Note
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Cfr. G. Palombella, Interlegalità. L’interconnessione tra ordini giuridici, il diritto, il ruolo delle corti, in «Diritto e questioni pubbliche», 2018, pp. 315 ss., 321.
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Il riferimento è al citatissimo B. De Sousa Santos, Toward a new common sense: law, science and politics in the paradigmatic transition, London, Routledge, 1995.
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La proposta, come è noto, ha trovato di recente la sua espressione più compiuta nell’importante volume collettaneo a cura di J. Klabbers e G. Palombella, The Challenge of Inter-legality, Cambridge, Cambridge University Press, 2019.
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S. Cassese, Oltre lo Stato, Roma-Bari, Laterza, 2006.
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Sotto questo profilo, la prospettiva dell’interlegalità si propone come superamento dei blocchi epistemologici propri degli schemi tradizionali nella misura in cui: a) rifiuta di considerare irrilevanti, come accade all’ambito del paradigma dualistico, i regimi giuridici esterni non espressamente richiamati dagli ordinamenti interni (statali); b) sfugge all’ideale «monistico» di subordinare ogni ordinamento particolare ad uno stesso parametro universale di validità; c) sopravanza infine la scoperta «pluralista» della possibile coesistenza di una molteplicità di ordini giuridici tra loro ontologicamente autonomi, tematizzando l’esigenza teorica della loro connessione, della loro eguale rilevanza ai fini della definizione del caso.
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Ancora Palombella, Interlegalità, cit., p. 315.
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Cfr. J.-F. Lyotard, La conditione postmoderne. Rapport sur le savoir, Paris, Les éditions de minuit, 1979; trad. it. La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere, Milano, Feltrinelli, 2014.
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Cfr. P. Costa, «Oltre lo Stato». Teorie «pluralistiche» del primo Novecento, in «Sociologia e politiche sociali», 1, 2002, pp. 11 ss.
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Cfr. I. Birocchi, Alla ricerca dell’ordine. Fonti e cultura giuridica nell’età moderna, Torino, Giappichelli, 2002.
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Tre per Bobbio le principali matrici culturali del pensiero pluralistico ottocentesco: socialismo (utopistico e libertario), liberalismo e cristianesimo sociale. Percorsi molto diversi tra loro, ma in qualche misura solidali nel battere in breccia la dicotomia (e la segreta alleanza tra) Stato e individuo quale paradigma fondativo della modernità. Cfr. N. Bobbio, Teoria e ideologia nella dottrina di Santi Romano, in Id., Dalla Struttura alla funzione. Nuovi studi di teoria del diritto, prefazione di M.G. Losano, Roma-Bari, Laterza, 2007, p. 155.
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«È sorto e si è organizzato in Italia negli ultimi dieci anni un vero feudalesimo funzionale. Poiché quando i sindacati operai (…) richieggono ed impongono l’obbedienza a coloro che vi sono inscritti, anche se questa equivale alla ribellione aperta contro la disciplina gerarchica e la legge, (…) è evidente che ci troviamo davanti ad un’azione, se non identica negli scopi, certo nei mezzi molto analoga a quella degli antichi baroni. Come questi un tempo sminuzzarono la sovranità dei loro principi e se ne divisero le spoglie, così oggi deleghe operaie e le camere del lavoro fronteggiano Stato e Comuni, ne paralizzano l’azione e ne usurpano le attribuzioni» (G. Mosca, Feudalesimo funzionale (19 ottobre 1907), in Id., Il tramonto dello Stato liberale, Catania, Bonanno, 1971, p. 201).
