Orientarsi nell'orientamento
DOI: 10.1401/9788815411648/c7
My Generation,
a cui si fa riferimento, diverrà un brano di culto. La rabbia del suo autore, degli
altri componenti del gruppo e dei/delle giovani che vi si riconoscono prende spunto dal
libro The Generations [1964], nel quale il drammaturgo David
Mercer, di estrazione operaia, dà corpo a una denuncia sociale sul tema del lavoro,
dell’ascesa sociale e del dissidio tra individuo e istituzioni. Il celebre verso di
My Generation «Spero di morire prima di diventare vecchio»,
richiama alla memoria l’incipit dell’opera di Nizan del 1931
Aden Arabie: «Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire
che questa è la più bella età della vita» [Nizan 1994, 65], ma è soprattutto espressione
del sommovimento che anima quei giovani e che investe totalmente l’intero impianto della
società del tempo [Bocci 2016].
¶{p. 184}
Con la consapevolezza odierna,
rileviamo come si sia in presenza di una vera e propria rivoluzione intersezionale, che
pone in discussione in modo non disgiunto le questioni inerenti al sesso, al genere,
alla razza, alla povertà, alla disabilità, tutte legate al filo conduttore del loro
rapporto con il potere, e con l’ordine costituito che lo sorregge, con il desiderio di
libertà, di emancipazione e di autodeterminazione.
Si prenda in considerazione, in tal
senso, la crescente avversione di qui giovani per le barbarie della Guerra del Vietnam,
il contrasto al razzismo e alla segregazione razziale, con la presenza di figure
ispiratrici quali Martin Luther King e Malcom X, così come delle Pantere Nere fondate da
Newton e Seale. Si pensi, al tempo stesso, alla lotta contro il patriarcato e alla
rivoluzione sessuale, con l’azione dei movimenti femministi e di quelli per i diritti
delle comunità gay e lesbiche (il riferimento è alla Rivolta di
Stonewall del 1969). Non di meno, si considerino anche le battaglie per i
diritti e per la vita indipendente delle persone disabili, che trovano all’Università di
Berkeley e nella figura di Ed Roberts le prime esperienze di autodeterminazione che
sfociano, nel 1972, nella nascita dell’Agenzia per la vita
indipendente. Contestualmente, nel 1971, si realizza l’esperienza di
Camp Jened, narrata nel film Crip Camp
(Newnham e LeBrecht 2020), che ha tra i suoi protagonisti Judith (Judy) Ellen Heumann;
nel mentre in Europa, grazie ad attivisti disabili di matrice marxista (Paul Hunt, Vic
Finkelstein e Mike Oliver), nasce la Union of the Physically Impaired Against
Segregation. La forte spinta deistituzionalizzante, anche sull’onda del
Maggio francese del 1968, trova poi un approdo in Italia con la
chiusura delle istituzioni speciali, così come dei manicomi con la legge Basaglia.
Orbene, questa lunga premessa di
matrice storico-culturale ci è utile per affermare come quello dell’orientare,
dell’essere orientati e dell’orientarsi sia un percorso/processo ricco di implicazioni
socio-culturali, le quali, a loro volta, risentono di quelle economico-politiche delle
quali sono espressione. Dirigere sé stessi [Pellerey, Margottini e Ottone 2020],
pertanto, rappresenta un atto che non è mai neutro, avendo a che fare con dimensioni che
chiamano in causa la ¶{p. 185}persona/personalità di ciascuno/a di noi
così come le innumerevoli variabili che attengono ai fattori contestuali di tipo
ambientale. Questi, a loro volta, si riferiscono alle risorse disponibili per attivare
processi decisionali realmente autonomi ma, non da meno, si correlano ad aspetti
meno visibili ma altrettanto attivi, quali sono quelli inerenti
al sesso, alla provenienza culturale, all’identità di genere, all’orientamento sessuale,
alla percezione (auto/eterodiretta) di essere più o meno abili nel poter svolgere
determinate attività e così via.
Approfondiremo tali dimensioni e
questioni nei prossimi paragrafi, evidenziando ora come i modelli interpretativi ai
quali ci siamo fin qui richiamati siano quelli Bio-Psico-Sociale,
del Capability Approach e dei Disability
Studies (soprattutto nella più recente prospettiva intersezionale).
