I salari
DOI: 10.1401/9788815411143/c2
L’indennità per lavoro notturno, per esemplificare l’affermazione, andrà così computata nella base di calcolo del trattamento di malattia del lavoratore adibito esclusivamente a prestazioni in turno di notte. Se trattasi, invece, di indennità per prestazioni di lavoro notturno a turni avvicendati, se ne dovrà tenere conto solo in corrispondenza dei giorni (di malattia) che, se lavorati, ne avrebbero determinato la corresponsione. La soluzione, per questo ed altri compensi legati a specifiche modalità dell’attività lavorativa, trova riscontro nei contratti collettivi, prevedendosene, ad
¶{p. 187}esempio, l’erogazione durante la malattia qualora le relative prestazioni «siano state già programmate prima dell’insorgere della stessa»
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.
Può ricordarsi, infine, come la previsione di un trattamento economico di malattia per gli impiegati, quale che sia l’interpretazione che si voglia accogliere del riferimento alla intera retribuzione contenuto nel r.d.l. n. 1825/1924
[286]
, non solleva, di fatto, problemi di legittimità delle clausole contrattuali (in ipotesi) difformi dalla norma legale. Le discipline collettive, infatti, quand’anche non assicurino all’impiegato ammalato, come di frequente avviene, la retribuzione che avrebbe percepito qualora avesse prestato servizio (bancari, metalmeccanici, tessili), sono sempre state congegnate in modo tale da bilanciare i limiti apposti al parametro di riferimento della prestazione economica di malattia con un trattamento che, globalmente considerato (in relazione sia alla durata del periodo di conservazione del posto, sia agli emolumenti percepiti in detto periodo), risulta più favorevole di quello di legge (edili)
[287]
.
La problematica relativa a quelli che si sono definiti sinora come istituti contrattuali non presenta aspetti di rilievo nel settore del lavoro pubblico, dove i trattamenti corrispondenti sono regolati con norme di legge che non hanno mai comportato significativi dubbi interpretativi.
La valutazione della contingenza ai fini della tredicesima mensilità, che nel pubblico impiego ha costituito la questione di maggior peso (soprattutto economico), è stata positivamente affermata dalla legge 31 luglio 1975, n. 364. Precedentemente la giurisprudenza del Consiglio di Stato si era espressa in senso contrario, sulla base della disciplina legale istitutiva dell’indennità integrativa speciale
[288]
.¶{p. 188}
9. Il principio di irriducibilità della retribuzione
La garanzia di irriducibilità del trattamento retributivo apprestata al lavoratore, sottoposto a mutamento di mansioni, dall’art. 13 della legge 20 maggio 1970, n. 300 è stata notoriamente oggetto di interpretazioni, dottrinali e giurisprudenziali, (anche radicalmente) divergenti.
Nell’economia della presente trattazione non interessa tanto discutere a fondo le diverse argomentazioni addotte a sostegno dell’una o dell’altra tesi
[289]
; quanto piuttosto verificare il grado di attendibilità della soluzione, che sembra essersi consolidata nella giurisprudenza della Cassazione, in ordine alla specifica questione, e le eventuali implicazioni con riferimento alla più generale tematica della nozione giuridica di retribuzione.
L’opinione più restrittiva, che interpreta la norma dello Statuto dei lavoratori come «attuazione del fondamentale principio costituzionale della proporzionalità della retribuzione alla qualità e quantità del lavoro prestato»
[290]
, espungendo conseguentemente gli emolumenti legati a particolari caratteristiche di modo, tempo, luogo della prestazione dalla nozione di retribuzione irriducibile nel caso di spostamento del lavoratore a mansioni prive degli specifici caratteri in ragione dei quali quegli emolumenti venivano corrisposti, è stata giustamente ritenuta fondata su un richiamo al precetto costituzionale inappropriato ad intendere il senso ¶{p. 189}della particolare fattispecie normativa
[291]
.
Il principio di proporzionalità, finalizzato ad assicurare al lavoratore trattamenti retributivi adeguati ai valori di mercato, determinabili (in genere) dalle parti collettive o anche (talvolta) da quelle individuali, non può infatti ritorcersi contro il lavoratore medesimo, modificandone le aspettative di guadagno, nel caso in cui esso sia adibito, per esigenze dell’impresa, a mansioni diverse da quelle consuete
[292]
. Lo scostamento dal canone della corrispettività funzionale, d’altro canto, è sempre stato presente nella disciplina legislativa del mutamento di mansioni, anche quando, sotto l’imperio del vecchio art. 2103 cod. civ., al lavoratore veniva assicurata la costanza del trattamento retributivo pur a fronte di spostamento a mansioni inferiori
[293]
. Il fatto che tale garanzia sia presente nell’art. 13 dello Statuto dei lavoratori, in connessione con l’ipotesi di spostamenti a mansioni professionalmente equivalenti, per un verso non stupisce; per altro verso spinge ad approfondire l’opinione che con essa si sia voluto attribuire al lavoratore un diritto diverso ed ulteriore rispetto a quello che discenderebbe dalla pura e semplice applicazione dell’art. 36 Cost.
