Ciro Tarantino (a cura di)
Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c9

Daniele Piccione Effettività della libertà personale, suoi determinanti sociali e condizione di disabilità. Una prospettiva costituzionale per lo studio della libertà delle persone con disabilità

Notizie Autori
Daniele Piccione è consigliere parlamentare del Senato della Repubblica. Nel 2022 è stato nominato coordinatore dei lavori di stesura dei decreti legislativi in materia di disabilità, sulla base della legge di delegazione n. 227 del 2021. Abilitato all’esercizio delle funzioni di professore di diritto costituzionale, è membro del direttivo del Forum Salute Mentale. Tra le sue pubblicazioni: Il pensiero lungo. Franco Basaglia e la Costituzione (AlphaBeta Verlag, 2014) e Costituzionalismo e disabilità. I diritti delle persone con disabilità tra Costituzione e Convenzione ONU (Giappichelli, 2023).
Abstract
Lo statuto di protezione della libertà personale negli ordinamenti costituzionali segue l’evoluzione delle forme di Stato. Si tratta, infatti, di questione che incrocia i temi più complessi dei rapporti tra governanti e governati. Le ragioni, per cui lo studio unitario delle questioni costituzionalistiche poste dall’effettiva tutela della libertà personale nel nostro ordinamento si sono rarefatte, appaiono molteplici. Limitandosi alla prospettiva costituzionalistica vi è preliminarmente da domandarsi se sia ancora attuale il dibattito sulla struttura giuridica dell’articolo 13 Cost., per come ha attraversato l’epoca repubblicana. Di notevole ausilio, anche a fini concreti e applicativi per lo studio della libertà personale con particolare riferimento alla condizione di disabilità, è un approdo della dottrina costituzionalistica europea. Pur diffusa in dottrina e autorevolmente sostenuta, la tesi per cui le misure restrittive della libertà personale potrebbero essere introdotte dalla legge soltanto per perseguire finalità predeterminate in Costituzione, non ha trovato diretto accoglimento in giurisprudenza. Per la libertà personale è certamente valida l’affermazione per cui il suo statuto vive di una penombra di indeterminato. Ne discende che lo studio delle dinamiche che trovano spazio nei luoghi dove si sviluppano i trattamenti e gli accertamenti sanitari obbligatori e volontari, nonché nelle circostanze in cui si presta assistenza alle persone anziane e non autosufficienti, schiude profili problematici sui quali la giurisprudenza costituzionale non ha sino ad ora trovato campi e ambiti di intervento diretto. L’articolo 19 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità offre un’analitica disciplina del diritto a condurre una vita indipendente. Lo studio dei determinanti sociali della libertà personale consente di coglierne a fondo le effettive dinamiche di tutela nell’ordinamento e i complessi rapporti di interrelazione con le altre situazioni giuridiche soggettive garantite dallo Stato costituzionale di diritto.

1. Il campo di studio costituzionalistico della libertà personale

Lo statuto di protezione della libertà personale negli ordinamenti costituzionali segue l’evoluzione delle forme di Stato. Si tratta, infatti, di questione che incrocia i temi più complessi dei rapporti tra governanti e governati – o, secondo altra espressione, tra individuo e autorità –, di un tema fondativo della disciplina costituzionale dei diritti della persona e di una tecnica di scrittura che rappresenta un modello cui si uniformano, non solo in Italia, i presidi garantisti delle libertà di domicilio e di comunicazione riservata. Del resto, gli istituti di protezione costituzionale della libertà personale si irradiano anche a tutela di nuove situazioni giuridiche soggettive di vantaggio, quali l’habeas data. La matrice storica della libertà dalle coercizioni è dunque quella di un «arcaico dispositivo legale di ultima linea di difesa contro l’imprigionamento arbitrario» [1]
. La garanzia costituzionale della libertà personale assume pertanto una valenza archetipica. Da prospettiva filosofica è poi vero che la libertà in titolo sottende «l’autorelazione del singolo con sé come unità psico-fisica. Il valore dell’autorelazione si esplica, analiticamente, come rapporto con la propria psiche (interiorità) e con il proprio corpo» [2]
.