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«Si ricostituì dappertutto una sovranità di classe intermedia fra lo Stato stesso dove espressamente e dove tacitamente riconosciuta. E questa sovranità intermedia impone ai suoi soggetti le condizioni e le modalità secondo le quali devono lavorare ed esercita sugli affiliati, ed alle volte anche sugli operai indipendenti, un potere munito di sanzioni penali più efficaci di quelle colle quali lo Stato cerca di tutelare la libertà del lavoro. (…) È quindi un pericolo nuovo e grave che, negli ultimi dieci o quindici anni, colla formazione dei Sindacati di pubblici impiegati si è affacciato davanti a tutti gli Stati moderni. I singoli organi acquistata la coscienza di un interesse separato e distinto da quello dell’intero organismo, e consci che la loro inazione basti a paralizzarlo o quanto meno a metterlo in gravi imbarazzi, sanno che possono valersi della loro organizzazione per imporre alla collettività quei patti che credono nel loro interesse migliori» (G. Mosca, Il pericolo dello Stato moderno (27 maggio 1909), in Id., Il tramonto dello Stato liberale, cit., pp. 213-214).
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«Chi legge con cura la storia degli ultimi Carolingi non può tralasciare di riconoscere, nei particolari, molti tratti di analogia nei modi con i quali allora si decomponeva e oggi si decompone lo Stato. I fatti precedono solitamente la teoria, le relazioni reali quelle di diritto. Apparentemente, il governo centrale è ancora sovrano oggi, come era Carlo il Calvo nel secolo IX; ma, nel fatto, ci sono paesi come l’Italia, ove esso si fa ubbidire anche meno del Carolingio» (cfr. V. Pareto, Il potere centrale, in Id., Scritti sociologici, Torino, UTET, 1966, pp. 1013-1016).
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Il riferimento è al fortunato libretto di G. Morin, Las révolte des faits contre le Code, Paris, Bernard Grasset, 1920.
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Cfr. M. Hauriou, La théorie de l’institution et de la fondation. Essai de vitalisme social, in AA. VV., La cité moderne et les transformations du droit («Cahiers de la Nouvelle Journée», 4), Paris, Bloud et Gay, 1925, pp. 2 ss.; trad. it. La teoria dell’istituzione e della fondazione. Saggio di vitalismo sociale, Macerata, Quodlibet, 2019 e G. Gurvitch, Le temps présent et l’idée du droit social, Paris, Vrin, 1931.
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Cfr. S. Romano, L’ordinamento giuridico, Firenze, Sansoni, 1946 (ed. or. Annali delle Università Toscane, 1917 e 1918) e ora la ristampa dell’edizione del ’46 a cura di M. Croce, Macerata, Quodlibet, 2018.
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Ibidem, p. 102.
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«Ma qualunque idea voglia accogliersi (…) un principio sembra a noi che risulti sempre più esigente e indispensabile: il principio, cioè, di un’organizzazione superiore che unisca, contemperi ed armonizzi le organizzazioni minori in cui la prima va specificandosi. E quest’organizzazione superiore potrà essere e sarà ancora per lungo tempo lo Stato moderno, che potrà conservare quasi intatta la figura che attualmente possiede. (…) Maggiori saranno i contrasti che dalla specificazione delle forze sociali e della loro cresciuta e organizzata potenza deriveranno, più indispensabile apparirà l’affermazione del principio, che il potere pubblico non potrà considerarsi che come indivisibile nella sua spettanza, per quanto più larga e più confacente possa rendersi la partecipazione delle varie classi sociali al suo servizio» (S. Romano, Lo stato moderno e la sua crisi (Pisa, 1909/10), in Id., Lo Stato moderno e la sua crisi, Milano, Giuffrè, 1969, pp. 24-25).
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Romano, L’ordinamento giuridico, cit., p. 98.
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Ibidem, p. 126.
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Per una forte sottolineatura di questo aspetto, cfr. P. Grossi, L’invenzione del diritto, Roma-Bari, Laterza, 2017; Id., Una Costituzione da vivere. Breviario di valori per italiani di ogni età, Bologna, Marietti, 2018 e Id., Costituzionalismi tra «moderno» e «post-moderno». Tre lezioni suor-orsoliane, Napoli, Editoriale scientifica, 2019.
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Cfr. da ultimo per il passo citato, G. Cazzetta, Codice civile e identità giuridica nazionale. Percorsi e appunti per una storia delle costituzioni moderne, Torino, Giappichelli, 2018, pp. 34-35.
