Giulia Guglielmini, Federico Batini (a cura di)
Orientarsi nell'orientamento
DOI: 10.1401/9788815411648/c7

Capitolo settimo Genere, identità e orientamento. Per un progetto di vita di tutte/i e di ciascuna/o
di Fabio Bocci, Giuseppe Burgio e Giovanna Di Stefano. Il presente contributo è frutto di un lavoro comune. Ai soli fini dell’identificazione delle parti, laddove richiesto, si precisa che è da attribuire a Fabio Bocci il paragrafo 1; sono da attribuire a Giuseppe Burgio i paragrafi 6, 7, 8, 9 e a Giovanna Di Stefano i paragrafi 2, 3, 4, 5

Abstract
Nel 1963 Charles E. Webb pubblica un libro destinato a divenire di culto, anche per la successiva trasposizione cinematografica. La storia di The Graduate è piuttosto nota, tanto che l’interpretazione di Dustin Hoffman e la presenza in scena della sua Alfa Romeo Duetto sono entrate di diritto nell’immaginario collettivo. Quello dell’intersezione tra orientamento e genere è un tema relativamente recente sia in Europa che in Italia, successivo ai movimenti femministi degli anni Settanta del secolo scorso. Fino a quel momento, infatti, era indiscusso, naturale, quando non decretato per legge, che alcune professioni fossero inaccessibili alle donne e altre lo fossero per gli uomini. Già dagli anni Settanta, in concomitanza con il femminismo di seconda ondata, in Italia e in gran parte del mondo occidentale si sviluppano idee e movimenti contro gli stereotipi sulle donne e per la parità di genere che sfociano in progetti, convenzioni e leggi. Nel sistema scolastico nazionale, però, tali tematiche sono state portate avanti in modo non omogeneo solo da alcune insegnanti-pioniere, avviando un cambiamento di sensibilità parziale e circoscritto ad alcune regioni del Centro-Nord. Come rileva Biemmi solo da qualche anno la ricerca pedagogica italiana riflette sulla ridotta presenza maschile nei contesti di cura educativa, a partire dalle università, e sul potenziale effetto trasformativo che gli uomini in tali ambiti potrebbero avere, sia per il genere maschile sia per l’instaurarsi di nuove relazioni, paritarie e nonviolente, tra i generi nella società. Al momento, però, pochi studi indagano le motivazioni che frenano l’accesso maschile alle professioni educative e di cura. Gli stessi contenuti disciplinari e i libri di testo sono intrisi di una cultura apparentemente neutra ma in realtà fortemente connotata al maschile che ignora il genere femminile o lo rappresenta all’interno di ruoli marginali e subalterni.
Gli uomini spesso scambiano l’ambizione con la speranza.
L’ambizione è il desiderio che le cose che fai si realizzino così come le vuoi; la speranza è la certezza che fare quelle cose abbia un senso comunque, indipendentemente da come finiranno, perché ci sono cose che vanno fatte solo perché è giusto e necessario.
(Michela Murgia, Noi siamo tempesta, 2000)

1. Uno sfondo per introdurre il tema, tra letteratura, cinema e riflessione pedagogica

Nel 1963 Charles E. Webb pubblica un libro destinato a divenire di culto, anche per la successiva trasposizione cinematografica (Mike Nichols, 1967). La storia di The Graduate [1]
è piuttosto nota, tanto che l’interpretazione di Dustin Hoffman e la presenza in scena della sua Alfa Romeo Duetto sono entrate di diritto nell’immaginario collettivo. Vale comunque la pena soffermare l’attenzione su alcuni aspetti della vicenda, utili per introdurre il nostro discorso.{p. 180}
Il protagonista, Benjamin Braddock, torna a casa dal college dove ha conseguito il baccalaureato, distinguendosi per le sue notevoli qualità. Vincitore di un premio prestigioso, capitano della squadra di atletica, direttore del circolo studentesco, migliore studente del corso, assistente nell’insegnamento, Ben è destinato a frequentare un’importante università: Harvard, Columbia, Yale.
