Ciro Tarantino (a cura di)
Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c22

Cecilia Maria Marchisio Il progetto personalizzato e partecipato

Notizie Autori
Cecilia Marchisio insegna Pedagogia speciale e dell’inclusione presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Torino. Coordinatrice del Centro Studi per i diritti e la vita indipendente, è direttrice della Specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità dell’Università di Torino. È stata componente della Commissione di studio redigente degli schemi dei decreti legislativi attuativi della legge 22 dicembre 2021, n. 227 (Delega al Governo in materia di disabilità).
Abstract
Dal punto di vista concreto, il soggetto organizzativo, l’équipe, l’ente, l’istituzione che riceve il mandato di fare progettazione personalizzata partecipata con finalità deistituzionalizzanti è chiamato primariamente a sviluppare alcuni prerequisiti culturali che attengono allo scopo ultimo con cui viene condotta la progettazione e alla funzione che essa assume nel quadro del mandato istituzionale. Nella costruzione professionale del progetto personalizzato partecipato le modalità metodologiche di declinazione diventano potenzialmente infinite poiché sono situate e radicate nelle comunità nonché definite dalle persone in virtù delle loro esistenze, dai loro sistemi di senso e di valori. Tali innovazioni richiedono una profonda innovazione dei processi di partecipazione della persona con disabilità alla costruzione del suo progetto di vita. Strettamente intrecciato con il tema della partecipazione della persona con disabilità alla stesura del progetto vi è quello della scelta. La necessità stessa di accompagnare e sostenere le vite delle persone con disabilità attraverso un progetto personalizzato. Come ogni forma di progettazione, anche quella personalizzata definisce degli obiettivi che si collocano, per definizione, nel futuro. Il futuro, tuttavia, per le persone con disabilità non è una dimensione scontata, ma costituisce un orizzonte da riconquistare. In questa mappa vengono definite, attraverso strumenti di volta in volta disegnati ad hoc, le azioni da svolgere nel progetto, costruite sotto forma di vettori di facilitazione: di azioni cioè volte a modificare le condizioni di partecipazione di quello specifico contesto. La flessibilità organizzativa ha un importante risvolto nelle pratiche poiché, attraverso di essa, si concretizza la possibilità di attivare processi in cui il sostegno che la persona riceve non è condizionato alle scelte che essa opera. Tali modelli di implementazione mostrano che si tratta di una strada ampiamente percorribile nella molteplicità degli scenari di welfare attualmente disponibili. L’eterogeneità che caratterizza il nostro sistema territoriale, infatti, ne definisce anche una preziosa flessibilità a cui consegue la possibilità di definire assetti territorio-specifici che consentono la piena attuazione di tali modelli.

