Ciro Tarantino (a cura di)
Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c9
Occorre dunque evidenziare la mappa dei punti in cui si riscontrano i nodi tra la condizione di disabilità e le limitazioni implicite della libertà personale. Situazioni pratiche e contingenze riguardanti la gestione e l’organizzazione del luogo di ricovero o di permanenza, condizioni di a-
{p. 229}nomia [46]
, l’impossibilità effettiva di opporsi a condotte in fatto limitanti la libertà fisica di disporre del proprio corpo sono da porsi in relazione con la stessa disabilità e, non di rado, con il complesso dei supporti a mezzo dei quali la persona è formalmente assistita.
I determinanti della libertà delle persone con disabilità si costituiscono intorno alle esigenze individuali e possono essere generati dalle motivate prese di posizione delle stesse persone in condizione di disabilità, oltre che «dalle particolari fattispecie in cui queste si trovano coinvolte» [Veronesi 2007].
Non a caso, l’articolo 14 della Convenzione ONU dedica un complesso di specifiche disposizioni alla libertà e alla sicurezza della persona con disabilità [47]
. Così, il diritto positivo convenzionale assume una triplice valenza ai fini della garanzia di effettività della libertà delle persone con disabilità. La Convenzione esclude in modo perentorio che la condizione di disabilità possa implicare, di per sé, autonomo fondamento giustificativo della limitazione della libertà personale. A questo primo contenuto precettivo, fa eco la statuizione affinché le persone con disabilità possano «avere diritto su base di eguaglianza con gli altri, alle garanzie previste dalle norme internazionali sui diritti umani». Si tratta della proiezione del principio generale dell’inclusione sociale della persona con disabilità, nel quadro delle guarentigie tipiche a difesa della libertà dalle restrizioni che si risolvono in comandi e orientamenti tipici della vita in luoghi che assorbono la sfera di autodeterminazione. In terzo luogo, di questa disposizione precettiva, volta a conferire margini adattivi all’intero comparto delle modalità limitative della libertà fisica, costituisce specifico complemento il diritto a ricevere un accomodamento ragionevole.
Pertanto, il primo frammento di contenuto che emerge dall’articolo 14 della Convenzione ONU costituirebbe un elemento di conforto alla tesi, della quale già si è detto, secondo cui i presupposti giustificativi per la limitazione della libertà personale rappresenterebbero un numero chiuso [48]
. {p. 230}Secondo l’articolo 14, tuttavia, la condizione di disabilità è esclusa dal novero degli autonomi presupposti che possono dar luogo a misure restrittive. Se a un primo sguardo, tale affermazione potrebbe apparire pacifica, approfondendo l’indagine se ne coglie la potenziale antinomia proprio con quanto disposto dall’articolo 5 della CEDU, che all’opposto facoltizza i Paesi membri del Consiglio d’Europa a introdurre discipline di rango legislativo che prevedano la restrizione della libertà personale per puntuali circostanze e finalità generali. Tra queste vi è la previsione legittimante provvedimenti limitativi verso le persone che si trovino in condizione di «alterazione di mente» [49]
. Dunque, da un lato la fonte pattizia di area continentale, rende possibile che, per il solo fatto di vivere l’esperienza del disturbo mentale (o la disabilità psichica), si possa prevedere una misura di contenimento della libertà personale (sia essa l’internamento in luogo di cura o il trattamento sanitario coercitivo, che può anche, in ipotesi, prescindere dalla degenza ospedaliera); dall’altra parte, invece, la Convenzione delle Nazioni Unite esclude che la disabilità possa dar luogo, di per sé, alla previsione e all’adozione di misure di tipo coercitivo. Preliminarmente, la composizione dell’antinomia implicherebbe chiarificare le aree di sovrapposizione tra disabilità e disturbo psichiatrico. Ai fini che qui rilevano, la protezione della libertà fisica della persona con disabilità lascia emergere la necessità di «apprestare tutela a soggetti portatori di una capacità, seppur ridotta, del proprio agire autonomo» [Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale 2023].
Ne consegue l’esigenza di considerare attentamente lo statuto giuridico del concetto di capacità delineato dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, al fine di evitare che i limitati spazi di esercizio dell’autonomia e della capacità si risolvano in possibili zone di fattuale limitazione della libertà di determinarsi rispetto al disporre del proprio corpo. Ciò è tanto più evidente nella complessa area della residenzialità sanitaria e della non autosufficienza in cui possono celarsi i presupposti per le restrizioni silenti della libertà. Quest’ultimo ambito di indagine resta, in dottrina, un campo ancora largamente inesplorato. Un ambito che confina con un arcipelago di concetti giuridici sorti e sviluppati nell’alveo della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. È infatti con l’innesto a pieno titolo di questi concetti [50]
nel panorama costituzionale dei determinanti della libertà personale che potrà dirsi compiuta una nuova ed esaustiva disamina dell’effettività della libertà dei soggetti fragili dalle coercizioni. {p. 231}
In tale prospettiva vanno considerati: la portata seminale del concetto di deistituzionalizzazione, una nuova concezione di capacità a fronte dei dispositivi che ne restringono la portata; la statuizione di diritti di nuova foggia quale quello alla vita indipendente (art. 19 Convenzione ONU su cui oltre si dirà); il legame tra libertà personale e scelte di autodeterminazione, in un’accezione estensiva volta a prevenire anche le segregazioni; lo sviluppo delle garanzie costituzionali della libertà personale quando vengono in rilievo le condizioni di fragilità e svantaggio. Non si tratta soltanto di una trasformata tassonomia giuridica, ma di una pista di indagine che lega le concezioni ideali e teoriche della libertà al suo concreto dispiegarsi, in relazione alla progressiva affermazione della piena dignità delle persone.

