L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c15
Le parole che seguono sembrano
tuttavia esprimere un certo scetticismo, per l’applicazione giurisdizionale della
prospettiva dell’interlegalità: proprio contemperando tali differenti ma altrettanto
rilevanti prospettive, aggiunge infatti l’avvocato generale, le autorità degli Stati
membri, al fine di attribuire all’ordine di deindicizzazione effetti di portata
globale, dovrebbero poter previamente definire anche nel contesto mondiale la
portata del contrapposto diritto all’informazione, per poterlo soppesare rispetto
agli altri valori fondamentali tutelati mediante il riconoscimento del diritto
all’oblio. Si tratta di un’operazione che, ad avviso ancora dell’avvocato generale,
le autorità dell’Unione «non sarebbero in grado» di effettuare, tanto più che «un
siffatto interesse del pubblico ad accedere all’informazione varia necessariamente
da uno Stato terzo all’altro, a seconda della sua collocazione geografica»
[79]
.
¶{p. 435}
Tale operazione, d’altra parte,
sarebbe potenzialmente pericolosa, dato che lancerebbe «un segnale fatale ai paesi
terzi, che potrebbero parimenti disporre una cancellazione in forza delle proprie
leggi», con l’effetto di rischiare una «corsa al ribasso a danno della libertà di
espressione, a livello sia europeo che mondiale»
[80]
. Nondimeno, l’avvocato generale Szpunar non esclude che possano
sussistere casi in cui l’interesse dell’Unione «esiga» l’applicazione del diritto
all’oblio anche al di fuori del territorio dell’Unione stessa; il che, tuttavia,
dipenderà dalle circostanze del caso concreto
[81]
.
Riprendendo le conclusioni
dell’A.G. Szpunar, la Corte di giustizia osserva che, essendo Internet «una rete
globale senza frontiere» il cui funzionamento conferisce «ubiquità alle informazioni»
[82]
, un’eventuale decisione sulla portata territoriale del diritto all’oblio
debba riconoscere altresì la posizione degli Stati terzi, alcuni dei quali non
garantiscono il diritto alla deindicizzazione o nei quali, comunque, «l’equilibrio
tra il diritto al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali,
da un lato, e la libertà di informazione degli utenti di Internet, dall’altro, può
variare notevolmente»
[83]
. Di conseguenza, il bilanciamento che è stato operato da parte del
legislatore europeo non può estendersi al di fuori dei confini dell’Unione, senza
tener conto delle concorrenti prerogative di tutti gli Stati terzi sui quali la
decisione produrrebbe effetti.
In definitiva, nel ragionamento
seguito dall’avvocato generale e dalla Corte di giustizia si trova una prima
conferma dell’utilità della categoria dell’interlegalità, anche in una prospettiva
normativa, ogniqualvolta l’ubiquità dei contenuti sul Web determini
l’interconnessione di una pluralità di ordinamenti, le cui concorrenti ragioni non
posso essere ridotte a mero «fatto esterno», costituendo piuttosto un fattore
giuridico che contribuisce alla definizione del diritto
¶{p. 436}applicabile al caso concreto, anche rispetto alla
modulazione degli effetti della decisione. Soprattutto in quest’ultimo caso,
tuttavia, sembra emergere anche una sorta di timore per l’interlegalità, là dove la
prospettiva adottata non è quella dell’ordinamento chiamato a contemperare tutte le
legalità concorrenti nella propria decisione, bensì quella dell’ordinamento che, nel
caso concreto, debba «affidare» il riconoscimento delle proprie ragioni all’autorità
di un ordinamento straniero.
4.3. La valutazione giurisdizionale dei provvedimenti di Facebook tra pubblico e privato
Se i due casi sinora
approfonditi possono costituire significativi esempi dell’intersezione
dinamica tra singole legislazioni nazionali (nella prima
ipotesi) e tra la legislazione europea e quelle di Stati terzi (nella seconda
ipotesi), occorre dar conto di un’ulteriore dimensione nella quale può verificarsi
l’interconnessione di vettori normativi, in conseguenza delle peculiari
caratteristiche che il cyberspace assume quale oggetto di
regolazione.
A tal proposito, è interessante
analizzare due recenti casi nei quali due tribunali italiani sono stati chiamati a
pronunciarsi sulla legittimità della disattivazione da parte di Facebook di pagine e
profili personali riconducibili a due noti partiti politici di estrema destra,
motivate dal social network in ragione del ritenuto contrasto dei contenuti
pubblicati con le Condizioni d’uso e gli Standard della Community che regolano i
comportamenti degli utenti a livello globale
[84]
.
