Ciro Tarantino (a cura di)
Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c14
Un altro spazio di sinergia fra il Comitato e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è correlato all’articolo 5 CEDU; quest’ultimo fissa il principio guida del Comitato nel determinare se sussista la privazione della libertà delle persone negli istituti visitati e, quindi, il principio che funge da punto di riferimento nella sua valutazione nel visitare le strutture socio-assistenziali a carattere residenziale i cui residenti non sono prima facie soggetti privati della libertà personale o non sono considerati tali dalle autorità. Più recentemente, nell’ambito della sua ultima visita in Italia, il Comitato ha ritenuto che i residenti delle due residenze sanitarie assistenziali oggetto della visita, che ha avuto luogo nel 2022 a Milano, potessero essere considerati di fatto privati della libertà alla luce delle severe restrizioni imposte dalla situazione legata alle restrizioni da COVID-19 e alla mancanza di valide alternative su base comunitaria (ai sensi dell’articolo 19 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità o UNCRPD) [CPT 2023].
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La gamma delle strutture socio-assistenziali a carattere residenziale sinora visitate dal Comitato è certamente più ristretta, numericamente, rispetto ad altri tipi di istituzioni (il Comitato, durante il suo operare, ha visitato circa 120 istituzioni, in Paesi che vanno dalla Federazione Russa all’Irlanda, occupandosi di diversi modelli giuridici e tipi di strutture). È indubbiamente l’organismo di monitoraggio con la più ampia esperienza nel controllo di questo tipo di istituzioni, e oltretutto è incoraggiato dal fatto che anche i meccanismi nazionali di prevenzione (MNP) hanno iniziato a monitorare questo tipo di istituzioni in molti Paesi diversi, sviluppando una gamma abbastanza ampia di standard al riguardo. Anche i modelli di collocamento esaminati dal Comitato durante le sue visite sono stati svariati, spaziando dalla pura istituzionalizzazione (come i cosiddetti «Internats» presenti nella Federazione Russa e in Ucraina), al collocamento forzato attraverso i servizi di assistenza sociale, al processo decisionale sostitutivo e, talvolta, al processo decisionale assistito.
Ciò ha consentito al Comitato di esaminare il funzionamento e l’operatività delle tutele fondamentali riconosciute ai residenti delle strutture in contesti diversi e variegati e di «testare» i propri standard in relazione alle stesse.

2. Gli standard del CPT in relazione al collocamento nelle residenze socio-assistenziali

Come osservato in precedenza, durante le sue visite il CPT segue generalmente una metodologia molto standardizzata, che lascia poco spazio all’improvvisazione e alle variazioni. Nel contesto specifico di una struttura socio-sanitaria a carattere residenziale, si dovrebbe innanzitutto valutare se l’istituzione rientra effettivamente nel suo mandato e ospita persone private de jure o de facto della libertà. Una volta effettuato tale accertamento, il CPT si concentrerebbe su quello che considera il nucleo del suo mandato (ossia la prevenzione dei maltrattamenti).
Quando si tratta di detenzione socio-assistenziale, Lucy Series effettua una distinzione tra macro e micro-questioni [Series 2019], in quanto ritiene che la questione del collocamento involontario all’interno di una struttura socio-sanitaria a carattere residenziale sia in realtà da considerare come «la madre di tutte le questioni», essendo alla base del processo di istituzionalizzazione. Sebbene il CPT sia stato accusato di essere insensibile alle cosiddette macro-questioni e di essere acritico, o anche solo di accettare passivamente l’istituzionalizzazione su larga scala, ha in realtà sviluppato una serie dettagliata di standard relativi alle procedure di collocamento involontario, che si sono sviluppati nel corso degli anni e costituiscono uno dei suoi principali strumenti operativi.{p. 327}
Come vedremo, il CPT è stato molto attivo anche nell’incoraggiare gli Stati membri a intraprendere processi di de-istituzionalizzazione, richiedendo loro informazioni relative agli specifici progetti diretti al trasferimento dei residenti delle strutture residenziali assistenziali, o perfino criticando alcune di queste modalità.
Di norma, questo avviene per incoraggiare la chiusura delle strutture che sono state oggetto di serie critiche da parte del CPT, alla luce di talune circostanze – quali le pessime condizioni di vita dei residenti, la perpetrazione di trattamenti coattivi o l’istituzionalizzazione profonda – riscontrate in alcune residenze durante la sua visita, così come al fine di promuovere il trasferimento dei residenti ivi ospitati verso luoghi ove siano garantite condizioni di vita più umane [CPT 2022, paragrafo 141].
Il CPT ha ritenuto che la sua valutazione degli aspetti procedurali del collocamento delle persone nelle residenze sanitarie assistenziali debba riguardare tre fasi procedurali della loro istituzionalizzazione (ossia la decisione iniziale di collocamento, le garanzie giuridiche durante la degenza e le procedure di dimissione).