6. L’effettività della libertà personale nella Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità

L’articolo 19 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità offre un’analitica disciplina del diritto a condurre una vita indipendente [51]
. In dottrina, si è discusso sulla struttura innovativa di tale situazione giuridica soggettiva [52]
, la quale delinea una direttiva di sistema nella regolazione dell’intero ventaglio dei sostegni in favore delle persone con disabilità. Si tratta del fine generale di mantenere il più ampio campo di autodeterminazione della persona, anche rispetto alla propria specifica condizione di disabilità. La portata di tale disposizione si intende soltanto assumendo la consapevolezza che la condizione di disabilità può determinare un vulnus nella capacità di rappresentazione e volizione alla base delle singole scelte di vita. I potenziali riflessi della condizione di disabilità quale «risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali e ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli {p. 232}altri» [53]
possono dunque coinvolgere gli elementi fondamentali alla base della scelta di autodeterminarsi circa il proprio corpo, il proprio luogo di vita, la residenza e le modalità di fruizione dell’assistenza nel quadro dei sostegni di variabile intensità che spettano all’individuo in ragione della condizione di disabilità. Dunque, il valore esegetico dell’articolo 19 della Convenzione sottende una scelta di campo tra due impostazioni alla base del complessivo trattamento giuridico della persona con disabilità negli ordinamenti degli Stati parte.
In effetti, due sono i paradigmi secondo i quali l’ordinamento giuridico si rivolge alla condizione di disabilità. Quello tradizionale muove dall’intento protettivo, centrato sull’esigenza di riconoscere all’individuo che vive l’esperienza di minorità (transitoria o permanente che sia) sostegni e tutele che operano secondo la logica della compensazione degli svantaggi derivanti dalla condizione di disabilità. Gli istituti che fanno capo a questa impostazione affondano le radici nella tradizione giuridica classica. L’interdizione e l’inabilitazione, quali esempi paradigmatici, proteggono l’incapace da eventuali danni patrimoniali derivanti da improvvide attività negoziali dell’interessato e dai conseguenti esiti infausti sul patrimonio. Nel fornire tale specie di protezione, gli istituti civilistici sono anche volti a proteggere i terzi che entrino in contatto con il soggetto privo della piena capacità di agire. Non diversamente, per l’infermo di mente l’impostazione classica, ne prevedeva l’internamento o comunque una misura coercitiva contro volontà, finalizzata a prevenire la pericolosità per sé o per altri o il pubblico scandalo che questi poteva generare [54]
. L’adozione dell’approccio paternalistico [55]
, che la Convenzione ONU respinge in breccia, potenzialmente incide sui margini di effettività della libertà fisica dalle coercizioni, proprio perché tende a costruire intorno alla persona fragile un panorama di istituzioni ad alta intensità che ne ridefiniscono il ruolo nella società, recidendo i potenziali legami dell’inclusione e dell’integrazione piena.
Contende il campo delle politiche generali di assistenza e protezione in favore dei disabili, l’opposto indirizzo culturale facoltizzante che prospetta una definizione dei diritti di libertà della persona con disabilità, immersa {p. 233}in un’ampia riconfigurazione dei legami sociali [56]
. La Convenzione ONU capovolge la prospettiva paternalistica, non riconoscendo alle persone con disabilità un livello di prestazioni volte ad assicurare assistenza e protezione su base compensativa e oggettivante, ma tende a ridefinire il contenuto proprio delle situazioni giuridiche soggettive da questi esercitate, nel quadro generale dei diritti fondamentali innervati della clausola della solidarietà e del principio di dignità [57]
. In termini concreti, le disposizioni contenute nella Convenzione tendono a favorire al massimo grado le facoltà, gli interessi e le attitudini che ciascuna persona con disabilità è in grado di sviluppare in autonomia e nel proprio complesso integrato di vita. Dunque, propugna un paradigma facoltizzante, un indirizzo di politica delle libertà che si risolve in un’estensiva concezione della capacità giuridica [58]
.
