Ciro Tarantino (a cura di)
Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c9
La tesi che invece tende a evidenziare un contenuto proprio e puntuale nella situazione giuridica soggettiva tutelata dall’articolo 13 Cost., invece, rischia talvolta di risolversi in un effetto paradossale, quello di svilire la forza garantista dello schema dell’articolo 13 Cost., contro cangianti e nuove manifestazioni del potere invasivo che magari si rivelino in grado di eludere o aggirare il proprium contenutistico che si cerca positivamente di
{p. 214}enucleare dalla elementare griglia di concetti che sembra caratterizzare la disciplina costituzionale. Al contempo, condurre alle estreme conseguenze la ricerca della definizione e del contenuto di cosa sia puntualmente la libertà personale (cioè quale agere licere in concreto essa sottenda), può determinare un’aura di astrazione intorno all’esercizio effettivo della libertà personale. Esso verrebbe così slegato dal concreto evolvere dei conflitti di interessi tra potere e protezione, per il quale la tutela costituzionale dell’habeas corpus è storicamente sorta.

3. La struttura della libertà, composta del nucleo essenziale, dell’area dei limiti e incisa dalle limitazioni costituzionalmente legittime

Di notevole ausilio, anche a fini concreti e applicativi per lo studio della libertà personale [17]
con particolare riferimento alla condizione di disabilità, è un approdo della dottrina costituzionalistica europea. La libertà personale sia ad docendum che ad jubendum può intendersi costituita in tre sfere concentriche: il suo contenuto essenziale [Naranjo de La Cruz 2000], l’area dei limiti, infine, quella della delimitazione esterna.
Il contenuto essenziale della tutela costituzionale della libertà personale risiede proprio nell’indefettibilità delle due garanzie classiche della riserva di giurisdizione e di legge, nonché nel divieto del ricorso alla violenza, fisica o psichica, nei riguardi delle persone comunque private della libertà (art. 13, comma 4, Cost.). Tali guarentigie compongono l’impianto di fondo di protezione della libertà, intesa come potere e scelta in merito alla propria fisicità e al disporsi nello spazio e nei luoghi, sottoponendo quindi a stretto e pieno scrutinio giudiziario ciascuna misura, necessariamente presidiata dalla riserva assoluta di legge, che attinga alla persona incidendo sulla sua autorelazione con il corpo. Il contenuto essenziale tutelato dall’articolo 13 Cost., in quanto tale, è poi a dirsi non suscettibile di revisione ex articolo 138 Cost., non rinunciabile né disponibile [18]
, come pure non se ne potrebbe sospendere la protezione neanche all’insorgere di eventuali condizioni emergenziali, straordinarie o eccezionali [19]
.
La più ampia sfera dei limiti coinvolge, invece, i presupposti e le finalità per la previsione di possibili misure restrittive della libertà personale, le quali, dunque, sono segnate da una fatale ma minima mobilità, dovuta, tra {p. 215}l’altro, alle direttrici di politica criminale. Tali previsioni legislative sono comunque sottoponibili a un controllo di proporzionalità e adeguatezza da parte della Corte costituzionale [20]
.
L’area delle limitazioni esterne, infine, assume fondamentale rilievo per le modalità di restrizione e di privazione, per la durata delle coercizioni e si rivela sensibile, oltre che alle scelte del legislatore, anche ad elementi in parte estranei alle dinamiche dei rapporti tra individuo e autorità. Si tratta delle determinanti sociali, ambientali e culturali della tutela della libertà personale, ovvero dei fattori che incidono sugli aspetti modali in cui avviene la privazione o la limitazione, e cioè dei residui «elementi della regolamentazione preventiva di ogni aspetto della restrizione stessa» [21]
.
Volgendo sul piano pratico queste riflessioni, occorre cogliere quale sia lo stato dell’arte della giurisprudenza costituzionale per quel che concerne l’oggetto di protezione degli schemi garantisti delineati dall’articolo 13 Cost. Vi sono riconducibili pacificamente: tutte le misure che incidono sulla disponibilità del proprio corpo emesse da parte di qualsivoglia autorità, con ciò intendendosi ogni forma di internamento, custodia o detenzione, nonché qualsiasi tipo di assoggettamento del proprio corpo all’altrui volere [22]
, indipendentemente dalla durata o dall’afflittività [23]
dell’azione {p. 216}coercitiva. Al fianco di questa area di misure incidenti sulla libertà fisica dell’individuo, se ne pone un’altra, definita per equivalente dalla Corte costituzionale. Si tratta del novero di misure che realizzano una degradazione giuridica, sottendono un giudizio di disvalore verso l’individuo (rectius: nei riguardi di una condotta da questi tenuta), tale da giustificare un atto limitativo della libertà personale.
