Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c22
La definizione della lingua
madre progettuale ha una consistente influenza sui rapporti di potere nei
processi di progettazione: nel momento in cui la lingua madre progettuale è
quella della persona, infatti, l’operatore ha autenticamente bisogno di lei per
costruire il senso e la direzione del progetto. Il definire se stessi con le
proprie parole, i tentativi di dare una direzione al proprio progetto di vita,
l’attribuire senso agli eventi della propria esistenza diventano, da elementi
disturbanti o note a margine, componenti strutturali del discorso tra persona e
professionista: condizioni di possibilità necessarie affinché la progettazione
proceda. Di conseguenza, l’operatore è chiamato a ricercarle e spinto a creare
le condizioni per generarle. In questo modo, discorso professionale ed
emancipazione si connettono in un circolo virtuoso in cui l’uno, per
svilupparsi, necessita dell’altra. Il discorso sulla progettualità esistenziale
così generato diviene facilmente trasformabile in un progetto di vita poiché
contiene già gli elementi di empowerment che al progetto di
vita sono necessari. La scelta della lingua madre progettuale è una delle
modalità in cui si declina la rinuncia al declassamento del discorso altrui,
necessario per configurare
¶{p. 523}un passaggio dal discorso al
progetto di natura capacitante. Anche in condizione di marginalità e difficoltà
estrema, la riabilitazione della capacità di aspirare diventa a pieno titolo
obiettivo e strumento del progetto di vita poiché il progetto stesso, per
procedere, ha bisogno di un discorso su sé sempre più ricco di prospettive e
aspirazioni che nasca dalla persona e che si radichi nel suo sistema di
significati.
Il secondo aspetto riguarda
la dimensione del potere agita nella progettazione al momento della scrittura
del progetto. Si tratta del momento del processo in progettazione in cui si
definisce la dinamica del controllo su di esso: chi decide cosa viene scritto
sul progetto? Chi ha l’ultima parola in merito? Quali sono le condizioni di
accesso al progetto? E di modifica? Si tratta di aspetti che impattano
consistentemente sui processi di progettazione personalizzata partecipata e su
cui dunque è necessario interrogarsi a fondo nel definire strumenti e metodi
coerenti con un approccio emancipatorio e deistituzionalizzato. Tale dimensione,
infatti, chiama in causa la strutturazione della professionalità stessa degli
operatori. Il potere è un gioco a somma zero: se deve conquistarlo la persona
con disabilità l’operatore e l’organizzazione devono cederlo. Cedere potere,
tuttavia, è complicato poiché il potere non è qualcosa che solamente
si ha, ma è qualcosa in grado di definire qualcosa che
si è [Tarantino 2017]. La cessione di potere è un
passaggio delicato, che va curato nel momento in cui si accompagna il processo
di progettazione dal punto di vista organizzativo, formativo e di supervisione
degli operatori che la mettono in campo [Marchisio 2023].
4.2.2. La ricorsività nella progettazione e la connessione con il livello organizzativo
La progettazione
personalizzata partecipata costituisce dunque un dispositivo che chiama i
professionisti a integrare sistematicamente e proattivamente la dimensione degli
strumenti psicopedagogici con il livello organizzativo. Sarà infatti risultato
evidente a chi, tra i lettori, ha esperienza in progettazione socio-educativa il
fatto che quanto descritto fin qui a livello di pratiche richiede, per una
messa a terra efficace, che il modello organizzativo
attorno a cui il servizio è costruito abbia specifiche caratteristiche. Un primo
elemento, cruciale, a cui il modello organizzativo che sostiene la progettazione
personalizzata deve tendere è l’orientamento alla fluidità e la ricorsività dei
processi. Se la progettazione personalizzata partecipata è costruita in modo
funzionale a sostenere un’esistenza deistituzionalizzata, come nella storia di
vita di chi non è discriminato, ci saranno, infatti, cambi di direzione, svolte
inaspettate, incontri che modificheranno il percorso: questi aspetti devono
essere fluidamente as¶{p. 524}sorbiti dal punto di vista
organizzativo, senza costi per la persona [Haigh et al.