Ma il rientro in famiglia non corrisponde a quanto atteso da genitori e amici che si ritrovano in casa per festeggiarlo. Ben è irrequieto, poco incline alle celebrazioni. Sembra essere in piena crisi rispetto a tutto ciò che ha fatto fino a quel momento. Nel libro il dialogo iniziale tra il padre e il giovane è esemplificativo:
«Ben?» disse, aprendo la porta di suo figlio.
«Scendo tra poco» disse Benjamin.
«Ben, gli invitati ci sono già tutti» disse suo padre. «Stanno aspettando».
«Ho detto che scendo tra poco».
Il signor Braddock si chiuse la porta alle spalle. «Che cos’hai?» disse.
Benjamin crollò il capo e si diresse verso la finestra.
«Che cos’hai, Ben?».
«Niente».
«Allora perché non vieni giù a ricevere i tuoi ospiti?».
Benjamin non rispose.
«Ben?».
«Babbo» disse lui, voltandosi «adesso ho certe cose che mi preoccupano».
«Quali cose?».
«Certe cose».
Le cose che preoccupano Ben si chiariscono presto, questa volta mentre dialoga con la madre intervenuta a sostegno del marito.
Sua madre si alzò, il viso arcigno e lo guardò. «Che cos’hai, Ben» disse.
«Ho che vorrei uscire da questa casa!».
«Ma si può sapere cos’è che ti preoccupa?».
«Diverse cose mamma».{p. 181}
«Be’, non potresti pensarci un’altra volta?».
«No». […].
«Non puoi dirmi cos’è che ti preoccupa?», disse asciugando il bicchiere con uno degli strofinacci vicino all’acquaio.
«Mi preoccupano diverse cose, mamma. Sono un po’ in ansia per il mio avvenire».
«Per quello che farai?».
«Esatto».
Sua madre gli restituì il bicchiere. «Be’» disse «pensi sempre d’insegnare, no?».
«No».
«No?» disse lei. «Be’ e il tuo premio?».
«Non intendo accettarlo».
I motivi del malessere di Ben si delineano via via che la serata va avanti. Dinanzi ai complimenti degli ospiti il giovane sente avanzare l’inquietudine. Chiede ad amici e amiche di famiglia per quali ragioni siano così impressionati dai suoi successi. Di fronte alla sorpresa degli invitati, e per evitare una escalation, interviene il padre che si apparta con il figlio.
«Figliolo?» disse, chiudendo la porta e girando la chiave nella toppa. «Che cos’hai dunque?».
«Non so».
«Be’, a quanto pare c’è qualcosa che non va».
«Già».
«Che cosa, dunque?».
«Non lo so!». Disse Benjamin. «Ma tutto… tutto è diventato improvvisamente grottesco».
«Grottesco?».
«Quella gente là dentro è grottesca. Tu sei grottesco. […] Io sono grottesco. Questa casa è grottesca» […].
«Ora voglio che ti calmi».
«Non vedo come potrei».
«Ben, hai appena trascorso laggiù quattro degli anni più duri della tua vita».
«Non sono stati niente» disse Benjamin.
«Come?».
«Tutti quei quattro anni» disse, alzando gli occhi a suo padre. «Non sono stati niente. Tutte le cose che ho fatto non sono niente. Tutte le onorificenze. Le cose che ho imparato. Tutto a un tratto mi sembra che nessuna di esse abbia per me il minimo valore».{p. 182}
Rispetto al libro, nel film Ben è meno rabbioso, poco propenso a resistere alle richieste dei genitori e così anche le ragioni del suo nervosismo restano in superficie. Tuttavia nella pellicola il regista introduce un dialogo molto interessante tra Ben e uno degli ospiti:
«Ben».
«Signor McGuire».
«Vieni con me un minuto, ho bisogno di parlarti».
«Voglio dirti solo una parola… Una sola parola».
«Sì signore».