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Per la suggestiva immagine dell’ellisse, nonché per una compiuta storicizzazione del costituzionalismo del Novecento, cfr. i saggi contenuti in M. Fioravanti, La Costituzione democratica. Modelli e itinerari del diritto pubblico nel ventesimo secolo, Milano, Giuffrè, 2018. Dello stesso autore cfr. anche Costituzione italiana: articolo 2, Roma, Carocci, 2017 e, da ultimo, Il cerchio e l’ellisse. I fondamenti dello Stato costituzionale, Roma-Bari, Laterza, 2020.
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Cfr. M. Fioravanti, La Costituzione democratica come autonomo «tipo» storico, in Id., La Costituzione democratica, cit., p. 183.
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Cfr. G. Zagrebelsky, Il diritto mite, Torino, Einaudi,1992, pp. 147 ss.
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Al primo gruppo possiamo ascrivere, ad esempio, G. Teubner, Il diritto come sistema autopoietico, Milano, Giuffrè, 1996 e M. Koskenniemi, The Fate of Public International Law: between Technique and Politics, in «The Modern Law Review», 2007, pp. 1-30. Al secondo, N. Walker, The Idea of Constitutional Pluralism, in «The Modern Law Review», 2002, pp. 317 ss.; N. MacCormick, La sovranità in discussione. Diritto, Stato e nazione nel Commonwealth europeo, Bologna, Il Mulino, 2003. Per una riflessione d’insieme su questi itinerari teorici, cfr. G. Itzcovich, Teorie e ideologie del diritto comunitario, Torino, Giappichelli, 2006; K. Günther, Pluralismo giuridico e codice universale della legalità, Torino, Trauben, 2010 e da ultimo, F. De Vanna, Dalla pluralità delle fonti al rapporto tra ordinamenti. Itinerari «imprevisti» del pluralismo giuridico, Reggio Emilia, Mucchi, 2019.
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Cfr. H. Kelsen, General Theory of Law and State, Massachussets, Harvard University Press, 1945; trad. it. Teoria generale del diritto e dello Stato, Milano, Edizioni di Comunità, 1954, parte II, cap. IV.
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Un funerale ampiamente celebrato nella letteratura recente in una singolare panoplia di espressioni metaforiche: dal «declino» alla «eclissi», dal «crepuscolo» al «tramonto», dalla «fine» alla «morte». Cfr. rispettivamente W. Brown, Stati murati, sovranità in declino, Roma-Bari, Laterza, 2013; C. Bonvecchio, L’eclissi della sovranità, Milano-Udine, Mimesis, 2010; A. Bolaffi, Il crepuscolo della sovranità, Roma, Donzelli, 2002; N. Irti, Tramonto della sovranità e diffusione del potere, in Id., Diritto senza verità, Roma-Bari, Laterza, 2011; A. De Benoist, La fine della sovranità. Come la dittatura del denaro toglie potere ai popoli, Cesena, Arianna, 2014; L. Basile, Morte della sovranità, Roma, Inschibboleth, 2016.
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Cfr. M.R. Ferrarese, Diritto sconfinato. Inventiva giuridica e spazi nel mondo globale, Roma-Bari, Laterza, 2006.
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Cfr. N. MacCormick, La sovranità in discussione, cit., p. 238. Che succede, ad esempio, se la Corte di giustizia europea riconosce in capo ad un soggetto l’esistenza di un diritto o di un obbligo che la Corte costituzionale di uno Stato membro nega? In base alla dottrina del constitutional pluralism sul piano giuridico c’è ben poco da fare, se non constatare il fatto di essere in presenza di due risposte equivalenti, giuridicamente ineccepibili se ed in quanto riferite al criterio di razionalità dei rispettivi sistemi. Si potrebbe – è vero – cercare il più possibile di prevenire lo scontro. La Corte europea di giustizia, ad esempio, «non dovrebbe dare forma alle sue decisioni interpretative senza prestare riguardo al loro potenziale impatto sulle costituzioni nazionali», così come, simmetricamente, le corti nazionali «non dovrebbero interpretare leggi o norme costituzionali senza prestare riguardo alla scelta, espressa dai loro compatrioti, di aderire pienamente all’Unione e alla Comunità europea». Ma se il conflitto scoppia – conclude MacCormick – non vi è altra soluzione che quella di «attivare qualche iniziativa politica».