[294]
. La conservazione del livello retributivo corrispondente all’inquadramento professionale ed, eventualmente, dei superminimi legati a specifiche abilità del prestatore, come tali riconosciute e remunerate con assegni ad personam
[295]
, sarebbe comunque assicurata in osservanza della norma della costituzione. Ridurre ad essa, peraltro, la portata dell’inciso «senza alcuna diminuzione della retribuzione», contenuto nell’art. 13 dello Statuto, non si può, a pena di considerarlo disposizione pleonastica, priva di specifica sostanza normativa.¶{p. 190}
La tesi sin qui esposta rivela compiutamente la sua scarsa plausibilità quand’essa, pur riconoscendo la natura retributiva delle indennità accessorie, approda alla considerazione che la soppressione delle stesse in caso di mutamento di mansioni implicherebbe una diminuzione della retribuzione «solo apparente», giacché «alla retribuzione apparentemente ridotta corrisponde una prestazione meno disagevole o rischiosa»
[296]
. L’affermazione ha sicuramente il pregio di portare alle estreme conseguenze le premesse di partenza. Non si sfugge, peraltro, all’impressione che essa sia il risultato di uno sviluppo argomentativo che richiama irresistibilmente alla memoria la compattezza dei ragionamenti di don Ferrante in ordine alla natura del contagio da peste: ragionamenti ai quali, appunto, «nessuno poteva dire almeno che mancasse la concatenazione»
[297]
.
Il ricorso al principio di proporzionalità è stato convincentemente contrastato sostenendosi che, nel contesto della norma statuaria, è irrilevante la causa dell’attribuzione degli emolumenti legati a particolari modalità di svolgimento delle mansioni di provenienza. Essi andrebbero conservati non in quanto tali ma, in misura corrispondente al loro importo, come assegno ad personam, atto ad assicurare, nelle nuove mansioni, il medesimo quantum retributivo percepito prima dello spostamento e, con esso, a soddisfare le aspettative di un guadagno stabile del lavoratore. Per queste stesse ragioni l’importo corrispondente alle indennità accessorie (come tali) abolite andrebbe sottoposto a compensazione con gli emolumenti legati alle (eventuali) modalità di svolgimento della nuova mansione
[298]
, trattandosi di garantire un determinato livello di reddito e non di assicurare un trattamento di miglior favore; e sarebbe, in ogni caso, assorbibile da futuri incrementi salariali
[299]
.
Neanche l’orientamento tendente a sottolineare le esigenze di tutela delle aspettative di guadagno maturate dal lavoratore nelle ¶{p. 191}mansioni di provenienza
[300]
è apparso comunque, in assenza di adeguate specificazioni, in grado di cogliere il senso effettivo della garanzia retributiva prevista dall’art. 13 dello Statuto. Distaccandosi da esso, ma anche dall’opinione favorevole ad un’applicazione rigida del principio di proporzionalità, la Cassazione ha cercato di tracciare una linea interpretativa, per così dire, intermedia, delimitativa dell’aspettativa di stabilità del reddito tutelata.
Il livello retributivo intangibile, secondo la Suprema Corte, non corrisponderebbe al guadagno globale percepito nell’adempimento delle precedenti mansioni. Esso andrebbe identificato nell’importo della paga base, integrato da quegli «speciali compensi o indennità stabiliti specificamente in ragione della loro intrinseca inerenza a particolari modalità della prestazione di lavoro che la peculiare qualità della mansione per se stessa esiga, non perciò in via meramente occasionale, riferibile cioè a condizioni di espletamento di essa previste come contingenti, precarie e mutevoli, bensì in maniera predisposta come normale e permanente, ossia istitutivamente connaturale alla specifica qualità della mansione stessa»
[301]
.
La tesi della Cassazione, pur raffinata e meritevole di attenta considerazione, sembra, peraltro, fornire un criterio distintivo non facilmente maneggiabile nei casi concreti. Giustamente si è avanzato il rilievo ch’essa finisca «per rimettere alla magistratura un compito estremamente arduo, che non è difficile possa sortire effetti arbitrari»
[302]
. Richiamandosi all’interpretazione dell’art. 13 delineata dalla Suprema Corte è stato ritenuto, ad esempio,
¶{p. 192}parte della retribuzione irriducibile il trattamento corrisposto al lavoratore inviato in missione all’estero
[303]
, che è dubbio possa rientrare nel novero dei compensi intrinsecamente inerenti al profilo qualitativo delle mansioni. Viceversa l’indennità maneggio denaro, che sembra, anche dalla contrattazione collettiva, valutata come inseparabile dalla «specifica qualità delle mansioni» (di cassiere), viene di solito ricompresa nell’ambito dei compensi estrinseci
[304]
.
Note
[285] Cfr. ancora l’art. 16 - parte operai del ccnl 20 luglio 1973 per gli addetti alle industrie tessili varie. In dottrina il riferimento alla continuità di corresponsione in funzione selettiva degli elementi retributivi computabili nel trattamento di malattia è accolto da Vaccaro, op. cit., p. 201.