Ciò significa che nell’alveo della
cornice della diversità umana, che chiama in causa i principi di
giustizia, di equità e di
libertà, l’analisi dei processi di capacitazione per mezzo dei
quali i singoli e le comunità ricercano/perseguono il ben-essere
proprio e altrui quale espressione di autodeterminazione individuale e collettiva,
richiede l’individuazione, l’esplicitazione e la decostruzione delle logiche elitarie,
sessiste, razziste e abiliste che dominano, con le loro retoriche discorsive e i loro
dispositivi, le nostre attuali società favorendo (per poche/i) o limitando (per la
moltitudine) le reali possibilità/opportunità di emanciparsi, autodeterminarsi e
autorealizzarsi.
La questione, pertanto, non concerne
tanto il riequilibrio rispetto alle iniquità esistenti con l’aggiunta di risorse per chi
ha di meno (i disabili, i poveri, gli
stranieri, le donne) in modo che possano
anche loro fiorire, né l’individuazione e messa a disposizione per
queste categorie svantaggiate di facilitatori
utili a fronteggiare le barriere sociali che ne ostacolano lo sviluppo, quanto lo
smantellamento del sistema stesso che genera le iniquità e gli ostacoli.
In modo particolare ciò deve
attuarsi uscendo dalle logiche individualistiche e competitive tipiche dell’attuale
modello dominante, le quali introiettano (e distorcono) anche costrutti interessanti,
soprattutto quando generatori di visioni della creatività
umana.¶{p. 186}
Ci viene qui in mente il
flow, costrutto elaborato nel 1990 da Mihály Csíkszentmihályi
[2021] nell’ambito degli studi sulla creatività umana e ritenuto il vettore per la
ricerca del benessere autorealizzativo di ciascuno/a. Il flusso
costituisce uno stato mentale percepito dalla persona allorquando si sente
pienamente immersa in una certa attività: una condizione di coinvolgimento emozionale
totale, tale da far perdere la nozione del tempo, secondo quelli che sono i canoni
occidentali. Tradotto in modo più diretto, affermiamo che la persona che si trova
nel flusso sente di essere la persona giusta, nel
momento giusto mentre fa la cosa giusta per sé. È facilmente intuibile la
rilevanza che la ricerca di questo stato può avere sul benessere esistenziale di
ciascuno/a, soprattutto rispetto alle scelte di autodeterminazione e autorealizzazione
nel mondo della vita, a partire da quelle che riguardano lo studio, il lavoro, le
attività sociali in generale. Non a caso lo studioso ha applicato il suo
costrutto/modello a vari campi [Csíkszentmihályi 1996; 1998; 2003; Gardner,
Csíkszentmihályi e Damon 2001], occupandosi anche di orientamento degli adolescenti
nella transizione verso l’adultità e il mondo del lavoro [Csíkszentmihályi e Schneider
2002].
Il problema è l’introiezione di
questo modello – originariamente finalizzato alla promozione della creatività e al
raggiungimento del sé autentico – all’interno di logiche (economico-finanziarie, quindi
socio-politico-culturali) neoliberiste. Il rischio è quello dell’esaltazione di
componenti individualistiche finalizzate alla mera produttività, come quando si legge
che l’esperienza ottimale derivante dal flusso
può essere controllata, in modo da divenire uno
strumento per sbloccare risorse e
dare il meglio di sé oppure quando si individuano come esiti
l’aumento della produttività e il progresso
misurabile.
Certamente si tratta di letture che
esulano dall’intento originario, ma con le quali dobbiamo fare i conti. Fermo restando
che le condizioni esterne (vincoli, pregiudizi, influenze socio-economico-culturali,
ecc.) e interne (concetto di sé, stile attributivo, senso di autoefficacia, introiezione
di valutazioni estrinseche, ecc.) delle singole soggettività non sono affatto neutre
rispetto alla possibilità di attivare ¶{p. 187}stati di flusso ed
esperienze ottimali, occorre – ancora una volta – uscire fuori da logiche
economicistiche applicate alla creatività e a quella ricerca autentica del sé attraverso
processi emancipativi e autorealizzativi che sono alla base dell’orientamento quale
processo diacronico.