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Ciò che Palombella definisce come «prospettiva del diritto». Cfr. Palombella, Interlegalità, cit., p. 326.
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Cfr. F. Ost, Jupiter, Hercule, Hermès; Trois modèles du juge, in P. Bouretz (a cura di), La force du droit, Paris, Éditions Esprit, 1991, pp. 241 ss.
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Interessante in questa prospettiva la riflessione attorno alla possibilità di pensare ad un «diritto del caso» nella sua singolarità e non dunque come mera applicazione particolare di una norma generale, in T. Gazzolo, Il caso giuridico. Una ricostruzione giusfilosofica, Torino, Giappichelli, 2018.
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N. Krisch, Beyond Contitutionalism. The Pluralist Structure of Postnational Law, Oxford, Oxford University Press, 2011, citato in G. Palombella, Dal costituzionalismo alle relazioni tra legalità, in «Diritto e questioni publiche», 2016, pp. 249 ss., 254.
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Per l’immagine del giurista «tessitore» di relazioni, cfr. M. Vogliotti, Tra fatto e diritto. Oltre la modernità giuridica, Torino, Giappichelli, 2007, pp. 301 ss.
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Un ideale condiviso invero da molti studiosi del pluralismo. Cfr. per tutti M. Delmas-Marty, Les forces imaginantes du droit. Le pluralisme ordonné, Paris, Seuil, 2006.
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Sullo sfondo, mi pare possibile intravedere l’auspicio di un nuovo – diciamo così – «diritto comune interlegale» che si plasmerebbe «dal basso» a partire dalla consolidazione giurisprudenziale di pattern, ricorrenze e principî comuni. Un tessuto giuridico che potrebbe cammin facendo assumere diverse fogge, ma che non si lascerebbe tirare a piacimento con troppa facilità. Come ricorda Vogliotti, infatti, «più è fitta la trama delle interpretazioni (…) maggiore è la resistenza nei confronti di eventuali strappi ermeneutici». Cfr. Vogliotti, Tra fatto e diritto, cit., p. 294.
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Per la nozione di integrity, cfr. R. Dworkin, Taking Rights Seriously, Massachusetts, Harvard University Press, 1977.
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Cfr. P. Grossi, Mitologie giuridiche della modernità, Milano, Giuffrè, 2001.
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Cfr. Palombella, Interlegalità, cit., p. 330; Id., È possibile una legalità globale? Il «Rule of law» e la «governance» del mondo, Bologna, Il Mulino, 2012, pp. 122-125.
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Cfr. T. Wiehweg, Topik und Jurisprudenz, München, C.H. Beck, 1953; trad. it. Topica e giurisprudenza, Milano, Giuffrè, 1962 e P. Cappellini, Systema iuris, I: Genesi del sistema e nascita della «scienza» delle Pandette, Milano, Giuffrè, 1984 e Id., Systema iuris, II: Dal sistema alla teoria generale, Milano, Giuffrè, 1985.
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Cfr. M. Sbriccoli, L’interpretazione dello statuto. Contributo allo studio della funzione dei giuristi nell’età comunale, Milano, Giuffrè, 1969, nonché A. Giuliani, La controversia. Contributo alla logica giuridica, Pavia, Tipografia del libro, 1966 e L. Lombardi, Saggio sul diritto giurisprudenziale, Milano, Giuffrè, 1967.
