Ciro Tarantino (a cura di)
Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c16
Non è un caso, dunque, che la preferenza della giurisprudenza di merito e di legittimità verso l’istituto dell’amministrazione di sostegno abbia portato a una progressiva riduzione delle aperture delle interdizioni e delle inabilitazioni in tutti i Tribunali d’Italia, in continuità con il mutamento della cultura giuridica sopra descritto.
{p. 376}
Nella presente trattazione occorre tener conto, tuttavia, che tuttora sono pendenti in ciascun Tribunale tutele e curatele aperte prima dell’istituzione dell’amministrazione di sostegno.
Può, pertanto, accadere che a seguito dell’introduzione legislativa dell’istituto dell’amministrazione di sostegno alcune delle tutele o curatele precedentemente aperte si rilevino, per effetto della sopravvenienza normativa (legge n. 6/2004), inopportune se non del tutto inutili. Come si è visto, infatti, prima dell’introduzione del nuovo istituto vi era un vero e proprio vuoto normativo, in quanto non era possibile graduare l’incapacitazione della singola persona nella misura strettamente necessaria a vicariarne le specifiche e concrete esigenze personali. Può farsi l’esempio, più che comune, dell’istituto dell’interdizione applicato – ante 2004 – a soggetti con malattie psichiatriche gravi, ma non tali da compromettere del tutto la capacità di intendere e di volere, essendo possibile riscontrare negli stessi ancora delle rilevanti aree di residue capacità (ad esempio, spesso assistiamo a casi di tutele giudiziali aperte anche solo per forzare un trattamento sanitario o un percorso di cure che la persona da interdire non intendeva accettare, pur residuando la capacità di gestire personalmente una piccola pensione di invalidità). In tali casi, tuttavia, alla persona interdetta è impedito lo svolgimento di qualunque atto sotto il profilo patrimoniale, anche solo finalizzato alla gestione di poche decine o centinaia di euro al mese per provvedere a soddisfare le sue esigenze primarie. Altre volte, invece, è l’istituto dell’inabilitazione a rivelarsi inadeguato, laddove il corso del tempo renda necessario rappresentare la persona inabilitata nello svolgimento di atti di ordinaria amministrazione piuttosto che di straordinaria amministrazione (ad esempio perché non vi è più – o non vi è mai stato – un patrimonio immobiliare da gestire) ovvero sostenerla in un percorso di cure (circostanza, quest’ultima, che l’inabilitazione non consente, perché non prevede alcuna rappresentanza sotto il profilo sanitario del curatore rispetto all’inabilitato).
In sostanza possono profilarsi tutta una serie di casi in cui i precedenti istituti disposti risultino, attualmente, inadeguati alla concreta tutela del soggetto. In questi casi sarebbe opportuno da parte del giudice tutelare, laddove emerga effettivamente una necessità in tal senso, stimolare un’azione da parte del tutore o del curatore affinché si attivino per chiedere una revoca della precedente misura (mediante apposito ricorso al Tribunale in composizione collegiale) e la contestuale apertura dell’amministrazione di sostegno (mediante trasmissione degli atti al giudice tutelare ai sensi dell’art. 429, comma 3, c.c.). Invero, va rammentato che ai sensi dell’articolo 429, comma 2, c.c. «il giudice tutelare deve vigilare per riconoscere se la causa dell’interdizione o dell’inabilitazione continui» e, se lo stesso ritiene che la causa sia venuta meno deve informarne il Pubblico Ministero.{p. 377}
In particolare, vale la pena rammentare una pronuncia del Tribunale di Trieste emessa all’indomani dell’introduzione del nuovo istituto dell’amministrazione di sostegno, ove si è ritenuto che
la revoca dell’inabilitazione o dell’interdizione invero non deve essere disposta solo quando risulti un miglioramento delle condizioni psichiche dell’interessato rispetto al momento in cui la misura è stata adottata, ma anche quando emerga la necessità di rivalutare lo strumento di tutela applicato e di sostituirlo con quello più idoneo a soddisfare le esigenze del soggetto interessato e che incida nella minor misura possibile sulla sua capacità di agire, necessità che ben potrebbe emergere dalla sopravvenienza costituita dall’entrata in vigore della legge sull’amministrazione di sostegno [14]
.
A questo proposito, si ritiene interessante citare anche una sentenza recentemente emessa dal Tribunale di Chieti [15]
che ha revocato l’inabilitazione e ha restituito gli atti al giudice tutelare per l’apertura dell’amministrazione di sostegno. In detto caso, il collegio giudicante ha ritenuto che l’istituto dell’inabilitazione applicato fosse divenuto sostanzialmente inutile rispetto alle concrete esigenze dell’inabilitata, la quale non era titolare né di beni immobili ovvero di beni mobili registrati né tanto meno di un patrimonio di cui poter disporre compiendo atti di straordinaria amministrazione, per i quali avrebbe avuto bisogno dell’assistenza del curatore. Piuttosto, l’entità degli introiti pensionistici e le esigenze di cura emerse, rispetto alla quale l’inabilitata necessitava di assistenza, rendevano chiaramente palese che l’istituto dell’amministrazione di sostegno fosse misura concretamente più acconcia alle esigenze di questa.
Ad ogni modo, come vedremo nei successivi paragrafi, a fronte delle indubbie positive innovazioni apportate dal nuovo istituto dell’amministrazione di sostegno al sistema di tutela, non va sottaciuto come tale istituto, nella sua applicazione pratica, possa comunque rappresentare un dispositivo fortemente incapacitante e possa condurre di fatto agli stessi esiti del tradizionale istituto dell’interdizione.