Benché i due casi si siano
conclusi con un esito diametralmente opposto, è significativo che entrambi gli
organi giudicanti, nella motivazione dei rispettivi provvedimenti,
¶{p. 437}abbiano assunto la prospettiva dell’interconnessione tra i
plessi normativi – pubblico e privato – contemporaneamente rilevanti rispetto alla
fattispecie, applicando sì le norme che, con efficacia globale, regolano i rapporti
tra Facebook e i singoli utenti, ma sovrapponendovi altresì il diritto applicabile
all’interno dell’ordinamento nazionale.
Nel primo caso
[85]
, tuttavia, premesso che il rapporto tra Facebook e l’utente debba
ritenersi integrato dai principi costituzionali e ordinamentali validi a livello nazionale
[86]
, quali «limiti cogenti ed esterni alla disciplina contrattuale»
[87]
, si è ritenuto che non si possano riconoscere a un soggetto privato
«poteri sostanzialmente incidenti sulla libertà di manifestazione del pensiero e di
associazione», soprattutto laddove questi eccedano «i limiti che lo stesso
legislatore si è dato nella norma penale»
[88]
. Di conseguenza, è stata ritenuta illegittima la cancellazione di pagine
e profili, anche se giudicata da Facebook contrastante con la propria disciplina
interna, perché tale decisione finiva per limitare fortemente le possibilità per
l’associazione politica coinvolta di esprimere i propri messaggi – comprimendo il
pluralismo dei partiti politici garantito dall’art. 49 Cost. – e perché Facebook
avrebbe potuto, eventualmente, rimuovere di volta in volta i singoli contenuti
ritenuti non accettabili. Nel secondo caso
[89]
, all’esito dell’analisi di post e comunicati diffusi su pagine e profili
oscurati, si è invece pervenuti alla soluzione opposta, ritenendo legittima la
disabilitazione disposta da Facebook, non soltanto sulla base delle condizioni
contrattuali concordate tra le parti, ma anche e soprattutto in base a «tutto il
¶{p. 438}complesso sistema normativo»
[90]
derivante dall’intersezione tra il diritto internazionale, il diritto
dell’Unione europea e il diritto interno.
In entrambe le decisioni,
dunque, i giudici nazionali sembrano aver riconosciuto effettiva normatività alla
disciplina adottata da Facebook, ammettendo che il rapporto tra il social network e
l’utente «non è assimilabile al rapporto tra due soggetti privati qualsiasi»
[91]
, ma che la riconosciuta rilevanza di tale regime «spontaneo» non
preclude la coesistenza e la contestuale applicabilità di tutte le disposizioni
parimenti rilevanti nel caso concreto.
L’esito contrapposto dei due
giudizi – pur a fronte di un caso concreto sostanzialmente analogo
[92]
– dimostra, tuttavia, la delicatezza della valutazione che il metodo
dell’interlegalità demanda al giudice del caso: l’indicazione di contemplare
nell’identificazione del diritto del caso concreto le diverse legalità concorrenti
non dota, infatti, il giudice di un criterio «algebrico» per soppesare le istanze
normative coesistenti, ma anzi gli affida una decisione di estrema complessità, che
può condurre anche a conclusioni tra loro non coerenti.
5. Conclusioni: Internet e la soluzione dell’interlegalità
L’analisi svolta suggerisce che il
Web rappresenti, per così dire, una «polveriera» dell’interlegalità, un ambito nel quale
è strutturale la sovrapposizione di molteplici disposizioni contestualmente applicabili
a un singolo caso
[93]
, ¶{p. 439}provenienti da ordinamenti giuridici distinti,
convergenti e dotati di pari forza normativa.
Attorno a Internet, quale oggetto di
regolazione, convivono allora, come si è visto, sullo stesso livello
sia Stati nazionali e ordinamenti sovranazionali, alla cui legislazione la
rete attribuisce una proiezione universale, sia ordinamenti internazionali, sia,
soprattutto, nuovi regolatori globali, che stabiliscono standard tecnici e
comportamentali per lo sviluppo e l’utilizzo della rete. In tale contesto, nessuna delle
prospettive è rinunciabile, contribuendo ciascuna al perseguimento di proprie (talora
convergenti) finalità, e il «diritto» è necessariamente il mixtum
compositum che deriva dalla composizione delle diverse legalità.
