Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c14
Ad esempio, nel corso delle sue
visite alle strutture socio-assistenziali a carattere residenziale in diversi Paesi,
il Comitato ha riscontrato e descritto nei suoi rapporti numerosi casi in cui il
personale delle strutture utilizzava tecniche per indurre i residenti ad
acconsentire alle cure (come la revoca del permesso di uscire dall’istituto), o il
direttore (o altro personale degli istituti in questione, come infermieri, personale
addetto alle pulizie e persino autisti) agiva come tutore, autorizzando le cure per
i residenti legalmente incapaci nei relativi istituti di assistenza sociale [CPT
2022, paragrafi 154-160]. Inoltre, il CPT si è spesso trovato di fronte a diversi
casi in cui il fatto che i residenti erano stati ospitati in modo coercitivo
¶{p. 331}in una determinata struttura socio-sanitaria a carattere
residenziale finiva per equivalere, in linea di principio, a un’autorizzazione
incondizionata per il loro trattamento forzato (in termini di somministrazione di
sostanze psicotrope, comprese quelle autorizzate in anticipo da uno psichiatra, in
base alle necessità) [CPT 2019].
2.3. Procedure di dimissione
Per il CPT, è anche assiomatico
che il collocamento in un istituto specializzato debba cessare non appena non è più
richiesto dallo stato mentale del residente. Di conseguenza, il CPT raccomanda che
la necessità di continuare il collocamento sia automaticamente rivista a intervalli
regolari. Inoltre, il residente stesso dovrebbe avere la possibilità di richiedere,
a intervalli ragionevoli, che la necessità del collocamento sia esaminata da
un’autorità giudiziaria.
Per quanto riguarda i pazienti
legalmente incapaci, in linea di principio la loro dimissione ha successo solo se
riescono a far rivedere il loro status giuridico a seguito di
un procedimento giudiziario. In alcune delle strutture visitate, il CPT ha
riscontrato che il personale aveva identificato – e stava lavorando intensamente con
– un piccolo numero di residenti che riteneva potessero essere aiutati, attraverso
un procedimento legale, a riacquistare la propria capacità giuridica ed
eventualmente a lasciare la struttura; il Comitato accoglie con favore questi
sforzi. Tuttavia, in altri luoghi, in particolare in alcune residenze sociali
assistenziali visitate dal CPT nella Federazione Russa, sembrava che i residenti
dichiarati privi di capacità giuridica non avessero prospettive realistiche di
dimissione. In linea di principio, il CPT potrebbe ritenersi soddisfatto
dell’esistenza di una procedura chiara ed efficace per la revisione dello stato
giuridico dei residenti, che sia loro comunicata, e alla quale i residenti stessi
possano avere concretamente accesso [CPT 1998].
3. Il Comitato e il cosiddetto cambio di paradigma della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità
L’adozione della Convenzione ONU
sui diritti delle persone con disabilità e la sua ratifica da parte di tutti gli Stati
appartenenti al Consiglio d’Europa ha indubbiamente rappresentato un importante passo in
avanti e un’opportunità di riflessione, per il Comitato, a proposito delle proprie
attività di controllo, in particolare con riferimento alle strutture socio-assistenziali
a carattere residenziale. A tal riguardo, il Comitato è ¶{p. 332}stato
spesso accusato di venir meno nell’applicazione del cambio di paradigma promosso da
alcune delle norme contenute nella Convenzione, e segnatamente dagli articoli 12 e 14, e
di essere critico nei confronti di sistemi che sono ancora fondati su alti livelli di
istituzionalizzazione, così come su meccanismi decisionali sostitutivi e procedure di
tutela invasive [Validity NGO 2020].
Il Comitato, infatti, ha sempre
seguito con grande attenzione e cura gli sviluppi concernenti l’adozione della
Convenzione ONU e il suo possibile impatto sui diritti dei pazienti psichiatrici e dei
residenti all’interno delle strutture socio-assistenziali a carattere residenziale,
oggetto di opinioni che sono state piuttosto polarizzate fin dall’inizio. Infatti,
l’adozione di un’interpretazione autentica da parte del Comitato ONU ha solo
parzialmente chiarito il contesto e la situazione [CRPD Committee 2014a]. In pratica, la
Convenzione ONU, in quanto strumento universale delle Nazioni Unite ratificato da tutti
gli Stati membri del Consiglio d’Europa, è senza dubbio un’importante pietra miliare nel
diritto internazionale e deve essere presa in considerazione da organismi di controllo
come il Comitato [Kanter 2015].
Di fatto, il Comitato è un
organismo esperienziale che basa i suoi standard sulle mere osservazioni sul campo e non
su determinazioni adottate in abstracto. Inoltre, a differenza di
altri organismi internazionali operanti nell’ambito dei diritti umani, il Comitato ha
prevalentemente una vocazione multidisciplinare, ricomprendendo al proprio interno
medici con una lunga esperienza clinica, per i quali alcune delle previsioni contenute
all’interno della Convenzione ONU suonano indubbiamente eccessivamente radicali e
irrealizzabili. Si dovrebbe altresì notare che l’interpretazione della Convenzione
offerta dal Comitato ONU è stata contestata anche da parte di alcuni Stati parte, come
la Germania, che ha precisato che, «pur rappresentando uno spostamento dell’attenzione
dal processo decisionale sostitutivo al processo decisionale supportato, la Convenzione
non avrebbe potuto escludere e, secondo la Germania, non esclude, in alcuni casi, la
possibilità di un processo decisionale sostitutivo» [Freeman et al.
