Ciro Tarantino (a cura di)
Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c1

Matteo Schianchi e Massimiliano Verga Storia di Moreno. Le biografie e i rischi di riproduzione delle diseguaglianze
Il tema del rapporto tra biografia e disabilità, con ottiche e ragioni diverse, attraversa da tempo le nostre riflessioni e ricerche [Schianchi 2019; 2021; Verga 2012; 2014; 2021]. Questo testo è uno degli esiti di uno scambio che dura da anni su questi temi ed è stato pensato e scritto in termini collaborativi, facendo dialogare tra loro i nostri punti di vista, come è emerso anche nella relazione presentata all’interno del seminario di studiDisabilità: dispositivi di incapacitazione, strategie di emancipazione(Firenze, 3-4 febbraio 2023). Nella stesura, sono di Matteo Schianchi i paragrafi 2, 4 e 6, di Massimiliano Verga i paragrafi 1, 3, 5 e 7

Notizie Autori
Matteo Scianchi è ricercatore presso l’Università degli Studi Milano-Bicocca. È componente dell’editorial board di «Minority Reports. Cultural Disability Studies». Tra le sue pubblicazioni: La terza nazione del mondo. I disabili tra pregiudizio e realtà (Feltrinelli, 2009); Storia della disabilità. Dal castigo degli dèi alla crisi del welfare (Carocci, 2012); Il debito simbolico. Una storia sociale della disabilità in Italia tra Otto e Novecento (Carocci, 2019); Disabilità e relazioni sociali. Temi e sfide per l’azione educativa (Carocci, 2021); Cinema e disabilità. Il film come strumento di analisi e partecipazione (Mimesis, 2023); Le contraddizioni dell’inclusione. Il lavoro socio-educativo nei servizi per la disabilità tra criticità e prospettive (Mimesis, 2024).
Notizie Autori
Massimiliano Verga insegna Sociologia dei diritti fondamentali all’Università di Milano Bicocca, dove è referente del Dipartimento di Giurisprudenza per gli studenti con disabilità e con disturbi specifici dell’apprendimento. È presidente dell’Associazione di studi su Diritto e Società e vicedirettore della rivista «Sociologia del diritto». Tra le pubblicazioni: Zigulì. La mia vita dolceamara con un figlio disabile (Mondadori, 2012) e Un gettone di libertà. Come ho imparato a essere padre di figli diversi: una storia di amore e di handicap (Mondadori, 2014).
Abstract
Dalla «prima comunicazione» al «Dopo di noi», le traiettorie esistenziali delle persone con disabilità attraversano alcuni passaggi cruciali che ne definiscono la direzione e non di rado conducono a un abitare involontario e contrario alle prospettive di una vita indipendente, così come previsto all’articolo 19 della Convenzione ONU del 2006. Il problema che ci si pone è duplice. Come pensare e concepire la biografia di una persona con una disabilità complessa e come raccontarla. Le due questioni, si intersecano e partono dal fatto che la biografia di una persona con disabilità che non può raccontarsi è inevitabilmente una narrazione frutto di parole di altri. L’ombrello della scuola dell’obbligo, per quanto bucato, comunque ripara. A prescindere dalle riflessioni e dalle scelte effettuate in merito al percorso scolastico, dalla prima elementare fino ai sedici anni, la persona con disabilità non è in carico solamente alla famiglia. Come è facile intuire, se questo passaggio in molti casi non risulta indolore anche a prescindere dalla presenza di una disabilità, sicuramente rappresenta uno snodo critico per lo/la studente con disabilità. Occorre partire da un punto fermo: queste riflessioni intersecano la biografia di un ragazzo che non ha ancora vent’anni e di due genitori che hanno appena superato la boa dei cinquanta. Con ogni probabilità, se Moreno oggi avesse il doppio degli anni (e i suoi genitori avessero vent’anni in più), troverebbero spazio altre riflessioni e altre (in)certezze. I percorsi verso il «dopo» debbano prevalentemente restare nelle mani dei capitali individuali e familiari e che la mano pubblica debba intervenire solamente se questi vengono meno, con evidenti margini di rischio nella definizione delle traiettorie esistenziali delle persone con disabilità.

1. Casi limite?

Dalla «prima comunicazione» al «Dopo di noi», le traiettorie esistenziali delle persone con disabilità attraversano alcuni passaggi cruciali che ne definiscono la direzione e non di rado conducono a un abitare involontario e contrario alle prospettive di una vita indipendente, così come previsto all’articolo 19 della Convenzione ONU del 2006. Lo strumento biografico ci sembra uno strumento adeguato a comprendere queste traiettorie e coglierne le eventuali criticità.