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Cfr. per tutti P. Grossi, Unità giuridica europea: un medioevo prossimo venturo?, in «Quaderni fiorentini», 31, 2002, tomo I, pp. 39 ss. «Il “modello”, come strumento comparativo caricato di intrinseca assolutezza e tale da annullare o almeno attenuare la effettività della comparazione instaurata, è un arnese inadatto sia per lo storico che per il comparatista, perché implica sempre uno scarso rispetto sia per il passato, sia per il presente, sia per il futuro. La pretesa di proiettare sull’oggi modelli passati è un gesto di suprema presunzione da parte di chi dovrebbe, al contrario, esercitare la virtù somma dell’umiltà. Umiltà di rispettare il distendersi della storia nella sua misteriosa sequela di tante maturità di tempi, umiltà di rinunciare a costruire immodesti ingabbiamenti che non possono che sacrificare e immiserire il mistero ma anche la ricchezza della storia; mistero insondabile – certo – ma che è anche ricchezza esuberante e incoercibile (…). Il passato non serba archetipi trapiantabili, giacché nella storia dei corpi sociali i rigetti sono assai più violenti che nei corpi fisici. Il passato serba la testimonianza di una vita interamente vissuta, espressasi e maturatasi in tutta la sua compiutezza, e perciò meritevole di essere raffrontata con quel moncone incompiuto di vita che noi stiamo vivendo nel nostro presente. Per di più, diverse, tante maturità, ciascuna con un volto tipico, ciascuna con soluzioni sue proprie e che nel loro insieme non possono che affinare lo sguardo critico di chi le contempla disponibilmente. Se lo sguardo è attento, si irrobustisce lo stesso progetto per la costruzione del futuro. In altre parole, il nostro presente noi non possiamo che edificarlo in base alle nostre esigenze, grazie alle nostre forze, tenendo dietro ai nostri valori, cioè rispettando la maturità del nostro tempo».
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Cfr. nuovamente per tutti P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, Roma-Bari, Laterza, 1995; Id., Un diritto senza Stato. La nozione di autonomia come fondamento della costituzione giuridica medievale, in Id., Assolutismo giuridico e diritto privato, Milano, Giuffrè, 1998.
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Una lucida messa a fuoco della globalizzazione dal punto di vista storico-giuridico in P. Grossi, Globalizzazione, diritto, scienza giuridica e Id., Aspetti giuridici della globalizzazione economica, ora entrambi in Id., Società, diritto, Stato. Un recupero per il diritto, Milano, Giuffrè, 2006, rispettivamente pp. 279-300 e 301-312.
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Una casistica di queste interazioni, che si vengono ad affermare in via di prassi, ad es. in F. Calasso, Medioevo del diritto, I: Le fonti, Milano, Giuffrè, 1954, pp. 184-185.
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Ancora Grossi, L’ordine giuridico medievale, cit., pp. 61-72.
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Cfr. ad es. Vogliotti, Tra fatto e diritto, cit., p. 283; A. Somma, Metodi e scopi della comparazione giuridica nelle decisioni delle corti, in G. Alpa, Il giudice e l’uso delle sentenze straniere. Modalità e tecniche della comparazione giuridica. La giurisprudenza civile, Milano, Giuffrè, 2006, pp. 97 ss.
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Sul punto, cfr. G. Gorla, Il ricorso alla legge di un «luogo vicino» nell’ambito del diritto comune europeo, in «Il Foro italiano», 96, 1973, n. 5, pp. 89 ss.
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«Quando nella lex loci e nel diritto comune non si trova “decisus” il caso sub iudice, o in genere controverso, si ricorre ad una lex alii loci o extera nella quale quel caso si trovi “decisus”: non però come ad una legge vincolante per i sudditi, ma come ad una doctrina magistralis o ad un responsum prudentium» (ibidem, p. 92).
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Un campionario di questi riferimenti novecenteschi al medioevo in Grossi, Unità giuridica europea, cit., pp. 45-47.
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Una ricostruzione convincente di queste dinamiche in M.R. Ferrarese, Le istituzioni della globalizzazione. Diritto e diritti nella società transnazionale, Bologna, Il Mulino, 2000 e Id., Il diritto al presente. Globalizzazione e tempo delle istituzioni, Bologna, Il Mulino, 2002. Per una ricognizione degli itinerari otto-novecenteschi sul diritto giurisprudenziale, cfr. invece il volume monografico dei «Quaderni fiorentini», Giudici e giuristi. Il problema del diritto giurisprudenziale fra Otto e Novecento, 40, 2011. In un’ottica filosofico-giuridica, pienamente condivisibile l’analisi di B. Pastore, Interpreti e fonti nell’esperienza giuridica contemporanea, Padova, CEDAM, 2014.
