L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c12
I criteri per ordinare le norme
rilevanti nei processi di attuazione delle politiche pubbliche, piuttosto, sono forniti
dai principi relativi ai rapporti tra fonti interne ed esterne all’ordinamento. Sono
questi principi, stabiliti da ciascun ordinamento, a indicare alle amministrazioni come
mettere in relazione tra loro le norme interne ed esterne che compongono il diritto
composito che sono chiamate ad applicare. È il caso, ad esempio, dei principi del
diretto effetto e della supremazia che governano, nell’ordinamento europeo integrato, i
rapporti tra fonti dell’Unione e fonti del diritto degli Stati membri. È il caso,
ancora, del diverso principio, che potremmo definire di effetto diretto limitato, che
regola, in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia, i rapporti
¶{p. 358}tra fonti del diritto dell’Unione europea e disposizioni dei
trattati internazionali.
Questi principi offrono una
preziosa architettura formale, una trama di criteri funzionali a razionalizzare il
diritto composito con il quale le pubbliche amministrazioni sono chiamate a misurarsi.
Allo stesso tempo, però, presentano alcuni limiti evidenti, dei quali occorre essere
consapevoli e che impediscono loro di orientare in maniera chiara l’azione
amministrativa. Il problema principale è legato alla iper-complessità del quadro
giuridico definito dai principi all’opera nei vari ordinamenti. In tale quadro
giuridico, in effetti, coesistono almeno tre paradigmi diversi: il primo, quello
caratterizzato dalla maggiore chiarezza, relativo ai rapporti tra fonti dell’Unione
europea e fonti degli Stati membri; il secondo, apparentemente chiaro ma problematico
nelle sue concrete applicazioni, relativo ai rapporti tra fonti nazionali e fonti del
diritto internazionale, esemplificate dai trattati internazionali e dalle misure
adottate dalle organizzazioni internazionali; il terzo, assai elusivo e sfuggente,
relativo ai rapporti tra fonti nazionali e fonti del diritto globale. Ciascuno dei tre
paradigmi risponde a una sua logica specifica. È evidentemente coerente con la
prospettiva sovranazionale della piena integrazione ordinamentale il primo paradigma,
mentre il secondo è incentrato sulla capacità di intermediazione dello Stato, le cui
istituzioni operano come gate-keeper, e il terzo aggira tale
capacità di intermediazione senza tuttavia metterla apertamente in discussione
[24]
. Le amministrazioni nazionali, allora, si trovano ad applicare una pluralità
di principi che variano in base alle fonti coinvolte, riflettono diverse prospettive sui
rapporti inter-ordinamentali e possono entrare in conflitto tra loro. Non solo è
iper-complesso il diritto composito che si trovano a gestire nei processi di attuazione
delle politiche pubbliche, ma sono iper-complessi i criteri formali che dovrebbero
ordinare e razionalizzare tale diritto. La lunga controversia
¶{p. 359}giurisdizionale relativa alle sanzioni amministrative della
CONSOB per abusi di mercato mostra quanto può essere difficile per l’amministrazione
gestire un conflitto normativo tra norme legislative, costituzionali, europee (alcune
norme della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione) e internazionali (la Convenzione
europea dei diritti dell’uomo) anche quando tali norme dicono «quasi la stessa cosa»
[25]
. Inoltre, anche nei casi in cui questi criteri riescono a operare senza
difficoltà, orientando in maniera relativamente chiara l’azione delle amministrazioni,
restano comunque criteri prevalentemente formali. Ordinano le varie fonti, infatti, in
base a parametri che prescindono dalle loro rationes e dai loro
contenuti, privilegiando aspetti formali, esemplificati dai requisiti di una norma
direttamente efficace, che non assicurano che le amministrazioni riescano a sciogliere
sul piano amministrativo l’instabilità e le contraddizioni delle scelte regolatorie
delle istituzioni politiche.
