Ciro Tarantino (a cura di)
Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c16
Affinché tuttavia il giudice tutelare possa spiegare un’effettiva vigilanza sulla misura di protezione, è necessario che l’amministratore di sostegno abbia cura di relazionare in maniera tempestiva rispetto all’andamento concreto della misura e/o all’eventuale assenza o inefficacia degli strumenti volti a consentire al beneficiario di vivere nella società e realizzare i propri desideri. Solo così il decreto di nomina originariamente emesso potrà spiegare efficace tutela nei confronti del beneficiario, nella misura in cui rimarrà costantemente aggiornato e modulato sulla base delle concrete esigenze della persona, che l’amministratore di sostegno avrà cura di individuare nella sua assidua relazione con il beneficiario.
{p. 381}
La figura dell’amministratore di sostegno, così concepita, porterebbe a una piena attuazione delle finalità normative per le quali è stata istituita nonché dell’articolo 3 Cost., dovendo porsi come obiettivo quello di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana.
L’amministratore di sostegno non deve, dunque, limitarsi a un’interpretazione solo rigorosamente conservativa del proprio ruolo in rapporto agli interessi del beneficiario, bensì propositiva, al fine di individuare le migliori azioni che possano valorizzare le capacità della persona. L’amministratore di sostegno deve proporsi nell’assunzione dell’incarico, di concerto con i servizi socio-sanitari, l’obiettivo di individuare quali attività formative, ricreative, socializzanti e finanche lavorative possano essere efficacemente svolte dal beneficiario. Ai medesimi obiettivi deve, peraltro, orientarsi l’azione del giudice tutelare nell’esercizio delle proprie funzioni.

3. Gli strumenti del giudice tutelare e dell’amministratore di sostegno per la ricerca della volontà del soggetto beneficiario e degli spazi di capacità, con particolare riferimento all’esercizio dei diritti personalissimi

