Note
  1. Per i necessari riferimenti manualistici, sia sufficiente il rinvio a Padovani [2019, 138 e 142-145]. Cfr. anche Mantovani [2017, 124-125].
  2. Le opinioni relative alle fonti idonee a generare tale obbligo divergono. Secondo alcuni, come Padovani [2019, 145-146], si può trattare di qualsiasi fonte giuridica, compresa la consuetudine. Secondo altri, come De Francesco [2018, 220] e Mantovani [2017, 162], la fonte deve essere comunque dotata di rango legislativo.
  3. Cass. pen., sez. IV, 29 gennaio 2021, n. 16132.
  4. Cass. pen., sez. IV, 29 marzo 2019, n. 39256.
  5. Cass. pen., SS.UU., 21 gennaio 2009, n. 2437.
  6. Cass. pen., sez. IV, 14 settembre 2022, n. 48619. Contra, Cass. pen., sez. IV, 20 aprile 2010, n. 21799.
  7. Con riguardo alla colpa generica, l’articolo 43 c.p. distingue tra imprudenza, negligenza e imperizia. Con prudenza si allude, in particolare, «alla necessità di evitare il compimento di certe azioni pericolose», con la diligenza a «una condotta attiva volta a prevenire il versificarsi di un’offesa», mentre con la perizia, infine, «all’osservanza di regole consistenti in prescrizioni di ordine tecnico». Così De Francesco [2018, 447].
  8. Per un interessante tentativo definitorio, si v. Cass. pen., sez. IV, 22 luglio, 2011, n. 29476. Cfr., per alcuni riferimenti essenziali, Sale [2011].
  9. Cfr., a tal proposito, la ricostruzione di Cupelli [2013, 25-31].
  10. Cass. pen., sez. IV, 20 aprile 2017, n. 28187, ove però si considerano unitamente le condotte attive e omissive dello psichiatra. Cfr. anche Cass. pen., sez. IV, 14 novembre 2007, n. 10795.
  11. Come avvenuto in Cass. pen., sez. VI, 11 gennaio 2017, n. 8525.
  12. Cass. pen., sez. V, 20 giugno 2018, n. 50497.
  13. Non si ritiene invece integrabile l’abuso di mezzi di correzione o disciplina ex articolo 571 c.p. in quanto gli operatori sanitari non sarebbero provvisti di un vero e proprio ius corrigendi (cfr. Cass. pen., sez. VI, 5 dicembre 2007, n. 6581).
  14. Cass. pen., sez. IV, 6 novembre 2003, n. 10430.
  15. Cass. pen., sez. IV, 27 novembre 2008, n. 48292; Cass. pen., sez. IV, 12 febbraio 2013, n. 16975 (dove, pur affermandosi l’esistenza di una posizione di garanzia dello psichiatra anche rispetto le condotte autolesive del paziente, l’esito è assolutorio); Cass. pen., sez. I, 30 aprile 2015, n. 35814; Cass. pen., sez. IV, 14 giugno 2016, n. 33609.
  16. Ad es. Cass. pen., sez. IV, 27 novembre 2008, n. 48292, dove invero però si parla di «doveri di protezione e di sorveglianza del paziente in relazione al pericolo di condotte autolesive (e, naturalmente, eterolesive)».
  17. Ad es., Cass. pen., sez. IV, 20 aprile 2017, n. 28187; Cass. pen., sez. IV, 18 maggio 2017, n. 43476; e, da ultimo, Cass. pen., sez. IV, 25 maggio 2022, n. 24138.
  18. Cfr. anche Bricola [1988].
  19. Cfr. Veneziani [2003, 346].
  20. Ad es. Corte d’Assise di Cagliari, 16 settembre 1999, ove si afferma che si legge che la l. n. 180 del 1978 «ha sancito il diritto dell’alienato psichico, come di qualunque malato, alla propria cura. A tal fine, ha esteso agli infermi di mente il principio generale della volontarietà dei trattamenti e accertamenti sanitari, abbandonando nel contempo qualunque riferimento alla custodia, con il chiaro intento di non connotare il disturbo psichiatrico come fonte presunta di pericolo».
  21. In particolare, Cass. pen., sez. II, 11 maggio 1990 (ove si legge che «non possono essere posti a carico dello psichiatra compiti di polizia»), e Cass. pen, sez. IV, 5 maggio 1987.
  22. Così Cupelli illustra l’approccio repressivo oggi prevalente nella giurisprudenza di legittimità, che egli critica e respinge con forza.