È in questo contesto che può
trovare un proprio spazio e una propria rilevanza l’interlegalità come criterio
prescrittivo. L’ipotesi – quella alla quale allude il titolo di questo scritto – è che
l’interlegalità non operi come criterio che si oppone ad altri, in una contrapposizione
tra ragioni essenzialmente formali (l’esigenza di ordinare secondo criteri formali i
rapporti tra fonti) e ragioni sostanziali (l’esigenza di evitare una prospettiva
esclusivamente unilaterale per prendere in considerazione l’intero campo di interessi e
valori in gioco in una specifica circostanza). Né tanto meno si tratta di utilizzare
l’interlegalità in alternativa o in sostituzione dei criteri relativi ai rapporti tra
fonti. Piuttosto, l’interlegalità ¶{p. 360}può essere intesa, almeno in
via di ipotesi, come un meta-criterio, cioè come criterio capace di informare l’insieme
dei principi e delle regole specifiche attraverso le quali il sistema amministrativo di
un determinato ordinamento dà attuazione alle sue politiche pubbliche.
In particolare, si potrebbe
ipotizzare che tale meta-criterio sia funzionale a spingere le amministrazioni a
riconoscere le situazioni di interlegalità in tutta la loro ricchezza e complessità. Ciò
significa, anzitutto, ammettere che le situazioni di interlegalità non si caratterizzano
solo sotto il profilo strutturale: non sono semplicemente quelle situazioni nelle quali
l’amministrazione è chiamata a gestire una pluralità di fonti poste da ordinamenti
differenti, ma piuttosto quelle situazioni in cui il diritto composito rileva in modi
diversi, a seconda del disegno complessivo dei rapporti che gli ordinamenti stabiliscono
tra i processi di attuazione delle proprie politiche, il quale, a sua volta, non è
necessariamente stabile o coerente. Significa, inoltre, riconoscere che in queste
situazioni di interlegalità si presentano continuamente «casi», cioè situazioni
specifiche nelle quali non solo rilevano gli assetti degli interessi (pubblici e
privati) definiti dalle norme, ma occorre anche considerare i fatti, il contesto e le
specifiche pretese di giustizia dei singoli
[26]
: il caso, in altri termini, non è una situazione peculiare del giudizio di
fronte al giudice, come del resto evidenziato anche nel capitolo di apertura di questo
volume, ma esiste e rileva anche nel diverso contesto dell’attuazione di politiche
pubbliche da parte delle amministrazioni, a partire dall’ovvia situazione delle attività
individuali, dirette a destinatari individuati o individuabili. L’interlegalità, ancora,
chiede alle amministrazioni di snidare e valorizzare la complessità normativa del caso,
perché ogni insieme di norme è sostenuto da una sua propria normatività, non
necessariamente coerente con quella degli altri. Le amministrazioni, infine, sono
chiamate a distinguere le varie possibili combinazioni ¶{p. 361}tra
norme, optando per un approccio consapevolmente plurale, e a individuare, tra le varie
possibili combinazioni, quella meglio capace di assicurare un equilibrio tra le varie
pretese normative che si sovrappongono nella vicenda specifica. Peraltro, in linea con
lo spirito complessivo della teoria dell’interlegalità, l’obiettivo non potrebbe e non
dovrebbe essere quello di intendere l’interlegalità come un criterio che chiede
all’amministrazione di farsi carico, nell’attuazione di una politica pubblica, di
applicare una qualche teoria della giustizia. Più semplicemente, la ricerca di risultati
non ingiusti rappresenta l’orizzonte morale entro il quale opera la raccomandazione di
evitare prospettive esclusivamente unilaterali e di misurarsi con la pluralità giuridica
rilevante nel caso.
In quanto meta-criterio,
l’interlegalità potrebbe informare alcuni principi e istituti dell’attività
amministrativa più aperti alle esigenze di valorizzazione della complessità normativa
del caso di cui l’interlegalità è espressione e meglio in grado di tradurle in pratiche
operative. È il caso, in particolare, del principio di ragionevolezza e di quello di
proporzionalità, che esige l’equilibrata proporzione tra le utilità pubbliche che la
decisione persegue e i sacrifici imposti. È il caso, ancora, di alcuni strumenti
funzionali a rendere ragionata, giustificata e prevedibile l’azione amministrativa, a
partire dai tradizionali obblighi di trasparenza, garanzie procedimentali e obbligo di
motivazione, ampiamente consolidati nella quasi totalità degli ordinamenti a regime
amministrativo.