3.1. L’audizione personale come mezzo per la valorizzazione della volontà e dell’autodeterminazione individuale

Se lo spirito della legge n. 6/2004 è stato quello di valorizzare la volontà del soggetto beneficiario e la sua capacità, compito del giudice tutelare e dell’amministratore di sostegno è quello di individuare gli strumenti atti a garantire la piena espressione di tale volontà e di tale capacità.
Vale la pena, pertanto, analizzare brevemente gli atti e le procedure che consentono concretamente la ricerca e il rispetto dell’autodeterminazione del soggetto da parte del giudice tutelare e dell’amministratore di sostegno, che di fatto nella pratica – se non correttamente attuati – rischiano di condurre a un’eccessiva standardizzazione della misura di protezione.
La disciplina dettata dalla legge istitutiva dell’amministrazione di sostegno affida all’incombente dell’audizione del beneficiario un ruolo fondamentale. Tale atto istruttorio risulta, invero, il primo e più importante atto nell’ottica di un coinvolgimento del soggetto e di un’effettiva compartecipazione dello stesso alle scelte che lo riguardano, secondo una prospettiva sempre dialogica.
Ai sensi dell’articolo 407, comma 2, c.c. «il giudice tutelare deve sentire personalmente la persona cui il procedimento si riferisce, recandosi ove occorra, nel luogo in cui questa si trova e deve tener conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa». {p. 382}
Se nel processo di interdizione, l’esame dell’interdicendo deve servire a saggiarne la capacità di intendere e di volere, maggiormente ampia appare la funzione dell’audizione del beneficiario nell’ambito della procedura dell’amministrazione di sostegno.
Nel corso dell’audizione, a mente della richiamata norma, il giudice tutelare deve infatti raccogliere i bisogni e le richieste della persona, individuandone le effettive e concrete esigenze esistenziali, le sue aspirazioni e il (possibile) progetto di vita. Solo così, infatti, il giudice sarà in grado di confezionare il decreto di nomina e determinare gli atti che l’amministratore di sostegno sarà chiamato a compiere in rappresentanza o in assistenza del soggetto beneficiario.
L’audizione si dimostra essenziale, dunque, anche per verificare le capacità del beneficiario sotto il profilo patrimoniale, consentendo al giudice tutelare – al momento dell’emissione del decreto di nomina – di non comprimerle inutilmente (ad esempio lasciando al beneficiario la gestione in autonomia della piccola pensione di invalidità). Anche sotto il profilo sanitario, a ben vedere, l’ascolto del beneficiario risulta essenziale nella graduazione dei poteri di rappresentanza o assistenza dell’eventuale amministratore di sostegno e nell’individuare la concreta volontà del soggetto rispetto al progetto di cura ovvero la sua capacità di autodeterminarsi nelle scelte essenziali che lo caratterizzano.
La fase immediatamente successiva alla nomina dell’amministratore di sostegno dovrà, parimenti, tenere in considerazione la volontà del soggetto beneficiario.
L’articolo 410, comma 2, c.c. stabilisce che
l’amministratore di sostegno deve tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere nonché il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso. In caso di contrasto, di scelte o di atti dannosi ovvero di negligenza nel perseguire l’interesse o nel soddisfare i bisogni o le richieste del beneficiario, questi, il pubblico ministero o gli altri soggetti di cui all’articolo 406 possono ricorrere al giudice tutelare, che adotta con decreto motivato gli opportuni provvedimenti.
La norma stabilisce, dunque, un costante dovere di interlocuzione tra amministratore di sostegno e amministrato con riguardo agli atti da compiere, nell’ottica di garantire l’attuazione dei bisogni e delle aspirazioni della persona.
In caso di contrasto tra di essi sulle scelte da compiere, il potere di risoluzione è affidato al giudice tutelare, il quale – sentito il beneficiario quando occorre – adotterà gli opportuni provvedimenti per il proseguo della misura, autorizzando o meno l’amministratore di sostegno al compimento dell’atto (in accordo o contro la volontà del beneficiario) avuto riguardo all’interesse del soggetto amministrato.{p. 383}
Da tali premesse consegue che l’amministratore di sostegno è sempre tenuto a coinvolgere il beneficiario in ogni scelta, informandolo e tentando di ottenere il suo consenso. In ipotesi di dissenso tra l’amministrato e l’amministratore di sostegno, la risoluzione del conflitto è rimessa al giudice tutelare, il quale adotterà con decreto gli opportuni provvedimenti.
Qualora l’atto venga compiuto dall’amministratore di sostegno con il dissenso del beneficiario e senza attivazione del predetto meccanismo di risoluzione, vi è chi ritiene che sebbene l’atto risulti valido ed efficace sotto il profilo giuridico possa giustificare la rimozione e la sostituzione dell’amministratore di sostegno [Farolfi 2014, 203].
La volontà del soggetto beneficiario è, dunque, garantita dal rapporto triangolare che si instaura tra questi, il giudice tutelare e l’amministratore di sostegno, nel rispetto di quanto stabilito dal decreto di nomina. Conseguentemente, ogni modifica del decreto iniziale dovrà – per quanto possibile – tener conto della volontà del soggetto all’attualità della relativa modifica, nonostante gli ampi poteri officiosi conferiti al giudice nella presente materia.
Tali considerazioni inducono, dunque, a ritenere che lo strumento principale per la ricerca della volontà del soggetto beneficiario sia sempre quello dell’audizione diretta, con esclusione di qualsivoglia possibilità da parte del giudice di prendere in considerazione dichiarazioni del beneficiario meramente riferite da altri soggetti, sia pure dall’amministratore di sostegno. La comunicazione con il soggetto disabile diventa preminente, sebbene talvolta complessa e contrassegnata anche da mezze parole, da gesti e in generale da tutti quei segni del «linguaggio non verbale» [Gorgoni 2011, 291]: di conseguenza, nel fare ciò, il giudice tutelare potrà avvalersi anche dell’assistenza (ma non della sostituzione), oltre che di ausiliari (ad esempio il consulente tecnico d’ufficio), dei servizi socio-sanitari territoriali che hanno in cura il beneficiario affinché la volontà del beneficiario venga compiutamente espressa con ogni mezzo a disposizione e con l’ausilio di soggetti in grado di far emergere i reali desideri e bisogni della persona, pur se difficilmente percepibili.

