Note
  1. Cfr. G. Palombella e E. Scoditti, L’interlegalità e la ragion giuridica del diritto contemporaneo, in questo volume.
  2. Cfr. Y. Shany, International Courts as Interlegality Hubs, in J. Klabbers e G. Palombella (a cura di), The Challenge of Inter-legality, Cambridge, Cambridge University Press, 2019, p. 325.
  3. Cfr. M. Kumm, The Cosmopolitan Turn in Constitutionalism: On the Relationship between Constitutionalism in and beyond the State, in J.L. Dunoff e J.P. Trachtman(a cura di), Ruling the World? Constitutionalism, International Law and Global Governance, Cambridge, Cambridge University Press, 2009, pp. 258 s.
  4. Cfr. la definizione del fenomeno fornita da C.R. Sunstein, Backlash’s Travels, in «Harvard Civil Rights-Civil Liberties Law Review», 2007, p. 435: «Let us define “public backlash”, in the context of constitutional law, in the following way: Intense and sustained public disapproval of a judicial ruling, accompanied by aggressive steps to resist that ruling and to remove its legal force».
  5. Cfr. G. Palombella, Interlegalità. L’interconnessione tra ordini giuridici, il diritto, e il ruolo delle corti, in «Diritto e Questioni Pubbliche», 2018, p. 315 s.
  6. Ibidem.
  7. Quasi superfluo evocare al riguardo il caso della Brexit, o la denuncia da parte di alcuni Paesi sudamericani del sistema facente capo alla Corte interamericana dei diritti dell’uomo e alla relativa Convenzione: tra i tanti contributi in materia cfr. sul primo caso F. Casolari, Il recesso dall’Unione Europea: per una lettura dell’art. 50 TUE tra diritto sovranazionale e diritto internazionale, in «Rivista di Diritto Internazionale», 2019, pp. 1006 s.; sul secondo X. Soley e S. Steinberger, Parting Ways or Lashing Back? Withdrawals, Backlash and the Inter-American Court of Human Rights, in «International Journal of Law in Context», 2018, pp. 237 ss.
  8. La dinamica è analizzata con i dovuti approfondimenti nel saggio di D. Lustig e J.H.H. Weiler, Judicial Review in the Contemporary World – Retrospective and Prospective, in «International Journal of Constitutional Law», 2018, pp. 315 ss., i quali individuano una contemporanea «terza ondata» dei fenomeni di controllo giurisdizionale sviluppato a livello nazionale e globale da corti interne e corti internazionali, caratterizzata proprio da una logica di contrapposizione tra le istanze giudiziarie coinvolte. Si vedano anche i commenti a tale studio raccolti nel forum curato da G. Palombella, Corti, Costituzioni e rapporti tra ordinamenti. Una riflessione italiana sulla cartografia di Lustig e Weiler, in «Quaderni Costituzionali», 2020, pp. 163 ss.
  9. Cfr. in generale sul fenomeno M. Rask Madsen, P. Cebulak e M. Wiebusch, Backlash against International Courts: Explaining the Forms and Patterns of Resistance to International Courts, in «International Journal of Law in Context», 2018, pp. 197 ss.
  10. A nostra conoscenza, il termine «contro-costituzionalismo» è stato fin qui applicato a fenomeni di natura socio-politica che, nel contesto delle democrazie costituzionali liberali, portano a distanziare o contrapporre il corpo sociale dalle istituzioni costituzionali dello Stato: per una analisi in termini giuridici del fenomeno cfr. R. Albert, Counterconstitutionalism, in «Dalhousie Law Journal», 2008, pp. 1 ss.; più recentemente, il termine è stato associato alle tendenze populiste di contestazione dei principi giuridici costituzionali dello Stato: cfr. P. Blokker, Populist Counter-Constitutionalism, Conservatorism, and Legal Fundamentalism, in «European Constitutional Law Review», 2019, pp. 519 ss. Come suggerito nel testo, il nostro intento è invece usare l’espressione per identificare: i. un’opposizione sviluppata in un contesto di dialettica giudiziaria tra le Corti supreme/sovranazionali/internazionali di due (o più) ordinamenti; ii. un’opposizione vertente intorno a una difesa dei principi costituzionali/identitari dell’assetto costituzionale degli ordinamenti coinvolti.
  11. Per un’analisi parallela del fenomeno del contro-costituzionalismo nei due contesti dell’UE e della CEDU, si rinvia a M. Arcari e S. Ninatti, Exploring Counter-constitutionalism. The Backlash Effect of Constitutional Vocabulary of the European Court of Justice and the European Court of Human Rights, paper presentato al Convegno Challenges to Global Constitutionalism, WZB Center for Global Constitutionalism, Berlino, 5-6 luglio 2018.