«Mi stai ascoltando?».
«Certo».
«Plastica».
«Credo di non aver capito».
«C’è un grande futuro nella plastica… Pensaci. Ci penserai?».
«Sì lo farò».
«È un affare».
Ben diverrà presto (anche grazie alla sequenza finale del film), l’immagine del malessere di una generazione che non intende conformarsi a un destino prescritto dal mondo adulto. Un disagio che affonda le radici già nel dopoguerra, assumendo via via la connotazione politica di un vero e proprio movimento controculturale. In questo percorso-processo troviamo il romanzo-saggio Walden Two di Skinner del 1948, al quale si ispirano le esperienze comunitarie antisistema di Sunflower House, Lake Village, Twin Oaks e Los Orcones [Zona e De Castro 2020] ma anche il romanzo culto di Salinger Il giovane Holden [1961] che, pur nella sua unicità, risente della nascente beat generation, espressione di un senso di spaesamento che da individualistico-esistenziale diviene sempre più collettivo e politicizzato. Un processo rintracciabile anche in altre manifestazioni, tra le quali: il fenomeno dei teddy boys (e delle meno raccontate teddy girls), la cui devianza giovanile – ben analizzata da Paul Goodman in Gioventù assurda [1964] – trova riferimenti nel Marlon Brando di Il selvaggio (1953) o nel James Dean di Gioventù bruciata (1955); le sperimentazioni di Albert Hofmann {p. 183}[1992], Timothy Leary [1974; 1995] e Aldous Huxley [1980] sugli amplificatori della mente, ossia sugli additivi chimici come Lsd; la contestazione nei campus americani, a partire dalla rivolta di Berkeley del 1964 raccontata nel 1968 da James S. Kunen nel libro Fragole e sangue [2016], trasposto al cinema nel 1970 da Stuart Hagmann.
Una precisa descrizione del disadattamento alle regole sociali in auge la offre Pete Townshend, leader dei The Who, nella sua autobiografia:
Belgravia, un quartiere ricco in cui le donne impellicciate mi sorpassavano nelle file come se non esistessi, rendeva ancora più crudo ed evidente il divario generazionale che cercavo di descrivere. Lavorai su My Generation per tutta l’estate del 1965 […]. Avevo buttato giù diversi testi e tre demo molto differenti. La sensazione che sentivo crescere in me non era tanto il risentimento verso i potenti che mi circondavano a Belgravia, quanto la paura che la loro malattia potesse essere contagiosa. Di che malattia si trattava? In realtà era più una questione di classe che di età. La maggior parte dei giovani che abitavano intorno a me in quel ricco quartiere di Londra studiava da futura classe dirigente, da potenti di domani. Le loro abitudini e aspettative obsolete mi sembravano trappole mortali, mentre io mi sentivo vivo e non solo perché ero giovane. Ero vivo davvero perché svincolato dalle tradizioni, dalla proprietà e da certe responsabilità [Townshend 2013, 82].
My Generation, a cui si fa riferimento, diverrà un brano di culto. La rabbia del suo autore, degli altri componenti del gruppo e dei/delle giovani che vi si riconoscono prende spunto dal libro The Generations [1964], nel quale il drammaturgo David Mercer, di estrazione operaia, dà corpo a una denuncia sociale sul tema del lavoro, dell’ascesa sociale e del dissidio tra individuo e istituzioni. Il celebre verso di My Generation «Spero di morire prima di diventare vecchio», richiama alla memoria l’incipit dell’opera di Nizan del 1931 Aden Arabie: «Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita» [Nizan 1994, 65], ma è soprattutto espressione del sommovimento che anima quei giovani e che investe totalmente l’intero impianto della società del tempo [Bocci 2016].
{p. 184}
Note
[1] In Italia libro e film (usciti nel 1968) hanno come titolo Il laureato, benché si tratti di un Bachelor of Arts, grado intermedio tra la High School e il Master of Arts (corrispettivo della nostra laurea magistrale).