Sulla scorta di questa tematizzazione di fondo, rilevanti novità s’inseriscono nel quadro di una più ampia trasformazione epistemologica degli studi sulla libertà personale in Italia. In effetti, il tema – di per sé classico per la dottrina costituzionalistica – sembra attraversato da almeno due rilevanti variazioni di prospettiva generale. Al loro cospetto, non risultano ancor prodotti studi monografici sulla libertà in parola nell’ordinamento {p. 210}nazionale [3]
. In effetti, le trattazioni sistematiche si sono, nei fatti, arrestate sul finire degli anni Settanta del secolo scorso [4]
. Le ragioni, per cui lo studio unitario delle questioni costituzionalistiche poste dall’effettiva tutela della libertà personale nel nostro ordinamento si sono rarefatte, appaiono molteplici.
Si è avvertito un duplice scostamento di metodo: da un lato, la materia è mutata di segno, polverizzandosi e complicandosi; dall’altro, la scienza costituzionalistica – che, in fondo, con lo studio delle garanzie della libertà dagli arresti e dalle privazioni della libertà fisica ha uno storico e genetico conto in sospeso – è sembrata arretrare, vacillando al cospetto del tentativo di tornare a trattare esaustivamente un tema rispetto al quale aveva preservato a lungo un’esclusiva di metodo. Quando tale metodologia di studio si è rivelata non del tutto adatta alla disamina del problema nel suo complesso, dell’analisi giuridica della libertà personale sono fioriti modelli di tipo sezionale e specialistico, ovvero svolti dalla prospettiva penalistica, processual-penalistica o con riguardo specifico alle misure di sicurezza e di prevenzione.
Occorre allora individuare analiticamente le ragioni della mobilità dei confini che delimitano il campo di indagine costituzionalistico sulla libertà personale. Al riguardo, vanno citati: il progressivo definirsi degli indirizzi della giurisprudenza CEDU in tema di articolo 5 della Carta dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali; una certa contraddittorietà insita nelle tendenze recenti a introdurre inediti e controversi titoli giuridici di coercizione e limitazione della libertà fisica nell’ordinamento; il recupero di centralità della questione carceraria, delle sue condizioni e conseguenze in termini di modalità di restrizione; infine, le nuove minacce all’effettività delle garanzie della libertà personale che provengono dall’avanzare tecnologico nonché da innovative e penetranti misure di controllo sulla piena disponibilità dell’individuo riguardo il proprio corpo [5]
.
In questo contesto, un ulteriore e decisivo nodo problematico che segna l’orizzonte della libertà in titolo deve ricondursi alla scoperta dell’interdi{p. 211}pendenza tra la sorte della libertà personale e i sistemi di protezione sociale in ciascun ordinamento. Del resto, un tempo era pacifico il convincimento per cui, intorno al regime giuridico delle garanzie della libertà personale, ruotasse l’effettività di altre situazioni giuridiche soggettive, quasi che di quella, queste fossero dei satelliti.
Oggi, vi è modo di cogliere il fenomeno per certi versi opposto: l’effettività della libertà personale è determinata anche dalle grandi faglie di sviluppo delle politiche pubbliche di protezione sociale e dalle direttrici di politica criminale che si traducono nelle scelte sull’incriminazione penale delle condotte, sui processi di de-istituzionalizzazione, sugli scostamenti dell’emotività collettiva in relazione ad alcuni temi sensibili quali l’immigrazione, l’ordine pubblico, le emergenze sanitarie.
Infine, sullo statuto della libertà dalle coercizioni fisiche incide anche l’alternativa tra le pagine di legislazione orientate a favorire l’autodeterminazione del singolo e le misure che conservano e legittimano talune forme di incapacitazione [6]
. I tratti evolutivi dianzi illustrati hanno inciso sul panorama complessivo delle fattispecie legislative limitative della libertà personale, a tal punto da determinare uno scarto di significato dello stesso bene protetto dall’articolo 13 Cost. Lo schema logico tradizionale di analisi, seguito in larga parte dagli indirizzi della giurisprudenza costituzionale sviluppati fino al termine del secolo scorso, consisteva nel prendere in considerazione la singola misura limitativa della libertà in titolo; verificare poi se essa cadesse nell’area di copertura delle garanzie previste dall’articolo 13 Cost.; valutare se la disciplina di legge che la prevedeva, fosse rispettosa dei parametri garantisti previsti dalla Costituzione a presidio della libertà fisica dalle costrizioni e dalle coercizioni. Questa rigida traiettoria argomentativa aveva determinato più di qualche insoddisfazione in dottrina. Si lamentava, infatti, un problema di circolarità definitoria, per cui il bene giuridico della libertà personale si qualificava per il tramite delle misure che la limitavano [7]
, ma queste ultime, a loro volta, erano identificate in base all’incidenza sulla situazione giuridica prevista dall’articolo 13 Cost. Non a caso, i dibattiti tradizionali investivano simultaneamente la natura del bene giuridico della libertà fisica dalle costrizioni e le caratteristiche dei singoli provvedimenti limitativi; era in base a questi due tratti di indagine che si affrontava la questione dell’appartenenza al contenuto e all’oggetto {p. 212}della libertà fisica e, quindi, il raggio di operatività delle garanzie previsto dall’articolo 13 Cost [8]
.
