Giulia Guglielmini, Federico Batini (a cura di)
Orientarsi nell'orientamento
DOI: 10.1401/9788815411648/c3

Capitolo terzo L’orientamento nella scuola italiana dagli anni Novanta a oggi
di Simone Giusti

Abstract
L’ultimo giorno del 1962, circa quattordici anni dopo che la Costituzione ne aveva imposto l’istituzione, viene approvata la legge sulla scuola media unica, aprendo la strada alla scolarizzazione di massa e al processo di progressiva democratizzazione che è ancora ben lungi dal trovare il suo compimento. La riforma, rimasta inattuata e definitivamente cancellata nel 2003, rispondeva a un principio di egualitarismo e perseguiva tra l’altro l’obiettivo esplicito di aprire i nuovi licei al mondo esterno, alla cultura di massa, alle nuove tecnologie, al mondo delle arti e a quello della produzione e del lavoro. Uno dei caratteri più originali, che potremmo considerare l’elemento distintivo di un’ipotetica via italiana all’orientamento scolastico, è la didattica orientativa, ovvero una pratica di insegnamento riservata ai docenti curricolari e volta allo sviluppo delle competenze orientative di base e nella «educazione all’autorientamento». Nel 2019 la Direzione generale per gli ordinamenti scolastici del MIUR, in esplicita continuità con le Linee guida per l’orientamento permanente del 2014, emana le Linee guida dei percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento, frutto della rielaborazione della precedente normativa sull’alternanza scuola-lavoro. Non sarebbe opportuno, anziché limitarsi a chiamare in causa le virtù della didattica orientativa e dell’orientamento formativo rimettere al centro del discorso pubblico sulla scuola il diritto di ogni soggetto all’orientamento e, quindi, il diritto di disporre di un sistema di istruzione dotato di senso, costruito per ridurre l’impatto del contesto sociale di provenienza sul destino individuale e per potenziare le persone e le comunità?