2013]. Cambiare direzione, modificare sostegni, cambiare i contesti quotidiani
non deve essere qualcosa che ostacola, blocca il processo di progettazione, che
ha costi economici, relazionali, che ha un numero – anche implicito – finito di
possibilità, che si configura come una concessione da parte del professionista o
deve muovere necessariamente dalla ratifica di un qualche «fallimento»: il
progetto personalizzato partecipato esiste per accompagnare un processo
strutturalmente fluido, dinamico, in cui i cambiamenti sono auspicati e
fisiologici. Tale approccio alla progettazione necessita, oltre che della
cornice culturale descritta all’inizio del capitolo, di specifici assetti
organizzativi che investono i rapporti tra gli enti, i meccanismi di governo,
finanziamento e controllo del sistema.
4.2.3. Il sostegno non è condizionato a nulla
La flessibilità
organizzativa ha un importante risvolto nelle pratiche poiché, attraverso di
essa, si concretizza la possibilità di attivare processi in cui il sostegno che
la persona riceve non è condizionato alle scelte che essa opera, sia in termini
di attivazione di vettori di facilitazione sia declinato in altre modalità
operative. Il cambiamento, nella progettazione personalizzata partecipata
orientata alla deistituzionalizzazione, costituisce infatti un elemento
fisiologico: nelle vite deistituzionalizzate cambiano gli scenari esistenziali,
cambiano le persone significative, cambiano gli obiettivi e i modi di
trascorrere il tempo. Il sostegno è invece stabile, flessibile, ma continuo,
modulabile, persistente: nessun cambiamento lo mette in discussione e il
progetto costituisce il luogo dove esso viene ridisegnato e ricostruito in
funzione dei nuovi contesti, delle nuove relazioni, dei nuovi desideri
[Marchisio 2018]. Questo aspetto costituisce uno dei cuori operativi per
l’efficacia del progetto: nel momento in cui il sostegno è ancorato a un luogo
specifico, a uno specifico contesto, a una data attività esso inevitabilmente
diviene rigido, circoscrive lo spazio di opportunità della persona con
disabilità, generando pericolose convergenze con l’istituzionalizzazione, con
l’incapacitazione e con la limitazione della libertà.
Al contrario, il fatto di
«possedere» il sostegno, di averlo «in capo a sé» e non di riceverlo in virtù
della frequenza di un contesto, dell’adesione a un percorso, della dimostrazione
di funzionamenti o comportamenti, consente alla persona di mantenere il
controllo e il potere sul percorso: i sostegni sono costruiti ad
hoc, nei suoi contesti e sulla base dei suoi obiettivi di vita e
nel momento in cui desidera modificare obiettivi e scelte è nella condizione di
continuare a ricevere i sostegni per farlo, generando una ricorsività nella
progettazione che costituisce una caratteristica fondamentale di questa
tipologia di intervento. ¶{p. 525}
5. Monitorare e verificare il progetto
Oltre al monitoraggio dei processi
che può avvenire attraverso la costante verifica di coerenza con le cornici fin qui
descritte, la costruzione professionale di progetti personalizzati partecipati richiede
una particolare attenzione alla dimensione della verifica puntuale. Tale dimensione è
sviluppata attraverso strumenti armonici rispetto all’insieme del processo.
5.1. Oltre gli esiti individuali
Il progetto personalizzato
partecipato orientato alla deistituzionalizzazione, laddove sviluppato nella
prospettiva della CRPD, definisce un percorso di accompagnamento alla cittadinanza
della persona con disabilità che ne è titolare sulla base di uguaglianza con gli
altri cittadini. Per questa ragione, quando ci si muove nell’ambito della
valutazione di tali percorsi non è possibile definire a priori quali siano gli esiti
desiderabili.
