L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c15
Così, ad esempio, gli Stati hanno
continuato ad applicare pianamente la disciplina interna in tema di diffamazione (com’è
testimoniato dal caso Gutnick
[26]
, considerato l’emble{p. 414}ma di un approccio «nazionalistico»
[27]
e «campanilistico»
[28]
a Internet), o in materia di proprietà intellettuale (come nella
controversia tra Louis Féraud e Viewfinder
[29]
) anche ai contenuti pubblicati online, non sempre verificando se le ragioni
di altri ordinamenti o, soprattutto, le ragioni
¶{p. 415}dei singoli
risultassero pregiudicate da tale approccio unilaterale a casi di potenziale rilevanza
globale. La vicenda Louis Féraud v. Viewfinder, in particolare, è
efficacemente rappresentativa di tale incomunicabilità tra contrapposte visioni
unilaterali. Da un lato, infatti, il Tribunal de Grande Instance di Parigi – adito da
alcuni stilisti francesi a seguito della pubblicazione non autorizzata di contenuti
protetti dal copyright sul sito statunitense firstview.com, che
raccoglieva fotografie di sfilate di moda – ha condannato il portale medesimo al
risarcimento dei danni e alla rimozione dei contenuti dal Web, senza prendere in
considerazione né eventuali disposizioni applicabili provenienti dall’ordinamento
straniero, né la posizione del portale e i confini del suo diritto alla libertà di
espressione. Dall’altro lato, la District Court di New York, negando il riconoscimento
degli effetti della decisione del Tribunale francese, perché ritenuta incompatibile con
il Primo emendamento della Costituzione americana, non ha tenuto in alcun conto le
ragioni degli stilisti e l’eventuale lesione loro arrecata dalla diffusione non
autorizzata dei contenuti
[30]
.
Gli inconvenienti derivanti da un
simile approccio – vale a dire, la moltiplicazione di pronunce contrastanti e la
pretermissione delle esigenze di tutela, o dei diritti, riconosciuti e garantiti da
altri ordinamenti – sono stati di recente evidenziati con
maggiore apertura dalla Corte di Appello della British Columbia e, poi, dalla Corte
Suprema canadese nel caso Equustek
[31]
, là dove entrambe le Corti hanno ¶{p. 416}ammesso che la
proiezione globale della propria prospettiva unilaterale appaia spesso come l’unica
soluzione possibile per garantire l’effettività del diritto
nazionale, quando applicato a Internet
[32]
. Per questa ragione, tuttavia, si tratta di decisioni che – come osservato
dalla Corte di Appello della British Columbia – occorre assumere con particolare
cautela, dovendo ogni autorità giudiziaria evitare di adottare pronunce i cui effetti
extra-territoriali possano «ledere i valori fondamentali di un altro Stato»
[33]
.
Accanto a tale prima fase di
tendenziale inerzia regolatoria degli Stati, che hanno continuato a fare affidamento
sulla legislazione già esistente – perciò inidonea a offrire soluzioni realmente
interlegali –, la progressiva diffusione di Internet ha determinato un mutamento di
approccio, ma non di prospettiva, assistendosi a interventi regolatori che, pur dedicati
specificamente a Internet, tentano tuttavia di «riterritorializzarlo», suddividendolo in
tanti «Internet nazionali», delimitati digitalmente
[34]
.
Ad esempio, al fine di assicurare
l’effettività della legislazione nazionale, in molti Stati sono stati introdotti
obblighi di localizzazione sul territorio nazionale di server e database, così da
potervi applicare senza ostacoli la regolazione statale. ¶{p. 417}È il
caso, ad esempio, del Personally Controlled Electronic Health Records
Act adottato in Australia, che obbliga alla localizzazione sul territorio
australiano dei dati sanitari relativi ai cittadini, o ancora della legge federale russa
n. 242 del 21 luglio 2014, che prevede che tutti i dati personali dei cittadini russi
debbano essere conservati su database situati sul territorio nazionale
[35]
. Tali discipline costituiscono soltanto alcune tra le iniziative statali
volte a governare Internet controllandone fisicamente le infrastrutture
[36]
.
Pare dunque evidente che gli Stati,
tanto nella prima quanto nella seconda fase, abbiano adottato una prospettiva
tendenzialmente unilaterale e autoreferenziale nella regolazione di Internet: ciò è
evidente soprattutto per la seconda, più recente, linea di tendenza, alla base della
quale vi è infatti l’intenzione degli Stati di precludere già a monte il possibile
verificarsi di situazioni interlegali, cercando di contenere il «caso» entro i confini
nazionali, proiettati sulla rete.
