L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c4
Per lo stesso motivo, anche il
richiamo all’aequitas come criterio in grado di guidare la ricerca
di «uno strato di giuridicità che arbitra, armonizza o seleziona tra più legalità contrapposte»
[57]
esige cautela
[58]
. Certo, il pathos della
minimiz{p. 115}zazione dell’ingiustizia che muove i teorici
dell’interlegalità sembra pretendere dall’odierno interprete uno scrutinio di
ragionevolezza di tutto il diritto esistente – in nome di un principio di
convenientia tra fatti e forme giuridiche che invita
necessariamente a travalicare in chiave universalistica il raggio delle singole unità
sistematiche «terrestri» – in certa misura comparabile con la ratio
dell’aequitas medievale. E tuttavia non bisogna dimenticare
quella che Sbriccoli definisce «l’unità monolitica dei valori etici e giuridici che
costituiva la base di tutta la struttura del diritto medievale», senza la quale
l’equazione tra giustizia, ragionevolezza e verità di cui
l’aequitas si pone come suprema garanzia non sarebbe mai tornata
[59]
. A rendere possibile quella osmosi continua tra cielo e terra (tra
effettività e validità); a consentire in altre parole all’aequitas
di porsi come parametro fondamentale, ora di difesa, ora di sviluppo dell’unità del
sistema in tutte le sue articolazioni, mantenendosi contemporaneamente in assoluta
aderenza al mutamento sociale, è in fin dei conti – potremmo dire con Schmitt – il fatto
che il tutto si compie sul terreno neutrale, «spoliticizzato» in quanto sottratto alla
contesa delle opiniones, dell’unità dei valori etico-religiosi cristiani
[60]
. Su un’analoga compattezza valoriale – temo –, l’interprete contemporaneo
del diritto globale, figlio di un mondo tanto frammentato da non sembrare più in grado
di
¶{p. 116}esprimere un principio d’ordine autenticamente condiviso,
non può più volente o nolente fare affidamento.
Con questi ed altri problemi
l’interprete dell’odierna interlegalità deve fare i conti. Guardare alla vicenda
medievale può rivelarsi importante, allora, per rammentarci di come in una società a
bassissima produzione legislativa una scienza consapevole del proprio ruolo e della
propria funzione sociale abbia saputo corrispondere al compito supremo di ordinare
giuridicamente il proprio mondo adoperando tutti gli strumenti a disposizione (come
l’interpretatio, l’aequitas), tenendo
conto dei vincoli e sfruttando gli spazi di autonomia che le circostanze consentivano.
Il venir meno delle certezze giuridiche del mondo «di ieri» impone al giurista
contemporaneo lo sforzo di recuperare un’analoga consapevolezza. Le soluzioni ai
problemi dell’oggi, però, non potranno che corrispondere all’altezza delle capacità, dei
limiti e degli ideali che nostro tempo richiede.
Note
[57] Cfr. Palombella, Interlegalità, cit., p. 331.
[58] Il concetto di aequitas nel medioevo è di tale rilevanza che in questa sede non si può neppure sfiorare. Per limitarci ad indicazioni essenziali, cfr. F. Calasso, Il diritto comune come fatto spirituale, in Id., Introduzione al diritto comune, Milano, Giuffrè, 1951, pp. 166 ss.; Id., Medioevo del diritto, cit., pp. 469 ss.; Id., Equità. Premessa storica, in Id., Storicità del diritto, Milano, Giuffrè, 1966, pp. 365-376; J. Vallejo, Ruda equidad, ley consumada. Conceptión de la potestad normativa (1250-1350), Madrid, Centro de Estudios Constitucionales, 1992; Grossi, L’ordine giuridico medievale, cit., pp. 175-182.
[59] Cfr. Sbriccoli, L’interpretazione dello statuto, cit., p. 97. Che continua: «Così, quelli che sono i limiti della identificazione di ciò che risponde a razionalità nella nostra cultura giuridica (necessità di una base comune di incontro e di accordo, instabilità del consenso), diventano i punti forti dell’aequitas come parametro di ragionevolezza nella società medievale, provvista in alto grado di due essenziali caratteristiche: forte omogeneità nella sua cultura giuridica e totale integrazione dei valori (oggi disparati) del diritto, dell’etica, della politica» (ibidem, p. 99).
[60] Cfr. C. Schmitt, L’epoca delle neutralizzazioni e delle politicizzazioni, in Id. Le categorie del politico, Bologna, Il Mulino, 1972, pp. 167-193.