Mentre è ormai sufficientemente chiaro il metodo empirico elaborato dalla Corte costituzionale per definire il primo gruppo di provvedimenti, sul secondo occorre ribadire la fondatezza di due tradizionali osservazioni. Innanzitutto, come tutte le definizioni per equivalente, anche questa finisce per integrare una valvola di adattamento, così da far ricadere sotto la sfera protettiva della riserva di giurisdizione e della riserva assoluta di legge anche provvedimenti che potrebbero non esservi ricondotti prima facie. In secondo luogo, la categoria giuridica della misura degradante e che reca un giudizio di disvalore, fa assurgere il giudice costituzionale a co-detentore del potere qualificatorio di ciò che è rapporto con il proprio corpo al riparo dalle restrizioni e di ciò che, invece, non lo è [24]
.
Quel che è certo è che entrambe le aree di inclusione delle misure limitative della libertà personale, nei fatti, concorrono a definire il bene giuridico oggetto della tutela prevista dall’articolo 13 Cost., perpetuando quell’effetto di parcellizzazione del concetto di libertà personale che ha segnato per decenni gli indirizzi sviluppati dalla giurisprudenza costituzionale.
La terza area problematica individuata dalla dottrina classica in punto di libertà personale riguarda le misure di carattere istantaneo e strumentale (quali il frisking) [25]
o i prelievi ematici a fini di accertamento e verifica, nonché quel gruppo di misure che, pur configurandosi in apparenza come obbligatorie, finiscono, qualora consegua la mancata adempienza {p. 217}all’obbligo imposto, per dare vita a provvedimenti di natura coercitiva che limitano la materiale disponibilità del proprio corpo [26]
. Al di là della labile tenuta discretiva in punto di certezza di ogni criterio fondato su ambigui elementi quantitativi, quali quello della durata puntiforme, anche le limitazioni istantanee dovrebbero essere accompagnate dalla guarentigia della riserva di giurisdizione [27]
(operante ex ante o almeno ex post secondo lo schema di convalida dell’articolo 13, comma 3, Cost.) [28]
. Del pari, pur non senza un qualche spazio residuo di dubbio, anche le misure in apparenza obbligatorie, che però una volta disattese, diano vita a immediata coercizione, si risolvono in altrettante forme limitative della libertà personale, e debbono, pertanto, essere circondate dai presidi garantisti imposti dall’articolo 13 Cost.
Ora, oltre i confini di questa tripartizione contenutistica, la spinta verso l’enucleazione di un concetto definito unitario e di valenza sistematica della libertà in titolo, potrebbe trarsi da altri quattro fronti che, tuttavia permangono di problematica elaborazione: a) l’affermarsi definitivo del principio del numero chiuso dei fini ammessi per la previsione legislativa di misure limitative della libertà personale; b) lo sviluppo di ulteriori e nitidi sviluppi giurisprudenziali, volti a delimitare il concetto, per differenza rispetto alla libertà di autodeterminazione (art. 23 Cost.) e a quella di circolazione (art. 16 Cost.); c) la capacità conformativa della giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, sul piano dell’individuazione di un contenuto {p. 218}proprio recato dall’articolo 5 CEDU; d) l’influenza dell’azione svolta dal Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, al fine di determinare una definizione in senso positivo della situazione giuridica soggettiva e, insieme, della tassonomia delle misure che la incidono.

3.1. Il vuoto dei fini e il numero chiuso dei presupposti legislativi per cui si può attingere alla libertà della persona

Pur diffusa in dottrina e autorevolmente sostenuta, la tesi per cui le misure restrittive della libertà personale potrebbero essere introdotte dalla legge soltanto per perseguire finalità predeterminate in Costituzione [29]
, non ha trovato diretto accoglimento in giurisprudenza. Tale impostazione rinviene puntuali limiti ai beni costituzionali in nome dei quali il legislatore potrebbe astrattamente prevedere discipline limitanti della libertà fisica dei singoli. La tesi, peraltro, troverebbe forza proprio alla luce dell’articolo 5 CEDU, secondo il quale il diritto convenzionale ammette il sacrificio della libertà personale: per ragioni di giustizia penale; per lo straniero illecitamente introdottosi nel territorio dello Stato; per ragioni di tutela della pericolosità dell’infermo di mente o per altre ragioni di ordine medico e sanitario; per la correzione e la protezione del percorso di crescita del minore [30]
.