2.1. Alcuni «spunti» di interlegalità nel cd. «CLOUD Act»
Soltanto un recente intervento
legislativo dell’ordinamento statunitense si pone invece in controtendenza,
tratteggiando un’impostazione normativa più coerente con la prospettiva
dell’interlegalità (o, come l’ha etichettata la dottrina americana, con una
prospettiva di sovereign deference
[37]
). Si fa riferimento, nello specifico, alla disciplina dell’acquisizione
transfrontaliera di elementi di prova nel
¶{p. 418}cyberspace introdotta negli Stati
Uniti con il cd. CLOUD Act
[38]
. Nel quadro degli obblighi di cooperazione degli Internet service
provider nelle procedure di acquisizione transfrontaliera di prove informatiche, il
CLOUD Act prevede infatti che ciascun provider,
destinatario di un ordine di conservazione e produzione di prove elettroniche
emanato da un’autorità statunitense, abbia la possibilità di presentare all’autorità
medesima una mozione per ottenere la modifica o l’annullamento della richiesta
ricevuta, qualora questa collida con obblighi contrastanti previsti da uno Stato
terzo, contestualmente applicabili.
In tali casi, è espressamente
previsto che l’autorità procedente, considerate tutte le circostanze del caso, debba
valutare quale sia la soluzione maggiormente conforme con «gli interessi della
giustizia», tenendo conto altresì degli interessi dell’ordinamento straniero a
prevenire qualsiasi produzione di dati che risulti vietata sulla base della sua
disciplina interna. Il giudice nazionale – una volta riconosciuta la pluralità dei
regimi giuridici che convergono su un medesimo caso – è, dunque, esplicitamente
chiamato a prendere in considerazione anche le disposizioni che derivano da un
diverso ordinamento giuridico, il cui contenuto non è indifferente, ma anzi concorre
espressamente a definire la norma applicabile al caso concreto.
In quest’ultima ipotesi, quindi,
pare che un ordinamento statale abbia adottato una soluzione che – almeno in
apparenza – è coerente con il criterio dell’interlegalità e con il ruolo che tale
prospettiva si propone di attribuire al caso concreto. La norma
descritta, infatti, riconosce (e produce) un problema
interlegale, per poi – anziché fornire anche una soluzione, a livello della regola –
prevedere che sia il singolo giudice del caso a gestire, di
volta in volta, l’interconnessione tra tutte le legalità rilevanti
[39]
. È importante osservare, soprat¶{p. 419}tutto, come tale
strumento – che non predetermina secondo criteri formali le modalità
dell’intersezione tra le diverse legalità – apra anche a soluzioni potenzialmente
conciliative, ammettendo che – a seconda del caso – nel
coordinamento tra la legislazione statunitense e la legislazione straniera possa
essere quest’ultima a prevalere (e che, dunque, i fini perseguiti dall’ordinamento
concorrente possano risultare predominanti rispetto alle esigenze della giustizia
statunitense).
3. (Segue): (II) Gli altri regolatori del Web
Nonostante le forti istanze
nazionali, che «conformano la struttura» e «dipingono i tratti» di Internet, il fatto
che la rete sia «di per sé un mezzo mondiale» rende questo settore, come si è
anticipato, uno degli esempi più evidenti della «globalizzazione»
[40]
, in ragione dello sviluppo di ordinamenti giuridici del tutto autonomi
rispetto all’autorità dei singoli Stati
[41]
. Su Internet è, infatti, particolarmente evidente la coesistenza di
molteplici ordinamenti giuridici (internazionali, sovranazionali, ma soprattutto
globali) che, oltre a quelli statali, intervengono ciascuno con una specifica
prospettiva, o su uno specifico settore, e si trovano sistematicamente a interagire e
sovrapporsi.
Sul versante del diritto
internazionale, tuttavia, nonostante il tentativo delle Nazioni Unite di promuovere
l’approvazione di un accordo-quadro sulla governance di Internet
[42]
, non si è mai pervenuti all’adozione di un trat
¶{p. 420}tato
appositamente dedicato alla disciplina della rete, pur trattandosi dello strumento
apparentemente più indicato, almeno in una prospettiva tradizionale, per regolare
un’infrastruttura globale; la Convenzione sul cybercrime adottata
in seno al Consiglio d’Europa risulta, in effetti, l’unico strumento di diritto
internazionale specificamente dedicato alla regolazione della rete
[43]
.
