L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c15
Sul versante del diritto
internazionale, tuttavia, nonostante il tentativo delle Nazioni Unite di promuovere
l’approvazione di un accordo-quadro sulla governance di Internet
[42]
, non si è mai pervenuti all’adozione di un trat
¶{p. 420}tato
appositamente dedicato alla disciplina della rete, pur trattandosi dello strumento
apparentemente più indicato, almeno in una prospettiva tradizionale, per regolare
un’infrastruttura globale; la Convenzione sul cybercrime adottata
in seno al Consiglio d’Europa risulta, in effetti, l’unico strumento di diritto
internazionale specificamente dedicato alla regolazione della rete
[43]
.
Numerosi sono, invece, gli atti di
soft law elaborati da organizzazioni internazionali per
orientare lo sviluppo di una governance globale di Internet e per
promuovere adeguati standard di tutela dei diritti fondamentali
[44]
. Da questi documenti emerge l’intento programmatico di «ricomporre»
ex ante le molteplici legalità che si sovrappongono sul Web
mediante forme procedurali di cooperazione, che portino all’elaborazione di norme
condivise per la gestione di Internet
[45]
. Per il momento, tuttavia, la considerazione delle diverse legalità
concorrenti rimane affidata alla responsabilità dei singoli ordinamenti, tanto a livello
nazionale, quanto nel panorama sovranazionale e globale.
3.1. L’Unione europea
Alcuni spunti possono, in
proposito, ricavarsi dall’analisi della disciplina europea in tema di Internet: e
ciò a dispetto del fatto che l’Unione europea, pur avendo adottato
nume¶{p. 421}rosi atti incidenti sulla regolazione del Web, abbia
sovente assunto un approccio assimilabile a «quello di un legislatore interno»
[46]
, focalizzandosi sulla disciplina delle attività che hanno luogo
online, piuttosto che su una visione strutturale e
«organica» della rete. Si allude, in particolare, alle prime direttive dedicate al
commercio elettronico, alla tutela dei dati personali, al diritto dei consumatori o
alla proprietà intellettuale, adottate per rafforzare il mercato unico interno e per
proteggere, al contempo, i singoli dall’impatto di Internet nelle attività quotidiane
[47]
.
In alcuni recenti interventi
normativi dell’Unione emerge, tuttavia, con maggiore evidenza la consapevolezza del
fatto che qualsivoglia disciplina europea si trovi, su Internet, a coesistere con le
norme di altri ordinamenti giuridici, in parallelo con la ricerca di soluzioni
funzionali a governare tale sovrapposizione.
In questo senso, ad esempio, è
interessante la soluzione elaborata nel GDPR per disciplinare
il trasferimento di dati personali verso Paesi terzi o organizzazioni
internazionali: ai sensi dell’art. 45, infatti, tale trasferimento è ammesso
soltanto laddove la Commissione ritenga che il soggetto destinatario dei dati
garantisca un livello di protezione adeguato. La Commissione è, dunque, chiamata a
valutare se le norme adottate nell’ordinamento giuridico di destinazione siano non
già formalmente, quanto invece
sostanzialmente adeguate ad assicurare tutela al caso
concreto, rilevando non soltanto la «pertinente legislazione» dello Stato terzo ma
anche «l’attuazione di tale legislazione». La considerazione delle diverse legalità
rilevanti si colloca, quindi, già al livello amministrativo, nell’attuazione della
disciplina in materia di protezione dei dati. La soluzione individuata non risponde,
tuttavia, a un paradigma conciliativo, o di coordinamento, dato che si prestabilisce
la prevalenza della disciplina europea e dei suoi scopi di tutela, senza ammettere
alcuna considerazione degli interessi di ordinamenti concorrenti
¶{p. 422}(e, dunque, senza attribuire alcuna rilevanza
alle ragioni del caso nella definizione del diritto applicabile)
[48]
.
La ricerca di soluzioni
congegnate proprio al fine di mettere il «caso» al centro di tutte le norme che
contemporaneamente rilevano emerge, invece, dalle proposte di regolamento e
direttiva relative agli ordini europei di produzione e di conservazione di prove
elettroniche in materia penale, in fase di elaborazione nell’Unione europea
[49]
.