Logiche economicistiche come quella
affermata da Richard Florida, il quale in L’ascesa della nuova classe
creativa [2003] analizzando i fattori
(talento, tolleranza,
tecnologie) alla base dello sviluppo economico di alcune realtà (come la
Silicon Valley) giunge a disegnare una nuova struttura (piramidale) della società, con a
capo i supercreativi (generatori delle
metaidee) e alla base i prestatori di
servizi. Nel fare ciò invita a
imbrigliare/canalizzare la creatività in modo che tale risorsa
(evidentemente più economica che esistenziale) non vada perduta.
Siamo in presenza di quello che
Pekka Himanen [2003] chiama il fenomeno della venerdizzazione della
domenica, esaltazione massima dell’etica protestante del lavoro
(il tempo è denaro). La felicità, a cui si richiama peraltro
anche Csíkszentmihályi come fine ultimo del flow, è qui
strettamente connessa al successo (economico) del singolo e dell’élite di cui è
espressione. Diversamente, come suggerisce lo stesso Himanen, se vogliamo modificare
tale sistema dobbiamo fare nostra l’Etica Hacker e nutrire la
sabatizzazione del venerdì, recuperando così il
tempo dell’esistere come valore assoluto. Un tempo
del ben-essere individuale e collettivo, dove,
aggiungiamo, l’assenza del secondo pregiudica il senso del primo. Il tempo, quindi, non
come mezzo per raggiungere scopi e obiettivi estrinseci ed eterodiretti ma come fine
ultimo, per perseguire il proprio e altrui benessere e agire con coscienza (politica) la
propria e altrui autodeterminazione.
Un discorso squisitamente
pedagogico, come evidenzia anche bell hooks, quando afferma:
L’educazione progressista e olistica, la «pedagogia impegnata» […] promuove il benessere. Ciò significa che chi insegna deve impegnarsi attivamente in un processo di autorealizzazione capace di promuovere il proprio benessere personale, per poi essere in grado di fornire strumenti di autodeterminazione agli studenti [hooks 2020, 47].¶{p. 188}
Siamo in presenza di quell’atto di
educare/educarsi cui spesso ci ha invitato Andrea Canevaro ricordandoci, tra le molte
cose, che in quanto adulti siamo chiamati ad aprire spiragli e a intravedere spazi di
crescita che non andremo ad abitare noi educatori ma andrà ad abitare chi cresce e si
educa.
Giunti a questo punto, come
anticipato, a partire da queste brevi riflessioni introduttive soffermeremo l’attenzione
sul cuore della nostra argomentazione che fa riferimento alle questioni emergenti
dall’intreccio/intersezione tra genere, processi identitari e orientamento.
2. Genere, identità e orientamento
Quello dell’intersezione tra
orientamento e genere è un tema relativamente recente sia in Europa che in Italia,
successivo ai movimenti femministi degli anni Settanta del secolo scorso. Fino a quel
momento, infatti, era indiscusso, naturale, quando non decretato
per legge, che alcune professioni fossero inaccessibili alle donne e altre lo fossero
per gli uomini. Oggi, invece, in Italia nessun lavoro è precluso per motivazioni legate
al genere: eppure, tuttora il linguaggio riflette la difficoltà di definire al femminile
lavori storicamente svolti dagli uomini (si pensi al dibattito linguistico sul
corrispettivo femminile di ministro, sindaco,
assessore, così come sul femminile di professioni ormai svolte
senza una prevalenza di genere, come architetto,
avvocato, medico). Da notare, inoltre,
l’assenza del maschile (senza connotazioni canzonatorie) di attività di cura domestica,
giacché termini come casalingo, massaio –
insieme al più comune mammo (il cui naturale equivalente sarebbe
papà) – sono usati in maniera parodistica: esiste insomma un
lessico dispregiativo per gli uomini che si dedicano alla casa o alla cura,
manifestazione evidente di una concezione tuttora patriarcale della società e del lungo
cammino da affrontare per la parità
[2]
. Per definire la prostituzione maschile,
¶{p. 189}invece, si
preferisce ricorrere al francese gigolò, in origine riferito al
maschio mantenuto da ricche signore e non alla prostituzione tout
court [Burgio et al. 2023].
Note
[2] Diversamente le professioni di nuova generazione, soprattutto quelle legate al mondo dei social media e definite da termini inglesi neutri (influencer, hairstylist, coach), non pongono il problema di stabilire una differenziazione maschile/femminile.