Ciro Tarantino (a cura di)
Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c14

Christian Loda Il CPT e la questione del collocamento nelle residenze socio-assistenziali
Traduzione dall’inglese a cura di Maria Giulia Bernardini e Paolo Addis

Notizie Autori
Christian Loda funzionario permanente del Consiglio d’Europa, è componente del Segretariato del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT) del Consiglio d’Europa. In questo ruolo partecipa alle delegazioni che visitano i luoghi di detenzione e gli altri luoghi in cui delle persone sono o possono essere private della libertà personale, quali strutture e istituzioni di ricovero a carattere socio-assistenziale e istituti psichiatrici.
Abstract
L’entrata in vigore della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (CEPT), avvenuta il 1° febbraio 1989, ha segnato l’inizio di una nuova fase della lotta contro la tortura. Come osservato in precedenza, durante le sue visite il CPT segue generalmente una metodologia molto standardizzata, che lascia poco spazio all’improvvisazione e alle variazioni. Nel contesto specifico di una struttura socio-sanitaria a carattere residenziale, si dovrebbe innanzitutto valutare se l’istituzione rientra effettivamente nel suo mandato e ospita persone private de jure o de facto della libertà. Il CPT ritiene che il collocamento e il soggiorno involontario dei residenti nelle strutture socioassistenziali a carattere residenziale debbano essere regolati dalla legge e accompagnati da adeguate garanzie giuridiche. Una volta accolti in una struttura socio-sanitaria a carattere residenziale, sia con procedura involontaria che volontaria, i residenti dovrebbero, secondo il Comitato, godere di un’ampia gamma di tutele giuridiche. In particolare, il CPT attribuisce grande importanza alla necessità di garantire che i residenti siano informati dei loro diritti e delle possibilità di presentare reclami formali. Il CPT visita sempre più spesso strutture socio-assistenziali a carattere residenziale e case di riposo. Data la sua attenzione alla qualità dell’assistenza e all’ambiente terapeutico, è naturale che il CPT desideri estenderla anche a contesti non tradizionali in cui il collocamento, il trattamento e il comportamento possono costituire un maltrattamento delle persone vulnerabili che vi risiedono. Anche se il quadro giuridico è orientato verso la de-istituzionalizzazione, la realtà concreta potrebbe essere diversa, in quanto la transizione verso unità di cura di comunità più piccole richiede sforzi coerenti e vigorosi da parte delle autorità nazionali in tutta la gamma del mandato del CPT.

1. Il mandato generale del CPT e le modalità di coinvolgimento del Comitato nel monitoraggio delle strutture socio-assistenziali a carattere residenziale

L’entrata in vigore della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti (CEPT), avvenuta il 1o febbraio 1989, ha segnato l’inizio di una nuova fase della lotta contro la tortura. Questo strumento di diritto internazionale, autenticamente innovativo, si concentra, per la prima volta, sulla prevenzione della tortura e dei maltrattamenti e, anziché creare nuovi obblighi o nuovi standard giuridici, ha istituito un organismo internazionale – il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (d’ora in avanti, il Comitato) – con il compito, sino ad allora inedito per gli organismi internazionali di tutela dei diritti umani, di compiere visite a sorpresa in luoghi di detenzione posti sotto la giurisdizione degli Stati parte.
