di opporsi a condotte in fatto limitanti la
libertà fisica di disporre del proprio corpo sono da porsi in relazione con la stessa
disabilità e, non di rado, con il complesso dei supporti a mezzo dei quali la persona è
formalmente assistita.
Note
[37] Per il sistema francese, è eloquente lo stesso nome dell’istituzione omologa: Le Contrôleur général des lieux de privation de liberté. La direttrice per declinare le funzioni di controllo di quell’istituzione risiede certamente nell’indagine sui luoghi ove si realizzano le limitazioni della libertà personale. Una scelta che, evidentemente, il legislatore italiano ha ritenuto di non seguire, confermando l’opportunità di prendere in considerazione non solo le sedi e gli ambiti spaziali teatro di privazioni e compressioni della libertà fisica, ma la completa congerie delle misure che su di essa incidono, anche quando non integrano forme più o meno classiche di detenzione o internamento.
[38] Sul punto, cfr. l’analisi di Galeotti [1962], nonché da ultimo Luciani [2017]. Quest’ultimo A. chiarisce, peraltro, che le connotazioni dell’attività di controllo sono trasversali al diritto amministrativo e al diritto costituzionale.
[39] Se si vuole, cfr. Piccione [2002].
[40] Si tratta di termini che sorgono dal tessuto compositivo dell’articolo 19 della Convenzione ONU e che si sono poi condensati in concetti pregnanti, se non altro perché integrati fra le competenze dei gruppi di lavoro previsti in seno all’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il cui Gruppo 4 è investito della funzione di vigilanza e indirizzo per il «Contrasto alla segregazione».
[41] La Convenzione, adottata dall’Assemblea generale dell’ONU il 13 dicembre 2006 ed entrata in vigore il 3 maggio 2008, è stata ratificata dall’Italia con la legge 3 marzo 2009, n. 18.
[42] L’istituto dell’accompagnamento coattivo, che segue al mancato rispetto dell’obbligo di presentarsi alla pubblica sicurezza, fu sottoposto a scrutinio di costituzionalità nella pronuncia Corte cost., sentenza 27 gennaio 1972, n. 13. Si tratta di una sentenza assai deludente, già nel contesto culturale di un tempo tanto lontano, e che finiva per salvare misure di carattere certamente coercitivo e privativo della libertà personale, mediante l’affermazione, pericolosa e in seguito sconfessata dalla Corte, per cui: «È evidente che tale procedura (il controllo giurisdizionale sull’atto privativo della libertà personale) è necessaria solo quando si tratti di provvedimenti che danno luogo a restrizione duratura della libertà e, nel caso dell’accompagnamento coattivo, detta condizione non ricorre trattandosi di provvedimento che incide in modo del tutto temporaneo sulla libertà personale». Non troppo diversamente va considerata la natura dei mezzi coercitivi di accertamento che implicano certamente l’invasività nei riguardi della fisicità del soggetto. Inizialmente, l’articolo 4 r.d. n. 773/1931 venne salvato dalla Corte costituzionale sulla base di distinguo piuttosto discutibili che, comunque, non hanno retto al tempo. La Corte sostenne, per un periodo piuttosto lungo, che i prelievi di sangue e le indagini psicologiche e psichiatriche ricadrebbero nel raggio di applicazione dell’articolo 13 Cost.; invece, le misure che attingono solo all’esterno della persona, restando integra la disponibilità del corpo, non dovrebbero, di necessità, vedersi applicate le garanzie costituzionali previste dall’articolo 13 Cost. Tutto ciò si trae dall’antica pronuncia della Corte costituzionale, sentenza 22 marzo 1962, n. 30, in Giur. Cost., 1962, 541 ss. Anche questo criterio quantitativo dell’incisione della misura, assai aleatorio, finì per far perdere tracce di sé nella giurisprudenza costituzionale.
[43] Il problema delle misure in apparenza obbligatorie, ma in realtà di carattere coercitivo, è analizzato in profondità da Pace [1997] che delinea peraltro la complessa relazione tra garanzie della libertà personale e presidi di tutela giurisdizionale diversi da quelli imposti dall’articolo 13 Cost., quali, ad esempio, i mezzi di impugnativa e ricorso di cui dispone il singolo su propria iniziativa e contro l’irrogazione della singola misura. Il tema è plasticamente rappresentato da quelle misure fondate su obblighi di presenza, di firma o di disponibilità rigidamente imposti in orari concomitanti con un evento cui si vuole evitare che il soggetto interessato partecipi. La sentenza che più nettamente si occupa della possibile «truffa delle etichette» è Corte costituzionale, sentenza 23 maggio 1997, n. 144 che riassume i punti di approdo precedentemente raggiunti dalla giurisprudenza costituzionale e ha anche il merito di mettere in evidenza l’interdipendenza tra i mezzi di garanzia della libertà personale e le altre forme di tutela giudiziaria e processuale di cui dispone il singolo.
[44] Tuttavia, cfr. la recente pronuncia del Tribunale costituzionale federale tedesco che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una disciplina legislativa adottata dal Land Baden Württemberg, che prevedeva e regolava la contenzione dei pazienti in strutture pubbliche detentive. L’accesso al giudizio di legittimità costituzionale delle disposizioni del Land è avvenuto mediante il ricorso diretto ex articolo 19 LF e il Bundesverfassungsgericht ha statuito dei principi determinanti che assumono valenza paradigmatica in Europa. In primo luogo, è stato stabilito che l’impiego di restrizioni fisiche nei riguardi dei pazienti deve essere autonomamente autorizzato con decisione giurisdizionale e non può, dunque, ritenersi assorbito nella disposizione di una restrizione generale della libertà, quale in confinamento giudiziario in luogo di cura. In secondo luogo, la base giuridica per potersi giustificare un’interferenza tanto incisiva sulla libertà e l’integrità fisica (art. 2. comma 2, LF) deve essere particolarmente specifica e rigorosa, per soddisfare il requisito di proporzionalità. Cfr. BVerfG, 2 Senato, ord. 24 luglio 2018 – 2 BvR 309/15, 2 BvR 502/16. La vicenda – se si vuole – sembra dimostrare la forza garantista del Verfassungsbeschwerde e del Recurso de Amparo, avverso le limitazioni e le privazioni occulte e anomiche della libertà personale.
[46] Sul tema della definizione degli stati di a-nomia, cfr., di recente, Agamben [2003], il quale vi riconosce una sospensione della vigenza del diritto e ne tratteggia il dominio della violenza dei poteri coercitivi e della violenza in generale.