1. Una lunga preparazione

L’ultimo giorno del 1962, circa quattordici anni dopo che la Costituzione ne aveva imposto l’istituzione, viene approvata la legge sulla scuola media unica, aprendo la strada alla scolarizzazione di massa e al processo di progressiva democratizzazione che è ancora ben lungi dal trovare il suo compimento. All’art. 1 della legge 1859/1962 si legge:
In attuazione dell’articolo 34 della Costituzione, l’istruzione obbligatoria successiva a quella elementare è impartita gratuitamente nella scuola media, che ha la durata di tre anni ed è scuola secondaria di primo grado.
La scuola media concorre a promuovere la formazione dell’uomo e del cittadino secondo i principi sanciti dalla Costituzione e favorisce l’orientamento dei giovani ai fini della scelta dell’attività successiva.
Questa idea di orientamento alla scelta, accompagnata da una concezione orientativa della scuola media, che di fatto avrebbe la funzione di selezionare gli studenti e di dirigerli verso il lavoro o il proseguimento degli studi, accompagna tutto il dibattito sull’orientamento a scuola negli anni Settanta e Ottanta e convive con una visione educativa dell’orientamento, già evidente nel successivo decreto ministeriale del 24 aprile 1963, che nel definire orari e programmi di insegnamento della scuola media statale così definisce la funzione orientativa:{p. 82}
Senza perdere il proprio carattere essenzialmente formativo, la scuola media assolve in pari tempo a una funzione orientativa. Infatti, assecondando con i vari insegnamenti, anche facoltativi, la maturazione dei singoli alunni essa ne chiarisce e ne sviluppa le inclinazioni e gli interessi e permette a tutti di rivelare le proprie attitudini anche in vista delle ulteriori scelte scolastiche e professionali con esclusione di ogni determinazione prematura e di considerazioni e fattori esterni alle capacità e alle tendenze di ciascun alunno.
L’insegnamento all’inizio si innesterà di conseguenza sull’effettivo grado di sviluppo e di preparazione conseguito nel corso dell’istruzione primaria tenendone presenti i caratteri.
Lo studio delle singole discipline richiederà la più vasta adozione possibile di processi induttivi, che muovano dall’esperienza vissuta dagli alunni, dal loro mondo morale e affettivo, dall’osservazione dei fatti e dei fenomeni per passare progressivamente a sempre più organiche e consapevoli sistemazioni delle cognizioni acquisite.
Le indicazioni fornite negli anni seguenti dal Ministero della Pubblica Istruzione relativamente all’orientamento sono destinate quasi esclusivamente alla scuola media, mentre al Ministero del Lavoro si devono le iniziative nei confronti di apprendisti e allievi di corsi professionali [Tozzi 1976, 75-77]. Nel 1966, con apposito decreto presidenziale viene istituito il «consiglio di orientamento», che il consiglio di classe deve esprimere, «motivandolo con un parere non vincolante», per gli ammessi agli esami di licenza media (d.p.r. 14 maggio 1966, n. 362), sancendo in modo esplicito la funzione di indirizzo dell’ultimo segmento della scuola dell’obbligo.
Già negli anni Settanta, tuttavia, almeno in area pedagogica, inizia a farsi strada il principio dell’«orientamento continuato e diacronico», che – sono parole del pedagogista Cesare Scurati [1976, 241] – «trova ampio riscontro nel concetto di educazione permanente». La scuola, in questa prospettiva, diventa uno degli ambienti di apprendimento in cui è possibile acquisire un’educazione, e l’orientamento «si profila, allora, come una funzione della vita sostenuta e corroborata, fra le altre istituzioni, dalla scuola» [ibidem]. La {p. 83}funzione di orientamento verrebbe così esercitata – questa è ancora la tesi di Scurati – non solo mediante l’impiego di appositi servizi centralizzati, ma anche «attraverso la sua usuale struttura organizzativa e didattica» [ibidem, 244], ovvero, per esempio, con la strutturazione dei cicli didattici, con il ricorso alle materie opzionali, con la «valutazione collegiale, longitudinale, integrata», che «deve utilizzare ogni strumento possibile di conoscenza continua dell’alunno (libretto scolastico, cartella personale)» [ibidem, 245], con le classi di transizione, ma anche con l’eliminazione delle classi, con visite alle fabbriche e stage, e anche, poiché «l’insegnamento non è un fattore di trascurabile importanza agli effetti del contributo della scuola al processo di autorientamento dell’alunno» [ibidem], con l’introduzione di metodologie didattiche individualizzate, attive, interdisciplinari.