[286] Nel senso che essa vada intesa come retribuzione globale si v. Vaccaro, op. cit., p. 205; contra Bianchi D’Urso, op. ult. cit., p. 196.
[287] Esatti rilievi, in questo senso, in Cass., S.U., n. 1069/1984, citata in nota 200 e, in dottrina, in Bianchi D’Urso, op. ult. cit., p. 195.
[288] Prima della legge n. 364/1975 l’importo della tredicesima andava ragguagliato ad un dodicesimo dello stipendio annuo, aumentato dei soli scatti di anzianità eventualmente maturati. L’esclusione dalla base di calcolo dell’indennità integrativa speciale è stata affermata da Cons. St., sez. IV, 30 ottobre 1963, n. 660, in «Consiglio di Stato», 1963, I, p. 1339; sez. IV, 30 agosto 1977, n. 750, ivi, 1977, I, p. 1291 (entrambe in fattispecie riguardanti l’impiego statale). Per l’esclusione del premio di rendimento si è pronunciato Cons. St., sez. VI, 30 aprile 1965, n. 269, ivi, 1965, I, p. 791 (settore parastatale). Più volte, invece, si è affermata la computabilità dell’assegno ad personam, sulla base dell’assunto ch’esso va considerato parte integrante dello stipendio: cfr., per tutte, Cons. St., sez. VI, 14 maggio 1965, n. 315, ivi, 1965, I, p. 976.
[289] Per una disamina puntuale si rinvia all’eccellente analisi di Liso, La mobilità del lavoratore in azienda: il quadro legale, Milano, Franco Angeli, 1982, p. 225 ss.
[290] Persiani, op. ult. cit., p. 67.
[291] Cfr. D Antona, Mutamento di mansioni e garanzie della retribuzione: sul primo e secondo comma dell’art. 2103 cod. civ., in «Riv. giur. lav.», 1980 II, p. 713 ss.; Liso, op. cit., p. 232.
[292] Per uno spunto in questo senso si v., pur nel contesto di una decisione discutibile, Cass., 22 ottobre 1975, n. 3472, in «Mass. giur. lav.», 1976, p. 178.
[293] Così, correttamente. Pret.Roma, 5 gennaio 1981, in «Foro it.», 1982, I,c. 526 e, in dottrina, Liso, op. cit., p. 240.
[294] Cfr. D’Antona, op. loc. cit.
[295] La precisazione è in Dini, Ancora in tema di mutamento di mansioni ed indennità accessorie, in «Orient, giur. lav.», 1983, p. 634.
[296] Dini, op. cit., p. 635, sulla scia del quale si v. anche la conforme opinione di Bianchi D’Urso, op. ult. cit., p. 273.
[297] Manzoni, I promessi sposi, Firenze, Palumbo, 1966, p. 772.
[298] Cfr. Cass., 10 agosto 1979, n. 4672, in «Riv. giur. lav.», 1980, II, p. 692.
[299] Cfr. Pret. Roma, cit. in nota 287; Pret. Torino, 5 maggio 1983, in «Riv. it. dir. lav.», 1983, II, p. 917.
[300] Per il quale si v., per tutti, D’Antona, op. ult. cit.; Suppiej, Il rapporto di lavoro, Padova, Cedam, 1982, p. 336 e già Id., Mansioni del lavoratore, in Commentano dello Statuto dei lavoratori, (a cura di Prosperetti), I, Milano, Giuffré, 1975, p. 359.
[301] Cass., 9 gennaio 1981, n. 191, in «Giust. civ.», 1981, I, p. 710; nello stesso senso si v. Cass., 11 maggio 1982, n. 2950, in «Riv. it. dir. lav.», 1983, II, p. 577; 25 maggio 1982, n. 3210, in «Orient. giur. lav.», 1983, p. 630; 12 novembre 1984, n. 5715, in «Foro it.», 1985, I, c. 482.
[302] Liso, op. cit., p. 235, il quale giustamente sottolinea come il criterio indicato dalla Cassazione imponga al giudice di valutare «al di là della generica funzione determinativa del valore corrispettivo, la specifica funzione svolta dalla voce retributiva (se cioè essa sia stata istituita per retribuire un elemento oggettivo o soggettivo) e quindi di ricostruire una improbabile comune intenzione delle parti collettive su un punto che — data la complessa natura della contrattazione collettiva — sarebbe spesso più prudente ritenere rimasto nella sfera dei motivi».
[303] Pret. Torino, cit. in nota 293. Che l’orientamento della Cassazione sia stato travisato dal giudice torinese risulta confermato dalla successiva sentenza della Suprema Corte n. 3926/1983, citata in nota 129, che appunto esclude l’indennità di servizio all’estero dal concetto di retribuzione irriducibile ex art. 13 dello Statuto dei lavoratori.
[304] Per la verità soprattutto dalla dottrina: cfr. Di Ruocco, op. cit., p. 64; Nicolini, Mutamento di mansioni e irriducibilità della retribuzione: l’indennità di rischio, in «Riv. it. dir. lav.», 1984, II, p. 418. In senso contrario si v. in giurisprudenza Pret. Ferrara, ivi, 1984, II, p. 418.