Del resto, un ulteriore elemento che denota il rigetto dei limiti paternalistici e incapacitanti emerge espressamente dal richiamo previsto nella seconda parte dell’articolo 14 della Convenzione ONU, a mente del quale gli Stati parte assicurano che le persone con disabilità private della libertà a qualunque titolo abbiano diritto, su base di uguaglianza con gli altri, alle garanzie previste dalle norme internazionali sui diritti umani compreso quello di ricevere un accomodamento ragionevole [59]
. Traspare dal valore compositivo di questa disposizione il rilievo del contrastante rapporto tra limitazione della libertà personale e sistema dei sostegni per le persone con disabilità. Tra le pieghe di questo dato, peraltro, emerge il decisivo crinale su cui vanno incidendo recenti pronunce della Corte costituzionale, circa l’incompatibilità di fondo tra l’esperienza del disturbo mentale e l’esecuzione penale intramuraria [60]
.
Più in generale, la Convenzione indirizza gli Stati membri a introdurre elementi di trattamento differenziato sia nei concreti regimi di esecuzione delle limitazioni della libertà delle persone con disabilità, sia nel dispiegarsi dei singoli dispositivi di garanzia in modo tale da evitare che la persona con disabilità goda di un nucleo di diritti diseguali rispetto agli altri.
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Note
[46] Sul tema della definizione degli stati di a-nomia, cfr., di recente, Agamben [2003], il quale vi riconosce una sospensione della vigenza del diritto e ne tratteggia il dominio della violenza dei poteri coercitivi e della violenza in generale.
[47] Dispone infatti l’articolo 14: «1. Gli Stati Parti garantiscono che le persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri: (a) godano del diritto alla libertà e alla sicurezza personale; (b) non siano private della loro libertà illegalmente o arbitrariamente, che qualsiasi privazione della libertà sia conforme alla legge e che l’esistenza di una disabilità non giustifichi in nessun caso una privazione della libertà. Gli Stati parte assicurano che, nel caso in cui le persone con disabilità siano private della libertà a seguito di qualsiasi procedura, esse abbiano diritto su base di uguaglianza con gli altri, alle garanzie previste dalle norme internazionali sui diritti umani e siano trattate conformemente agli scopi ed ai principi della presente Convenzione, compreso quello di ricevere un accomodamento ragionevole».
[48] Cfr., supra, par. 3.1.
[49] L’espressione letterale è quella di «People of unsound mind». Si tratta di una dizione piuttosto infelice che sconta una terminologia appartenente a domini scientifici che hanno fatto registrare notevoli modificazioni semantiche e persino di statuto epistemologico.
[50] Per una sintetica concettualizzazione dei lemmi rivenienti dalla Convenzione ONU, si rimanda supra a Tarantino, che prospetta il quadro di contesto e la struttura del volume.
[51] Dispone l’articolo 19: «Gli Stati Parti alla presente Convenzione riconoscono il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone, e adottano misure efficaci ed adeguate al fine di facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità di tale diritto e la loro piena integrazione e partecipazione nella società, anche assicurando che: (a) le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione; (b) le persone con disabilità abbiano accesso ad una serie di servizi a domicilio o residenziali e ad altri servizi sociali di sostegno, compresa l’assistenza personale necessaria per consentire loro di vivere nella società e di inserirvisi e impedire che siano isolate o vittime di segregazione; (c) i servizi e le strutture sociali destinate a tutta la popolazione siano messe a disposizione, su base di uguaglianza con gli altri, delle persone con disabilità e siano adattate ai loro bisogni».
[52] Sul punto, Colapietro e Girelli [2020].
[53] Quella nel corpo del testo è la definizione di disabilità adottata nel punto e) del Preambolo alla Convenzione sui diritti delle persone con disabilità.
[54] La formula era quella recata dalla l. n. 36 del 1904, che disciplinava sistematicamente il trattamento dell’infermo di mente, seguendo l’impronta segregazionista e affidando all’ospedale psichiatrico (prima ancora manicomio) il ruolo e la funzione di curare il disturbo mediante la privazione della libertà personale in un’istituzione speciale.
[55] Sul punto si rinvia infra, all’analisi svolta da Addis in merito al rapporto tra lo sviluppo di direttrici di politica sociale improntate al paternalismo e la condizione giuridica delle persone con disabilità.
[56] Per questa prospettiva, nell’ambito disciplinare degli studi sociologici, cfr. Bruni [2021].
[57] Dimostra piena consapevolezza del peso che i due indirizzi di politica dell’assistenza possono dispiegare anche sull’effettività della libertà personale, lo stesso Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale [2017, 142].
[58] Per la trattazione di questo tema e della sua portata confliggente con le categorie classiche alla base della capacità di agire conosciuta nei sistemi di Civil Law, si rinvia infra al contributo di Bernardini, favorevole allo sviluppo di un concetto di capacità legale universale quale presupposto indefettibile dell’esercizio delle libertà.
[59] Per il testo completo dell’articolo 14 della Convenzione, cfr. supra nt. 47.
[60] Valga richiamare il ricco itinerario motivazionale alla base di Corte costituzionale, sent. n. 99 del 2019, con la quale la Corte estese i margini applicativi della c.d. «detenzione domiciliare umanitaria» in favore delle persone in esecuzione penale che manifestino un disturbo mentale tale da essere incompatibile con la permanenza in carcere.