Secondo uno schema assimilabile
a quello adottato nel CLOUD Act americano, infatti, si prevede,
agli artt. 15 e 16 della proposta di Regolamento, un’apposita procedura di riesame
degli ordini europei di produzione, qualora questi eventualmente contrastino con il
diritto di uno Stato terzo, attivabile su segnalazione del provider destinatario
dell’ordine. In tali casi, si prevede che l’autorità emittente sia tenuta a
riconsiderare il proprio ordine europeo di produzione e che, nel caso in cui intenda
confermarlo, debba chiederne il riesame da parte dell’organo giurisdizionale
competente nel proprio Stato membro; a quest’ultimo la proposta di Regolamento
espressamente richiede di valutare se effettivamente sussista il contrasto
prospettato dal destinatario, esaminando il diritto del Paese terzo e cercando di
comprendere quale tipologia di interessi esso intenda tutelare, mediante la
previsione delle disposizioni che vieterebbero al provider la
disclosure delle informazioni. Soltanto là dove ritenga,
sulla base delle proprie autonome valutazioni, che effettivamente sussista un
contrasto meritevole di riconoscimento, l’autorità competente dovrà interpellare
altresì l’autorità centrale del Paese terzo, che potrà comunque opporsi
all’esecuzione dell’ordine.
In quest’ultimo scenario pare
allora di potersi identificare un significativo mutamento di prospettiva, dato
¶{p. 423}che a un problema interlegale –
ovverosia la coesistenza di più norme, provenienti da ordinamenti giuridici diversi,
contemporaneamente rilevanti – si tenta di fornire una
soluzione interlegale, riconoscendo le legalità degli Stati
terzi e prevedendo che sia un diritto «composito» a regolare, in definitiva, le
singole fattispecie. Si ammette, in altre parole, che gli interessi perseguiti
dall’Unione europea possano contrastare con altrettanto rilevanti interessi e fini
di Stati terzi e che, dunque, all’esito del coordinamento, possano essere le ragioni
di questi ultimi a prevalere; soprattutto, si attribuisce ai singoli
casi il compito di rendere manifesta e di risolvere
l’eventuale dissonanza tra le diverse discipline convergenti.
3.2. Gli ordini «spontanei» della rete
I precedenti cenni al diritto
internazionale e sovranazionale non esauriscono l’analisi dei vettori normativi che
convergono su Internet: la natura tecnicamente complessa della rete, infatti, fa sì
che al vertice del suo «sistema di governo» si trovino essenzialmente le entità non
governative che concorrono a definire standard tecnici per l’operatività della rete,
tra le quali l’Internet Engineering Task Force (IETF) e il World Wide Web Consortium
(W3C), nonché, soprattutto, l’ICANN, che detiene il controllo del sistema di
assegnazione dei nomi di dominio e, dunque, dello stesso funzionamento della rete
[50]
.
Al fine di verificare se la
regolazione di Internet promuova la prospettiva dell’interlegalità occorre allora
operare un necessario riferimento anche a tali ordini «spontanei», che non derivano
la propria autorità da altri ordinamenti giuridici, ma di fatto controllano e
disciplinano il sistema ¶{p. 424}di trasmissione dei dati,
l’adozione dei protocolli e l’assegnazione dei nomi di dominio, ovverosia gli assi
portanti del sistema che consente l’interconnessione tra i nodi locali.
Centrale è, in particolare, il
ruolo dell’ICANN, un ente no-profit di natura privata che stabilisce gli standard
tecnici di Internet su base globale, uniformando le tecniche di trasmissione
[51]
. Orbene, nell’adottare le proprie policies, l’ICANN
sembra dimostrare, almeno in alcuni casi, un atteggiamento interlegale: ad esempio,
con la ICANN Procedure For Handling WHOIS Conflicts with Privacy
Law, citata in premessa, l’ICANN prende espressamente atto della
possibilità che le legislazioni nazionali in materia di protezione dei dati
personali possano confliggere con lo standard WHOIS, che impone la pubblicazione di
tutti i dati identificativi del soggetto che registra un nome di dominio su
Internet.