  12. Per una valutazione complessiva della questione del «backlash» nei confronti della Corte EDU, cfr. A. Nussberger, From High Hopes to Scepticism? Human Rights Protection and Rule of Law in Europe in an Ever More Hostile Environment, in H. Krieger, G. Nolte e A. Zimmermann (a cura di), The International Rule of Law. Rise or Decline?, Oxford, Oxford University Press, 2019, pp. 150 ss.; A. Sajó e S. Giuliano, The Perils of Complacency. The European Human Rights Backlash, in Klabbers e Palombella (a cura di), The Challenge of Inter-legality, cit., 2019, pp. 230 ss. Cfr. anche il volume a cura di P. Popelier, S. Lambrecht e K. Lemmens, Criticism of the European Court of Human Rights, Cambridge-Antwerp-Portland, Intersentia, 2016, che raccoglie una valutazione in ottica «critica» dei rapporti tra la Corte EDU e le istituzioni politiche e giudiziarie di quindici Stati parti alla CEDU.
  13. Cfr. Corte EDU, Loizidou v. Turkey (Preliminary Objections), App. no. 15318/89, 23 marzo 1995, par. 75.
  14. Cfr. Corte EDU, Bosphorus Hava Yollari Turism Ve Ticaret Anonim Sirketi v. Ireland, App. no. 45036/98, (Grande Camera) 30 giugno 2005, par. 156.
  15. Cfr. Corte EDU, Al-Dulimi and Montana Management Inc v. Switzerland, App. no. 5809/08, (Grande Camera) 21 giugno 2016, par. 145. Il riferimento alla CEDU quale strumento costituzionale dell’ordine pubblico si trova altresì nelle sentenze Al-Skeini and Others v. The United Kingdom, App. no. 55721/07, (Grande Camera) 7 luglio 2011, par. 141; e Bankovic and Others v. Belgium and Others, App. no. 52207/99 (Grande Camera), 12 dicembre 2001, par. 80. Più recentemente, senza riferirsi al carattere «costituzionale» della CEDU, la Corte ha affermato con analoga formula che «Democracy constitutes a fundamental element of the “European public order”»: cfr. Mugemangango v. Belgium, App. no. 310/15, (Grande Camera) 10 luglio 2020, par. 67.
  16. Cfr. in particolare per questa lettura «costituzionalistica» del ruolo della Corte EDU, A. Stone Sweet, Sur la constitutionnalisation de la Convention européenne des droits de l’homme: cinquante ans après son installation, la Cour européenne des droits de l’homme conçue comme une Cour constitutionnelle, in «Revue Trimestrielle des Droits de l’Homme», 2009, pp. 923 ss.; S.C. Greer e L. Wildhaber, Revisiting the Debate about «Constitutionalizing» the European Court of Human Rights, in «Human Rights Law Review», 2012, pp. 674 ss. Con riferimento all’ingresso nel sistema CEDU degli Stati dell’Europa centrale e orientale, cfr. anche W. Sadurski, Partnering with Strasbourg: Constitutionalisation of the European Court of Human Rights, the Accession of Central and East European States to the Council of Europe, and the Idea of Pilot Judgments, in «Human Rights Law Review», 2009, pp. 397 ss.
  17. Cfr. in generale sul tema H. Keller e A. Stone Sweet, Assessing the Impact of the ECHR on National Legal Systems, in Iid.(a cura di), A Europe of Rights. The Impact of the ECHR on National Legal Systems, Oxford, Oxford University Press, 2008, pp. 678 ss.
  18. Cfr. L. López Guerra, National Identity and the European Convention on Human Rights, in A. Saiz Arnaiz e C. Alcoberro Llivina (a cura di), National Constitutional Identity and European Integration, Cambridge-Antwerp-Portland, Intersentia, 2013, pp. 305 ss., spec. 307-309.
  19. Cfr. Corte EDU, Hirst v. United Kingdom (no. 2), App. no. 74025/01, (Grande Camera) 6 ottobre 2005.
  20. Cfr. Corte EDU, Anchugov and Gladkov v. Russia, App. no. 11157/04 and 15162/05, 4 luglio 2013.
  21. Cfr. M. Rask Madsen, The Challenging Authority of the European Court of Human Rights: From Cold War Legal Diplomacy to the Brighton Declaration and Backlash, in «Law and Contemporary Problems», 2016, pp. 141 s., spec. 169-170.
  22. Cfr. ad esempio il pamphlet a cura di M. Pinto-Duschinsky, Bringing Rights Back Home. Making Human Rights Compatible with Parliamentary Democracy in the UK, Policy Exchange, 2011, con l’introduzione di Lord Hoffmann, ove viene sottolineato: «the Strasbourg Court has taken upon itself an extraordinary power to micromanage the legal systems of the Member States of the Council of Europe (or at any rate those which pay attention to its decisions) culminating, for the moment, in its decisions that the UK is not entitled to have a law that convicted prisoners lose, among other freedoms, the right to vote» (ibidem, p. 7).