L’istituzione del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale [9]
ha influito sulla prospettiva di studio e di analisi del diritto di libertà protetto dall’articolo 13 Cost. [10]
. Tra le altre modificazioni di insieme, l’ingresso di un organismo di controllo nel complessivo quadro dei contesti di privazione e limitazione della libertà personale in Italia ha evidenziato le connessioni tra le istituzioni del contenimento, le profonde interrelazioni tra il diritto fondamentale alla salute e i contesti di privazione della libertà stessa, i rischi delle surrettizie limitazioni alla libertà fisica dei soggetti fragili, attraverso i dispositivi incapacitanti. La costruzione di campi collaborativi tra funzione preventiva affidata a un organismo indipendente non giurisdizionale e competenze di presidio garantista tipiche dell’ordine giudiziario ha fatto peraltro emergere i peculiari profili di effettività della libertà personale dei soggetti vulnerabili e, tra questi, delle persone con disabilità [11]
.

2. La questione definitoria tradizionale

Limitandosi alla prospettiva costituzionalistica vi è preliminarmente da domandarsi se sia ancora attuale il dibattito sulla struttura giuridica dell’articolo 13 Cost., per come ha attraversato l’epoca repubblicana. Le contrapposte tesi evocate in dottrina danno in realtà conto di una disputa stimolante e florida che animò la seconda parte del secolo scorso, ma che in seguito è andata sopendosi.
Il dibattito interpretativo sull’oggetto e le garanzie della libertà personale ruotava intorno a due questioni. La prima risiedeva nella formula contenutistica delineata dall’articolo 13 Cost. Contro la preponderante idea che si tratti di una libertà-situazione, cioè tale da coprire un numero indefinito di facoltà esercitabili dall’uomo al riparo del diritto in esame, si è contrapposta, con una certa forza argomentativa, la tesi volta a identificare nella libertà personale una sua specifica valenza, un contenuto proprio e naturale, si vorrebbe dire. La questione non è nominalistica né relegabile, ancora oggi, nelle dispute di principio. Infatti, corollario della prima impostazione resta una certa mobilità e indeterminatezza del concetto di {p. 213}libertà personale, tale da poterla far scivolare in una posizione regressiva rispetto a singole e concrete manifestazioni di poteri invadenti e lesivi della sfera fisica degli individui [12]
. Il problema, in realtà, è correlato alla parabola dello statualismo novecentesco e quindi, al progressivo ritrarsi delle dottrine sorte in area tedesca e della conseguente mistica del potere pubblico capace di fare da metro alle libertà, secondo l’ottica propria dei diritti pubblici subbiettivi. È vero, per altro verso, che l’efficacia inter-privata dei diritti costituzionali ha fatto maturare la consapevolezza di quanto sia insostenibile un paradigma che veda «gli interessi, le aspirazioni e la stessa vita degli uomini quasi doppiati dall’ordinamento giuridico, di cui (essa) veniva a costituire un termine interno» [Cerri 1995, 168]. Ma l’idea che certi diritti di libertà si definiscano soltanto per il tramite del loro contrario, ovvero per i provvedimenti che li limitano, non può dirsi per ciò solo tramontata e anzi dispiega ancora una certa influenza, specie nell’ambito degli studi internazionalistici [13]
.
Peraltro, l’impostazione in parola tende fatalmente ad accostarsi alla bipartizione rigida [14]
– che tanto successo parve dispiegare almeno per tre decenni del secolo scorso – tra libertà positive e libertà negative [15]
(o, secondo altra dizione, tra libertà di e libertà da) [16]
.