Quali sono i fattori che orientano le differenti direzioni delle traiettorie esistenziali dei protagonisti con disabilità? Nello specifico: quali fattori, ancora oggi, risultano determinanti nel definire un percorso che conduce all’istituzionalizzazione? Al contrario: quali fattori possono evitare questo percorso e rispondono all’incomprimibile diritto di dare pieno respiro, anche a fronte di disabilità complesse, a una vita indipendente?
Certamente incidono diverse variabili, quali il capitale sociale, economico e culturale del contesto familiare. Così come incide fortemente la condizione personale dei protagonisti. Ma si tratta di variabili «senza via di scampo»? La domanda è evidentemente retorica. Perché altre variabili possono intervenire, supportando e modificando traiettorie apparentemente definite. Non soltanto sul piano del riconoscimento giuridico dei diritti incomprimibili, ma anche sul piano dei servizi alla persona con {p. 34}disabilità e ai suoi familiari, che del primo è al contempo strumento e agente d’innovazione.
Sotto questo profilo, come si dirà più diffusamente in seguito, occorre cioè focalizzarsi precisamente sulle variabili di contesto, quali le tutele giuridiche e i servizi alla persona, che hanno l’obbligo di intervenire proprio per rendere ininfluenti, pur nel riconoscimento delle soggettività, le variabili individuali e familiari. Variabili che, appunto, non possiamo porre sul medesimo piano analitico, laddove le traiettorie esistenziali non dovrebbero essere predefinite dal capitale individuale di partenza, in linea con la cornice normativa prevista nel nostro ordinamento, che formalmente non accetta questa ineluttabilità.
Proprio in questa prospettiva, anche alcuni elementi tratti da una singola biografia, alla luce di quanto detto poc’anzi, possono divenire strumento di conoscenza e di promozione giuridica, culturale e sociale non solamente sul versante della denuncia relativa a un mancato riconoscimento di tutele già contemplate dall’ordinamento, ma anche sul piano dell’immaginazione sociologica che degli elementi di questa biografia si nutre e, dunque, sotto il profilo di nuove proposte e nuovi sguardi che possano dare piena concretezza a quelle tutele.
Infatti, se la biografia è ormai uno strumento acquisito nel campo delle scienze sociali e umane, in questa sede occorre definirne, preliminarmente, l’interesse specifico in materia di disabilità. Si tratta, inoltre, di chiarire il suo valore euristico, evidenziando in che modo può essere significativa e rappresentativa. Ovvero, si tratta di cogliere quanto un caso specifico e singolare possa essere mobilitato per fare emergere dinamiche, meccanismi e vissuti le cui analisi possono andare oltre il particolare portando alla luce temi e questioni con una valenza più generale.
La biografia qui proposta presenta sue specificità. Moreno è un ragazzo di diciannove anni, cieco, epilettico, con un grave deficit cognitivo e assenza di comunicazione verbale. In sostanza, Moreno vive la propria biografia, ma non può raccontarla e necessita di importanti forme di supporto. È certamente una situazione complessa, ma non infrequente. L’inquadramento della «gravità» entro cui è inserito Moreno, per accedere ai servizi di cui ha diritto, è del resto una condizione che, in Italia, coinvolge 1,5 milioni di persone, a cui aggiungere una quota simile di popolazione anziana [ISTAT 2019a; ISTAT 2021]. Naturalmente ciascun caso, e ciascuna «gravità», ha la propria storia di vita e le proprie specificità, ma si resta qui legati al fatto che la necessità di importanti forme di supporto caratterizza l’esistenza di Moreno.
Ci sembra improprio parlare di «caso limite». Non soltanto i numeri appena citati non permettono di farlo, ma, se restiamo nel quadro di riferimento della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, parlare di casi limite non ha alcun significato. Significherebbe espellere {p. 35}dal consesso umano chi è, oggettivamente, in condizioni più complesse, con difficoltà di autorappresentarsi e condurre autonomamente la quotidianità [Bernardini 2021].
