Massimo Roccella
I salari
DOI: 10.1401/9788815411143/c2
La tesi della Cassazione, pur raffinata e meritevole di attenta considerazione, sembra, peraltro, fornire un criterio distintivo non facilmente maneggiabile nei casi concreti. Giustamente si è avanzato il rilievo ch’essa finisca «per rimettere alla magistratura un compito estremamente arduo, che non è difficile possa sortire effetti arbitrari» [302]
. Richiamandosi all’interpretazione dell’art. 13 delineata dalla Suprema Corte è stato ritenuto, ad esempio,
{p. 192}parte della retribuzione irriducibile il trattamento corrisposto al lavoratore inviato in missione all’estero [303]
, che è dubbio possa rientrare nel novero dei compensi intrinsecamente inerenti al profilo qualitativo delle mansioni. Viceversa l’indennità maneggio denaro, che sembra, anche dalla contrattazione collettiva, valutata come inseparabile dalla «specifica qualità delle mansioni» (di cassiere), viene di solito ricompresa nell’ambito dei compensi estrinseci [304]
.
L’incertezza della linea interpretativa tracciata dalla Cassazione trova conferma nella circostanza che gli sviluppi offertine dalla dottrina che l’ha fatta propria sono stati tali da svuotarla di ogni significativo elemento di differenziazione rispetto alla tesi che interpreta la nozione di retribuzione irriducibile alla stregua del principio di proporzionalità. Quando si afferma, infatti, che «la stabilità o la precarietà del presupposto di erogazione e del relativo compenso meritano di essere accertate anche in relazione alle nuove mansioni, o meglio a tutte le mansioni di volta in volta legittimamente esigibili dal lavoratore nel corso del rapporto», o, ancora, quando si identifica la ragione della conservazione dei compensi cosiddetti intrinseci nella «permanenza della causa (id est: professionalità soggettiva) che a suo tempo ha dato luogo al riconoscimento» degli stessi [305]
, si finisce, a ben vedere, col circoscrivere l’area della garanzia retributiva alla paga base integrata dai soli superminimi legati a particolari attitudini del lavoratore (non strettamente inerenti alle mansioni di provenienza) [306]
.{p. 193}
Tenuto conto dell’opinabilità o, comunque, dell’estrema difficoltà applicativa delle diverse soluzioni prospettate, la lettura più persuasiva della norma statutaria sembra essere quella che differenzia l’ampiezza della garanzia retributiva a seconda della natura del mutamento di mansioni ad essa collegato [307]
. A fronte di mutamenti decisi unilateralmente dal datore di lavoro, tale garanzia sarebbe destinata ad operare in senso «forte», senza possibilità di distinguere, all’interno del complessivo trattamento retributivo delle mansioni di provenienza, fra compensi «intrinseci» e compensi «estrinseci». Diversamente è da dirsi nel caso di mutamenti consensuali. In queste ipotesi non vi sarebbe ragione di proteggere in maniera particolare le aspettative di costanza del reddito nutrite dal lavoratore. Tornerebbe, piuttosto, in rilievo l’esigenza di tutela della professionalità, cruciale nel contesto della norma e destinata ad essere soddisfatta attraverso lo spostamento a mansioni equivalenti, accompagnato da un trattamento economico corrispondente alla sola retribuzione collegata all’inquadramento posseduto dal lavoratore.
Questo tentativo interpretativo appare il più convincente fra tutti gli sforzi di intendere il senso della garanzia di irriducibilità della retribuzione prevista dallo Statuto dei lavoratori, purché lo si accetti per quel che dice, evitando di forzarne in maniera deformante Viter argomentativo. In particolare va sottolineato ch’esso non implica affatto l’affermazione di un principio di immodificabilità assoluta in peius della retribuzione e che rimane circoscritto all’ipotesi di esercizio dello ius variandi in senso stretto, di spostamento cioè del lavoratore dalle mansioni alle quali è adibito ad altre equivalenti. Resta ferma, quindi, la legittimità di una riduzione del trattamento retributivo globale qualora il mutamento di mansioni sia accompagnato da una contestuale riduzione dell’ora{p. 194}rio di lavoro [308]
; come pure della soppressione di determinate indennità accessorie, qualora i fattori che costituivano la ragione dell’erogazione vengano, a mansioni immutate, eliminati [309]
.
Fatte queste precisazioni, e pur non trascurandosi i dubbi che, nelle fattispecie concrete, possono derivare dalla necessità di fare affidamento su «un criterio, quello della consensualità, che non è sempre agevolmente maneggiabile e che induce legittima diffidenza» [310]
, la soluzione da ultima descritta merita apprezzamento perché, comunque, di più sicura applicabilità rispetto a quella patrocinata dalla Cassazione e tale da evitare, opportunamente, di interpretare la norma statutaria attraverso il ricorso a un principio (di corrispettività) esterno ad essa [311]
.