È meglio
che un giovane inizi a lavorare a 19 anni, oppure che faccia qualche
esperienza di volontariato all’estero prima? È meglio che una
persona vada a vivere presto lontano dalla casa dei genitori, o che resti molto
vicino a loro fino a quando vengono a mancare? È meglio trovare
un compagno di vita o restare single? Naturalmente tutti, a queste domande,
risponderebbero «dipende». Dipende dalla persona, dalle sue preferenze, dalle
opportunità che il contesto in cui vive consente, dal sistema di valori, dalle
priorità, dalle spinte culturali e dalle esigenze materiali in cui è cresciuto
immerso e di cui è portatrice la sua famiglia e la sua comunità. La prospettiva
della CRPD offre in questo senso un chiaro principio operativo: visto che non si può
stabilire una gerarchia di esiti esistenziali desiderabili per le persone senza
disabilità, la condizione di disabilità non può giustificare un differente
trattamento [Griffo 2019].
Se dal punto di vista
psicopedagogico, dunque, non è possibile stabilire degli esiti individuali
desiderati, dal punto di vista metodologico-operativo che attiene alla verifica dei
risultati del progetto tale operazione risulta persino più farraginosa. Gli
obiettivi di vita, le competenze, le qualità morali e le abilità materiali, ammesso
che si possano operazionalizzare, sono trasformabili in variabili nominali, quindi
non ordinabili. Al contrario, non è infrequente che, nel tentativo di operare
valutazioni nell’ambito della progettazione, vengano ordinate in modo
sostanzialmente arbitrario. Perché andare a vivere da soli è meglio che essere
rimasti con i genitori? Perché per essere valutati adulti è una dimensione rilevante
saper lavare i piatti e non lo è essere generosi? ¶{p. 526}
Se si guardano gli strumenti
di valutazione degli esiti dei progetti, inoltre, si incontrano spesso traslazioni
difficilmente sostenibili dal punto di vista metodologico, in cui le informazioni
rilevate sembrano essere spinte in massa verso un’analisi quantitativa: scale
ordinate di variabili nominali, valori ordinali trattati come valori numerali
(attraverso medie, somme, altre operazioni illegittime). Non è difficile riconoscere
la matrice positivista di tale operazione epistemologica, che attribuisce maggiore
legittimità e maggiore peso all’analisi quantitativa, alla variabile numerale o
meglio, nel tentativo a cui spesso si assiste ad approcci i cui gli esiti vengono
resi «più numerali possibile».
Nel momento in cui, invece, il
nostro riferimento normativo e culturale diventa la CRPD, diventa necessario un
modello valutativo più complesso. In primo luogo, se la prospettiva è quella «su
base di uguaglianza con gli altri» gli esiti esistenziali non sono ordinabili se non
sulla base della direzione che ciascuno intende dare alla propria vita. Se a questo
aggiungiamo la cornice antiabilista, la definizione di strumenti di valutazione
passa necessariamente dalla considerazione della partecipazione come elemento
costantemente situato nel tempo e nello spazio autentico della vita di quella
persona, non sovrapponibile a un modello che testa l’adeguatezza dei funzionamenti.
La valutazione del progetto
personalizzato partecipato necessita dunque di modelli in grado di integrare la
complessità delle relazioni tra le variabili in gioco, ammettendo causalità non
lineari, sistemi di effetti e che non vincoli gli esiti alla dimensione della
performance. Se gli obiettivi della progettazione si
configurano sotto forma di scenari esistenziali, gli esiti da valutare sono assetti
esistenziali, modelli di partecipazione sociale, esiti di cittadinanza e di libertà.
Tutto ciò non stupisce gli addetti ai lavori: la progettazione personalizzata
partecipata orientata alla deistituzionalizzazione definisce modelli operativi nuovi
sia nella definizione della direzione del progetto che nel dipanarsi delle azioni
che lo sostengono, e chiama dunque a modelli operativi nuovi anche nell’ambito della
sua valutazione.