  23. Cass. pen., sez. IV, 25 maggio 2022, n. 24138.
  24. Cass. pen., sez. IV, 20 aprile 2017, n. 28187.
  25. Cass. pen., sez. IV, 14 novembre 2007, n. 10795. In realtà, però, in tale caso la responsabilità del medico psichiatra imputato è stata affermata sulla base della configurazione del reato come commissivo. Cfr. M. Baraldo [2008], che giustifica tale conclusione.
  26. Cfr. Fiandaca [1988] il quale ammette una responsabilità penale omissiva dello psichiatra rispetto agli atti autolesivi del paziente ma la nega rispetto ai suoi atti eterolesivi.
  27. Per un quadro sintetico, anche Cupelli [2014].
  28. Costituisce, infatti, un dato ormai acquisito che varie psicopatologie, anche gravi, «lascino comunque intatta la capacità di autodeterminazione del malato o conoscano remissioni tali da consentire l’acquisizione di un valido consenso» [Cupelli 2013, 88-89]: tale constatazione, ovviamente, implica anche il suo contrario, e cioè che possano esservi dei casi in cui la malattia mentale comporti una rilevante menomazione di tale capacità. Peraltro, la competence del paziente può esservi in taluni settori del suo agire e non in altri: in questo senso, essa «deve essere sempre contestualizzata, nel senso che deve sempre essere riferita a un atto specifico, riportata a quel preciso contesto, a quel determinato problema, al momento della decisione e al correlato funzionamento mentale del soggetto interessato dalla decisione» [Fornari 1997, 1035]. Perciò, lo psichiatra non deve porsi nei termini di un «acritico esecutore di volontà sanitarie altrui», «di fatto praticando l’abbandono» [Cupelli 2013, 109-110], ma deve, invece, adottare un’attitudine critica nei confronti della volontà espressa dal paziente, tentando di apprezzarne la pienezza e la validità. Il che – si badi – non implica valutarla in termini di «ragionevolezza» del contenuto finale della decisione da lui presa: il medico, infatti, non può imporre il proprio concetto di «bene» al malato di mente, ma deve accettare quello che costui ritiene, consapevolmente, tale. Occorre piuttosto adottare un criterio di valutazione «processuale», considerando che la formazione e l’acquisizione del paziente costituiscono, in questo ambito più che altrove, «un processo e non già un semplice atto» [Venchiarutti 2011, 829]. Pertanto, senza scadere in un paternalismo dannoso per il malato di mente, lo psichiatra dovrà tentare di rilevare, nel caso concreto, che: «il soggetto sia in grado di comunicare con i curanti, dia qualche segno esteriore ad indicare d’aver compreso e apprezzato l’informazione e d’essere pronto a decidere, mostri di intendere le alternative e di capirne la gravità (a questo livello può ovviamente introdursi il pregiudizio morale dell’osservatore), dia una risposta fondata su ragioni e in qualche modo coerente coi valori in cui egli dice di credere, persista nelle conclusioni decisionali da lui espresse» [Cattorini 1999, 3880]. In questa prospettiva, si sostiene che a un primo ed estemporaneo dissenso manifestato dal malato di mente non segua tanto il radicale venir meno della posizione di garanzia dello psichiatra, quanto piuttosto un mutamento del suo contenuto, «gravando su di lui, in questo caso, il dovere di sindacare la genuinità e l’attendibilità della volontà del paziente, nell’estrema delicatezza dell’accertamento imposta dal disagio mentale» [Cupelli 2013, 107], e di persuaderlo della negatività della sua scelta.
  29. Cass. pen., sez. V, 20 giugno 2018, n. 50497. Sul punto si v. Lazzeri [2018]. Per un orientamento differente, si v. Trib. Cagliari, sez. GIP, 17 luglio 2012, commentato (e criticato) da Dodaro [2014]. Per un recente sviluppo relativo alla giurisprudenza EDU in materia, si v. Corte EDU, sez. II, 15 settembre 2020, Aggerholm c. Danimarca (su cui, per alcune osservazioni, Faina [2021]).
  30. Secondo Massa [2013], la contenzione è illecita in quanto, costituendo una limitazione della libertà personale protetta dall’articolo 13 Cost. (o, al limite, un trattamento sanitario obbligatorio ex art. 32, comma 2, Cost.), necessita di una previsione legislativa di cui è, però, sprovvista. Infatti, egli ritiene che l’articolo 60 del r.d. n. 615/1909, recante il Regolamento per l’esecuzione della legge manicomiale n. 36/1904, sia stato abrogato dalla cosiddetta legge Basaglia n. 180/1978, venendo così a mancare una norma di rango primario in grado di giustificare in termini generali il ricorso alla contenzione (anche al di fuori del limitato ambito penitenziario, ove permane l’art. 41 della l. n. 354/1975). Nello stesso senso anche Dodaro [2011], cui si rinvia anche per gli ulteriori riferimenti bibliografici. Quest’ultimo Autore, però, pare ritenere – diversamente da quanto qui sostenuto – che il dovere di garanzia dello psichiatra si estenda fino all’impedimento di atti autolesivi o eterolesivi del paziente, reputando quindi che ove ricorrano condizioni di necessità e urgenza il sanitario sia obbligato a intervenire con pratiche contenitive.