Modulando la portata della garanzia retributiva in connessione con la diversa qualità (unilaterale o consensuale) del fenomeno (mutamento di mansioni) oggetto primario di disciplina della norma, essa, in altre parole, mostra di muoversi per linee interne alla ratio legis, nel contesto della quale appare verosimile che si sia voluto realizzare un bilanciamento fra l’interesse del datore di lavoro ad una relativa flessibilità nell’uso della forza lavoro e l’interesse del lavoratore alla stabilità del reddito normalmente percepito.
Significativamente, del resto, la stessa soluzione risulta condivisa dalla dottrina straniera che si è trovata ad occuparsi di problematiche affini, sulla base dell’assunto che, nel caso di spostamenti {p. 195}unilaterali, «con il riconoscimento del diritto al mantenimento della retribuzione, si pretende di imporre un onere sull’imprenditore per rendergli particolarmente gravoso l’esercizio dello ius variandi», giacché «non si può dimenticare che con lo ius variandi si regola un istituto che mira fondamentalmente a soddisfare necessità organizzative del datore di lavoro» [312]
.
Per concludere sul punto va detto che, quand’anche si volesse continuare a ritenere più pertinente alla ratio dell’art. 13 l’opzione interpretativa della Cassazione, questa non sarebbe comunque estensibile al di là della specifica fattispecie normativa. Sul piano teorico, e scontate le difficoltà applicative di cui si è detto, la soluzione della Suprema Corte costituisce un tentativo di «saldare il profilo della garanzia retributiva con quello della tutela della professionalità» [313]
: tentativo che trova una sua ragion d’essere a fronte d’una norma «la quale ha ad oggetto la modifica delle mansioni del lavoratore e riguarda i trattamenti corrispettivi solo nella misura in cui essi possano risultare coinvolti in quella modifica» [314]
. Per questi stessi motivi sarebbe una forzatura applicare i medesimi canoni ermeneutici, e segnatamente il criterio desunto dalla distinzione fra indennità intrinseche ed estrinseche, per intendere il significato della nozione di retribuzione contenuta in diverse fattispecie legali o contrattuali. Quando si tratti, infatti, di apprezzare non il livello retributivo collegato ad una specifica professionalità, ma il reddito globale del lavoratore (retribuzione feriale) o l’importo da versargli a titolo di mensilità aggiuntiva ragguagliato dalla disciplina contrattuale, senza ulteriori specificazioni, alla retribuzione, il carattere cosiddetto estrinseco di un determinato emolumento perde ogni rilievo, riemergendo, per converso, l’imprescindibilità da criteri interpretativi strettamente interni alla ratio dei singoli istituti.{p. 196}

10. Valutazioni conclusive

Le questioni specifiche trattate nei paragrafi precedenti costituiscono soltanto una piccola porzione della sterminata casistica rintracciabile nei repertori in ordine al computo delle competenze indirette. L’obbiettivo dell’indagine, d’altro canto, non consisteva nell’offrire un panorama esaustivo della stessa, quanto nell’individuare, anche attraverso l’analisi di singoli problemi, criteri generali di determinazione della base di calcolo di ciascun istituto preso in considerazione.
Le opzioni interpretative di fondo dovrebbero essere emerse con sufficiente chiarezza nel corso della trattazione. Alcuni rilievi, parte riassuntivi, parte ulteriormente esplicativi, sembra necessario aggiungere in sede di conclusioni.
«Ove si prescinda dalle improprie formulazioni di principio di qualche sentenza, e si badi, piuttosto, ai casi concreti in cui è stato accolto un concetto di retribuzione conglobante ogni somma pagata dal datore di lavoro al lavoratore, si constaterà che non tanto si è inteso quel concetto come l’unico desumibile dalla vigente legislazione, quanto, più semplicemente, constatarne l’avvenuta ricezione in alcune specifiche discipline, oppure utilizzarlo come criterio interpretativo là dove la volontà delle parti non appariva orientata né verso l’esclusione, né verso l’inclusione degli emolumenti aggiunti alla paga base». Questa valutazione delle Sezioni Unite della Cassazione [315]
, per quanto forse eccessivamente minimizzante l’ampiezza dell’orientamento riscontrabile nella precedente giurisprudenza, racchiudeva, comunque, in sé spunti che, adeguatamente sviluppati, avrebbero potuto conferire alla complessa problematica un grado di assestamento più soddisfacente.
Dalle parole della Corte sembrano desumibili i seguenti corollari:
a) non esiste un principio legale di onnicomprensività retributiva di generale applicabilità, né è possibile estendere in via analogica, come tale, la modalità di calcolo prevista dall’art. 2121 cod. civ. (vecchio testo) a fattispecie diverse;
b) esistono invece vincoli per l’autonomia privata (collettiva e
{p. 197}individuale) posti da specifiche discipline legislative che regolano il trattamento economico di determinati istituti;
Note
[302] Liso, op. cit., p. 235, il quale giustamente sottolinea come il criterio indicato dalla Cassazione imponga al giudice di valutare «al di là della generica funzione determinativa del valore corrispettivo, la specifica funzione svolta dalla voce retributiva (se cioè essa sia stata istituita per retribuire un elemento oggettivo o soggettivo) e quindi di ricostruire una improbabile comune intenzione delle parti collettive su un punto che — data la complessa natura della contrattazione collettiva — sarebbe spesso più prudente ritenere rimasto nella sfera dei motivi».
