Ciro Tarantino (a cura di)
Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c16

Diana Genovese Competenze e limiti delle figure di sostegno e del giudice tutelare

Notizie Autori
Diana Genovese - magistrato ordinario, è giudice civile presso il Tribunale di Bologna - Sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione cittadini UE, dopo aver svolto le funzioni di giudice civile e tutelare presso il Tribunale di Chieti. PhD in Scienze giuridiche, è ricercatrice presso L’altro diritto - Centro di ricerca interuniversitario su carcere, devianza, marginalità e governo delle migrazioni.
Abstract
Il momento storico che i sistemi di welfare stanno attraversando vede l’affermarsi e il diffondersi di un nuovo approccio culturale, fondato sulla partecipazione attiva della persona con disabilità (e della sua famiglia) alla realizzazione dei servizi sociali e sanitari che la riguardano; in questo processo la personalizzazione degli interventi assume una rilevanza centrale. Una delle questioni fondamentali nelle strategie di personalizzazione dei servizi di welfare è come transitare da una dimensione sperimentale a un cambiamento che abbracci tutto il sistema dei servizi e interventi socio-sanitari. Per un’effettiva diffusione e sistematizzazione di questa pratica è stato necessario affrontare una pluralità di questioni che rivestono una particolare importanza: le modalità con cui vengono garantite le risposte alle esigenze di carattere abilitativo, riabilitativo o assistenziale; le strategie per gestire gli aspetti di sostenibilità economica; lo sviluppo di coerenti strumenti amministrativi e professionali; i sistemi informativi e le metodologie di valutazione dei risultati in termini di attivazione di risorse e contesti attorno alla persona che portano a una vita di qualità. È necessario ripensare i sistemi di accreditamento quando si tratta di realizzare interventi che non hanno la caratteristica della risposta meramente tecnica, ma si configurano come realtà che si integrano nei percorsi esistenziali delle persone e che anzi devono sostenerli nel loro potenziale di sviluppo. È possibile affermare, in conclusione, che «Abitare inclusivo» ha permesso con chiarezza di comprendere quali siano le direzioni verso cui avviarsi e su quali livelli agire per dare azione a quanto viene chiesto dalle norme nazionali e internazionali. È necessario sviluppare una governance multilivello, che sia in grado di attivare politiche basate sulla conoscenza del territorio.

1. L’evoluzione della cultura giuridica nell’ordinamento italiano: dalla «sostituzione» al «supporto»

L’evoluzione della cultura giuridica, annunciata in ambito internazionale dall’approvazione della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (UNCRPD) [1]
, si è avvertita anche nell’ordinamento italiano, ove con la legge istituiva dell’amministrazione di sostegno (legge n. 6/2004) [2]
, si è passati da un modello prettamente sostitutivo (interdizione) a uno di supporto (amministrazione di sostegno), nel quale i confini dei poteri di assistenza e rappresentanza dell’amministratore di sostegno sono circoscritti a quanto effettivamente necessario nell’ottica della tutela dei diritti e degli interessi della persona che si trovi in una condizione di vulnerabilità.
Già a partire dai primi anni Ottanta, sulla spinta operata dalla legge n. 180/1978 (cosiddetta legge Basaglia) [3]
, che aveva profondamente inciso sulla condizione giuridica dell’«infermo di mente», si fa strada l’idea di una sostanziale inadeguatezza dei tradizionali istituti di protezione, interdizione e inabilitazione – molte volte inutilizzabili – e la susseguente necessità di graduare l’incapacitazione della singola persona nella misura strettamente necessaria a vicariarne le specifiche e concrete esigenze personali [Masoni 2018, 384].{p. 372}
Nel caso dell’interdizione, la privazione della capacità di agire che ne deriva, essendo totale, si palesa, invero, inidonea in tutti quei casi in cui il soggetto da proteggere conservi almeno in parte una residua capacità di autodeterminarsi e di compiere determinati atti giuridici. Allo stesso tempo, l’inabilitazione, tradizionalmente considerata strumento funzionale alla privazione della capacità di agire del soggetto che manifesti malattie psichiatriche o che sia dipendente dall’abuso di alcol ovvero presenti tossicodipendenza o ludopatia, è posta in correlazione con il mero dato economico dei pregiudizi che l’abuso determina sul patrimonio proprio o familiare. Tali condizioni esistenziali, tuttavia, richiedono un intervento su molteplici piani che contempla anche – ma non solo – quello terapeutico, al fine di consentire il recupero delle proprie capacità. Di contro, nessuna delega in ambito sanitario può essere conferita al curatore dell’inabilitato.