3.2. L’esercizio dei diritti personalissimi da parte del beneficiario dell’amministrazione di sostegno

L’audizione della persona beneficiaria dell’amministrazione di sostegno appare passaggio essenziale anche per individuare gli spazi entro i quali la capacità di agire non può e non deve essere limitata.
Come si è detto in apertura alla presente trattazione, l’amministrazione di sostegno inaugura – tra le misure di protezione – il paradigma della generale capacità, le cui limitazioni risultano dunque eccezionali. {p. 384}
In particolare, dopo l’audizione del beneficiario, il giudice tutelare al momento dell’emissione del decreto di nomina, o successivamente, dovrà decidere per quali atti il beneficiario necessita di essere limitato nella propria capacità di agire. Si dovrà, dunque, in primo luogo valutare se sia necessaria la nomina di un amministratore di sostegno con poteri di rappresentanza o anche solo di assistenza del beneficiario e se questi debbano riguardare il profilo patrimoniale o quello sanitario ovvero entrambi.
All’atto di apertura dell’amministrazione di sostegno, tuttavia, non sempre troverà adeguata considerazione l’intero ventaglio di possibili atti riservati all’amministratore di sostegno piuttosto che al beneficiario. Di conseguenza, l’applicazione concreta della misura dovrà essere costantemente monitorata dal giudice tutelare – e per il tramite di esso, in virtù della sua vicinanza al beneficiario, dall’amministratore di sostegno – affinché la stessa risponda alle effettive esigenze da tutelare, provvedendo a modificare e aggiornare il decreto nomina con le dovute correzioni e/o integrazioni che si ritenessero necessarie alla libera esplicazione dei propri diritti da parte del soggetto beneficiario e/o alla tutela dei suoi interessi.
Particolarmente complessa appare la valutazione del giudice con riguardo al compimento da parte del beneficiario di atti personalissimi, rispetto ai quali l’orientamento tradizionale è che non sia possibile alcuna forma di esercizio disgiunto dalla titolarità del diritto.
Si tratta di una serie di atti con i quali si esprime l’autodeterminazione di natura esistenziale del loro autore, che riguardano la gestione di rapporti di carattere strettamente personale o di diritto familiare o anche il compimento di attività con risvolti patrimoniali che però, per la loro stretta aderenza alla personalità dell’agente, costituisce espressione di scelte libere e insopprimibili della persona [Poletti 2020, 13].
La giurisprudenza più garantista ha ritenuto di dover accedere alla più moderna concezione che non esclude la possibilità di una sostituzione anche nelle situazioni giuridiche soggettive con sostato esistenziale [18]
. Gli istituti di protezione hanno, infatti, il principale fine di rimuovere quegli ostacoli che si frappongono tra il soggetto e la sua libera esplicazione della personalità. Un’interpretazione di segno diverso, dietro la difesa del diritto personalissimo, maschererebbe in realtà una sostanziale espropriazione di tal altri diritti, pure personalissimi e fondamentali, con ciò accettando che i soggetti in condizione di vulnerabilità perdano in concreto quei diritti in quanto non ne hanno più l’esercizio. Trattasi, ad ogni modo, di atti che devono essere oggetto di specifico provvedimento autorizzatorio motivato e che devono trovare giustificazione nella volontà del beneficiario [19]
. {p. 385}
In particolare, l’amministratore di sostegno è stato autorizzato ad aderire, in luogo del beneficiario, alla domanda di divorzio congiunto o a proporre ricorso per la separazione personale, sulla scorta di volontà già espresse prima dell’applicazione della misura di protezione [20]
.
Merita di precisare, comunque, che per quanto riguarda certi atti personalissimi, come ad esempio la donazione o il testamento, la giurisprudenza di merito richiede, alla luce di chiari indici normativi, la verifica di una volontà attuale del soggetto interessato, non potendosi in alcun modo ammettere una sostituzione dell’amministratore di sostegno nel compimento dei predetti atti di disposizione patrimoniale rispetto a una volontà non più esprimibile [21]
.
Atti come il riconoscimento del figlio, il testamento e la donazione sono atti personalissimi che per la loro natura, sono ritenuti insuscettibili di delega a terzi poiché relativi ad aspetti a tal punto intimi della persona che – per la loro valenza sentimentale, affettiva, esistenziale e patrimoniale – possono essere effettuati soltanto dal soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno. Appare, invero, difficile ipotizzare che al beneficiario possa sostituirsi un terzo (nel caso di specie, l’amministratore di sostegno) nell’assumere una siffatta decisione, dovendo la titolarità del diritto coesistere con l’esercizio dello stesso. Tali considerazioni sono del resto naturale conseguenza del riconoscimento, sulla base dei principi costituzionali e delle fonti sovranazionali a tutela della disabilità, dell’esercizio dei diritti fondamentali anche ai soggetti considerati, secondo la prospettiva tradizionale, incapaci.
Il beneficiario ben potrà porre in essere i succitati atti personalissimi in piena autonomia, salva l’opportunità di disporre – dietro espressa previsione del giudice tutelare e nei casi eccezionali in cui se ne ravvisa la necessità – l’assistenza da parte dell’amministratore di sostegno ovvero la rappresentanza di questi, ma in tale ultimo caso solo laddove sia stata accertata la volontà del soggetto espressa in maniera diretta e attuale.
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Note
[18] Tribunale di Varese, 20 aprile 2010.
[19] Cfr. Tribunale di Varese, 12 marzo 2012, ove si è affermato che il paziente con sclerosi laterale amiotrofica (SLA) può fare testamento dettando le proprie volontà all’amministratore di sostegno avvalendosi del comunicatore oculare, non potendosi ammettere che un individuo perda la facoltà di testare a causa della propria malattia, trattandosi di una discriminazione fondata sulla disabilità. Per i pazienti con SLA, peraltro, deve ritenersi sussistente un vero e proprio diritto alla comunicazione non verbale, mediante l’utilizzo di un comunicatore a puntamento oculare.
[20] Tribunale di Modena, 26 ottobre 2007; Tribunale di Cagliari, 15 giugno 2010.
[21] Sul requisito dello spirito di liberalità nella donazione la Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 15 marzo 2016, n. 5068 ha affermato che l’animus donandi assume rilievo causale e che un’erronea convinzione del donante determina l’impossibilità assoluta di realizzazione del programma negoziale e quindi la carenza della causa donativa. Sulla scorta di tali principi si è ritenuto, in giurisprudenza, che la donazione del beneficiario dell’amministrazione di sostegno richieda la persistenza della capacità e l’espressa, autonoma e attuale volontà di donare in capo al beneficiario, nonché l’assenza di pregiudizio per la tutela degli interessi personali e patrimoniali dello stesso: cfr. Tribunale La Spezia, 2 ottobre 2010.