È evidente, però, come la riserva di legge assoluta, prevista dalla laconica disciplina recata dall’articolo 13 Cost., non sia rinforzata. Questa divergenza di impostazioni tra i valori compositivi della CEDU e della Costituzione ha pertanto indotto la dottrina a qualificare lo stesso articolo 13 Cost. alla stregua di norma meramente procedimentale, segnata
{p. 219}dal «vuoto dei fini» o alternativamente come un segmento di previsioni garantiste semplificato. La tesi che rinviene cogenti limiti contenutistici e finalistici alle disposizioni legislative privative della libertà ha trovato rinnovato vigore in forza della portata dell’articolo 117 Cost., come, modificato dalla l. cost. n. 3 del 2001, nonché in base al valore assegnato alle fonti pattizie internazionali dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, alla luce dell’impianto della carta fondamentale [31]
.
Note
[17] Cfr. ultra, paragrafo successivo.
[18] In tal senso Pace [1992].
[19] Sul punto, è di non trascurabile importanza Corte costituzionale, sent. n. 127 del 2022, la quale, nello statuire che la quarantena domiciliare conseguente alla constatazione di positività al COVID-19 non integra incisione della libertà personale, offre al contempo l’opportunità di passare in rassegna l’intero sistema di orientamenti ricostruttivi, intessuto dalla giurisprudenza costituzionale nel corso di un cinquantennio.
[20] Lo rileva la stessa Corte costituzionale, nella sent. n. 27 del 1959, in Giur. Cost. 1959, secondo cui la discrezionalità del legislatore nel prevedere le fattispecie in astratto privative o limitative della libertà personale non è piena, giacché resta in mano alla stessa Corte costituzionale di sindacare quelle circostanze in cui «nel disporre limitazioni dei diritti di libertà, incorra in una qualsiasi violazione delle norme della Costituzione». Come pure, rientra nell’area dei limiti del diritto di libertà in commento, l’enucleazione dei casi in cui il modulo procedimentale si sposta verso la procedura eccezionale di cui al terzo comma dell’articolo 13 Cost. Infatti, come emerge con chiarezza da Corte costituzionale, sent. n. 223 del 2004, spetta sempre alla Corte costituzionale, il controllo sul corretto bilanciamento tra il conferire poteri eccezionali all’autorità di pubblica sicurezza e «la tutela di esigenze previste dalla Costituzione, tra cui in primo luogo quelle connesse al perseguimento delle finalità del processo penale, tali da giustificare, nel bilanciamento tra interessi meritevoli di tutela, il temporaneo sacrificio della libertà personale, in attesa dell’intervento dell’autorità giudiziaria».
[21] Così, tra le altre, Corte costituzionale, sent. n. 15 del 1982.
[22] Così la seminale Corte costituzionale, sent. n. 30 del 1962, in cui viene esplicitamente enucleata la c.d. «libertà morale». Sul punto, si tornerà con particolare riferimento alla struttura di questo diritto in riguardo alle persone con disabilità.
[23] Peraltro, i sistemi di ponderazione dell’afflittività e del grado di invadenza di ciascuna misura, per verificare se sussistano gli estremi di una limitazione della libertà personale, e quindi si ponga la necessità del rispetto stretto delle garanzie di cui all’articolo 13 Cost., resta una tecnica decisoria assai spesso impiegata anche da parte della Corte Suprema statunitense. Cfr., infatti, 133 Supreme Court 1958 (2013), Maryland vs King, in cui si rinviene l’impiego del reasonableness test, per decidere della legittimità costituzionale del prelievo di campioni di DNA sul soggetto in stato di fermo sulla base di indizi di colpevolezza, per poter procedere alla sua identificazione. La maggioranza dei giudici incentra la tecnica decisoria sulla necessità di bilanciare il significant government interest, con il diritto alla privacy. Non stupisce, dunque, che lungo la traiettoria argomentativa seguita dalla Corte Suprema si trovi un’analitica disamina degli indici di invasività della misura: viene così in rilievo il luogo ove si deve provvedere al prelievo del campione (che nel caso di specie era stata la stessa stazione di polizia ove era stato effettuato il fermo del sospettato); del pari, la sentenza trova rilevante soffermarsi sulla natura medico-clinica necessaria al prelievo di DNA, qualificandola come non di natura chirurgica e comunque poco invasiva, tanto da essere accomunabile al prelievo di impronte digitali. Vale ribadire come la dissenting opinion muova dalla constatazione, solo apparentemente banale, per cui il IV Emendamento postula una specifica autorizzazione da parte del giudice, per provvedere a un’ispezione corporale, a nulla valendo discernere sul grado di incisività della singola misura, per provare ad argomentarne una sorta di assorbimento nell’autorizzazione al fermo che sta alla base di una sequela concatenata di provvedimenti incidenti sull’integrità della persona.