  23. Sulla questione dell’esecuzione delle sentenze della Corte EDU di fronte alle giurisdizioni britanniche, cfr. in generale E. Bates, The UK and Strasbourg: A Strained Relationship – The Long View, in K.S. Ziegler, E. Wicks e L. Hodson(a cura di), The UK and European Human Rights. A Strained Relationship?, London, Hart, 2015, pp. 39 ss.
  24. Obbligo previsto in particolare dalla sezione 2.1. dello «Human Rights Act» del 1998, secondo cui «A court or tribunal determining a questions which has arisen in connection with a Convention right must take into account any – (a) judgment, decision, declaration or advisory opinion of the European Court of Human Rights, (…)».
  25. Tale interpretazione era stata elaborata dalla Corte Suprema del Regno Unito in particolare nella sentenza R v. Horncastle and others (Appellants) (on appeal from the Court of Appeal Criminal Division) [2009] UKSC 14, 9 dicembre 2009, spec. par. 11 (Lord Phillips).
  26. In particolare, con riferimento al caso Scoppola c. Italia (Scoppola v. Italy [No. 3]), App. no. 126/05, (Grande Camera, 22 maggio 2012, spec. par. 106) in cui la Corte EDU aveva escluso la violazione dell’art. 3 del I Protocollo a carico dell’Italia, sul rilievo che la privazione del diritto di voto per i detenuti nella legislazione italiana non è applicata automaticamente, ma in relazione alla gravità del reato e della relativa pena.
  27. Cfr. R (on application of Chester) (Appellant) v. Secretary of State for Justice (Respondent). McGeoch (AP) (Appellant) v. The Lord President of the Council and another (Respondents) (Scotland) [2013] UKSC 63, 16 ottobre 2013, par. 27 (Lord Mance).
  28. Ibidem, rispettivamente parr. 42 e 34 («within the domestic legal context, it is now therefore for the Parliament as the democratic elected legislature to complete its consideration of the position in relation to [UK legislation on prisoners voting rights]»).
  29. In generale, sull’atteggiamento di resistenza dell’ordinamento russo rispetto all’attuazione delle sentenze della Corte EDU, cfr. A. Matta e A. Mazmanyan, Russia: In Quest for a European Identity, in Popelier, Lambrecht e Lemmens(a cura di), Criticism of the European Court of Human Rights, cit., pp. 481 ss.
  30. Cfr. l’art. 32, cap. 2, sez. 3, della Costituzione russa, riportato (in traduzione inglese) nella sentenza della Corte EDU, Anchugov and Gladkov v. Russia, cit., par. 30: «3. (…) citizens detained in a detention facility pursuant to a sentence imposed by a court shall not have the right to vote or to stand for election».
  31. Cfr. Costitutional Court of the Russian Federation, Judgment of 16 April 2016 No. 12-P/2016 in the case concerning the resolution of the question of possibility to execute the Judgment of the European Court of Human Rights of 4 July 2013 in the case of Anchugov and Gladkov v. Russia in accordance with the Constitution of the Russian Federation in respect to the request of the Ministry of Justice of the Russian Federation (traduzione inglese non ufficiale disponibile al sito della Corte costituzionale russa: www.ksrf.ru/en/ Decision/Judgments/Documents/2016_April_ 19_12-P.pdf). Tra i diversi commenti alla sentenza cfr. P. Pustorino, Russian Constitutional Court and the Execution «à la carte» of ECtHR Judgments, in «QIL-Questions of International Law», 32, 2016, pp. 5 ss.;I. Kleimenov, Judgment of the Constitutional Court of the Russian Federation no 12-P/2016: Refusal to Execute Judgements of ECHR or the search for compromise between Russian and International Law?, in «QIL-Questions of International Law», 32, 2016, pp. 19 ss.
  32. Corte EDU, Anchugov and Gladkov v. Russia, cit., par. 111 (corsivo aggiunto).
  33. Cfr. Costitutional Court of the Russian Federation, Judgment of 16 April 2016 No. 12-P/2016,cit., par. 1.2: «The Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms as an international treaty of the Russian Federation is an integral part of its legal system, and, therefore, the State is obliged to execute a judgment of the European Court of Human Rights (…). At the same time, the interaction of the European conventional and the Russian constitutional legal orders is impossible in the conditions of subordination, so far as only a dialogue between different legal systems is a basis of their appropriate balance, and the effectiveness of norms of the Convention for the Protection of Human Rights and Fundamental Freedoms in the Russian legal order in many respects depends on the respect of the European Court of Human Rights for the national constitutional identity» (corsivo aggiunto).
  34. Ibidem, par. 4.4 (corsivo aggiunto).
  35. Basti qui esemplarmente ricordare che sin dalla sentenza n. 348/2007 la Corte ha affermato che «si deve (…) escludere che le pronunce della Corte di Strasburgo siano incondizionatamente vincolanti ai fini del controllo di costituzionalità delle leggi».