Si tratta, com’è ovvio, solo di
un’ipotesi, che andrebbe verificata in due modi diversi. Il primo è quello strettamente
normativo: la teoria della interlegalità permette di sviluppare una serie di criteri di
azione delle pubbliche amministrazioni chiamate a gestire la molteplicità di norme
potenzialmente rilevanti nei diversi momenti e rispetto ai diversi casi concreti dei
processi di attuazione delle politiche pubbliche? Ammesso che si possa rispondere
positivamente a questa domanda, in quale modo si possono definire le esigenze di
riconoscimento e valorizzazione della complessità normativa del caso nel contesto
dell’attuazione di politiche di estrema complessità come quelle elaborate e attuate
dagli ordinamenti ¶{p. 362}contemporanei? Il secondo è quello
ricostruttivo: in quale misura l’interlegalità può dirsi già presente, nella pratica
concreta e negli effettivi modi di funzionamento dei sistemi amministrativi degli
ordinamenti statali? Come può essere concettualizzata a partire dalla realtà giuridica
attuale? E quali strumenti tecnici la rendono concretamente operativa e rilevante per
l’azione amministrativa?
5. Conclusioni
In questo capitolo, si è tentato di
esplorare la possibile rilevanza della interlegalità all’interno del processo di
elaborazione e di attuazione delle politiche pubbliche. Si è partiti dall’osservazione
che l’interlegalità, pur trovando nella controversia giurisdizionale la propria naturale
collocazione, non si esaurisce in quello specifico contesto, ma rappresenta una
situazione ordinaria anche nel processo regolatorio. E si sono esaminati i modi in cui
l’interlegalità si presenta, tanto come situazione quanto come criterio, nella fase di
attuazione delle politiche pubbliche.
Le principali conclusioni sono tre.
Anzitutto, le situazioni di interlegalità non si presentano, in questa fase del processo
regolatorio, sempre allo stesso modo: piuttosto, variano in base al tipo di rapporto che
ciascun ordinamento prevede tra i modi di attuazione di una propria politica e quelli
all’opera in altri ordinamenti per politiche equivalenti o collegate. In secondo luogo,
le situazioni di interlegalità sono mobili e dinamiche, perché il senso e i modi della
rilevanza del diritto composito cambiano con il mutare delle scelte regolatorie o
riflettono le loro ambiguità e le contraddizioni. Ogni situazione di interlegalità,
dunque, va compresa non solo per i suoi caratteri statici ma anche (e soprattutto) nella
sua dinamica e nelle sue evoluzioni. La terza e ultima conclusione è, come si è detto,
un’ipotesi: quella per cui l’interlegalità possa rappresentare un meta-criterio capace
di informare l’insieme dei principi e delle regole specifiche attraverso le quali le
amministrazioni di un determinato ordinamento danno attuazione alle politiche pubbliche,
in
¶{p. 363}funzione del pieno riconoscimento della ricchezza e della
complessità delle situazioni di interlegalità. Se questa ipotesi sia fondata o meno,
spetta ai prossimi passaggi della ricerca sulla interlegalità verificarlo.
Note
[24] Per una sintesi di questi modelli, cfr. E. Chiti, Bringing Global Law Home, in Cassese (a cura di), Research Handbook on Global Administrative Law, cit., pp. 439 ss., spec. 452 ss.
[25] Si vedano, in particolare, l’ordinanza della Cassazione civile, Sez. II, 16 febbraio 2018, n. 3831, le sentenze della Corte costituzionale n. 20 del 2019, n. 63 del 2019 e n. 112 del 2019, l’ordinanza della Corte costituzionale n. 117 del 2019; su questa giurisprudenza, B. Randazzo, L’inversione della «doppia pregiudizialità» alla prova, in «Giornale di diritto amministrativo», 2018, pp. 368 ss.; M. Allena, Le sanzioni amministrative tra garanzie costituzionali e convenzionali-europee, ibidem, pp. 374 ss.; N. Lupo, Con quattro pronunce dei primi mesi del 2019 la Corte costituzionale completa il suo rientro nel sistema «a rete» di tutela dei diritti in Europa, in «Federalismi.it», 2019.
[26] Sulla nozione di caso nel contesto della teoria della interlegalità, si vedano in particolare le riflessioni di Alberto di Martino nel capitolo di questo volume Dalla regola per il caso al caso della regola.