[24] Ma il discorso vale, ovviamente, anche per l’intero ordine giudiziario, giacché in tale materia l’ordinanza con cui si solleva la questione incidente di costituzionalità diviene uno strumento con cui interrogare la Corte costituzionale, dando impulso attivo e continuo alla costruzione definitoria della libertà personale.
[25] Con il termine anglosassone, si intende il palpeggiamento a fini di perquisizione. L’istituto fu sottoposto a scrutinio di costituzionalità con la pronuncia Corte cost., sent. 27 gennaio 1972, n. 13.
[26] Se si ritiene, si veda ancora, sul punto, Pace e Piccione [2006].
[27] Inizialmente, furono sottratti al garantista principio costituzionale della riserva di giurisdizione proprio gli atti coercitivi di natura istantanea, da Corte cost., sent. 27 gennaio 1972, n. 13. Si trattava di una sentenza assai deludente, già nel contesto culturale di un tempo tanto lontano, e che finiva per salvare misure di carattere certamente coercitivo e privativo della libertà personale, mediante l’affermazione, assai pericolosa. La tesi dalla Corte, poi sconfessata, era la seguente: «È evidente che tale procedura (il controllo giurisdizionale sull’atto privativo della libertà personale) è necessaria solo quando si tratti di provvedimenti che danno luogo a restrizione duratura della libertà e, nel caso dell’accompagnamento coattivo, detta condizione non ricorre trattandosi di provvedimento che incide in modo del tutto temporaneo sulla libertà personale». È la famosa pronuncia che sottraeva le limitazioni istantanee al controllo giurisdizionale. Venne, in seguito, del tutto superata.
[28] Inizialmente, l’articolo 4 r.d. n. 773/1931 venne salvato dalla Corte costituzionale sulla base di distinguo piuttosto discutibili che, comunque, non hanno retto al tempo. La Corte sostenne, per un periodo piuttosto lungo, che i prelievi di sangue e le indagini psicologiche e psichiatriche ricadrebbero nel raggio di applicazione dell’articolo 13 Cost.; invece, le misure che attingono solo all’esterno della persona, restando integra la disponibilità del corpo, non dovrebbero, di necessità, vedersi applicate le garanzie costituzionali previste dall’articolo 13 Cost. Tutto ciò si trae dall’antica pronuncia della Corte costituzionale, sent. n. 30 del 1962. Anche questo criterio quantitativo dell’incisione della misura, assai aleatorio, finì per far perdere tracce di sé nella giurisprudenza costituzionale.
[29] In questo senso, tra i primi Elia [1962]; torna diffusamente sul punto Filippetta [2001].
[30] Conviene riportare il testo completo dell’articolo 5 CEDU che, non senza termini assai discutibili, sposa il principio dell’elenco chiuso dei fini per i quali si può procedere a limitare la libertà personale dei singoli. Dispone, infatti: «Nessuno può essere privato della sua libertà, eccetto che nei casi seguenti e per via legale: a) se è detenuto legittimamente dopo un condanna da parte di un tribunale competente; b) se è stato oggetto di un arresto o di una detenzione legittima per inosservanza di una ordinanza emessa, conformemente alla legge, da un tribunale o per garantire l’esecuzione di un’obbligazione prevista dalla legge; c) se è stato arrestato o detenuto per essere condotto avanti l’autorità giudiziaria, quando si ha il fondato motivo di supporre che abbia commesso un reato o si ha motivo di credere che è necessario impedire che commetta un reato o che fugga dopo il compimento di questo; d) se si tratta della detenzione legittima di un minore, stabilita per la sua educazione controllata o della detenzione disposta al fine di tradurlo avanti l’autorità competente; e) se si tratta dell’arresto o della detenzione legittima di una persona capace di diffondere una malattia contagiosa, di un alienato, di un alcolizzato, di un tossicomane o di un vagabondo; f) se si tratta dell’arresto o della detenzione legittima di una persona per impedirle di entrare nel territorio clandestinamente o contro la quale è in corso un procedimento di espulsione o di estradizione. [...]».
[31] Cfr., al riguardo, le storiche e gemellari Corte costituzionale sentt. nn. 348 e 349 del 2009.