  31. Tale impostazione è criticata da Piras [2019], il quale, evidenziando gli inconvenienti dell’applicazione dello stato di necessità, suggerisce che la contenzione sia reputata un atto medico da considerare non punibile laddove sia effettuata in conformità «alle linee guida pubblicate nel sito dell’Istituto Superiore di Sanità o in mancanza di esse a buone pratiche clinico-assistenziali», secondo quanto previsto dall’articolo 590-sexies, comma 2, c.p.
  32. Comitato Nazionale per la Bioetica, parere su «La contenzione: problemi bioetici», 23 aprile 2015, p. 3. È significativo anche il seguente passaggio: «Nel dibattito bioetico sulla salute mentale, è centrale dunque il passaggio a un nuovo paradigma, in sostituzione dell’approccio manicomiale: da una visione del malato di mente come destinatario di coercizione e segregazione (in quanto portatore di pericolosità sociale), a quella di persona sofferente di cui prendersi cura, secondo principi e modalità di presa in carico del tutto simili a quelli usati per altre patologie e sofferenze» (p. 6). Sul piano giuridico, il parere sembra accogliere l’inquadramento della contenzione come atto illecito eventualmente scriminabile ove ricorrano le condizioni di cui all’articolo 54 c.p. (o 52 c.p.).
  33. Cass. pen., sez. IV, 25 maggio 2022, n. 24138.
  34. Cfr. anche Zanchetti [2004, 2860] che con chiarezza afferma: «il fondamento della l. n. 180/78 è la libertà del paziente; ogni limitazione di questa libertà che non sia disposta con un t.s.o., e quindi – per definizione – in presenza di un paziente che rifiuti il trattamento è vietata. Quindi, il rischio che il paziente possa compiere gesti autolesivi, perché la sua libertà non è sottoposta a controllo da parte dei curanti, è preso in considerazione, valutato e accettato, una volta per tutte, da parte del legislatore».
  35. Quanto detto finora non deve peraltro indurre a dimenticare che lo psichiatra potrebbe invece rispondere delle eventuali condotte autolesive o eterolesive commesse dal paziente in conseguenza di una sua azione (ad es., la somministrazione di un’erronea terapia farmacologica che determina uno scompenso psichico, il quale a sua volta si manifesta in comportamenti aggressivi, come avvenuto in Cass. pen., sez. IV, 14 novembre 2007, n. 10795), sebbene con le già citate difficoltà a distinguere tra azione e omissione in tale settore medico.
  36. Se la contenzione è applicata in situazioni che non rientrano nello stato di necessità ex articolo 54 c.p., infatti, si realizza un’illegittima privazione della libertà personale che integra l’articolo 605 c.p., come ha chiarito Cass. pen., sez. V, 20 giugno 2018, n. 50497.
  37. È interessante osservare che secondo Cass. pen., sez. VI, 28 marzo 2019, n. 16583 i soggetti ricoverati possono reputarsi vittime del detto reato tanto se patiscano in prima persona le violenze fisiche o verbali, quanto se ne siano meri spettatori (in ragione del generale clima vessatorio instaurato dagli operatori).
  38. Cass. pen., sez. V, 20 giugno 2018, n. 50497.
  39. Cfr. Cingari [2009].
  40. Per tutte, Cass. pen., sez. IV, 6 novembre 2003, n. 10430. Sulla causalità omissiva in ambito medico, anche per i necessari riferimenti, si v. Viganò [2009].
  41. Si rinvia ancora a Cingari [2009].
  42. Si v. anche Maspero [2005].
  43. Assolve per imprevedibilità dell’evento Cass. pen., sez. IV, 7 febbraio 2007, n. 42670. Più numerose sono, però, le pronunce che affermano la prevedibilità dell’episodio autolesivo o eterolesivo: Cass. pen., sez. IV, 6 novembre 2003, n. 10430; Cass. pen., sez. IV, 14 novembre 2007, n. 10795; Cass. pen., sez. IV, 27 novembre 2008, n. 48292. Non v’è dubbio che elevato sia, in tale materia, il rischio di incorrere nel c.d. hindsight bias.
  44. Cass. pen., sez. IV, 25 maggio 2022, n. 24138. È evidente che i profili della causalità della condotta e della causalità della colpa tendono in tale materia, spesso, a sovrapporsi.