2.1. Decisione iniziale relativa alla permanenza

Il CPT ritiene che il collocamento e il soggiorno involontario dei residenti (comprese le situazioni in cui le restrizioni imposte ai residenti equivalgono a una privazione di fatto della libertà) nelle strutture socio-assistenziali a carattere residenziale debbano essere regolati dalla legge e accompagnati da adeguate garanzie giuridiche. In particolare, la collocazione dei residenti deve avvenire alla luce di una valutazione medica oggettiva, anche di natura psichiatrica.
Inoltre, tutti i residenti che sono collocati involontariamente in questo tipo di strutture (comprese le situazioni in cui le restrizioni imposte equivalgono a una privazione di fatto della libertà), indipendentemente dal fatto che abbiano o meno un tutore legale, devono godere del diritto effettivo di intentare un’azione legale, per far sì che la legittimità del loro collocamento sia decisa rapidamente e riesaminata regolarmente da un tribunale e, in questo contesto, devono avere la possibilità di essere ascoltati personalmente dal giudice e di essere rappresentati da un avvocato. Inoltre, secondo il CPT, collocare le persone dichiarate incapaci in una struttura socio-sanitaria a carattere residenziale da cui non possono uscire a piacimento, basandosi solo sul consenso del tutore, comporta il rischio che tali persone siano private di garanzie essenziali.
Ad esempio, nel contesto di una visita a diverse residenze sanitarie assistenziali condotta dal CPT in Ungheria nel corso del 2018, il CPT ha {p. 328}riscontrato che i residenti erano di fatto privati della libertà senza beneficiare di alcuna garanzia adeguata [CPT 2020a]. La maggior parte dei residenti incontrati dal CPT era stata privata totalmente o parzialmente della capacità legale da un tribunale e nei suoi confronti era stato nominato un tutore. In questi casi, il contratto era firmato e poteva essere risolto dal tutore (nel caso di persone totalmente incapaci) o dal residente stesso insieme al tutore (per quanto riguarda le persone parzialmente incapaci). Con l’eccezione di un controllo giudiziale della tutela che si svolgeva in un periodo compreso tra due e dieci anni a seconda della situazione individuale del residente interessato, ma che non riguardava il collocamento nella struttura, non esisteva una procedura che consentisse di rivedere la necessità di continuare a collocare i residenti all’interno delle strutture, né una procedura che permettesse ai residenti totalmente o parzialmente incapaci di richiedere la dimissione dalla struttura senza il consenso del tutore.
Alcuni residenti erano stati collocati nelle strutture sulla base di una decisione giudiziaria/amministrativa che richiedeva un trattamento obbligatorio. Secondo i loro fascicoli, di norma questi residenti sono stati collocati nelle strutture negli anni Settanta o Ottanta per decisione di un tribunale, sulla base di un regolamento emanato dal Ministero della sanità ungherese nel 1955. L’unica revisione del loro collocamento è avvenuta decenni dopo, quando una commissione regionale di esperti ha emesso una decisione senza data (intitolata «verbale d’esame») secondo la quale era necessario continuare a mantenere il residente nella struttura per un periodo di tempo indefinito. La decisione affermava inoltre esplicitamente che non era necessaria una revisione del collocamento e non conteneva alcuna informazione sulla sua notifica al residente interessato e sulla possibilità di un ricorso legale. Non sono mai state effettuate altre revisioni (ad eccezione di quella relativa alla capacità giuridica dei residenti, come descritto sopra) e apparentemente non c’è stata alcuna possibilità per i residenti di richiedere la dimissione.
Non è raro che il CPT incontri durante le sue visite un numero consistente di residenti che hanno lo status di «volontari» ma che in realtà non sono o non sono più in grado di prestare un consenso valido alla loro permanenza nella residenza assistenziale e non hanno nemmeno un tutore nominato dal tribunale. Tali risultanze sono generalmente ottenute nel corso di colloqui con i residenti, la direzione o il personale della struttura. Di conseguenza, le persone sono di fatto private della libertà senza beneficiare delle tutele previste dalla legge. In questi casi, come ad esempio nel contesto delle visite in Paesi come Polonia, Lettonia e Romania, il CPT ha raccomandato che i passi da effettuare per garantire che tutti i residenti che non sono o non sono più in grado di dare un consenso valido al loro {p. 329}collocamento, non hanno un tutore e non possono lasciare la struttura, siano notificati al tribunale competente [CPT 2011, paragrafo 160].