1. Orientare il progetto personalizzato alla deistituzionalizzazione

1.1. Definire il «framework» di riferimento

Questo capitolo si concentra sul progetto personalizzato partecipato: il dispositivo di organizzazione del sistema di interventi, sostegni e misure volti a garantire la vita nel mondo di tutti e la piena cittadinanza di ogni persona con disabilità.
Attraverso di esso si definiscono in concreto i processi e i sostegni che consentono a ciascuna persona con disabilità di orientare la direzione del proprio progetto di vita, di individuare i servizi e i supporti via via necessari alla sua realizzazione e di attivarli nei contesti di tutti attraverso modalità deistituzionalizzate.
A livello metodologico, la conoscenza degli assetti e dei funzionamenti propri della progettazione personalizzata partecipata deriva e rimane strettamente intrecciata con l’esperienza sul campo: è proprio la connessione con i percorsi reali di vita delle persone nei territori a mostrare come essa non possa essere descritta alla stregua di una metodologia pedagogica, psicoeducativa o riabilitativa. Analizzare la progettazione dal punto di vista del sistema e non della singola organizzazione non significa infatti suggerire l’adozione di un dato approccio clinico, un modello metodologico, un set definito di schede o scale ma, al contrario, descrivere modalità operative, cornici epistemologiche e strumenti in un modo flessibile e integrato, atto a consentire a ciascuno specifico soggetto, ente o organizzazione che di quel sistema fa parte di declinare, muovendo da basi comuni, una tra le possibili forme metodologiche che la progettazione personalizzata partecipata può assumere.
Le modalità di progettazione personalizzata possono, dunque, assestarsi in molteplici forme in relazione alle caratteristiche – culturali, di tessuto sociale e di organizzazione dei servizi – di ogni specifico territorio. Ciò non {p. 504}toglie che sia possibile individuare, e si proverà a farlo in questo capitolo, alcuni elementi chiave che costituiscono lo scheletro della progettazione personalizzata partecipata e consentono al sistema di articolare gli assetti adatti a favorire i processi di declinazione della stessa nelle diverse realtà locali.
La progettazione personalizzata come declinata nelle pagine che seguono, inoltre, si configura come misura alternativa all’istituzionalizzazione. Si tratta di un fatto non scontato: se, infatti, per deistituzionalizzare serve sempre una progettazione personalizzata, non sempre una progettazione di questo tipo ha esiti di deistituzionalizzazione. Quella tra personalizzazione e deistituzionalizzazione non costituisce, infatti, una consequenzialità spontanea, ma necessita di infrastrutture intenzionali volte a configurare il progetto personalizzato partecipato come uno strumento atto a garantire, nell’esistenza di ciascuna persona con disabilità, il raggiungimento dell’uguaglianza di condizioni di cittadinanza. Tale uguaglianza si declina rispetto a due elementi chiave: il possesso delle diverse forme di capitale e la possibilità, concreta e quotidiana, che la persona ha di convertire tali capitali in libertà [Rotelli 1990].
La progettazione personalizzata, dunque, per essere un’efficace misura di contrasto all’istituzionalizzazione, necessita che siano fissati alcuni parametri – esterni al singolo metodo o approccio – a cui agganciare l’infrastruttura di quello che si andrà a costruire.