  36. Non a caso, infatti, autorevole dottrina, ha descritto l’opera esegetica compiuta dalla Corte di Strasburgo nel tempo come costitutiva di un vero e proprio «diritto interpretato» in materia di diritti fondamentali (F. Ost, Originalità dei metodi di interpretazione della Corte europea dei diritti dell’uomo, in M. Delmas-Marty[a cura di], Verso un’Europa dei diritti dell’uomo, Padova, CEDAM, 1994, pp. 277 ss.): S. Lonati, Metodi di interpretazione della Corte Edu ed equo processo, in «Giurisprudenza Costituzionale», 2015, p. 250 sottolinea, inoltre, come una delle caratteristiche portanti di questa interpretazione è volta «allo scopo di tutelare l’individuo e, qualora siano ammissibili più interpretazioni, occorre privilegiare quella che assicura maggiori garanzie al ricorrente». Non è possibile in questa sede scendere nel dettaglio di questo affascinante tema, per tutti si veda G. Repetto, Argomenti comparativi e diritti fondamentali in Europa. Teorie dell’interpretazione e giurisprudenza sovranazionale,Napoli, Jovene, 2011. Si noti, per inciso, che queste possibili crepe dell’architettura predisposta per raccordare i due sistemi giuridici nasce anche dal fatto che – a differenza di quanto avviene nel sistema euro-unitario – non è previsto un rinvio «pregiudiziale» alla Corte di Strasburgo sull’interpretazione della norma convenzionale.
  37. Come è stato osservato, si cela in questa domanda la preoccupazione «che, in qualche occasione, ci si possa ritrovare a essere… “più realisti del re”», rischiando di far discendere da una sentenza isolata della Corte di Strasburgo un vincolo interpretativo, «ovvero a impugnare ed eventualmente annullare in via definitiva norme nazionali ritenute contrastanti con la CEDU sulla sola base di indirizzi giurisprudenziali controversi ed “effimeri” della Corte di Strasburgo, magari di singole sentenze destinate a essere “smentite” in breve tempo» (V. Sciarabba, La Corte Edu tra Corte costituzionale e giudici comuni, in «Questione giustizia», 2019, p. 205).
  38. Come noto, infatti, il giudice costituzionale ha specificato che, perché la giurisprudenza EDU possa assurgere a vera e propria risorsa ermeneutica, essa debba essere «consolidata» (così soddisfacendo una serie di indici in parte identificati dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 49/2015, p.to 7) oppure trovi espressione in una sentenza-pilota. Senza poter scendere nel dettaglio di questa problematica, tale affermazione della Corte non è passata senza critiche, come esemplarmente mostra la risposta della Corte EDU a questa presa di posizione della Consulta: si veda a riguardo la sentenza 28 giugno 2018, GIEM e altri c. Italia, nel momento in cui osserva che «the Court would emphasise that its judgments all have the same legal value. Their binding nature and interpretative authority cannot therefore depend on the formation by which they were rendered» (ibidem, par. 252).
  39. Come osserva C. Pinelli, «Valutazione sistematica» vs. «valutazione parcellizzata»: un paragone con la Corte di Strasburgo, in «Giurisprudenza Costituzionale», 2012, p. 4229, la sentenza n. 264/2012 si distingue per «l’esplicita affermazione di una riserva esclusiva di bilanciamento, la quale costituirebbe l’autentico elemento differenziale con la tutela apprestata a Strasburgo».
  40. Il corsivo è nostro. In questa sentenza la Corte costituzionale chiarisce, senza mezzi termini, che comunque anche l’interpretazione convenzionalmente conforme richiesta al giudice ordinario non può risultare in contrasto con la lettura costituzionalmente conforme che il medesimo è chiamato a fornire, poiché «è fuori di dubbio che in tale ipotesi il giudice debba anzitutto obbedienza alla Carta repubblicana». Ancora più secca è l’osservazione, riportata nel testo, secondo cui il dovere di interpretazione conforme alla Convenzione «è ovviamente subordinato al prioritario compito di adottare una lettura costituzionalmente conforme poiché tale modo di procedere riflette il predominio assiologico della Costituzione sulla CEDU» (sentenza n. 49/2015; più recentemente cfr. anche sentenza n. 25/2019).
  41. P.to 7. La dottrina non ha mancato di rilevare come proprio perché la fonte convenzionale occupa una posizione sub-costituzionale nel nostro ordinamento, essa risulta inesorabilmente depotenziata rispetto alla interpretazione conforme alla Costituzione, fino ad assumere il valore di mero argomento retorico: esemplarmente C. Caruso, Controllo di convenzionalità e interpretazione conforme: il ruolo del giudice nazionale, in «Questione giustizia», 2019, p. 212, osserva che «proprio la particolare natura della Convenzione e la sua posizione nell’ordinamento interno depotenziano la portata precettiva dell’interpretazione conforme al diritto convenzionale. La giurisprudenza costituzionale ha, infatti, progressivamente svuotato tale canone ermeneutico, il quale ha smesso le vesti della regola sulla interpretazione per assumere i tratti, meno dirompenti, del semplice argomento interpretativo».