2. Una svolta non decisiva: il ruolo formativo dell’orientamento

Nel 1992 – l’anno della firma del Trattato di Maastricht – vengono pubblicati i risultati di un’indagine condotta da un gruppo di lavoro ministeriale sulle varie esperienze di orientamento nella scuola media, la cui specificità orientativa, ribadita fermamente dai programmi del 1979, rimane uno dei pilastri del sistema di istruzione italiano. Si legge nel primo capitolo:
È noto che, secondo la prassi più diffusa nella nostra scuola media e benché non manchino alcuni segnali positivi, l’orientamento assume un aspetto più informativo che formativo. Risulta, infatti, che varie scuole si limitano di solito ad incontri con enti o con rappresentanti delle scuole secondarie di secondo grado per illustrare le caratteristiche delle varie attività professionali e dei diversi indirizzi di studio [Ricevuto 1992, 7].
Le conclusioni dell’indagine condotta su oltre settecento scuole evidenziano con qualche imbarazzo i punti critici del lavoro sull’orientamento, che sembra ancora un corpo estraneo alla scuola italiana:{p. 84}
  1. «il numero delle scuole che elaborano progetti triennali di orientamento, ai quali facciano riscontro comportamenti operativi coerenti, è decisamente esiguo» [ibidem, 109];
  2. «le attività sperimentali, anche quando attestano una presumibile vivacità educativa, non sono quasi mai finalizzate all’orientamento in modo intenzionale e programmatico» [ibidem, 110];
  3. «l’utilizzazione occasionale dell’operatore tecnologico e, in misura molto più ridotta, dell’operatore psicopedagogico ai fini dell’orientamento risulta pressoché irrilevante sul piano della qualità e della incisività degli interventi» [ibidem];
  4. «il rapporto tra la programmazione e l’effettivo perseguimento degli obiettivi di fondo […] presenta uno scarto vistoso e preoccupante» [ibidem];
  5. si presta poca o nessuna attenzione al coinvolgimento degli alunni, dei docenti, dei genitori e di enti e istituzioni;
  6. il consiglio di orientamento, «notoriamente poco significativo e spesso disatteso», scaturisce «da criteri e modalità di verifica prevalentemente empirici e intuitivi» [ibidem, 111];
  7. «solo meno di un quarto delle scuole medie del campione svolge un ruolo attivo nelle iniziative di aggiornamento dedicate alle problematiche dell’orientamento» [ibidem, 112].
È su questo sfondo che vanno osservati i successivi interventi normativi, che – a partire dalla direttiva ministeriale 487 del 6 agosto 1997– cercano innanzitutto di dare una cornice teorica solida alle pratiche di orientamento nei diversi gradi e ordini della scuola italiana, quindi provano a individuare strumenti adeguati a creare per la prima volta un sistema integrato di orientamento. L’art. 1 della Direttiva sull’orientamento delle studentesse e degli studenti (487/1997) è una pietra miliare della storia dell’orientamento in Italia:
L’orientamento – quale attività istituzionale delle scuole di ogni ordine e grado – costituisce parte integrante dei curricoli di studio e, più in generale, del processo educativo e formativo sin dalla scuola dell’infanzia. Esso si esplica in un insieme di attività che mirano a formare e a potenziare le capacità delle studentesse {p. 85}e degli studenti di conoscere sé stessi, l’ambiente in cui vivono, i mutamenti culturali e socio-economici, le offerte formative, affinché possano essere protagonisti di un personale progetto di vita, e partecipare allo studio e alla vita familiare e sociale in modo attivo, paritario e responsabile.
Questa semplice formulazione, coerente con i principi enunciati nella Dichiarazione mondiale sull’educazione per tutti dell’Unesco del 1990 e con la letteratura scientifica che attribuisce all’orientamento un valore formativo, finalizzato allo sviluppo delle competenze di autorientamento e per l’empowerment dei soggetti [Batini 2015, 21], è il primo frutto di un percorso iniziato nel 1996 con l’istituzione di un gruppo di lavoro nazionale formato da ispettori, dirigenti scolastici ed esperti coordinato da Clotilde Pontecorvo [1]
, e proseguito poi con il progetto ORME, che per la prima volta ha interessato esplicitamente la scuola dell’infanzia e la primaria [2]
.
Frutto di una stagione di riforme iniziata nella seconda metà degli anni Novanta con il ministro Luigi Berlinguer, questo documento – che è alla base di ogni successiva riflessione ministeriale sull’orientamento – andrebbe letto nel quadro del complesso progetto di riforma dell’intero sistema di istruzione così come viene ridefinito dalla Legge-quadro in materia di riordino dei cicli dell’istruzione (legge 10 febbraio 2000, n. 30), e mai realizzato.
Secondo il disegno di riforma, il sistema avrebbe dovuto essere articolato in due cicli, la scuola di base, della durata di sette anni (da 6 a 13 anni d’età), e la scuola secondaria, della durata di cinque anni (da 13 a 18), con l’obbligo scolastico prolungato al primo biennio della secondaria. Quest’ultima avrebbe poi dovuto articolarsi nelle aree classico-umanistica,
{p. 86}scientifica, tecnica e tecnologica, artistica e musicale, ed essere realizzata negli istituti di istruzione secondaria, che avrebbero assunto tutti la denominazione di licei.
Note
[1] Il lavoro del gruppo e i risultati del progetto di orientamento affidato alla direzione scientifica di Clotilde Pontecorvo nel 1996 sono pubblicati in tre volumi fondamentali, dedicati rispettivamente alla formazione orientativa [Ministero della Pubblica Istruzione 1998a], ai modelli e strumenti [Ministero della Pubblica Istruzione 1998b] e alla valenza orientativa delle discipline [Ministero della Pubblica Istruzione 1998c].
[2] Si rinvia al cap. 3, pp. 121-123.