2.2. Garanzie durante la permanenza

Una volta accolti in una struttura socio-sanitaria a carattere residenziale, sia con procedura involontaria che volontaria, i residenti dovrebbero, secondo il Comitato, godere di un’ampia gamma di tutele giuridiche. In particolare, il CPT attribuisce grande importanza alla necessità di garantire che i residenti siano informati dei loro diritti e delle possibilità di presentare reclami formali, in via riservata, a organismi esterni e indipendenti chiaramente designati. Queste informazioni dovrebbero far parte dei contratti firmati dai residenti o dai loro tutori legali. I residenti che non sono in grado di comprendere i contratti devono ricevere un’assistenza adeguata. L’esistenza e il funzionamento di un meccanismo di reclamo efficace è un aspetto che è sistematicamente oggetto di valutazione da parte del CPT in termini di esistenza di cassette per i reclami, un sistema di feedback e di elaborazione degli stessi, nonché dell’efficacia del loro trattamento [CPT 2018, 4a parte].
Per le stesse ragioni, il CPT ritiene che un opuscolo informativo che illustri la routine della struttura, le regole per l’ammissione e la dimissione, i diritti dei residenti e la possibilità di presentare reclami formali, in via riservata, a organismi esterni chiaramente designati, dovrebbe essere distribuito alle famiglie e ai tutori di ciascun residente [CPT 1998].
Un altro aspetto che è sistematicamente oggetto di valutazione da parte del CPT è il fatto che le strutture socio-assistenziali a carattere residenziale siano oggetto di frequenti ispezioni da parte di un organismo esterno indipendente che abbia il potere di formulare raccomandazioni alle autorità su come migliorare l’assistenza e le condizioni offerte ai residenti. Le visite di un tale organismo – che potrebbe anche essere competente a ricevere i reclami dei residenti, delle loro famiglie o dei loro tutori – costituirebbero, secondo il Comitato, un’importante salvaguardia non solo contro i maltrattamenti, ma anche un significativo fattore di miglioramento delle condizioni materiali. Questo organismo dovrebbe essere autorizzato, in particolare, a parlare privatamente con i pazienti/residenti, a ricevere direttamente le loro eventuali lamentele e a formulare le raccomandazioni necessarie.
Ad esempio, la pubblicazione nel marzo 2010 di un rapporto sulla visita del 2008 in Montenegro, con gravi criticità riscontrate in una struttura socio-sanitaria a carattere residenziale per residenti con difficoltà di apprendimento (Komanski Most Institution for People with Special {p. 330}Needs), aveva provocato una reazione emotiva nell’opinione pubblica, dato che l’istituto non era mai stato visitato da alcun organo di controllo che avrebbe potuto impedire il perpetuarsi delle pratiche scorrette descritte dal CPT. Gli accertamenti del CPT presso la Komanski Most Institution for People with Special Needs hanno dimostrato che, a causa del personale estremamente ridotto e dell’incuria, l’istituto non era in grado di fornire protezione, assistenza, igiene e tutela adeguate ai residenti. Le condizioni materiali erano terrificanti e la delegazione del CPT ha trovato i residenti legati ai letti o ad altri mobili, per lo più con strisce di tessuto strappate, ma anche con catene e lucchetti. Il Comitato ha invitato le autorità montenegrine a effettuare un riesame completo della situazione e a redigere un piano d’azione dettagliato per la riforma di Komanski Most [CPT 2010].
Inoltre, è al centro del suo interesse la questione del trattamento e delle decisioni sanitarie degli ospiti delle strutture socio-assistenziali a carattere residenziale durante il loro collocamento, in quanto non solo influisce su aspetti importanti del trattamento dei residenti, ma potrebbe anche essere all’origine di importanti violazioni dei diritti, talvolta al limite della violazione dell’articolo 3 della CEDU. In questo contesto, il Comitato raccomanda che a tutti i residenti (e, se giuridicamente incompetenti, ai loro rappresentanti legali) siano fornite in modo sistematico informazioni sulle loro condizioni e sulle terapie loro prescritte, e che i medici siano istruiti affinché chiedano sempre il consenso del paziente al trattamento prima del suo inizio. Il Comitato raccomanda che le autorità nazionali competenti prendano provvedimenti per garantire che la decisione sulla privazione della capacità giuridica non porti automaticamente a ritenere che la persona interessata non debba e non possa dare un consenso informato alle cure; la capacità di prestare un consenso informato dovrebbe quindi essere valutata su base individuale e, anche nel caso di persone alle quali non è possibile garantire un consenso pienamente informato, si dovrebbe cercare di fornire una certa comprensione del trattamento che stanno ricevendo, compreso il nome del farmaco, il suo scopo e i possibili effetti collaterali.
Ad esempio, nel corso delle sue visite alle strutture socio-assistenziali a carattere residenziale in diversi Paesi, il Comitato ha riscontrato e descritto nei suoi rapporti numerosi casi in cui il personale delle strutture utilizzava tecniche per indurre i residenti ad acconsentire alle cure (come la revoca del permesso di uscire dall’istituto), o il direttore (o altro personale degli istituti in questione, come infermieri, personale addetto alle pulizie e persino autisti) agiva come tutore, autorizzando le cure per i residenti legalmente incapaci nei relativi istituti di assistenza sociale [CPT 2022, paragrafi 154-160]. Inoltre, il CPT si è spesso trovato di fronte a diversi casi in cui il fatto che i residenti erano stati ospitati in modo coercitivo
{p. 331}in una determinata struttura socio-sanitaria a carattere residenziale finiva per equivalere, in linea di principio, a un’autorizzazione incondizionata per il loro trattamento forzato (in termini di somministrazione di sostanze psicotrope, comprese quelle autorizzate in anticipo da uno psichiatra, in base alle necessità) [CPT 2019].