  42. Cfr. Palombella e Scoditti, L’interlegalità e la ragion giuridica del diritto contemporaneo, in questo volume; si noti che il ruolo del caso concreto sulla decisione che coinvolge l’ordinamento convenzionale è stato più volte sottolineato, forse più per altri motivi, anche dalla Corte costituzionale: esemplarmente si vedano le osservazioni riguardo la valenza della decisione della Corte di Strasburgo, che «ancorché tenda ad assumere un valore e generale di principio (…), resta pur sempre legata alla concretezza della situazione che l’ha originata: la circostanza che il giudizio della Corte europea abbia ad oggetto un caso concreto e, soprattutto, la peculiarità della singola vicenda su cui è intervenuta la pronuncia devono, infatti, essere adeguatamente valutate e prese in considerazione da questa Corte, nel momento in cui è chiamata a trasporre il principio affermato dalla Corte di Strasburgo nel diritto interno e a esaminare la legittimità costituzionale di una norma per presunta violazione di quello stesso principio» (sentenza Corte costituzionale n. 236 del 2011, par. 12).
  43. Più specificamente, in forza dell’accordo italo-svizzero, i cittadini italiani che hanno lavorato in Svizzera e là versato i loro contributi previdenziali, una volta tornati definitivamente in patria possono chiederne il trasferimento all’assicurazione sociale italiana. L’accordo non si occupa del problema del diverso regime contributivo esistente nei due Stati: tuttavia, l’INPS, a partire dal 1982, al momento di liquidare i trattamenti pensionistici procede costantemente ad un ricalcolo della pensione in senso riduttivo, motivo per cui cominciano ad aprirsi cause davanti ai giudici ordinari, che arrivano poi in Cassazione: con orientamento consolidato il giudice degli ermellini condanna tale intervento dell’INPS in quanto non solo non previsto dalla legge, ma anche perché costituisce un’arbitraria modifica dei criteri di liquidazione della pensione. Stante questa discrepanza fra organo erogatore delle pensioni e giurisprudenza, il legislatore decide di intervenire inserendo un comma nella legge di bilancio del 2006 (art. 1, c. 777, l. 296/2006) con cui dispone una interpretazione autentica dell’art. 5, c. 2, d.p.r. n. 488/1968 ai fini di riproporzionare la liquidazione delle prestazioni pensionistiche in base ai contributi effettivamente versati all’estero: il ricalcolo conseguente alla riforma del 2006 comportava, anch’essa, una disciplina non favorevole ai cittadini italiani che avevano lavorato in Svizzera (senza, chiaramente, intaccare i diritti oramai acquisiti).
  44. Si noti che tale norma viene subito, più volte, sottoposta al vaglio della Corte costituzionale da parte della Cassazione: con la sentenza n. 172/2008, il giudice delle leggi, tuttavia, respinge i dubbi di legittimità su un’eventuale violazione degli artt. 3, c. 1, 35 e 38, c. 2 Costituzione.
  45. Cfr. esemplarmente Cassazione 6 marzo 2004 n. 4623; Cassazione 26 ottobre 2004, n. 20713; Cassazione 12 aprile 2005, n. 7455. Più ampiamente sulla vicenda processuale di merito si veda B. Caponetti, Le pensioni svizzere e il dialogo tra le Corti: non guardarmi, non ti sento, in «Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale», 2018, p. 91 ss., e, criticamente, A. Riccio, Brevi note in attesa di una nuova pronuncia della Consulta sulle pensioni dei lavoratori migranti, in «Rivista Italiana di Diritto del Lavoro», 2015, pp. 880 ss.
  46. Non è analizzabile in questa sede il dialogo fra Corte costituzionale italiana e Corte di Strasburgo, a tratti invero problematico, sulla posizione da riservare alle leggi retroattive all’interno di un ordinamento giuridico: tale esistente tensione sul punto si può leggere fra le righe anche del caso in esame. Sul merito della vicenda, su questo punto, si rimanda a R. Caponi, Retroattività delle leggi: limiti sostanziali v. limiti processuali nel dialogo tra le corti ([Osservazione a] Corte costituzionale, 28 novembre 2012, n. 264), in «Giurisprudenza Costituzionale», 2012, pp. 4232 ss.
  47. Più precisamente si veda la sentenza della Corte EDU, Maggio e altri c. Italia, Ricorsi nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e 56001/08 (Seconda Sezione, 31 maggio 2011) par. 49: «Quanto alla tesi del Governo che la Legge era stata necessaria per ristabilire un equilibrio nel sistema pensionistico eliminando qualsiasi vantaggio goduto dalle persone che avevano lavorato in Svizzera e versato contributi inferiori, la Corte accetta che vi fosse un motivo di interesse generale, ma non è convinta del fatto che esso fosse sufficientemente impellente da superare i pericoli inerenti all’utilizzo della legislazione retroattiva, che ha l’effetto di influenzare la determinazione giudiziaria di una controversia pendente in cui lo Stato era parte» (corsivo nostro).