Note
[26] High Court of Australia, Dow Jones and Company Inc v. Gutnick, 10 dicembre 2002. Il caso nasce dalla pubblicazione sul periodico «Barron’s Online», dell’editore Dow Jones, diffuso principalmente negli USA, ma accessibile online da qualsiasi luogo, di un articolo dal titolo Unholy Gains, nel quale si diceva che Mr. Gutnick, uomo d’affari e imprenditore australiano, aveva avuto rapporti finanziari con un soggetto condannato per reati fiscali e riciclaggio. La Corte ha affermato la giurisdizione australiana e l’applicabilità della legislazione australiana in materia di diffamazione a tale contenuto, pubblicato negli Stati Uniti, sottolineando come – pur preso atto del rilievo secondo il quale, a seguito dell’applicazione unilaterale delle legislazioni nazionali da parte dei singoli Stati dal cui territorio il contenuto sia (semplicemente) accessibile, «a publisher would be bound to take account of the law of every country on earth, for there were no boundaries which a publisher could effectively draw to prevent anyone, anywhere, downloading the information it put on its web server» – tuttavia, nel caso sottoposto al suo scrutinio, «it is his reputation in that State, and only that State, which he [Mr. Gutnick] seeks to vindicate. It follows, of course, that substantive issues arising in the action would fall to be determined according to the law of Victoria. But it also follows that Mr Gutnick’s claim was thereafter a claim for damages for a tort committed in Victoria, not a claim for damages for a tort committed outside the jurisdiction». Anche nell’opinion del Justice Callinan, si legge che, nonostante la «ubiquity of the Internet» e l’obiezione che, di conseguenza, «a publisher would be bound to take account of the law of every country on earth», «the fact that publication might occur everywhere does not mean that it occurs nowhere». Cfr. Maier, How Has the Law Attempted to Tackle the Borderless Nature of the Internet?, cit., p. 154. In sostanza, la High Court australiana ha applicato la legislazione nazionale in tema di diffamazione, negando che la questione presentasse alcun profilo di potenziale rilevanza extra-territoriale. La pronuncia è perciò ritenuta a «dangerous judgement» (non tanto per l’esito, quanto per la motivazione della decisione) da U. Kohl, Defamation on the Internet: Nice Decision, Shame about the Reasoning: Dow Jones & Co Inc v Gutnick, in «The International and Comparative Law Quarterly», 52, 2003, n. 4, pp. 1049 ss.: 1055-1056, che censura la linea argomentativa seguita dai giudici australiani, nella parte in cui hanno statuito, più o meno esplicitamente, che chiunque agisca online debba aspettarsi di essere esposto alle leggi di qualsiasi Stato e che tale problema, tuttavia, sia più ipotetico che reale, considerata la tendenziale inefficacia pratica delle legislazioni statali rispetto a Internet.
[27] Cfr. R. Garnett, Dow Jones & company Inc V Gutnick. An Adequate Response to Transnational Internet Defamation?, in «Melbourne Journal of International Law», 2003, n. 4, pp. 197 ss.
[28] Cfr. in questi termini U. Kohl, Conflict of Laws and the Internet, in R. Brownsword, E. Scotford e K. Yeung (a cura di), The Oxford Handbook of Law, Regulation and Technology, Oxford, Oxford University Press, 2017, pp. 269 ss.: 274-275.
[29] Si fa riferimento alla pronuncia della United States District Court, SD New York, Sarl Louis Féraud International v. Viewfinder Inc., del 29 settembre 2005: la District Court ha dichiarato incompatibile con il Primo emendamento la decisione del Tribunal de Grande Instance de Paris, che aveva condannato il portale Viewfinder, per aver pubblicato contenuti in violazione dei diritti di proprietà intellettuale dei designers ricorrenti, al risarcimento dei danni e alla rimozione dei contenuti dal portale, con un’astreinte in caso di inadempimento (cfr. anche le diverse pronunce rese dal Tribunal de Grande Instance de Paris il 2 maggio 2001, nelle cause portate avanti da numerosi designers francesi). Cfr. anche Schultz, Carving up the Internet, cit., p. 810.
[30] Anche la successiva decisione della US Court of Appeals (cfr. US Court of Appeals for the Second Circuit, Sarl Louis Féraud International, S.A. Pierre Balmain v. Viewfinder Inc., 5 giugno 2007) intervenuta sulla questione, ha perpetuato la medesima prospettiva unilaterale, affermando che la pronuncia del Tribunal de Grande Instance potesse essere riconosciuta dall’ordinamento statunitense soltanto a condizione che la legislazione francese rilevante tutelasse il copyright nello stesso modo in cui lo tutelava la legislazione degli Stati Uniti.