La tesi che invece tende a evidenziare un contenuto proprio e puntuale nella situazione giuridica soggettiva tutelata dall’articolo 13 Cost., invece, rischia talvolta di risolversi in un effetto paradossale, quello di svilire la forza garantista dello schema dell’articolo 13 Cost., contro cangianti e nuove manifestazioni del potere invasivo che magari si rivelino in grado di eludere o aggirare il proprium contenutistico che si cerca positivamente di
{p. 214}enucleare dalla elementare griglia di concetti che sembra caratterizzare la disciplina costituzionale. Al contempo, condurre alle estreme conseguenze la ricerca della definizione e del contenuto di cosa sia puntualmente la libertà personale (cioè quale agere licere in concreto essa sottenda), può determinare un’aura di astrazione intorno all’esercizio effettivo della libertà personale. Esso verrebbe così slegato dal concreto evolvere dei conflitti di interessi tra potere e protezione, per il quale la tutela costituzionale dell’habeas corpus è storicamente sorta.
Note
[1] Tribe e Matz evidenziano il radicamento dell’istituto dell’habeas corpus nella forma di Stato nordamericana, spendendo il riferimento di tale garanzia quale presidio contro il «tyrannical imprisonment» [2014, 195]. Sull’evoluzione storica del sistema nella cultura anglo-americana, cfr., tra gli altri, Halliday [2010].
[2] La citazione è tratta da Modugno [1995].
[3] Di recente, in Italia, si segnala lo studio monografico di Perchinunno [2020] che, pur spingendosi a toccare i profili di attualità – e segnatamente l’emergenza sanitaria da COVID-19 – non si prefigge di affrontare tutti i profili di evoluzione della libertà in parola che si esamineranno in questo contributo.
[4] Cfr., in particolare, Amato [1967]; Barbera [1967]; Chiavario e Elia [1977]; Politi [2000]; Ferrante [2012].
[5] Già Bauman [1999] rilevava come tra le grandi paure del secolo vi fosse quella del Panopticon, di un penetrante sguardo sulla corporeità del singolo che ne lasciava intuire e preconizzare la fragilità, contro misure invasive surrettizie che, da quell’osservare costante e sbilanciato in termini di potere, trova ragioni di inquietudine e insicurezza assai significative.
[6] In merito, valgono le considerazioni svolte nel dibattito che vede protagonista la dottrina penalistica, da Pelissero [2008].
[7] Nella cultura anglosassone è ben illustrato da Munro [2002] che individua la radice cognitiva generale di questo modo di intendere le libertà in senso negativo, cioè come residuali «in so far as legal limitations did not impinge on them». È evidente la derivazione di questa impostazione dal principio generale alla base del liberalismo anglosassone «whatever is not unlawful might lawfully be done». Sul problema di metodo, in Italia, v. Amato [1977].
[8] Sul punto, se si vuole, cfr. Pace e Piccione [2006].
[9] Il nomen juris di tale istituzione di garanzia è poi mutato in quello di Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale.
[10] Sia concesso rinviare in questa prospettiva, agli spunti delineati in Piccione [2019a].
[11] Si veda, da ultimo, Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale [2023].
[12] Ripropone il problema analiticamente Cerri [1995].
[13] Cfr. ad esempio Cassese [1994], che definisce le libertà civili «gli spazi liberi che ogni Governo deve garantire ai cittadini, non interferendo nella loro sfera privata». Nell’elenco offerto dall’A. è inserito anche il diritto a non subire provvedimenti arbitrari da parte delle autorità pubbliche. Abbracciando tale ottica, la struttura della libertà personale, tenderebbe per sua natura a configurarsi come perimetro difensivo – ma pur sempre a contenuto indeterminato – contro le misure invasive illegittime improntate all’istituto dell’arresto e dell’incarcerazione.
[14] Quanto sia debitrice la cultura anglosassone dell’idea dell’individuazione del concetto di libertà, attraverso gli atti che la limitano, traspare anche dalla netta affermazione contenuta in una pronuncia, non a caso con parte il Regno Unito, secondo cui: «protection from arbitrary interference by the state with an individual’s liberty is a fundamental human right and as such is protected by art. 5 of the ECHR». Così Brogan vs United Kingdom, 1989, 11 EHHR, 117, 134.
[15] Per una reinterpretazione del distico «libertà positiva» e «libertà negativa», cfr. Veca [2019], secondo il quale la distinzione resta descrittiva a seconda del tipo di arena di cui si tratta: «può trattarsi dell’arena in cui siamo liberi da interferenze o vincoli, quali che siano, e allora saremo negativamente liberi. Se viceversa l’arena è quella in cui siamo liberi di interferire o vincolare, allora saremo positivamente liberi».
[16] Cfr. Berlin [1959].