Si è dovuto attendere quasi trent’anni perché fosse introdotta una misura capace di dare una risposta al vuoto normativo che affliggeva il nostro ordinamento, incentrando la tutela sull’individuo destinatario della misura, sui suoi bisogni e sulle sue esigenze.
La legge istitutiva della misura dell’amministrazione di sostegno è stata infatti promulgata solo nel 2004, a seguito di un lungo iter parlamentare protrattosi per più legislature e con alterne vicende [Patti 2002].
Come è noto, la direttiva di fondo della nuova legge è tracciata dalla disposizione di esordio che recita: «la presente legge ha la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente» [4]
.
Alla totale incapacità o semi-incapacità, derivante dalle tradizionali misure dell’interdizione e dell’inabilitazione, l’amministrazione di sostegno sostituisce la diversa prospettiva della generale capacità di agire del soggetto, salvi gli atti espressamente esclusi o limitati dal giudice tutelare nel decreto di nomina e nelle sue successive eventuali modifiche (art. 409 c.c.). Inoltre, al giudice tutelare sono conferiti specifici poteri di adottare, anche d’ufficio, i provvedimenti per la cura del beneficiario (art. 405 c.c.) e la stessa scelta dell’amministratore di sostegno deve avvenire con esclusivo riguardo alla cura e agli interessi della persona del beneficiario (art. 408 c.c.).
La peculiarità dell’istituto – che ha spinto, come si dirà, l’interdizione e l’inabilitazione (tuttora vigenti e non oggetto di abrogazione) verso la marginalità applicativa – è data dall’atipicità dei poteri che possono essere conferiti all’amministratore di sostegno, permettendo al giudice di cucire su misura il decreto di nomina in relazione al singolo caso.
Di conseguenza, in linea con le finalità della nuova legge, si rinviene la necessità, sia per l’amministratore di sostegno che per il giudice, che vigila {p. 373}sulla misura di protezione, di valorizzare le capacità del beneficiario e di individuare – a contrariis – solo quegli atti per cui è necessaria l’assistenza o la rappresentanza dell’amministratore di sostegno.
La legge n. 6/2004 si inserisce, dunque, appieno nel quadro normativo internazionale di protezione delle persone con disabilità e nei criteri guida che di lì a poco saranno tracciati dalla Convenzione delle Nazioni Unite: la proporzionalità della misura al grado di disabilità, l’adeguatezza alle condizioni della persona, la durata limitata nel tempo, la costante rivedibilità da parte del giudice e il rispetto della volontà dei desideri della persona con disabilità, come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, sono direttive riscontrabili nel sistema di protezione dell’amministrazione di sostegno [5]
. In tal senso, la Corte di Cassazione ha, anche più recentemente, ribadito che la nuova disciplina dell’amministrazione di sostegno
supera la logica della protezione tipicamente patrimoniale della persona, a favore di un modello sociale fondato sui diritti umani, che si pone in linea di evidente novità rispetto agli odierni ordinamenti giuridici. Il focus di questa disciplina diviene la disabilità, come condizione complessiva della persona, che non può limitare né deve incidere sulla sua capacità di agire e che, all’art. 12, prescrive a tutti gli Stati l’obbligo di riconoscere che le persone con disabilità godono della piena capacità in tutti gli aspetti della vita attraverso misure idonee per assicurare e garantire che questi soggetti godano della piena capacità legale [6]
.
La disabilità, in questo rinnovato contesto, non indica dunque più un assoluto della persona ma riguarda il rapporto tra questa e il suo ambiente di riferimento.
La rivoluzione culturale segnata dall’introduzione nell’ordinamento italiano dell’istituto dell’amministrazione di sostegno ha progressivamente inciso anche sulla mente degli operatori giuridici chiamati a farne applicazione.