La natura e il modus operandi del Comitato, davvero innovativi, sono basati sull’assioma secondo cui la prevenzione della tortura e dei maltrattamenti è meglio garantita sottoponendo i luoghi di privazione della libertà allo scrutinio di un insieme di esperti internazionali, dotati di un profilo multidisciplinare (come avvocati, medici, psichiatri, giudici e pubblici ministeri), dotati del potere di visitare qualsiasi luogo di detenzione in qualsiasi momento, di conferire in forma riservata con le persone private della libertà personale e di accedere a qualsiasi informazione essi ritengano necessaria per portare avanti il proprio mandato. Durante i suoi trent’anni di attività, il Comitato si è concentrato sull’esame della situazione presente in luoghi di privazione della libertà quali carceri, posti di polizia, ospedali psichiatrici, centri di detenzione per persone migranti e nelle strutture socio-assistenziali a carattere residenziale sul territorio dei Paesi parte del Consiglio d’Europa.{p. 322}
Così facendo, il Comitato ha sviluppato una serie di standard, riconducibili allo international soft law, basati sulle sue osservazioni empiriche, che formano la base delle raccomandazioni indirizzate ai Paesi membri del Consiglio d’Europa contenute nei suoi rapporti. Questi standard, nel corso degli anni, si sono cristallizzati in un corpus giurisprudenziale che rappresenta un valore aggiunto per l’operare del Comitato, alla luce del suo approccio interdisciplinare e della conoscenza comparata della situazione presente in differenti contesti sociali e giuridici presenti in un’area geografica diversificata [Bicknell et al. 2018].
Sotto la CEPT, il Comitato è chiamato a esaminare il trattamento riservato a tutte le categorie di persone private della libertà personale a opera della pubblica autorità. Questi soggetti possono venire collocati anche nelle strutture socio-assistenziali a carattere residenziale, con una notevole varietà, sul suolo europeo, in termini di status giuridico, proprietà, profili e capacità di queste ultime. Molti di questi istituti sono gestiti a livello centrale o periferico, mentre altri sono di proprietà di organizzazioni religiose o di soggetti privati, dotati di finalità caritatevoli o senza scopo di lucro. Le strutture socio-assistenziali a carattere residenziale possono ospitare persone con disturbi dell’apprendimento e/o persone con problemi cronici di salute mentale (come, ad esempio, le persone con schizofrenia), bambini, adolescenti o persone anziane (e, fra queste ultime, anche persone con demenza). Dal 1990, il Comitato ha visitato più di 120 strutture in vari Paesi membri del Consiglio d’Europa.
Va sottolineato che l’attenzione del Comitato, durante le sue visite alle strutture socio-assistenziali a carattere residenziale, si focalizza in primo luogo sulla prevenzione dei maltrattamenti, e che questi ultimi possono assumere svariate forme, come gli abusi fisici nei confronti delle persone residenti, le scarse condizioni di vita, i trattamenti coatti e la sovra-medicazione, il ricorso eccessivo a misure restrittive e di isolamento, l’inadeguatezza del personale. Il Comitato è un organismo di prevenzione che sviluppa degli standard non vincolanti elaborati sulla base delle sue osservazioni e alla luce delle sue decisioni pregresse. Gli standard riguardanti le visite alle strutture socio-assistenziali a carattere residenziale sono fondati sulle osservazioni del Comitato inerenti alla detenzione psichiatrica e sono stati adattati a un contesto differente [ibidem]. Nel corso del tempo tali standard si sono consolidati, e il Comitato ha pubblicato una checklist e un thematic factsheet evidenziando le sue posizioni e le sue vedute a proposito di tutti gli aspetti del suo mandato, al fine di fornire dei riferimenti, da un lato, ad altri organismi di monitoraggio e, dall’altro, ad altri portatori di interessi.
Per il Comitato, il monitoraggio delle strutture socio-assistenziali a carattere residenziale si è sviluppato con gradualità e in una fase recente {p. 323}della sua attività, alla luce delle criticità riscontrate in particolar modo nei Paesi dell’Europa centrale e in quelli appartenenti a quella che un tempo era l’Unione Sovietica, dove un numero considerevole di persone viene istituzionalizzato all’interno di strutture di grandi dimensioni, spesso situate in zone distanti e isolate. Di certo, l’attenzione del Comitato nel controllare questo tipo di strutture si è concentrata non solo sugli aspetti istituzionalizzanti (come, ad esempio, l’assenza di garanzie relative al collocamento nelle strutture stesse), ma è scaturita innanzitutto dal suo mandato iniziale, ovvero la prevenzione della tortura e dei maltrattamenti. Ad esempio, il Comitato ha sottoposto a un’analisi critica le frequenti accuse relative a maltrattamenti fisici subiti a opera del personale delle residenze, le scarse condizioni di vita (in termini di sovraffollamento, di carenti condizioni igieniche, di scarsa manutenzione e impersonalità delle strutture), lo scarso accesso all’assistenza sanitaria, l’eccessivo ricorso ai farmaci, le insufficienti dotazioni di personale e, ultimo ma non ultimo, l’applicazione di misure restrittive e di isolamento.