2015].
Inoltre, la Corte EDU, nel caso
Rooman c. Belgio, ha esplicitamente respinto la posizione del
Comitato ONU in merito alla questione principale, relativa al fatto che le persone con
problemi di salute mentale possano essere private della loro libertà in determinate
circostanze (art. 5 CEDU) [CEDU, Rooman 2017].
Inoltre, un recente studio [Gurbai
e Martin 2018] ha rilevato anche che il sistema delle Nazioni Unite è attualmente diviso
quando si tratta di formulare opinioni e prendere posizione sul collocamento e sul
trattamento di persone con disabilità psicosociali (problemi di salute mentale). Le due
posizioni principali sono quelle sviluppate rispettivamente dal Comitato
¶{p. 333}per i diritti umani delle Nazioni Unite (CCPR) e dal Comitato
ONU. Queste due posizioni sono incoerenti, in particolare su questioni come quelle
relative alle circostanze che consentano, o addirittura richiedano, il collocamento
involontario «necessario e proporzionato» e il trattamento non consensuale delle persone
con disabilità come misura di ultima istanza, mentre altri ne invocano l’assoluta
proibizione. Alcune posizioni sono formulate in un linguaggio che evita di prendere
posizione sull’interrogativo relativo alla giustificabilità del collocamento e del
trattamento involontario delle persone con disabilità, mentre altri tentano di risolvere
il conflitto sviluppando uno schema di politiche
disability-neutral, che consentano il
collocamento involontario e il trattamento [Gurbai e Martin 2018].
Tuttavia, il Comitato ha
indubbiamente accolto il cosiddetto cambio di paradigma, indipendentemente dall’adozione
della CRPD, e ha messo in pratica, attraverso le sue osservazioni, le sue
raccomandazioni e, altresì, le sue richieste di informazioni, la promozione di programmi
di deistituzionalizzazione ogni volta che si è trovato dinanzi a evidenti e gravi
criticità riscontrate nelle strutture socio-assistenziali a carattere residenziale che
ha visitato. Naturalmente, il linguaggio usato dal Comitato nelle sue raccomandazioni è
sempre piuttosto cauto, in quanto esso non può, di per sé, essere visto come promotore
di azioni che non siano in linea con il suo mandato. Tuttavia, il Comitato si è espresso
in modo chiaro e inequivocabile sul fatto che le unità abitative di minori dimensioni
non eliminano di per sé il rischio di ghettizzazione, soprattutto quando le persone
vengono dimesse e rimangono in aree remote all’interno del Paese (come in Bulgaria,
Ungheria e Serbia) [CPT 2022].
In aggiunta, come abbiamo visto
sopra, il Comitato ha incoraggiato anche importanti riforme dei meccanismi di tutela e,
possibilmente, il passaggio a processi decisionali supportati. Ad esempio, il Comitato
ha criticato, e continua a criticare, il fatto che i tutori delle persone residenti
nelle strutture di cura siano nominati tra i ranghi del personale di assistenza sociale,
o che il procedimento in questione non sia circondato da tutele adeguate. Ad esempio, in
molti dei casi osservati dal Comitato, i tutori dei residenti nelle strutture
socio-assistenziali a carattere residenziale sono ancora membri del personale delle
istituzioni interessate o dell’ufficio previdenziale competente. Ciò chiaramente crea un
conflitto di interessi che il Comitato ha chiesto di risolvere [CPT 2019].
Avendo riguardo alle varie misure a
carattere coercitivo utilizzate nelle strutture in questione (così come nelle
istituzioni psichiatriche), il Comitato ha dedicato un’intensa riflessione ai suoi
standard relativi ai trattamenti obbligatori. Sino a tempi recenti, lo standard del
Comitato a tal riguardo prevedeva che ogni paziente capace avrebbe dovuto godere del
diritto di rifiutare un particolare trattamento. Ciò, da molti attori, è stato visto
¶{p. 334}come un’indicazione a proposito del fatto che, per il Comitato,
non è necessaria una valutazione della capacità mentale del paziente prima della
prestazione e dell’ottenimento del consenso. Di conseguenza, nel corso di alcune delle
sue recenti visite, il Comitato ha spiegato e chiarito meglio la sua posizione con
l’adozione di un nuovo standard rivisto.
