Giulia Guglielmini, Federico Batini (a cura di)
Orientarsi nell'orientamento
DOI: 10.1401/9788815411648/c2

Capitolo secondo L’orientamento a scuola: da quello che vuole «l’uomo giusto al posto giusto» a quello che insegna a costruire futuri inclusivi e desiderabili per tutti
di Salvatore Soresi, Laura Nota, Maria Cristina Ginevra e Sara Santilli

Abstract
Nell’affrontare le tematiche dell’orientamento oggi, è necessario tenere presente che la sua storia, anche nella letteratura internazionale, va di pari passo con le evoluzioni che hanno accompagnato le trasformazioni del mondo della formazione, del lavoro, delle società, che dall’inizio del Novecento ai tempi attuali si sono succedute. Ciò che crea dello sconcerto è che oggi, nonostante gli avanzamenti della ricerca scientifica lo scenario in materia di orientamento, si parla ancora di attitudini, interessi, motivazioni, stadi; sembra che non vi sia consapevolezza del fatto che si tratta di espressioni e costrutti che si ispirano a visioni dell’Orientamento 1.0 e 2.0. La realizzazione della Società 5.0 chiede alla scuola e all’orientamento di diventare anch’essi 5.0. Per quanto riguarda la scuola, anche se qui non riusciamo ad approfondire il punto, diventerà sempre più 5.0 se farà via via più ricorso alle pratiche laboratoriali smettendola di utilizzare osservazioni e interventi con le intenzioni del valutatore e del certificatore di impronta essenzialmente neoliberista. L’Orientamento 5.0, quello che vorremmo vedere più spesso praticato, richiede di fatto alle scuole, dalle primarie all’università, l’importante compito di stimolare, proporre e supportare la realizzazione di laboratori di orientamento. A livello macro diventano essenziali l’amore e la propensione a livello strutturale per questioni di giustizia sociale e ambientale, e a livello meso il porre al centro la formazione di chi si vuole occupare di orientamento, che necessita di dare nutrimento a tanta consapevolezza critica del presente, a padronanza delle evoluzioni concettuali delle teorie e delle pratiche di orientamento, nelle loro interazioni con i processi educativi e lavorativi, a processi trasformativi che liberino gli orientatori e le orientatrici in primis dal giogo del presente, o peggio del passato, dell’operare per produrre l’adattamento al mondo così com’è.

1. Introduzione

Nell’affrontare le tematiche dell’orientamento oggi, è necessario tenere presente che la sua storia, anche nella letteratura internazionale, va di pari passo con le evoluzioni che hanno accompagnato le trasformazioni del mondo della formazione, del lavoro, delle società, che dall’inizio del Novecento ai tempi attuali si sono succedute.
Se da un lato, e per ragioni di spazio, qui non possiamo ripercorrere e delineare in modo profondo le connessioni così come abbiamo fatto in altre sedi [Soresi et al. 2009; 2014] a proposito delle evoluzioni che in poco più di un secolo hanno portato l’orientamento, l’istruzione, il lavoro e le società ad ispirarsi, prima a visioni classificabili come 1.0 e oggi come 5.0, dall’altro ci sta a cuore far emergere alcuni aspetti significativi di tali intrecci in ossequio anche alle indicazioni presenti nella letteratura internazionale. Di fatto è oramai ampiamente condivisa la necessità che queste questioni vengano affrontate alla luce della teoria della complessità, evitando superficialismi e semplificazioni [Nota et al. 2020; Rossier e Masdonati 2023; Soresi e Nota 2020; Soresi et al., in corso di stampa], con l’ancoraggio all’idea che il guardare al futuro non si può più accontentare di certificazioni, anticipazioni e probabilistiche valutazioni di ciò che può essere considerato sufficientemente prevedibile a breve e brevissimo termine nelle fasi di transizione. {p. 56}
E quindi, e in altri termini e anticipando le conclusioni, l’orientamento a scuola avrà qualche probabilità di essere efficace e di validità sociale solo se sarà precocemente impostato (molti anni prima delle tradizionali epoche di transizione), con ottiche curricolari, con una sua autonomia e dignità di azione, con un suo status distinto da altre azioni disciplinari, affidato ad operatori scolastici o non, accomunati, in ogni caso, dall’aver beneficiato di un percorso specifico di formazione post-lauream come d’altra parte avviene in altri paesi e come richiedono tutte quelle associazioni internazionali che, per l’ammissione, controllano il percorso formativo e professionale effettuato da coloro che desiderano essere riconosciuti competenti in questa disciplina.
Nelle pagine che seguono, dopo aver brevemente ricordato le caratteristiche che dovrebbero essere riconosciute all’orientamento che guarda effettivamente al futuro, faremo riferimento ai laboratori che in questa direzione potrebbero essere realizzati nelle scuole e che il Laboratorio Larios (Laboratorio di Ricerca e Intervento per l’Orientamento alle Scelte) dell’Università di Padova ha già sperimentato e presentato in diverse occasioni. Nelle conclusioni si farà essenzialmente riferimento alla formazione e alla professionalità che dovrebbero essere richieste a coloro che intendono dedicarsi a «insegnare» come immaginare, progettare e costruire futuri di qualità per tutti e tutte.