Alcune di queste istituzioni potrebbero ben essere descritte, come avrebbe detto il primo presidente del Comitato, Antonio Cassese, come il Leviatano di un particolare Paese. In alcuni Paesi membri, come la Bulgaria, i riscontri relativi alle strutture socio-assistenziali a carattere residenziale sono stati così negativi da obbligare il Comitato a formulare una dichiarazione pubblica ai sensi dell’articolo 10(2) della Convenzione. Tale misura eccezionale, cui il Comitato ha fatto ricorso soltanto sei volte in oltre trent’anni di attività, era collegata, solitamente, a gravi casi di tortura in Turchia e nella Federazione russa negli anni Novanta e, nel 2011, alla questione della detenzione delle persone migranti in Grecia. Ciò testimonia l’importanza e la centralità della questione per il Comitato, ma anche il fatto che le strutture socio-assistenziali a carattere residenziale, quali luoghi di temporalità sospesa, come ha detto Lucy Series, sono aree in cui possono avvenire gravissime violazioni dell’articolo 3 della CEDU [Series 2019].
Il mandato del Comitato è la prevenzione di possibili violazioni dell’articolo 3 della CEDU, come menzionato dall’articolo 1 della Convenzione sulla tortura. In tale contesto, nel visitare istituti come le strutture socio-assistenziali a carattere residenziale, il Comitato prende in considerazione innanzitutto la natura della privazione della libertà personale di chi vi risiede. Il mandato del Comitato copre le strutture pubbliche e non, in cui le persone possono essere private, di fatto o di diritto, della propria libertà. In altre parole, anche se le persone residenti, ai sensi del diritto nazionale, non sono considerate come soggetti privati della libertà personale, il Comitato può visitare una struttura per verificare se le persone che ci vivono siano private della libertà personale de iure o {p. 324}de facto. Il Comitato si preoccupa in maniera particolare della situazione della seconda categoria di soggetti, ovvero della condizione di coloro che sono formalmente considerati come residenti volontari, ma che di fatto non sono liberi di lasciare la struttura. Tali persone sono spesso soggette a trattamenti obbligatori e/o a restrizioni della loro libertà senza essere tutelate dalle garanzie giuridiche applicabili ai residenti ufficialmente involontari.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha concluso, in numerosi casi relativi alla collocazione in un presidio socio-sanitario chiuso di una persona, giuridicamente incapacitata e sottoposta a tutela e la cui condotta abbia rivelato la contrarietà al ricovero, che essa deve essere considerata come una persona privata della libertà personale ai sensi dell’articolo 5, par. 1, della CEDU, anche in presenza del consenso del tutore.
Talvolta, durante visite alle strutture socio-assistenziali a carattere residenziale, le delegazioni del Comitato hanno concluso che i residenti all’interno di una data struttura non erano privati della libertà personale e non ricadevano, quindi, all’interno del perimetro coperto dal mandato del Comitato. Più spesso, comunque, le delegazioni hanno ritenuto che i residenti fossero de facto privati della loro libertà personale (ad esempio, alla luce dell’esistenza di sezioni chiuse e del fatto che i residenti che tentassero di lasciare le strutture fossero generalmente rintracciati e riaccompagnati coattivamente alle strutture, anche se il ricovero iniziale era stato di natura volontaria). Spetta quindi al Comitato determinare, sulla base dell’osservazione diretta di un dato contesto, se una certa struttura ricada o meno all’interno del suo mandato.