1.2. Valutare i prerequisiti culturali

Dal punto di vista concreto, il soggetto organizzativo, l’équipe, l’ente, l’istituzione che riceve il mandato di fare progettazione personalizzata partecipata con finalità deistituzionalizzanti è chiamato primariamente a sviluppare alcuni prerequisiti culturali che attengono allo scopo ultimo con cui viene condotta la progettazione e alla funzione che essa assume nel quadro del mandato istituzionale. In tale fase preliminare i soggetti in gioco sono chiamati a un lavoro proattivo, in quanto l’accompagnamento al percorso di vita delle persone con disabilità non si muove nel vuoto né inizia oggi da un punto zero. Negli anni più recenti, infatti, l’accompagnamento e la strutturazione dei sostegni che variamente si aggregano attorno alla pratica della progettazione hanno tentato, con sempre maggiore intenzione via via che la ratifica della CRPD concretizzava il nuovo scenario normativo, a modificarsi ed evolversi [Mittler 2015]. Tale progresso, tuttavia, si è mosso facendo i conti con approcci che, pur nelle fisiologiche sfumature, riconducono consistentemente a modelli custodialistici e assistenziali [Rodríguez Del Pozo et al. 2017]. Il framework condiviso a cui le pratiche di progettazione personalizzata partecipata coerenti con {p. 505}la deistituzionalizzazione si agganciano è, invece, quello fondato su diritti e cittadinanza: un orizzonte che presuppone l’inversione dei meccanismi di incapacitazione che ad oggi intervengono nelle esistenze delle persone con disabilità.
L’inversione di meccanismi tanto impliciti quanto strutturali nei sistemi attuali di presa in carico determina dunque la necessità di un lavoro proattivo.
L’innesco primario di tali meccanismi si colloca nel momento stesso in cui la persona viene presa in carico dal sistema dei servizi in virtù della sua condizione di incapace e deficitario (cfr. supra). Da tale premessa discende, come logica conseguenza, la struttura degli interventi sulla persona, di cui la progettazione spesso fa parte. A corollario di tale premessa implicita, le regole, i codici, i funzionamenti, i sistemi di significati differenti, di cui la persona con disabilità e la sua famiglia sono portatrici, vengono sistematicamente riletti e riscritti in termini di problematicità, di bisogno, di discostamento da funzionamenti ed esiti a cui è necessario tendere per poter essere inclusi come pienamente cittadini [Wolbring 2008; Campbell 2009]. Quello dell’incapacitazione è un framework radicalmente transdisciplinare: la coté giuridica (cfr. supra) assume nelle pratiche pedagogiche e nella concretezza dei servizi il volto della costruzione narrativa del soggetto incapacitato [1]
in quanto privo dei requisiti necessari per poter aspirare ad essere padrone del discorso su di sé [Gumusay 2020; trad. it. 2021]. Si tratta di una cornice che definisce un progetto personalizzato per una persona con disabilità come qualcosa da costruire per una persona che non: che non fa, che non funziona, che non ha, che non può, che non riesce. Il progetto personalizzato che si articola in tale framework, in assenza dei prerequisiti emancipatori, si trova dunque risucchiato in un set di interventi e servizi immaginati, costruiti, sviluppati secondo categorie, linguaggi e priorità che non sono vicine e corrispondenti all’esperienza della persona con disabilità, ma provengono da discipline (anche numerose, come nel vecchio concetto di assetto multidisciplinare), soggetti, profili tecnico-scientifici.
Al fine di mettere in campo una progettazione personalizzata partecipata orientata alla deistituzionalizzazione, dunque, appare cruciale riflettere sul fatto che il luogo di costruzione dei significati, dei sistemi di valori e priorità, delle categorie stesse attraverso cui leggiamo l’esperienza dell’altro è un luogo di cui gli operatori che sviluppano interventi psicosociali sono abituati a essere proprietari: questo è il meccanismo che va invertito intenzionalmente e sistematicamente. Se, infatti, il discorso psicopedagogico sulla disabilità, ad oggi, è un sistema di definizioni e spiegazioni basato sulla voce, sui pensieri, sulle categorie di persone senza disabilità, allora {p. 506}è proprio il riequilibrio di questa differenza di potere definitorio [Bertani 2015] che si pone come condizione di possibilità primaria delle pratiche di prevenzione e contrasto dell’istituzionalizzazione di cui la progettazione personalizzata può far parte. Ciò significa che per garantire alle persone con disabilità la piena cittadinanza e la libertà di vivere nel mondo di tutti perseguendo aspirazioni e desideri è necessario che il sistema si muova in una cornice culturale ed epistemologica in grado di riorientare lo sguardo, riconoscendo che la lettura della vita dell’altro maggiormente legittimata a trasformarsi in progetto è quella che si sviluppa attraverso i suoi occhi, il suo orizzonte di senso, le sue categorie [Tarantino 2021]. È noto come i sistemi sociali e gli spazi urbani siano progettati, costruiti e si dipanino considerando il funzionamento delle persone senza disabilità. Questo accade anche per i vecchi modelli di progettazione socio-educativa: le persone con disabilità sono considerate oggetto dell’intervento, non attrici primarie della modifica dei contesti di vita quotidiana [Charlton 2000].