La soluzione prescelta
all’interno di questa procedura è singolare: non soltanto, infatti, l’ICANN
considera tutte le eventuali legalità concorrenti, su segnalazione dell’autorità
locale competente a gestire il relativo registro di nomi di dominio
[52]
, ma soprattutto si pone programmaticamente quale ordinamento recessivo
nel caso di conflitto con leggi nazionali
[53]
: si stabilisce, infatti, – senza che, tuttavia, si tratti di una
soluzione imposta da alcun superiore principio di conflitto – l’avvio di procedure
di consultazione cooperative, volte a definire le modalità concrete che consentano
alla singola autorità, nel rispetto della (prevalente) disciplina statale, di
rispettare anche per quanto possibile lo standard WHOIS
[54]
.
¶{p. 425}
Note
[42] Come rammenta G.M. Ruotolo, Internet (diritto internazionale), in Enc. Dir., Annali, Milano, Giuffrè, 2014, vol. VII, pp. 545 ss.: 552: «la firma di una Convenzione generale sulla governance del web era uno degli obiettivi del World Summit on the Information Society (WSIS) indetto dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione del 21 dicembre 2001, n. A/RES/56/183». Tale iniziativa ha portato alla Dichiarazione Building the Information Society: A Global Challenge In The New Millennium, adottata a Ginevra il 12 dicembre 2003 e all’Impegno e all’Agenda adottati a Tunisi del 18 novembre 2005. Non si è, tuttavia, pervenuti all’adozione di una Convenzione generale dedicata alla governance di Internet.
[43] Cfr. in proposito anche B. de La Chapelle e P. Fehlinger, Jurisdiction on the Internet: From Legal Arms Race to Transnational Cooperation, in Frosio (a cura di), Oxford Handbook of Online Intermediary Liability, cit., pp. 736 ss.
[44] In questa prospettiva, cfr. Ketteman, The Normative Order of the Internet, cit., pp. 33 ss., ma anche 121 ss., che sottolinea come la governance di Internet quale common interest e la sua rilevanza per la tutela dei diritti umani abbiano comportato l’impegno di organizzazioni quali l’UNESCO, l’OSCE, l’OECD.
[45] Cfr. Ruotolo, Internet (diritto internazionale), cit., p. 556.
[46] Ibidem, p. 564.
[47] Cfr. in proposito A. Savin, EU Internet Law, Cheltenham, Edward Elgar, 2020, pp. 2 ss.
[48] Cfr. in proposito ad es. C. Ryngaert e M. Taylor, The Gdpr As Global Data Protection Regulation?, in «AJIL Unbound», 114, 2020, pp. 5 ss.
[49] Per un primo commento in relazione alle proposte di regolamento e direttiva, cfr. in termini critici su tale profilo V. Mitsilegas, The privatisation of mutual trust in Europe’s area of criminal justice: The case of e-evidence, in «Maastricht Journal of European and Comparative Law», 25, 2018, n. 3, pp. 263 ss.
[50] Il tema è trattato da Carotti, Il sistema di governo di Internet, cit., che analizza la dipendenza della disciplina di Internet dalla sua natura tecnicamente complessa. Cfr. anche Raustiala, Governing The Internet, cit., che contestualizza la progressiva evoluzione dell’ICANN verso un modello di multistakeholder governance.
[51] Come osserva Carotti, Il sistema di governo di Internet, cit., p. 49 «la prevalenza del sistema in uso (…), non è una questione di mera tecnologia, ma di potere: la sua estensione su scala mondiale l’ha trasformata da fattuale in giuridica».
[52] La quale, come sottolinea ibidem, p. 85, agisce sia nell’interesse dello Stato cui appartiene, sia nel perseguimento delle finalità dell’ente globale di governo, cui è contrattualmente vincolata.
[53] Cfr. ancora la ricostruzione ibidem, pp. 140 ss.
[54] Si fa riferimento, in particolare, allo «Step Two: Consultation»: «The goal of the consultation process should be to seek to resolve the problem in a manner that preserves the ability of the registrar/registry to comply with its contractual WHOIS obligations to the greatest extent possible».