Si è arrivati, invero, ad affermare anche in seno alla giurisprudenza di legittimità che nella scelta tra le diverse misure di protezione previste dal codice civile (interdizione, inabilitazione, amministrazione di sostegno) si deve avere riguardo «non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore idoneità dell’amministrazione di sostegno di adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla flessibilità della relativa procedura applicativa» [7]
. {p. 374}
Potrebbe, dunque, affermarsi, alla luce del più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità appena citato, che la scelta tra amministrazione di sostegno e interdizione sia divenuta una scelta di opportunità, connotata da forti elementi di discrezionalità in capo al giudicante, e non più rimessa a valutazioni prettamente mediche (ad esempio per il tramite di consulenza tecnica d’ufficio). L’articolo 418 c.c. prevede, invero, che – investito della richiesta di interdizione o di inabilitazione – il Tribunale in composizione collegiale se ritiene «opportuno» applicare l’amministrazione di sostegno deve trasmettere gli atti del procedimento al giudice tutelare [8]
. Tale trasmissione, a una lettura più evoluta del quadro normativo nazionale e internazionale, risulta rimessa a valutazioni propriamente giuridiche, limitate alla considerazione della tipologia di atti e di attività da compiersi e alla maggior idoneità della misura rispetto alla fattispecie concreta.
A ben vedere, tuttavia, l’istituto dell’amministrazione di sostegno appare sempre preferibile rispetto ai tradizionali istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, in quanto maggiormente protettivo e rispettoso della dignità del soggetto, con l’aggiunta che, in forza del richiamo operato dall’articolo 411 c.c., ogni limitazione dell’interdizione e dell’inabilitazione può essere concretamente estesa all’amministrazione di sostegno con il decreto di nomina o con un successivo provvedimento.
In primo luogo, l’amministratore di sostegno è soggetto ai medesimi requisiti di meritevolezza per la nomina e ai medesimi obblighi del tuto-{p. 375}re [9]
. In secondo luogo, la protezione rispetto al compimento di eventuali atti pregiudizievoli non autorizzati è, in entrambe le misure (interdizione e amministrazione di sostegno), successiva, annullatoria e soggetta al medesimo termine prescrizionale [10]
. In terzo luogo, l’amministrazione di sostegno comporta evidenti vantaggi processuali ed economici per il beneficiario: si pensi alla dispensa dall’inventario (impossibile nella tutela in virtù del disposto di cui all’art. 362 c.c.); alla possibilità, concessa al beneficiario ma non all’interdetto, di accettare le eredità puramente e semplicemente, e quindi anche tacitamente, salva autorizzazione del giudice tutelare; alla maggiore rapidità, nell’ambito dell’amministrazione di sostegno, del sistema di autorizzazioni [11]
e al relativo risparmio fiscale [12]
; alla maggiore velocità e razionalità, nell’ambito dell’amministrazione di sostegno, del sistema di trasferimento dei fascicoli in pendenza della procedura [13]
; alla maggiore duttilità, modifica, velocità di revoca, dell’amministrazione di sostegno e a molte altre fattispecie ancora. In quarto luogo, la misura dell’amministrazione di sostegno, come è noto, limita in misura minore la capacità di agire del beneficiario, facendo in ogni caso salva la possibilità di estensione di effetti limitativi o decadenziali dell’interdizione (artt. 409 e 411, ultimo comma, c.c.), ad esempio in ambito sponsale (art. 85 c.c.), di testamenti factio (art. 591, comma 2, nr. 2, c.c.), contrattuale (art. 1722, comma 1, n. 4, c.c.) e societaria (artt. 2286 e 2382 c.c.).
La norma di cui all’articolo 411, ultimo comma, c.c., infine, rende possibile l’estensione, in favore del beneficiario – oltre che delle limitazioni e delle decadenze – anche degli effetti, che ben possono essere benefici, dell’interdizione (o dell’inabilitazione): tra essi vanno sicuramente ricompresi alcuni istituti in materia successoria (art. 489 c.c.), di tutela dei diritti (art. 2942, comma 1, n. 1, c.c.), processuale civile (artt. 75 e 182 c.p.c.) e processuale penale (art. 166 c.p.p.; art. 120, comma 3, c.p.).
Non è un caso, dunque, che la preferenza della giurisprudenza di merito e di legittimità verso l’istituto dell’amministrazione di sostegno abbia portato a una progressiva riduzione delle aperture delle interdizioni e delle inabilitazioni in tutti i Tribunali d’Italia, in continuità con il mutamento della cultura giuridica sopra descritto.