[303] Pret. Torino, cit. in nota 293. Che l’orientamento della Cassazione sia stato travisato dal giudice torinese risulta confermato dalla successiva sentenza della Suprema Corte n. 3926/1983, citata in nota 129, che appunto esclude l’indennità di servizio all’estero dal concetto di retribuzione irriducibile ex art. 13 dello Statuto dei lavoratori.
[304] Per la verità soprattutto dalla dottrina: cfr. Di Ruocco, op. cit., p. 64; Nicolini, Mutamento di mansioni e irriducibilità della retribuzione: l’indennità di rischio, in «Riv. it. dir. lav.», 1984, II, p. 418. In senso contrario si v. in giurisprudenza Pret. Ferrara, ivi, 1984, II, p. 418.
[305] Citazioni da Bianchi D’Urso, op. ult. cit., rispettivamente pp. 263, 272.
[306] Alla stregua dell’opinione riferita, ad esempio, l’indennità per addetti a macchine contabili National, attribuita dalla contrattazione collettiva in stretto collegamento con l’espletamento di una data mansione, senza esplicitare se con essa si sia voluto o meno compensare anche uno specifico contenuto di professionalità, dovrebbe andare perduta nello spostamento a mansioni equivalenti. Con dubbia coerenza, pertanto, Bianchi D’Urso, op. loc. ult. cit., la ritiene parte della retribuzione irriducibile. A svolgere compiutamente le implicazioni della tesi di questo autore, anzi, neanche tutti gli aumenti di merito andrebbero conservati nel mutamento di mansioni: dalla retribuzione irriducibile dovrebbero infatti escludersi i superminimi c.d. generici e quelli concordati in considerazione di particolari qualità del lavoratore strettamente inerenti alle mansioni di provenienza: in argomento, anche con riferimento alla complessa problematica relativa alla sorte dei superminimi nel caso di adibizione del lavoratore a mansioni superiori, si v. Liso, op. cit., p. 247 ss.
[307] Tale ipotesi ricostruttiva, com’è noto, è dovuta a Liso, op. cit., p. 238 ss.
[308] Va condiviso quindi l’orientamento, più volte espresso dalla Cassazione, secondo il quale, nel caso di modifica delle mansioni da discontinue a continue, è da ritenere legittima la riduzione della retribuzione complessiva per effetto del minore orario di lavoro settimanale previsto per gli addetti a mansioni continue: Cass., 14 dicembre 1982, n. 6876, in «Giust. civ.», 1983, I, p. 2435; 17 giugno 1983, n. 4189, in «Giur. it.», 1984, I, 1, c. 1339.
[309] Giustamente, ad esempio, Trib. Torino, 23 dicembre 1981, in «Mass. giur. lav.», 1982, p. 195, ha reputato sopprimibile l’indennità estero a fronte di «un’ipotesi di modifica della destinazione di lavoro, senza che siano state dedotte o provate diversità nelle mansioni svolte in Italia e all’estero», giacché non può dirsi «che il mutamento della modalità topografica dello svolgimento della mansione rappresenta in sé e per sé un mutamento della mansione». Analoghe considerazioni si attaglierebbero alle ipotesi di un lavoratore spostato dal turno di notte a quello diurno (non andrebbe conservato l’importo dell’indennità di turno) o trasferito a svolgere le stesse mansioni in un reparto privo di quei fattori ambientali che precedentemente avevano determinato la corresponsione di una indennità di nocività.
[310] Liso, op. cit., p. 244, con significative puntualizzazioni al riguardo.
[311] Cui si rifà ancora, da ultimo, Ghera, Mobilità introaziendale e limiti dell’art. 13 dello Statuto dei lavoratori, in «Mass. giur. lav.», 1984, p. 399.
[312] Cruz Villalón, Las modificaciones de la prestacion de trabajo, Madrid, Servicio de publicaciones Ministerio de Trabajo, 1983, p. 195. L’opinione, riferita all’art. 23.4 dell’Estatuto de los trabajadores, è accompagnata dal rilievo, estensibile alla disciplina italiana, che «il principio di corrispettività e di equilibrio soffre parzialmente un’alterazione quando si tratti di modificazioni unilaterali..., giacché è l’ordinamento stesso a fissare una corrispondenza oggettiva predeterminata».
[313] Mazzotta, Mutamento di mansioni, retribuzione irriducibile e corrispettività, in «Foro it.», 1982, I, c. 520.
[314] Liso, op. cit., p. 237.
[315] L’opinione si trova espressa nel primo intervento delle Sezioni Unite sulla materia in esame: Cass., S.U., n. 5887/1981, citata in nota 265.