1.3. Cornice demedicalizzata e antipaternalista

Nella costruzione professionale del progetto personalizzato partecipato, al contrario, le modalità metodologiche di declinazione diventano potenzialmente infinite poiché sono situate e radicate nelle comunità nonché definite dalle persone in virtù delle loro esistenze, dai loro sistemi di senso e di valori. Proprio per questo, non è pensabile dettare una volta per tutte la conformazione rigida della progettazione. Tuttavia, proprio in quanto si tratta di una costruzione professionale, essa necessita di elementi concreti in grado di orientare l’azione in modo coerente, monitorabile e verificabile. In questo senso, l’orientamento della progettazione sulla base delle indicazioni di cornice costituisce uno dei requisiti professionali richiesti al soggetto che riceve il mandato di attuare la progettazione personalizzata partecipata orientata alla deistituzionalizzazione. La costruzione del progetto personalizzato partecipato, infatti, è un’attività ad alta professionalizzazione che richiede una formazione di base ricca e articolata, grazie a cui l’équipe diventa in grado di declinare azioni e modalità sempre nuove sulla base di indicazioni di cornice. Non si tratta di un compito ripetitivo, che possa essere automatizzato, standardizzato o discendere da un qualche algoritmo semplificante: è un lavoro creativo, centrato sul problem solving e sulla continua verifica della coerenza fra azioni intraprese e modelli utilizzati rispetto ai punti cardine delle cornici di riferimento. La costruzione del progetto personalizzato partecipato orientato alla deistituzionalizzazione costituisce in questo senso un processo complesso a feedback continuo. Nel prossimo paragrafo verranno messe in luce due direttrici chiave che {p. 507}forniscono le basi per orientare il lavoro, mentre nel resto del capitolo ci si soffermerà su ciascuno step della costruzione del progetto.
Una cornice fondamentale – che consente ai soggetti che operano nel campo della progettazione personalizzata e partecipata di contribuire creativamente alla messa a punto di metodologie specifiche che siano coerenti con l’assetto deistituzionalizzante – è radicata nella messa in discussione del modello medico individuale di disabilità [Fisher e Goodley 2007].
Nonostante il suo superamento sia sancito in modo unanime a livello scientifico, normativo e culturale da almeno trent’anni, il modello medico-individuale si è rivelato nel tempo straordinariamente tenace: esso resta ad oggi il framework entro cui si costruisce e si sviluppa la quasi totalità di politiche e interventi nell’ambito della disabilità. Tale persistenza può essere in parte spiegata con il fatto che il modello medico non ha mai smesso di offrire, nel lavoro quotidiano, semplici direttrici sulla base delle quali costruire e orientare gli interventi: diagnosi e gravità sono concretamente utilizzabili ed è sempre possibile scomporle in item, checklist e categorie interpretative che consentono di passare, senza troppe complicazioni, dall’assessment all’indicazione di «cosa bisogna fare». Il modello medico, inoltre, ad oggi è coerente con una molteplicità di assetti organizzativi e di meccanismi di finanziamento, che richiedono un assessment preliminare e acontestuale della persona a partire dal quale sia possibile stanziare risorse e definire interventi.
Anche in virtù di questo radicamento, dunque, un approccio demedicalizzato alla progettazione inserisce in modo proattivo pratiche, modelli operativi, strumenti che contrastano sistematicamente la tendenza in cui una definizione diagnostica o una valutazione (mono o multidisciplinare che sia) orientano e definiscono ciò che è possibile esperire per la persona [Bunbury 2019], indipendentemente da ciò che essa desidera o preferisce.
Al di là della dimensione dell’importanza della diagnosi, la demedicalizzazione dell’approccio riguarda anche, in modo profondo, la struttura della progettazione: una progettazione che si muove in una cornice demedicalizzata, infatti, si compone di processi di ricostruzione del senso dei fenomeni, delle esperienze, dei contesti in cui quella specifica esistenza si sviluppa [Colucci 2006], seguendo un modello epistemologico differente rispetto allo schema di matrice neopositivista eziologia (causa)-patologia (effetto)-sintomo (fenomeno visibile conseguente). Applicare una cornice demedicalizzata significa, dunque, muoversi nelle pratiche di progettazione mantenendo alta l’attenzione nell’individuazione e nella neutralizzazione delle componenti medicalizzate che residuano in circolo nel sistema di sostegni e servizi contemporaneo, sia a livello dei metodi di approccio al singolo progetto sia a livello di governance del sistema. In termini di sistema, come declinato da Curto [supra], privilegiare modelli di spie
{p. 508}gazione individuali, soluzioni basate sulla diagnosi e modalità operative acontestuali, infatti, contribuisce a una rappresentazione dei problemi sociali – per esempio il problema relativo all’housing per le persone con disabilità, o la sottooccupazione delle stesse – come effetti di micropatologie del singolo. Si prediligeranno, di conseguenza, sistemi di servizi costruiti attraverso assetti che favoriscono interventi riabilitativo-individuali basati «sulla traduzione in termini medici di problemi che dovrebbero essere affrontati con misure sociali» collettive [Ongaro Basaglia e Bignami 1982, 158] a scapito di modelli comunitari di emancipazione come la personalizzazione comunitaria.
Note
[1] Che Forgacs [2015] descrive come costruita attorno a una modalità colonialista.