Significativo è, dunque, che,
proprio in un settore strutturalmente interlegale, qual è quello della regolazione di
Internet, meccanismi di valutazione comprensivi della prospettiva
dell’altro si stiano affermando sul piano legislativo, sebbene,
per ora, soltanto quale strumento di coordinamento e di soluzione di conflitti, tra
plessi normativi (nazionali, internazionali, sovranazionali, globali) che tuttavia
nascono e rimangono unilaterali
[94]
.
Non pare, tuttavia, che la gestione
di tale complessità giuridica possa essere sempre delegata al giudice, benché questi
possa essere utilmente chiamato a tener conto di tutti i contrastanti regimi, diritti,
obblighi e prerogative – riferibili a Stati, a organizzazioni o finanche a singoli
individui – ai quali dovrà tentare di dare rilievo simultaneamente, collocando il caso
concreto «nel mezzo» di tutti i regimi giuridici che vi convergono
[95]
. L’analisi di alcune pronunce in casi
¶{p. 440}«interlegali»
ha, per vero, dimostrato come, a fronte della complessità del panorama regolatorio
esistente, le singole Corti possano preferire un atteggiamento di tendenziale
autolimitazione, oppure possano giudicare casi analoghi con esiti discordanti, a seguito
di una diversa «ricomposizione» delle varie legalità.
Note
[80] Ibidem, par. 61.
[81] Cfr. ibidem, par. 62. A favore di tale nuanced approach, cfr. Svantesson, Scope of jurisdiction online and the importance of messaging, cit., p. 4.
[82] Corte di giustizia dell’Unione Europea, Google c. CNIL, cit., par. 56.
[83] Ibidem, par. 60.
[84] Entrambe le vicende giudiziarie sono originate dalla decisione, adottata da Facebook e Instagram il 9 settembre 2019, di oscurare le pagine ufficiali e alcuni profili collegati a CasaPound e Forza Nuova. Cfr. Facebook, Instagram close accounts of Italian neo-fascist groups, 9 settembre 2019, su reuters.com.
[85] Cfr. Trib. Roma, Sezione specializzata in materia di Impresa, ord., 12 dicembre 2019, su dejure.it; confermata da Trib. Roma, 29 aprile 2020 (nella causa tra CasaPound e Facebook).
[86] Cfr. Trib. Roma, ord., 12 dicembre 2019, cit.
[87] Trib. Roma, XVII sezione civile, 29 aprile 2020, su accademiaitalianaprivacy.it.
[88] Ibidem.
[89] Cfr. Trib. Roma, Sezione diritti della persona e immigrazione civile, ord. 23 febbraio 2020, su dejure.it (nella causa tra Forza Nuova e Facebook).
[90] Ivi.
[91] Testualmente Trib. Roma, 29 aprile 2020, cit.
[92] Il contrasto tra le due decisioni è stato analizzato, ad es., da C. Caruso, I custodi di silicio. Protezione della democrazia e libertà di espressione nell’era dei social network, in Liber amicorum per Pasquale Costanzo, su consultaonline.org.
[93] Cfr. Internet & Jurisdiction, Global Status Report 2019, pp. 15 ss., su internetjurisdiction.net; in generale, cfr. anche A.D. Murray, The legal challenges of social media, in L. Gillies e D. Mangan (a cura di), Mapping the rule of law for the internet, Edward Elgar, 2016, nonché D.J.B. Svantesson, Internet Jurisdiction and Intermediary Liability, in Frosio (a cura di), Oxford Handbook of Online Intermediary Liability, cit., pp. 692 ss.
[94] Sottolineano de La Chapelle e Fehlinger, Jurisdiction on the Internet: From Legal Arms Race to Transnational Cooperation, cit., pp. 738 ss., come la mancanza di coordinamento produca conseguenze negative in termini economici e abbia un impatto considerevole sui diritti umani di quanti agiscono sul Web, nonché sullo sviluppo tecnico della rete e sulla cybersecurity.
[95] Nella medesima prospettiva sostanziale, Woods, Litigating Data Sovereignty, cit., p. 371; Pollicino e Bassini, The Law of the Internet between Globalisation and Localisation, cit., p. 362. Circa le difficoltà insite in tale approccio, Goldsmith, Sovereign Difference and Sovereign Deference on the Internet, cit., pp. 823 ss.