  48. Ibidem, par. 47, in cui si afferma ulteriormente che «considerazioni finanziarie non possono da sole determinare le controversie».
  49. Sentenza della Corte costituzionale del 28 novembre 2012, n. 264/2012 (cui ha fatto seguito l’ord. del 23 gennaio 2014, n. 10), passim.
  50. G. Strozzi, La tutela (s)bilanciata dei diritti dell’uomo, in «Il Diritto dell’Unione Europea», 2014, p. 190; così anche G. Amoroso, Nota a sentenza 264/2012, in «Foro Italiano», 2013, p. 31, osserva che nel momento in cui il parametro interposto non si sottrae esso stesso al bilanciamento della Corte costituzionale con i parametri costituzionali interni, si può parlare «in un significato più ampio di “controlimite” alle norme della CEDU come parametro interposto».
  51. Sentenza Corte costituzionale n. 264/2012, secondo cui anche – come da giurisprudenza costante – «il rispetto degli obblighi internazionali non può mai essere causa di una diminuzione di tutela rispetto a quelle già predisposte dall’ordinamento interno, ma può e deve, viceversa, costituire strumento efficace di ampliamento della tutela stessa» (p.to 4.1).
  52. Tale per cui la Corte costituzionale italiana offre una tutela sistemica e generale dei diritti coinvolti laddove la Corte di Strasburgo si fonda su una forma di garanzia degli stessi parcellizzata e concreta: cfr. esemplarmente ibidem, p.to 5.4: «Né è priva di rilievo la circostanza che la sentenza della Corte EDU, che è tenuta a tutelare in modo parcellizzato, con riferimento a singoli diritti, i diversi valori in giuoco, da un lato, ritenga sussistente, nella specie, la violazione del diritto dei ricorrenti ad un equo processo, solo per questo riconoscendo loro un indennizzo, e, dall’altro, escluda la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, pur denunciata dai ricorrenti sotto il profilo dell’ingerenza nel pacifico godimento dei loro beni attraverso la riduzione della pensione (…). A differenza della Corte EDU, questa Corte, come dianzi precisato, opera una valutazione sistemica, e non isolata, dei valori coinvolti dalla norma di volta in volta scrutinata, ed è, quindi, tenuta a quel bilanciamento, solo ad essa spettante, che, nella specie, dà appunto luogo alla soluzione indicata». Così già la sentenza n. 236/2011 «ancorché tenda ad assumere un valore generale e di principio, la sentenza pronunciata dalla Corte di Strasburgo (…) resta pur sempre legata alla concretezza della situazione che l’ha originata: la circostanza che il giudizio della Corte europea abbia ad oggetto un caso concreto e, soprattutto, la peculiarità della singola vicenda su cui è intervenuta la pronuncia devono, infatti, essere adeguatamente valutate e prese in considerazione da questa Corte, nel momento in cui è chiamata a trasporre il principio affermato dalla Corte di Strasburgo nel diritto interno e a esaminare la legittimità costituzionale di una norma per presunta violazione di quello stesso principio». In seguito, si sono usate espressioni ancora più precise: così nella sentenza n. 85 del 2013 si afferma che «tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile, pertanto, individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre “sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro” (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona».
  53. R. Romboli, Nota a sentenza 264/2012, in «Foro Italiano», 2013, p. 28.
  54. Si può, peraltro, ricordare che la Consulta aveva già espresso tale principio in forza della necessità di rispettare la «sostanza della giurisprudenza convenzionale» (sentenza n. 311/2009); cfr. esemplarmente sentenza n. 236/2011: «a questa Corte compete […] apprezzare la giurisprudenza europea consolidatasi sulla norma conferente, in modo da rispettare la sostanza, ma con un margine di apprezzamento e di adeguamento che le consenta di tener conto delle peculiarità dell’ordinamento giuridico in cui la norma convenzionale è destinata a inserirsi» (cfr. anche 303/2001 e 311//2009).
  55. Amoroso, Nota a sentenza 264/2012, cit., p. 32, il quale conclude che è proprio nella verifica della violazione dell’art. 117, c. 1, che la Corte costituzionale, operando il necessario bilanciamento con gli altri interessi costituzionali coinvolti, può valutare che «sul versante interno la violazione del parametro interposto, costituito dalla norma della CEDU così come interpretata dalla corte di Strasburgo non ridondi in violazione dell’art. 117, c. 1» (ibidem). Similmente G. Scaccia, «Rottamare» la teoria dei controlimiti, in «Quaderni Costituzionali», 2013, p. 145: «La Corte costituzionale ha dunque per la prima volta fatto valere il limite costituzionale contro il diritto CEDU».