Del resto, le stesse politiche pubbliche non ragionano, in termini di «caso limite», ma di «caso grave», che appunto giustifica il diritto a interventi socio-assistenziali, lasciando fuori, come vedremo, molte altre dimensioni della biografia delle persone con disabilità. Tutt’al più, se proprio si vuol parlare di limiti, questi si riferiscono ai deficit, individuali e collettivi, che abbiamo nel pensare e concepire condizioni complesse della diversità umana che conducono spesso a negare una piena umanità.

2. Biografia, uno strumento a più dimensioni

Il problema che ci si pone è dunque duplice. Come pensare e concepire la biografia di una persona con una disabilità complessa e come raccontarla. Le due questioni, evidentemente, si intersecano e partono dal fatto che la biografia di una persona con disabilità che non può raccontarsi è inevitabilmente una narrazione frutto di parole di altri. Più nello specifico, questa ricostruzione di alcuni aspetti biografici è fatta da due punti di vista distinti: uno direttamente coinvolto e l’altro no [1]
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Vivere direttamente questa vicenda, e la disabilità, sembrerebbe rappresentare una «eccessiva familiarità» con l’oggetto al punto di inficiarne uno sguardo più scientifico. Non ci sembra per nulla. Non solo, infatti, lo sguardo partecipato, con tutte le precauzioni necessarie, è ormai uno strumento della ricerca scientifica nelle scienze sociali e umane [Marzano 2006], ma è particolarmente rilevante in tema di disabilità. Facendo l’antropologo di se stesso, R. Murphy [2017] ha messo in luce dimensioni biografiche capaci di gettar luce su dinamiche esistenziali e sociali decisive di una persona con una disabilità motoria progressiva fortemente invalidante. Altri studi, a partire da narrazioni autobiografiche, si sono posti la questione dell’influenza delle politiche pubbliche e dei cambiamenti culturali di cui è da tempo oggetto la disabilità sulle vite di ordinarie persone con disabilità [Engel e Munger 2003]. Ancor prima, i Disability Studies che hanno inaugurato, a partire dagli anni Sessanta, un filone specifico di interesse culturale e accademico sulla disabilità, sono nati a partire da vicende biografiche di persone con disabilità che esprimevano quanto la loro esistenza e le loro aspirazioni fossero ampiamente negate e frustrate da servizi istituzionalizzanti e segreganti. Le esperienze personali e biografiche delle persone e degli studiosi che, partendo da sé, hanno fatto emergere, socialmente e culturalmente, temi più generali {p. 36}sono continuamente mobilitate per giustificare e corroborare il punto di vista interno. Anche noi, autori di questo testo, quasi certamente, se non avessimo incontrato direttamente la disabilità, non ce ne saremmo occupati. Nondimeno ci sembra di ravvedere alcune criticità sul fronte dell’uso delle storie di vita.
Osserviamo, anzitutto che, in Italia, è poco frequente, il ricorso alla biografia vera e propria come strumento scientifico per comprendere quali sono i vissuti, le traiettorie individuali, l’impatto e i significati personali, familiari, sociali assunti da quella specifica condizione, la concreta articolazione, misurata nella quotidianità e nel ciclo di vita, tra servizi-sostegni pubblici e capitali individuali e familiari. Entriamo dunque in questo campo con la consapevolezza che, se adottare la prospettiva di chi è direttamente coinvolto ci sembra necessario (l’esperienza personale mostra spesso cose che difficilmente si vedrebbero in altro modo), non è sufficiente: il fatto di vivere certe cose non fa, automaticamente, degli esperti. Peraltro, non solo l’individuo, un singolo individuo, non può essere misura del mondo, ma l’esperienza personale, per assumere un significato sociale ed euristico, deve essere analizzata (non basta viverla e guardarla dall’interno) da più punti di vista. Si corre, inoltre, sempre il rischio che la presa di parola e la sua legittimità, anche in fatto di disabilità, segua dinamiche di potere per cui le voci che si sentono, oltre che affermarne i locutori, finiscono per rappresentare tutto l’arco della disabilità, misconoscendo così altre soggettività, altre esperienze di vita. Si rischia, soprattutto, di non conoscere né considerare l’esperienza di vita e la biografia di chi ha più difficoltà (come la persona al centro di questo testo) ad autorappresentarsi e raccontarsi. Ricordiamolo, queste persone sono, anche solo numericamente, una popolazione molto ampia. Rischiamo di conoscere e studiare la disabilità solo a partire da prospettive molto limitate lasciando, così, chi è in condizioni più complesse, e la stessa conoscenza di questi mondi, al di fuori. Le diagnosi, la dimensione importante delle menomazioni e delle limitazioni sembrano negarci la possibilità di comprenderne meglio le dinamiche sociali ed esistenziali, e non solo quelle medico-biologiche. La difficoltà, talora l’impossibilità, di sentirne la voce, sembra, spesso, portarci a negare dimensioni umane, esistenziali, desideranti, più profonde.