2. Un po’ di storia dell’orientamento a scuola… per arrivare a quello 5.0 che oggi non si accontenta più di profilare e certificare competenze

Nel tracciarne la «storia» dobbiamo ricordare che prima che si iniziasse a parlare di orientamento, nelle epoche antecedenti alla rivoluzione industriale della fine del XVIII secolo, l’educazione, la formazione e il lavoro già risultavano interconnessi con la cultura, le tradizioni e la vita quotidiana delle comunità con l’obiettivo principale di preparare i giovani a essere membri attivi e produttivi della società, trasmettendo conoscenze pratiche, valori {p. 57}morali e abilità sociali, spesso con le relative forme di stratificazione. Con l’evolversi delle società, l’educazione ha subito cambiamenti significativi, dando origine a diversi approcci e sistemi di istruzione che sono culminati nelle moderne concezioni dell’educazione. Tutto questo, agli inizi del Novecento, si è intrecciato con l’orientamento che a sua volta ha registrato, nell’arco di pochi decenni, differenti e consistenti evoluzioni.
Ciò che crea dello sconcerto è che oggi, nonostante gli avanzamenti della ricerca scientifica lo scenario in materia di orientamento, sia quello che viene praticato nelle scuole che nei servizi, ma anche nei ministeri che si occupano di istruzione e lavoro, e nelle loro linee guida, si parla ancora di attitudini, interessi, motivazioni, stadi; sembra che non vi sia consapevolezza del fatto che si tratta di espressioni e costrutti che si ispirano a visioni dell’Orientamento 1.0 e 2.0, alle prime fasi dello stesso, ai lavori di Parsons [1909], Holland [1973] e Super [1953], che possiamo ascrivere proprio ai primi decenni del secolo scorso. Sembra che non vi sia consapevolezza delle teorie e dei paradigmi che hanno dato vita ai loro linguaggi e alle loro pratiche, né di quanto è seguito.
Di fatto all’Orientamento 1.0 e 2.0 sono seguite altre visioni, quella che potremmo chiamare 3.0, che ha proposto paradigmi più marcatamente socio-cognitivi, grazie ad autori come Lent, Brown e Hackett [1994], maggiormente socio-costruttivisti e orientati a considerare le storie delle vite delle persone e dei loro contesti attraverso la narrazione e la messa a fuoco di come si tenda a narrare i passati, i presenti e a costruire i futuri, o tesi a riflettere sui processi decisionali alla luce delle teorie dell’apprendimento, del decision making, della valorizzazione delle opportunità anche casuali e degli assunti propri della teorie della complessità [Gati 2013; Mitchell et al. 1999; Krumboltz 1996; Pryor e Bright 2016] [1]
. Inoltre, seppur con origini già negli anni {p. 58}Quaranta, fra la fine del Novecento e gli inizi del Duemila si è evoluto quello che possiamo chiamare Orientamento 4.0 che si basa sul ricorso alle nuove tecnologie informatiche e comunicative [Soresi et al. 2014; Soresi 2023] [2]
.
Ora, anche in seguito alla pandemia di Covid-19 e agli allarmi sociali che provengono da più parti, si inizia a parlare della necessità di pensare a un Orientamento 5.0, in termini di dispositivo di prevenzione, di giustizia sociale e ambientale, di inclusione, effettivamente human centric, in vista della Society 5.0, verso la quale l’umanità, anche se con ritmi e tragitti eterogenei determinati dai diversi scenari geopolitici, sembra andare.
Quindi considerando lo sconcerto, per fornire una griglia di valutazione delle pratiche di orientamento che vengono ancor oggi proposte, facciamo un breve affondo sull’Orientamento 2.0 che ha come riferimento principale quel Frank Parsons, considerato il padre dell’orientamento moderno, che stride, per altro, anche con gli avanzamenti in ambito educativo, per passare poi direttamente a quello 5.0 che ci proietterà verso la cosiddetta Società 5.0.