2. Compiti e poteri del giudice tutelare e dell’amministratore di sostegno

2.1. Ruolo del giudice tutelare

La figura monocratica del giudice tutelare, introdotta dal codice civile del 1942, appariva funzionale all’ideologia del regime dell’epoca che lo approvò ed era sostanzialmente volto alla realizzazione di un interesse pub{p. 378}blico, alla salvaguardia del patrimonio e all’educazione del minore: sebbene nato con tale precipuo obiettivo, l’attuale denominazione non sembra ormai lessicalmente corretta, tenuto conto della molteplicità di compiti, funzioni e competenze che la legge gli ha in concreto attribuito [Masoni 2018, 11].
A livello normativo, la figura del giudice tutelare trova la sua definizione (solo) nei compiti e nelle funzioni che gli vengono espressamente attribuite.
L’articolo 344 c.c. statuisce, in particolare, che il giudice tutelare «sovraintende alle tutele e alle curatele» (e dopo la legge n. 6/2004 anche alle amministrazioni di sostegno), «ed esercita le altre funzioni affidategli dalla legge».
Dal complesso delle disposizioni che definiscono i compiti del giudice tutelare, si potrebbe affermare che questi riveste un ruolo sostanzialmente di parte, nel senso che la sua azione è orientata all’esclusivo interesse di soggetti la cui capacità è giuridicamente limitata per effetto dell’età (minori di età) ovvero per effetto dell’applicazione di una misura di protezione (interdetto, inabilitato, beneficiario dell’amministrazione di sostegno).
Ma è proprio nell’ambito dell’amministrazione di sostegno – la cui attuale rilevanza sociale è innegabile – che il giudice tutelare assume un ruolo pregnante, perché è proprio con la legge n. 6/2004 che quell’interesse di parte viene presidiato dalla previsione espressa dell’obbligo da parte del giudice di tener conto della volontà della persona beneficiaria, con la minore limitazione possibile della sua capacità.
La disciplina dell’amministrazione di sostegno è, invero, maggiormente improntata al rispetto della dignità e alla valorizzazione dell’autodeterminazione della persona, in piena consonanza con i valori espressi dalla Costituzione, che colloca al centro dell’ordinamento giuridico la persona umana, non più considerata come subordinata alle esigenze superiori dello Stato.
Il peso assegnato all’autodeterminazione nell’amministrazione di sostegno assume, poi, una portata rivoluzionaria specie nella materia dei diritti personalissimi, dove l’impossibilità della sostituzione da parte di un soggetto terzo ha condotto alla sostanziale perdita di tali diritti per coloro che sono sottoposti alla misura dell’interdizione.
Come vedremo nei successivi paragrafi, compito del giudice tutelare è, dunque, quello di tracciare i limiti dell’azione dell’amministratore di sostegno e non comprimere inutilmente quei diritti quando gli stessi possano essere esercitati dalla persona, anche eventualmente con l’assistenza dell’amministratore di sostegno.
In via complementare a tale azione di tutela – volta a non comprimere, laddove non necessario, la libertà di autodeterminazione del soggetto – si accompagna un ruolo proattivo del giudice tutelare, diretto a consentire la piena realizzazione degli obiettivi della misura di protezione e la predisposizione da parte dei servizi socio-sanitari preposti del progetto di vita personalizzato e del progetto terapeutico. {p. 379}
Nell’ottica di un esercizio effettivo ed efficace delle sue funzioni, ai sensi dell’articolo 344, comma 2, c.c. il giudice tutelare può, infatti, sempre chiedere l’assistenza degli organi della Pubblica Amministrazione e degli enti i cui scopi corrispondono alle funzioni.
In materia di amministrazione di sostegno, il ruolo collaborativo e di assistenza dei servizi sociali è particolarmente valorizzato.
Il giudice tutelare, pertanto, dialoga e si avvale di altri soggetti, concorrendo alla positiva realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali di cui alla legge n. 328/2000 [16]
, potendo ordinare la redazione del «progetto individuale della persona disabile» [17]
, anche laddove questi non vi abbiano provveduto nonostante formale richiesta dell’amministratore di sostegno.
Il giudice tutelare – attraverso l’esercizio del suo potere/dovere di chiedere l’assistenza e di coinvolgere operativamente tutte le persone, i servizi e le realtà organizzate pubbliche e private i cui scopi corrispondono alle sue funzioni – si pone come figura essenziale di coordinamento e di propulsione, reazione e controllo per la realizzazione di progetti solidaristici.
Si tratta, dunque, di una funzione di altissimo rilievo sociale che impone una continua osservazione del soggetto della tutela e della protezione al fine di graduare e modulare gli ambiti da proteggere.
La funzione del giudice tutelare è, anche, quella di monitorare e adottare le misure più efficaci ai fini dell’attuazione di un progetto di sostegno, modulando i poteri di assistenza e rappresentanza dell’amministratore di sostegno e promuovendo la realizzazione del predetto progetto mediante il coinvolgimento di tutti i soggetti (pubblici e privati) interessati.
Le presenti riflessioni saranno sviluppate nel paragrafo conclusivo della presente trattazione.