  56. A. Ruggeri, La Consulta rimette abilmente a punto la strategia dei suoi rapporti con la Corte EDU e, indossando la maschera della consonanza, cela il volto di un sostanziale, perdurante dissenso nei riguardi della giurisprudenza convenzionale, in «Diritti Comparati», 14 dicembre 2014, online.
  57. E. Scoditti, Se un diritto umano diventa un diritto fondamentale: la Cedu come parametro interposto di costituzionalità, in «Foro Italiano», 2013, p. 788. Si veda anche F. Bilancia, Leggi retroattive ed interferenza dei processi in corso: la difficile sintesi di un confronto dialogico tra Corte costituzionale e Corte europea fondato sulla complessità del sistema dei reciproci rapporti, in «Giurisprudenza Costituzionale», 2012, p. 4236, nel momento in cui descrive il dialogo fra Corti che «collocate su piani distinti e non omogenei, illuminano volta a volta oggetti differenti che, seppur in parte sovrapposti, non devono indurre a confondere il linguaggio e gli effetti delle rispettive decisioni né confrontarle fra loro nell’ottica di una mera sovrapposizione tematica delle fattispecie oggetto dei relativi giudizi». Più ampiamente sul tema della differente nozione di diritti umani e diritti fondamentali cfr. G. Palombella, From Human Rights to Fundamental Rights. Consequences of a conceptual distinction, in Archiv für Rechts und Sozialphilosophie, 2007, disponibile online in Working Paper, EUI Law, 2006/34.
  58. Scoditti, Se un diritto umano diventa un diritto fondamentale, cit., p. 790.
  59. G. Palombella, La politica come limite al diritto? Contrasti normativi oltre lo Stato, Napoli, ESI, 2018, p. 14: secondo l’autore, è in tale prospettiva che va letta la «più o meno giustificabile “resistenza” statale», la quale va a toccare «interrogativi tutt’altro che secondari, che riguardano la cornice stessa di un diritto pubblico sovrastatale, una cornice che dovrebbe rimpiazzare le precedenti logiche basate su autorità, competenza ed esclusività dello Stato».
  60. Sentenza della Corte EDU, Stefanetti e a. contro Italia,15 aprile 2014, par. 42 e 43, laddove non solo si condanna un inammissibile ritardo dello Stato italiano nel regolare la questione dei lavoratori migranti svizzeri, a seguito dell’intervenuta riforma del 1982 («fu lo Stato stesso a creare una disparità che esso provò a correggere solo ventiquattro anni dopo [e trentotto anni dopo la promulgazione delle disposizioni di legge originarie])», ma anche una diversa e costante interpretazione maggioritaria ad opera dei giudici in favore dei soggetti lesi dal ricalcolo della pensione operato dall’INPS, tale per cui «nel caso di specie l’ingerenza legislativa (che faceva pendere la bilancia a favore di una delle parti) non era prevedibile». Per queste ragioni «La Corte ritiene (…) che non si possa affermare che l’intervento legislativo mirasse a ripristinare l’intenzione originaria del legislatore del 1962. (…) Invero, anche ammettendo che lo Stato stesse tentando di perequare una situazione che originariamente non aveva inteso creare, avrebbe potuto farlo tranquillamente senza ricorrere all’applicazione retroattiva della legge. Inoltre, anche il fatto che lo Stato abbia aspettato ventiquattro anni prima di effettuare una simile perequazione, nonostante il fatto che numerosi pensionati che avevano lavorato in Svizzera stessero ripetutamente vincendo in giudizio dinanzi ai tribunali nazionali, crea dei dubbi riguardo al fatto che quella fosse realmente l’intenzione del legislatore nel 1982».
  61. In proposito si veda l’analisi dettagliata della Corte sul merito del ridimensionamento delle pensioni subito dai ricorrenti da par. 60 a 65, per poi concludere che «dopo aver versato contributi per tutta la vita, perdendo il 67% delle loro pensioni i ricorrenti non hanno subito delle riduzioni proporzionate ma sono stati di fatto costretti a sopportare un onere eccessivo. Perciò, nonostante le ragioni che erano alla base delle misure contestate, nelle presenti cause la Corte non può concludere che sia stato trovato un giusto equilibrio» (par. 66).
  62. Ibidem, par. 65 (corsivo nostro); per una ricostruzione dettagliata del caso e dei suoi precedenti si veda anche C. Masciotta, Leggi interpre-
    tative e rigidità degli strumenti decisionali della Corte costituzionale: quali prospettive nella vicenda delle «pensioni svizzere»?,in «Osservatorio sulle fonti», 2017, in particolare pp. 15 ss. A questa sentenza è poi seguita la sentenza Stefanetti bis volta a quantificare il danno materiale subito dai singoli ricorrenti: cfr. sentenza della Corte EDU, Stefanetti et autres c. Italie (Satisfation équitable) (Première section, 1° giugno 2017).