Orientamento 2.0 (siamo ancora fermi qui). Con l’inizio del XIX secolo, e con l’opera di Parsons, l’orientamento, pur continuando a guardare con attenzione alle offerte lavorative, incomincia a mettere al centro dei suoi interessi le persone e la possibilità di operare scelte e decisioni lavorative. L’orientamento inizia ad assumere una valenza {p. 59}sociale e Lawrence [1994] ci ricorda che dobbiamo a Parsons sia le prime riflessioni a proposito del fatto che le città dovevano essere pensate e progettate a favore del benessere delle persone, sia l’apertura del primo Centro pubblico di orientamento professionale. Al contempo è il periodo in cui si fa strada una visione prettamente psico-attitudinale dell’orientamento e vige la convinzione che esso riguardi il «trattino» nella relazione fra la persona e l’ambiente (P-A) [3]
. Compare il primo manuale «teorico-pratico» che per molto tempo ha rappresentato la fonte bibliografica di riferimento di quanti erano interessati ad impegnarsi in questa professione [Parsons 1909]. In esso si sostiene che il professionista dell’orientamento doveva essere adeguatamente preparato per poter ricoprire un ruolo fondamentale di guida verso le scelte «oculate» promuovendo:
1) una chiara comprensione di sé stessi, delle proprie attitudini, delle proprie capacità, dei propri interessi, delle proprie ambizioni, delle proprie risorse, dei propri limiti e delle loro cause; 2) la conoscenza dei requisiti e delle condizioni di successo, dei vantaggi e degli inconvenienti, delle retribuzioni, delle opportunità e delle prospettive future dei diversi tipi di attività; e 3) un ragionamento attento sulle relazioni tra queste due classi di fattori [ibidem, 5].
Già allora, come ricordano anche Guichard e Huteau [2001], nel declinare le fasi dell’orientamento, Parsons sosteneva la necessità di partire dalla «domanda» del cliente e dalla possibilità di «permettergli di trarre il meglio dalle carte che aveva in mano, tenendo conto delle limitazioni che gli venivano imposte dai contesti in cui si trovava. Implicitamente, il modello dominante era quello di un adattamento al mondo così com’è» [ibidem, 31].
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Note
[1] Orientamento 3.0: si tratta di contributi che hanno rappresentato le punte di diamante per una transizione da un orientamento prettamente valutativo e certificativo a uno maggiormente ossequioso nei confronti delle teorie della complessità, del principio della personalizzazione puntando alla ricerca di futuri maggiormente di qualità per tutti.
[2] L’Orientamento 4.0 ha iniziato a ricorrere all’impiego delle nuove tecnologie anche per accompagnare studenti, studentesse e lavoratori e lavoratrici impegnati, nel corso delle cosiddette fasi di transizione, alla scelta scolastico-professionale. In materia ci sono tanti esempi [Soresi et al. 2014]. Alcuni riferimenti ad esso sono presenti anche nelle nuove linee guida confermando quel luogo comune secondo il quale con l’orientamento si debbono fornire indicazioni che continuano a guardare indietro, ai passati delle persone e dei contesti o, nel migliore dei casi, ad analizzare il presente per effettuare anticipazioni su futuri a brevissimo termine procedendo con metodologie «anticipatorie» di tipo essenzialmente lineare.
[3] Il trattino (-) che collega i bisogni delle persone a quelli dell’ambiente (P-A) può suggerire anche, però, «neutralità», «equidistanza», «indifferenza»… forse al fine di poter continuare a pretendere riconoscimenti sia da sinistra che da destra!