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Non mi soffermo in questa sede – dandole nuovamente come avvertenze indefettibili – sulle riserve metodologiche relative all’uso della nozione di «legalità» come concetto passe-partout applicabile senza problemi anche al mondo giuridico medievale. Legalità è indubbiamente termine sovraccarico di idealità ed aspettative moderne (presuppone generalità, astrattezza ed eguaglianza, suppone come risolto il problema della differenziazione tra giuridico e non giuridico, ecc.) e appare pertanto inadatto a racchiudere la complessità sia dell’universo giuridico premoderno, che del contemporaneo. Cfr. da ultimo, P. Grossi, Oltre la legalità, Roma-Bari, Laterza, 2020, p. 35. Per la posizione dei curatori, si veda E. Chiti, A. di Martino e G. Palombella, Nel mondo delle legalità al plurale e dell’interconnessione, in questo volume, pp. 13-16.
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«È interpretatio l’attività normativa del principe e quella della comunità per il tramite della consuetudine, così come il rendere giustizia del giudice o l’edificare teorico del magister» (cfr. Grossi, L’ordine giuridico medievale, cit., pp. 162-163).
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«Si vede bene, infatti, come lo scopo (…) della interpretatio medievale sia quello di creare un rapporto tra diritto e realtà che conservi permanentemente un certo equilibrio: il che nel mutare inevitabile della realtà, comporta il mutare delle soluzioni giuridiche (…). In che cosa consiste questo equilibrio, e cosa lo caratterizza? Esso non è altro che il ripetersi ed il perpetuarsi di soluzioni giuridiche sempre relativamente omogenee (o identiche) tra loro, rispetto alla realtà in movimento: soluzioni cioè che saranno diversissime se guardate staticamente a confronto l’una con l’altra, ma che appariranno del medesimo tipo se viste in rapporto ai problemi che di volta in volta hanno risolto. A mutare di realtà, quindi, mutare di soluzioni, ma costanza di rapporto» (Sbriccoli, L’interpretazione dello statuto, cit., pp. 89-90).
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Cfr. da ultimo, I. Stolzi, Il secolo nuovo. Giuristi e tradizioni nell’Italia del Ventennio, in «Quaderni fiorentini», 49, 2020, pp. 267 ss., 269.
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Cfr. Palombella, Interlegalità, cit., p. 331.
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Il concetto di aequitas nel medioevo è di tale rilevanza che in questa sede non si può neppure sfiorare. Per limitarci ad indicazioni essenziali, cfr. F. Calasso, Il diritto comune come fatto spirituale, in Id., Introduzione al diritto comune, Milano, Giuffrè, 1951, pp. 166 ss.; Id., Medioevo del diritto, cit., pp. 469 ss.; Id., Equità. Premessa storica, in Id., Storicità del diritto, Milano, Giuffrè, 1966, pp. 365-376; J. Vallejo, Ruda equidad, ley consumada. Conceptión de la potestad normativa (1250-1350), Madrid, Centro de Estudios Constitucionales, 1992; Grossi, L’ordine giuridico medievale, cit., pp. 175-182.
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Cfr. Sbriccoli, L’interpretazione dello statuto, cit., p. 97. Che continua: «Così, quelli che sono i limiti della identificazione di ciò che risponde a razionalità nella nostra cultura giuridica (necessità di una base comune di incontro e di accordo, instabilità del consenso), diventano i punti forti dell’aequitas come parametro di ragionevolezza nella società medievale, provvista in alto grado di due essenziali caratteristiche: forte omogeneità nella sua cultura giuridica e totale integrazione dei valori (oggi disparati) del diritto, dell’etica, della politica» (ibidem, p. 99).
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Cfr. C. Schmitt, L’epoca delle neutralizzazioni e delle politicizzazioni, in Id. Le categorie del politico, Bologna, Il Mulino, 1972, pp. 167-193.