{p. 376}
Note
[1] La Convenzione sui diritti delle persone con disabilità è stata approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, sottoscritta dall’Italia il 30 marzo 2007 e ratificata con legge 3 marzo 2009, n. 18.
[2] Legge 9 gennaio 2004, n. 6 recante «Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all’istituzione dell’amministrazione di sostegno e modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizione e di inabilitazione, nonché relative norme di attuazione, di coordinamento e finali», pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale» del 19 gennaio 2004, n. 14.
[3] Legge 13 maggio 1978, n. 180 recante accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori, pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale» del 16 maggio 1978, n. 133.
[4] Articolo 1, legge n. 6/2004.
[5] Cass. civ. 25 ottobre 2012, n. 18320.
[6] Cass. civ. 3 febbraio 2022, n. 3462 e Cass. civ. 11 luglio 2022, n. 21887.
[7] Cfr. Cass. civ. 26 ottobre 2011, n. 22332; Cass. civ. 12 giugno 2006, n. 13584. Cfr. in particolare: Cass. civ. 29 novembre 2006, n. 25366 ove è stato osservato: «con l’amministrazione di sostegno il legislatore ha inteso configurare uno strumento elastico, modellato a misura delle esigenze del caso concreto, che si distingue dalla interdizione non sotto il profilo quantitativo, ma sotto quello funzionale e ciò induce a non escludere che, in linea generale, anche in presenza di patologie particolarmente gravi, possa farsi ricorso sia all’uno che all’altro strumento di tutela, e che soltanto la specificità delle singole fattispecie, e delle esigenze da soddisfare di volta in volta, possa determinare la scelta tra i diversi istituti, con l’avvertenza che quello della interdizione ha comunque carattere residuale, intendendo il legislatore riservarlo, in considerazione della gravità degli effetti che da esso derivano, a quelle ipotesi in cui nessuna efficacia protettiva sortirebbe una diversa misura. Una tale scelta [...] non può non essere influenzata dal tipo di attività che deve essere compiuta in nome del beneficiario della protezione. Ad un’attività minima, estremamente semplice, e tale da non rischiare di pregiudicare gli interessi del soggetto, ed, in definitiva, ad una ipotesi in cui non risulti necessaria una limitazione generale della capacità dell’interessato, corrisponderà l’amministrazione di sostegno, che si fa preferire non solo sul piano pratico, in considerazione della maggiore snellezza della procedura, ma altresì su quello etico-sociale, per il maggior rispetto della dignità dell’individuo che essa sottende, in contrapposizione alle più invasive misure della inabilitazione e della interdizione, le quali attribuiscono uno status di incapacità, concernente, nel primo caso, i soli atti di straordinaria amministrazione, ed estesa, per l’interdizione, anche a quelli di amministrazione ordinaria».
[8] Articolo 418, comma 3, c.c. «Se nel corso del giudizio di interdizione o di inabilitazione appare opportuno applicare l’amministrazione di sostegno, il giudice, d’ufficio o ad istanza di parte, dispone la trasmissione del procedimento al giudice tutelare. In tal caso il giudice competente per l’interdizione o per l’inabilitazione può adottare i provvedimenti urgenti di cui al quarto comma dell’articolo 405».
[9] Cfr. articolo 411, comma 1, c.c. e i relativi richiami nonché Cass. pen. 3 dicembre 2014, n. 50754 circa la qualifica di pubblico ufficiale dell’amministratore di sostegno, al pari del tutore dell’interdetto.
[10] Cfr. articoli 412 e 427 c.c. dove nel novero dei soggetti legittimati, in materia di amministrazione di sostegno, figura altresì il Pubblico Ministero, diversamente dalla tutela.
[11] Cfr. articoli 375 e 411, comma 1, c.c. nella formulazione ante Riforma Cartabia.
[12] Cfr. articolo 30 D.P.R. n. 115/2002 e Circ. Min. Giust. 12 maggio 2014.
[13] Cfr. Cass. civ. 17 aprile 2013 n. 9389 in materia di amministrazione di sostegno, nonché, nell’ambito della tutela, l’articolo 343, comma 2, c.c.