[31] Supreme Court of Canada, Google Inc. v. Equustek Solutions Inc., 28 giugno 2017; precedentemente, Court Of Appeal For British Columbia, Equustek Solutions Inc. v. Google Inc., 11 giugno 2015. Cfr. in proposito M. Geist, The Equustek Effect: A Canadian Perspective on Global Takedown Orders in the Age of the Internet, in G. Frosio (a cura di), Oxford Handbook of Online Intermediary Liability, Oxford, Oxford University Press, 2020, pp. 709 ss.
[32] Si legge, infatti, nella pronuncia della Corte Suprema: «Where it is necessary to ensure the injunction’s effectiveness, a court can grant an injunction enjoining conduct anywhere in the world. The problem in this case is occurring online and globally. The Internet has no borders — its natural habitat is global. The only way to ensure that the interlocutory injunction attained its objective was to have it apply where Google operates — globally».
[33] Court Of Appeal For British Columbia, Equustek Solutions Inc. v. Google Inc., cit., § 92. La Corte Suprema canadese ha, invece, attribuito al singolo destinatario del provvedimento la prerogativa e l’onere di adire l’autorità giudiziaria per dimostrare se e in che modo una pronuncia, cui sia stata attribuita efficacia globale, violi la legge di un altro ordinamento (cfr. Supreme Court of Canada, Google Inc. v. Equustek Solutions Inc., cit., § 46).
[34] Essenziale in proposito è il report di W.J. Drake, V.G. Cerf e W. Kleinwächter, Internet Fragmentation: An Overview, World Economic Forum – Future of the Internet Initiative White Paper, gennaio 2016, reperibile su weforum.org, spec. pp. 31 ss.
[35] Per una completa disamina di tutti i provvedimenti ascrivibili a questa tendenza, cfr. Chander e U.P. Lê, Data Nationalism, in «Emory Law Review», 64, 2015, pp. 677 ss.
[36] Tale tendenza è descritta da L. De Nardis, Five Destabilizing Trends in Internet Governance, in «I/S: A Journal of Law and Policy for the Information Society», 2015, n. 12, pp. 113 ss., 127 ss.; in relazione a questa prospettiva, cfr. anche A.D. Murray, Nodes And Gravity In Virtual Space, in «Legisprudence», 5, 2011, pp. 195 ss. Si tratta di un orientamento messo in luce anche da A.K. Woods, Litigating Data Sovereignty, in «The Yale Law Journal», 128, 2018, pp. 328 ss.: 361.
[37] Cfr. in proposito Woods, Litigating Data Sovereignty, cit., p. 399.
[38] Cfr. in proposito oltre a ibidem, anche la risposta di J.L. Goldsmith, Sovereign Difference and Sovereign Deference on the Internet, in «The Yale Law Journal Forum», 18 marzo 2019.
[39] Evidenzia tuttavia i limiti di questa disciplina Woods, Litigating Data Sovereignty, cit., pp. 399 ss.
[40] Cfr. Carotti, Il sistema di governo di Internet, cit., p. 1.
[41] Ibidem, pp. 15 ss. Cfr. in proposito anche M. Leiser e A. Murray, The Role of Non-State Actors and Institutions in the Governance of New and Emerging Digital Technologies, in Brownsword, Scotford e Yeung (a cura di), The Oxford Handbook of Law, cit., pp. 670 ss.
[42] Come rammenta G.M. Ruotolo, Internet (diritto internazionale), in Enc. Dir., Annali, Milano, Giuffrè, 2014, vol. VII, pp. 545 ss.: 552: «la firma di una Convenzione generale sulla governance del web era uno degli obiettivi del World Summit on the Information Society (WSIS) indetto dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione del 21 dicembre 2001, n. A/RES/56/183». Tale iniziativa ha portato alla Dichiarazione Building the Information Society: A Global Challenge In The New Millennium, adottata a Ginevra il 12 dicembre 2003 e all’Impegno e all’Agenda adottati a Tunisi del 18 novembre 2005. Non si è, tuttavia, pervenuti all’adozione di una Convenzione generale dedicata alla governance di Internet.
[43] Cfr. in proposito anche B. de La Chapelle e P. Fehlinger, Jurisdiction on the Internet: From Legal Arms Race to Transnational Cooperation, in Frosio (a cura di), Oxford Handbook of Online Intermediary Liability, cit., pp. 736 ss.