Il Comitato ha recentemente sviluppato tanto una checklist per le visite alle strutture socio-assistenziali a carattere residenziale [Pirjola e Raškauskas 2015], quanto un factsheet tematico [CPT 2020b] esponendo in maniera chiara la metodologia adottata, il modus operandi e le aree di particolare interesse in relazione al ricovero di tipo socio-assistenziale. Entrambi i documenti offrono una chiara panoramica del focus del Comitato e le sue principali preoccupazioni nel visitare le strutture socio-assistenziali a carattere residenziale.
Nel corso degli anni, il Comitato ha stabilito un rapporto consolidato e una sinergia con la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (nel pieno rispetto del loro differente mandato giuridico e dei rispettivi ruoli – giudiziale e preventivo, giurisdizionale e anticipatorio) anche nell’ambito delle strutture socio-assistenziali a carattere residenziale. I risultati raccolti dal Comitato durante le sue visite alle strutture socio-assistenziali a carattere residenziale sono stati ampiamente citati dalla Corte di Strasburgo nelle sue decisioni, non solo in relazione alle possibili violazioni dell’articolo 3, ma anche all’articolo 5 della CEDU.{p. 325}
Una decisione importante e storica, a questo riguardo, è la sentenza Stanev c. Bulgaria, in cui la Grande Camera ha dichiarato che il signor Stanev era stato privato della libertà ai sensi dell’articolo 5 della CEDU perché era sotto costante supervisione all’interno dell’istituto e non poteva andarsene senza permesso. La Corte ha riscontrato una violazione dell’articolo 5, par. 1, della CEDU perché la sua detenzione non era fondata sulle sue condizioni di salute mentale e non vi era alcuna necessità di trattenerlo. La Corte ha rilevato anche una violazione dell’articolo 5, par. 4, della CEDU (che stabilisce il diritto di presentare un ricorso a un tribunale in caso di arresto o di detenzione) perché il diritto bulgaro non permetteva al signor Stanev di far riesaminare la legalità della sua detenzione da un organo giudiziario indipendente; in quanto persona privata della capacità giuridica, non era titolare della legittimazione ad agire in giudizio. È importante rilevare, da un punto di vista sistemico, che la Corte ha ritenuto che le condizioni di detenzione fossero «degradanti» in violazione dell’articolo 3 della CEDU. Nella sua sentenza, la Corte EDU si è ampiamente basata sulla relazione del Comitato nel ritenere che le condizioni di vita in cui il signor Stanev è stato costretto a trascorrere circa sette anni costituissero un «trattamento degradante» in violazione dell’articolo 3 della CEDU. Nel contenzioso internazionale, il governo bulgaro ha invocato la mancanza di risorse finanziarie per giustificare la propria inerzia nel chiudere la Pastra Social Care Home, valutando tale argomento come irrilevante ai fini della giustificazione del mantenimento del signor Stanev in tali condizioni. Stanev c. Bulgaria è stato il primo caso in cui la Corte EDU ha riscontrato una violazione dell’articolo 3 della CEDU in un istituto per persone con disabilità [CEDU, Stanev 2012].
Un altro spazio di sinergia fra il Comitato e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è correlato all’articolo 5 CEDU; quest’ultimo fissa il principio guida del Comitato nel determinare se sussista la privazione della libertà delle persone negli istituti visitati e, quindi, il principio che funge da punto di riferimento nella sua valutazione nel visitare le strutture socio-assistenziali a carattere residenziale i cui residenti non sono prima facie soggetti privati della libertà personale o non sono considerati tali dalle autorità. Più recentemente, nell’ambito della sua ultima visita in Italia, il Comitato ha ritenuto che i residenti delle due residenze sanitarie assistenziali oggetto della visita, che ha avuto luogo nel 2022 a Milano, potessero essere considerati di fatto privati della libertà alla luce delle severe restrizioni imposte dalla situazione legata alle restrizioni da COVID-19 e alla mancanza di valide alternative su base comunitaria (ai sensi dell’articolo 19 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità o UNCRPD) [CPT 2023].
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