5.2. Valutare esiti e processi
Una progettazione
personalizzata partecipata che si muove in un’ottica di deistituzionalizzazione
necessita, dunque, di modelli valutativi in grado di integrare i parametri di
cittadinanza. Tali parametri, per la loro stessa natura, si configurano in modo
situato all’interno delle comunità e delle culture, non possono essere definiti a
monte: essere una donna che non lavora, essere parte di una coppia senza figli,
dedicare gran parte della propria esistenza a lavorare la ceramica sono solo piccoli
esempi di ¶{p. 527}esiti esistenziali che non possono essere
valutati in assoluto come segni di inclusione o esclusione sociale, ma vanno letti
in relazione ai processi che li hanno determinati nella comunità di appartenenza e
rispetto alle aspirazioni della persona. In questo senso, gli esiti integrati
attraverso cui valutare i progetti sono processuali più che di esito: riguardano le
possibilità esistenziali quotidiane più che un dato statico finale. In questo senso,
le determinanti sociali dell’istituzionalizzazione individuate nei capitoli
precedenti possono costituire una base su cui definire gli strumenti di valutazione
dei progetti che vengono di volta in volta costruiti.
Poiché la progettazione
personalizzata partecipata si definisce in termini strettamente radicati nei
contesti di vita, infatti, anche la valutazione degli esiti non può essere definita
una volta per tutte: è possibile costruire un set di elementi da valutare che
integri sistematicamente le opportunità reali che ai cittadini vengono offerte
all’interno di quella comunità, e i desideri, le aspirazioni, le priorità che la
persona ha espresso nel partecipare alla costruzione del progetto [Marchisio e Curto
2021].
Un efficace set di valutazione
di un progetto personalizzato partecipato, inoltre, non si ferma a valutare cosa
accade alla persona, ma si concentra anche sul «come» questo accade: contiene
elementi valutativi che riguardano la fluidità dei meccanismi di sostegno, la loro
trasportabilità attraverso le diverse dimensioni e i diversi contesti che
l’esistenza della persona attraverserà, il monitoraggio costante della vicinanza
degli strumenti e delle tecniche usate alle cornici di riferimento.
Si tratta di una valutazione
articolata che, oltre al piano dell’esistenza della persona, tiene sempre in conto
in modo integrato la dimensione organizzativa e di sistema, consentendo di
individuare precocemente gli eventuali intoppi nel processo di personalizzazione di
progettazione e mettere in campo correttivi e soluzioni.
Ciascuno degli elementi
strutturali del progetto descritti in questo capitolo – dal passaggio del discorso
al progetto all’individuazione dei vettori di facilitazione, dall’assunzione di una
prospettiva demedicalizzata all’acquisizione di modalità antiabiliste di
accompagnamento alla partecipazione – vengono lavorati per trasformarsi in
indicatori di valutazione, con la funzione primaria di consentire un costante
monitoraggio di ciò che nel progetto avviene.
È utile a questo scopo notare
che, nel momento in cui si rinuncia a una prospettiva abilista, a una prospettiva
cioè in cui la finalità della progettazione che accompagna una persona con
disabilità e renderla «meno disabile», il progetto personalizzato partecipato
potenzialmente non ha un termine nel tempo: l’accompagnamento alle comunità affinché
possano garantire la partecipazione può continuare anche per tutta la vita della
persona. Ciò avviene, ad esempio, laddove i sostegni sono da attivare in
¶{p. 528}modalità costante, laddove la manutenzione dei contesti è
da rinnovare periodicamente e in molteplici sfumature di altre situazioni.
Trattandosi infatti di una progettazione che si dipana all’interno della vita
quotidiana delle comunità, i processi sono soggetti a molte variabili: le comunità,
le città, i territori cambiano. Cambiano le reti di trasporti locali, cambiano gli
abitanti del quartiere, cambia il sindaco, cambia la gestione di quel locale e le
politiche di inserimento lavorativo. La molteplicità delle variabili che
contraddistinguono il mondo di tutti va integrata all’interno della valutazione dei
progetti, in modo da consentirne una leggibilità e una spendibilità di tale
valutazione in termini operativi.
Note