  63. Sentenza Corte costituzionale del 20 giugno 2017, n. 166/2017, p.to 6. Può essere altresì interessante notare il seguito della sentenza Stefanetti nel nostro ordinamento: come risulta dalla Relazione sullo stato di esecuzione delle pronunce della corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dello stato italiano, 2018, presentata dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, disponibile online sul sito www.senato.it, pp. 34 ss., nel 2018 ben 246 ricorsi seriali sull’oggetto in esame pendevano davanti alla Corte europea. Per tale ragione nel corso dello stesso anno, la Corte EDU, considerando «il prevedibile esito sfavorevole di questo contenzioso», ha elaborato con la collaborazione dell’INPS e dei ministeri interessati, proposte di definizione amichevole al fine di prevenire future condanne e ridurre le conseguenze economiche a carico dell’erario in caso di condanna da parte della Corte. A seguito di ciò «si è dato il nulla osta alla chiusura attraverso dichiarazione unilaterale a seguito della mancata accettazione della proposta di regolamento amichevole di 139 posizioni individuali riguardanti il gruppo Caratti, per i quali era in discussione solo la violazione dell’articolo 6 della Convenzione, per un totale di euro 1.574.375. Successivamente la Corte EDU ha manifestato la volontà di chiudere altri gruppi di ricorsi sempre attraverso lo strumento della regolamentazione amichevole. Sono state, pertanto, elaborate 200 proposte di regolamento amichevole per una spesa complessiva di euro 14.887.283,00 secondo i criteri descritti per il gruppo Caratti».
  64. Ibidem, p.to 8. Si noti che già nel 2012 la questione del necessario intervento al legislatore era presente alla dottrina: così M. Massa, La sentenza n. 264 del 2012 della Corte costituzionale: dissonanze tra le corti sul tema della retroattività, in «Quaderni Costituzionali», 2013, p. 141, segnalava come «una maggiore tempestività [del legislatore] potrebbe risolvere, almeno in alcune situazioni, i problemi di certezza del diritto, affidamento dei cittadini, rapporti con il Consiglio d’Europa. Al riguardo, la Corte avrebbe almeno potuto lanciare un monito, senza sminuire – anzi, evidenziando ancora più nettamente – le particolarità del caso».
  65. Particolarmente interessante risulta anche l’osservazione di Ruggeri, La Consulta rimette abilmente a punto la strategia dei suoi rapporti con la Corte EDU, cit., che sottolinea l’importanza delle condizioni concrete in cui si ambienta, ad esempio, la sentenza n. 264/2012, caratterizzato com’è da una profonda crisi economica che affligge il Paese italiano (e non solo): «da una prospettiva di più ampio respiro, poi, la soluzione oggi accolta dal giudice costituzionale offre un’ulteriore, eloquente testimonianza del fatto che il fondamento dei diritti fondamentali non sta oggi tanto nella Costituzione o in altre Carte, che pure ne danno l’astratto riconoscimento, bensì nel contesto: un contesto, di certo, al presente non benigno per i diritti stessi (specie per alcuni diritti e di alcuni soggetti) obbligati a forti riduzioni di senso ed al pressoché sistematico sacrificio davanti al pressante e prioritario bisogno di far salvi i vincoli di ordine economico-finanziario imposti dall’Unione (e – come si diceva – ora anche dall’art. 81 Costituzione)».
  66. Sentenza n. 166/2017, p.to 7, citata, nel momento in cui riprende le argomentazioni della sentenza Stefanetti.
  67. Ibidem.
  68. M.A. Bulgakov, trad. it. Il maestro e Margherita, Einaudi, Torino, 1996, p. 267.
  69. Palombella, La politica come limite al diritto?,cit., p. 47.
  70. Nell’introduzione al lavoro si era già toccato questo problema; si veda anche, in via esemplare, Ruggeri, La Consulta rimette abilmente a punto la strategia dei suoi rapporti con la Corte EDU, cit., nel momento in cui osserva che«non è chiaro, per vero, se, marcando la diversità delle prospettive, la Corte punti allo stesso tempo ad evidenziare lo “stacco” esistente tra se stessa, quale giudice stricto sensu ed optimo iure costituzionale, e la Corte europea, giudice pur sempre internazionale, malgrado ormai molti segni si abbiano della vocazione di tale giudice (al pari, peraltro, della Corte dell’Unione europea) alla propria “costituzionalizzazione”, senza nondimeno che ne risulti per ciò rinnegata l’origine e la peculiare connotazione; ovvero se punti, puramente e semplicemente, a fare del “sistema” il grimaldello che apra al giudice delle leggi la porta per sfuggire alla “presa” del giudice convenzionale, sgravandolo dell’obbligo di conformarsi a pronunzie da quest’ultimo emesse che risultino alla Consulta sgradite».