2.2. Ruolo dell’amministratore di sostegno

L’amministratore di sostegno, familiare, persona di fiducia o professionista esterno che sia, agisce sempre nell’ambito dei poteri conferiti dal giudice tutelare nel decreto di nomina: poteri che a seconda dei casi potranno incidere sull’aspetto sanitario e/o sull’aspetto patrimoniale del beneficiario.
In particolare, il decreto di nomina dovrà distinguere: gli atti che l’amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario, senza corrispondente limitazione della capacità di agire {p. 380}di quest’ultimo (rappresentanza semplice); gli atti per i quali è prevista l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno (assistenza necessaria); gli atti che l’amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario in via esclusiva, con corrispondente limitazione della capacità di agire del beneficiario stesso (rappresentanza esclusiva).
Come si è detto sopra, il giudice tutelare potrà, inoltre, individuare nel decreto di nomina anche ulteriori atti preclusi al beneficiario ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 411, ultimo comma, c.c.
Oltre tale profilo strettamente formale (legato all’individuazione dei poteri conferiti nel decreto di nomina), l’amministratore di sostegno – lungi dall’interpretare il proprio ruolo in un senso meramente burocratico – dovrà farsi carico di un sistema di relazioni all’interno delle quali si inserisce la propria azione.
Egli dovrà, dunque, avere cura non solo di intessere una relazione di fiducia e complicità con il beneficiario della misura (sì da carpirne i bisogni e desideri), ma anche con tutti quei soggetti che a vario titolo rappresentano o possono rappresentare una solida rete di sostegno e cura per il beneficiario stesso.
In tal senso, l’amministratore di sostegno deve fungere da strumento di raccordo, in supporto della persona beneficiaria delle diverse professionalità coinvolte, adoperandosi per la costruzione di una rete di sostegno attorno ad essa, stimolando (se non anche pretendendo) la necessaria partecipazione dei familiari e/o delle persone di fiducia del beneficiario stesso e dei servizi socio-sanitari territoriali (compreso, se del caso, il medico curante), affinché tutti si adoperino – ognuno per il proprio campo di competenza – nell’individuazione e nell’attuazione delle misure di sostegno più adeguate. Al contempo, il giudice tutelare, senza sostituirsi alle competenze delle altre professionalità coinvolte, ha il compito di vigilare sul corretto svolgimento del progetto terapeutico e assistenziale e di verificare, nel tempo, la corrispondenza di esso alle specifiche esigenze del beneficiario che potrebbero in concreto mutare, richiedendo interventi migliorativi.
Affinché tuttavia il giudice tutelare possa spiegare un’effettiva vigilanza sulla misura di protezione, è necessario che l’amministratore di sostegno abbia cura di relazionare in maniera tempestiva rispetto all’andamento concreto della misura e/o all’eventuale assenza o inefficacia degli strumenti volti a consentire al beneficiario di vivere nella società e realizzare i propri desideri. Solo così il decreto di nomina originariamente emesso potrà spiegare efficace tutela nei confronti del beneficiario, nella misura in cui rimarrà costantemente aggiornato e modulato sulla base delle concrete esigenze della persona, che l’amministratore di sostegno avrà cura di individuare nella sua assidua relazione con il beneficiario.
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Note
[14] Tribunale di Trieste, 5 dicembre 2006, n. 913.
[15] Tribunale di Chieti, 27 settembre 2021, n. 633.
[16] Legge 8 novembre 2000, n. 328 recante «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali», pubblicata su «Gazzetta Ufficiale» del 13 novembre 2000, n. 265.
[17] Articolo 14 legge n. 328/2000.