Alcune studiose [Tronto 2006; Kittay 2010; 2019] hanno fatto emergere con forza non solo le dinamiche del care, e le sue declinazioni prettamente femminili, ma la necessità di fare emergere le più profonde, e spesso ignote o impercettibili, pratiche quotidiane, sociali e culturali, di violenza e di assoggettamento reciproco particolarmente rilevanti e tipiche delle pratiche «della cura».
Sulla scia di queste riflessioni, in questo testo intendiamo fare emergere alcuni elementi del vissuto di una persona con disabilità complessa e, nello {p. 37}stesso tempo, non solo la narrazione fatta per voce di altri (il padre in questo caso, che declina peraltro la cura al maschile), ma le stesse dinamiche di indipendenza e interdipendenza che presentano emblematicamente forme di disabilità complessa, non il raccontarle, ma il viverle.
Questa prospettiva biografica, ricostruita attraverso la voce di un familiare, ci sembra avere un valore scientifico nella misura in cui fa emergere ciò che diversamente non conosceremmo e, per questo col rischio, culturale e scientifico, di pensare che chi non può raccontare la propria biografia non abbia una biografia. Ci sembra anche debba poter rappresentare un terreno fertile entro cui gli stessi servizi dedicati alle persone con disabilità (complesse) possano sviluppare ulteriormente il loro impatto, cercando di entrare realmente in contatto con la biografia delle persone con disabilità (anche quelle che non possono raccontarla). In questo senso, dal nostro punto di vista, centrare i servizi socio-assistenziali sulla persona non può fare l’economia di considerare, in modo radicale e scientifico, la biografia delle persone, anche quelle che non sono in misura di raccontarsi. Porsi, concretamente, in questa logica e in questo modo di operare rappresenta, naturalmente, uno sforzo formativo, culturale e operativo importante.
Su più livelli, la biografia è dunque uno strumento che permette di fare emergere le persone che, troppo spesso, in ragione della loro condizione di «gravità», sono ridotte ai loro bisogni essenziali. Più in generale, mobilitare lo strumento biografico non significa ridurre, secondo una prospettiva individualistica, il sociale all’individuo, ma ha proprio la funzione di restituire l’individuo al sociale entro cui si sviluppa la sua esistenza.
In questo caso, la vicenda biografica è ricostruita non nella sua interezza (del resto il protagonista è un giovane), ma sottolineando alcuni nodi, passaggi, eventi che, nel rappresentare momenti particolarmente significativi nel vissuto personale, materiale e intimo delle persone direttamente coinvolte, interpellano direttamente, anche, la gestione pubblica. In questa prospettiva, l’intento di questo contributo non è, cioè, illustrare come è fatta e come si svolge la vita attorno a una condizione di disabilità complessa, ma focalizzare lo sguardo su quali tipi di attenzioni il «sistema» dei servizi e delle tutele fornisce a tale complessità, ovvero le risposte, i silenzi, le pratiche e le logiche che li conformano.
Con una domanda: quali scenari si profilano di fronte alle soluzioni offerte alle specifiche esigenze, situazioni, criticità, dinamiche all’interno delle quali, nella quotidianità e per tutto il ciclo di vita, le persone si trovano a vivere in presenza di una complessa situazione di disabilità?
Proprio sotto questo profilo, il rapporto tra biografia e disabilità assume una valenza specifica. Più precisamente perché, dal nostro punto di vista, la condizione di disabilità (e le menomazioni stesse), non determinano, automaticamente e meccanicamente, un certo vissuto e un certo percorso.
{p. 38}E il fatto di analizzare la vicenda a partire da due punti di vista distinti è funzionale proprio a considerare la forza e la portata di quanto è accaduto pur continuando a mantenere un carattere aperto. In questa biografia, come si vedrà, sono state fatte delle scelte e si sono verificati degli eventi, mentre altri eventi non si sono verificati e altre scelte non sono state effettuate. Sarebbe potuta andare diversamente? Quali altri sviluppi avrebbero potuto presentarsi e accadere? In quali condizioni e a quali costi?
Note
[1] Massimiliano Verga è il papà di Moreno.