Nella prospettiva del Comitato, il
consenso al ricovero e il consenso al trattamento sono due questioni distinte, e ai
pazienti si dovrebbe chiedere di esprimere in forma separata la propria posizione su
entrambe le questioni. In linea di principio, tutte le categorie di pazienti
psichiatrici, volontari o involontari, civili o forensi, dotati di capacità giuridica o
giuridicamente incapacitati, dovrebbero essere messi nella condizione di prestare il
proprio consenso libero e informato al trattamento. È assiomatico che il consenso al
trattamento può essere qualificato come libero e informato solo se basato su
informazioni complete, accurate e comprensibili a proposito della condizione del
paziente, del trattamento che gli viene proposto e dei suoi possibili effetti
collaterali, nonché a proposito della possibilità di revocare il consenso, e se il
paziente interessato ha la capacità di prestare un consenso valido nel momento in cui
viene richiesto. Inoltre, è essenziale che tutti i pazienti che hanno prestato il
proprio consenso al trattamento siano costantemente informati sulla loro condizione e
sul trattamento loro applicato e che siano messi in condizione di revocare il proprio
consenso in qualsiasi momento. Inoltre, ogni paziente capace di discernimento dovrebbe
avere il diritto di rifiutare un particolare trattamento o qualsiasi altro intervento
medico. Qualsiasi deroga a questo principio fondamentale dovrebbe essere basata sulla
legge e riferirsi solo a circostanze eccezionali chiaramente e rigorosamente definite e
dovrebbe essere accompagnata da adeguate garanzie. La legislazione pertinente dovrebbe
prevedere che sia richiesto un secondo parere psichiatrico (vale a dire, formulato da
uno psichiatra non coinvolto nel trattamento del paziente interessato) in ogni caso in
cui un paziente non sia d’accordo con il trattamento proposto dal personale medico della
struttura in cui risiede (anche se il suo tutore acconsente al trattamento); inoltre, i
pazienti dovrebbero poter contestare una decisione terapeutica obbligatoria dinanzi a
un’autorità esterna indipendente e dovrebbero essere informati per iscritto di tale
diritto.
È importante porre in risalto che
il Comitato, negli ultimi anni, ha portato avanti una seria riflessione sulla necessità
di aggiornare i propri standard nel campo del trattamento coercitivo dei pazienti
(compresi i residenti delle strutture socio-assistenziali). Tale riflessione è scaturita
dalla necessità di chiarire meglio la valutazione della capacità di consenso della
persona residente in una struttura socio-sanitaria a carattere residenziale durante la
visita, alla luce, inter alia, dei più recenti sviluppi della
giurisprudenza della Corte EDU. Secondo il Comitato, il nuovo standard
¶{p. 335}riflette meglio tali sviluppi in quanto impone l’obbligo di
verificare che la persona residente in una struttura socio-sanitaria a carattere
residenziale abbia la capacità di prestare il proprio consenso nel momento in cui questo
viene richiesto.
4. Sfide attuali e prospettive future nel monitoraggio delle residenze socio-assistenziali
Il CPT visita sempre più spesso
strutture socio-assistenziali a carattere residenziale e case di riposo. Data la sua
attenzione alla qualità dell’assistenza e all’ambiente terapeutico, è naturale che il
CPT desideri estenderla anche a contesti non tradizionali in cui il collocamento, il
trattamento e il comportamento possono costituire un maltrattamento delle persone
vulnerabili che vi risiedono. Come osservato in precedenza, il CPT non ha ancora
sviluppato un corpus di standard per le strutture
socio-assistenziali a carattere residenziale, ma la sua checklist
fornisce un’utile guida e ulteriori indicazioni possono essere ricavate da varie
risultanze e dalle raccomandazioni formulate dal CPT nei rapporti di ispezione.
Osservato questo, le attività di monitoraggio del CPT negli ultimi anni hanno
evidenziato le seguenti sfide in termini di strutture socio-assistenziali a carattere
residenziale.
Il mandato del CPT è stato spesso
contestato dalle autorità nazionali degli Stati in cui ha condotto le visite, in quanto
ritenevano che i residenti di diverse strutture socio-assistenziali a carattere
residenziale non fossero privati della libertà secondo i princìpi dell’articolo 5 della
CEDU. Inoltre, data la loro natura eterogenea, il quadro giuridico poco chiaro che
regola la privazione della libertà, la loro lontananza e la lunga durata della
detenzione, le strutture socio-assistenziali a carattere residenziale restano una sorta
di terra incognita per gli organismi di controllo nazionali e internazionali, e un corpo
di standard per il loro monitoraggio deve ancora emergere.
Come il CPT ha sottolineato
all’inizio della pandemia COVID-19, le nuove circostanze avrebbero giustificato una
profonda riflessione sulla possibilità che le strutture socio-assistenziali a carattere
residenziale diventassero luoghi di grave segregazione con poca o nessuna supervisione
da parte di organismi di controllo esterni [CPT 2020c]. Tali circostanze sono state
affrontate in modo esaustivo dal CPT durante la sua recente visita periodica in Italia
nel corso del 2022, dove il grave grado di segregazione ha trasformato le RSA in luoghi
di privazione di fatto della libertà, e l’impoverimento del regime, l’assenza di diritti
connessi alla fruizione dello spazio esterno, il rigido regime di visite e
l’impoverimento delle
¶{p. 336}attività riabilitative e ricreative hanno
avuto un profondo effetto sullo stato somatico e psicologico dei residenti [CPT 2023].