Ciro Tarantino (a cura di)
Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c17
Inoltre, va sottolineato come si tratti di un’impostazione concettuale che può poi essere arricchita e sviluppata ulteriormente, a partire dal
{p. 428}rapporto fra il diritto alla libertà personale, l’antipaternalismo e il diritto alla vita indipendente delle persone con disabilità, visto e considerato che nell’esperienza quotidiana di queste ultime l’intreccio appena evocato ricorre con una certa frequenza, anche in ambiti apparentemente lontani da quelli relativi alle scelte complesse, difficili o addirittura tragiche.
Uno spunto di riflessione, in tal senso, è offerto dalla giurisprudenza di un tribunale costituzionale autorevole come il Bundesverfassungsgericht tedesco. Una decisione del 2020, in particolare, sembra utile ai fini di questa analisi; ci si riferisce a una sentenza della seconda camera del secondo Senato [24]
, risalente al gennaio dell’anno in questione, relativa a un caso di discriminazione. Protagonista della vicenda da cui scaturisce la decisione rilevante ai nostri scopi è una persona cieca, che si era vista negare, in alcune occasioni, l’ingresso, assieme al proprio cane guida, a uno studio medico, nel quale avrebbe dovuto svolgere alcune sedute di fisioterapia. Il divieto in questione – di natura indirettamente discriminatoria – è stato valutato dal Tribunale costituzionale federale tedesco come contrario alla Legge fondamentale del 1949 e, in particolar modo, all’ultima proposizione dell’articolo 3.3 [25]
. Non è qui possibile ripercorrere nel dettaglio l’iter logico-argomentativo seguito dai giudici di Karlsruhe, ma alcuni dei suoi punti salienti sembrano di grande interesse ai nostri fini. Come già detto, protagonista del caso di specie è una persona cieca a cui, per presunte ragioni igieniche, viene proibito l’accesso a un certo ambiente di vita se accompagnata dal suo cane guida. Più precisamente, essa è posta in una condizione di svantaggio, imponendole o di percorrere una scala esterna all’edificio (difficilmente praticabile dal cane guida), oppure di lasciare l’animale al di fuori della struttura e farsi condurre all’interno della struttura seduta su una sedia a rotelle. Ma il BVerfG coglie nella seconda delle due soluzioni indicate non solo una violazione dell’articolo 3 del GG, ma anche dell’articolo 20 della Convenzione ONU [26]
. {p. 429}Richiedere alla persona con disabilità di rinunciare al proprio cane guida per (insussistenti, a detta del Tribunale costituzionale federale) esigenze di carattere igienico e sanitario impone alla persona stessa di accordare la propria fiducia a un estraneo, che si troverebbe ad avere accesso al suo spazio personale, spingendo la carrozzina o comunque stabilendo un contatto corporeo. Questa posizione – per il BVerfG – è un esempio di paternalismo (Bevormundung), contrario tanto al GG quanto ai principi ispiratori della Convenzione ONU (in particolare, all’art. 1 e alle lettere a) e c) dell’art. 3); e alla luce di quanto osservato nelle pagine precedenti, è agevole individuare, anche nella prospettiva del diritto costituzionale italiano, una chiave di lettura interessante per rileggere quelle «degradazioni giuridiche», implicanti stigmatizzazioni e violazioni della dignità, che abbiamo già evidenziato.
Ancora, le istanze antipaternalistiche moderate qui illustrate, riconducibili all’articolo 19 della Convenzione ONU, potrebbero poi essere estese a ulteriori contesti istituzionalizzanti; si pensi, ad esempio, alla potenziale rilevanza, ancora non particolarmente approfondita dalla letteratura giuridica, derivante dall’applicazione del diritto alla vita indipendente alle persone anziane che fruiscano di servizi di Long-Term Care (LTC). A tale proposito, si è osservato che i servizi riabilitativi per le persone anziane con disabilità, essenziali ai fini della LTC e coperti, in linea di massima, dall’articolo 26 della Convenzione [27]
, devono essere realizzati tenendo ben presenti tanto l’articolo 19 della Convenzione, quanto l’articolo 5 [28]
.{p. 430}
Quest’ultima disposizione, che impone un generale divieto di discriminazione anche in capo ai soggetti privati (e – fra questi – anche chi offra professionalmente servizi di cura e riabilitazione), consente, unitamente alle altre disposizioni convenzionali appena citate, di valutare criticamente prassi riabilitative discriminatorie anche quando esse «take the form of paternalistic approaches to care that limit autonomy and erode one’s identity» [Morrison-Dayan 2023, 19] [29]
.
Altrettanto rilevante è l’impatto che l’impostazione qui adottata potrebbe e dovrebbe avere per orientare l’organizzazione dei servizi che devono garantire i diritti sociali. Com’è intuibile, non è possibile, qui, tracciare compiutamente un quadro dettagliato relativo alle conseguenze che dovrebbe avere l’utilizzo dell’antipaternalismo costituzionalmente orientato sul sistema dei servizi sociali. Sotto questo profilo, il recente contributo dello Special Rapporteur dell’ONU per la disabilità, dedicato alla trasformazione dei servizi per le persone con disabilità, pubblicato il 30 gennaio del 2023 [30]
, dopo aver sottolineato proprio che «It is hard to talk about the formal right to live independently and be connected to the community without talking about the kinds of services needed to make it a reality» [31]
, rimarca, nella parte relativa alla riconfigurazione dei servizi, che «Reform of the service sector is directly connected to the full restoration of power to persons with disabilities over their own lives» [32]
e che «Transitioning to any new service paradigm requires co-design from the outset and requires diverse voices around the table, those of representative of persons with disabilities as well as those of providers keen on change» [33]
. Se – per lo Special Rapporteur – il nesso fra la ridefinizione dei servizi per le persone con disabilità e gli articoli 12 e 19 della Convenzione ONU è ben esplicitato, quello con le istanze antipaternalistiche resta confinato nell’ambito dell’implicito. Tuttavia, sia dai passi qui riportati, sia da quanto esposto nei paragrafi precedenti, emerge con chiarezza come le due disposizioni convenzionali in questione siano utilizzabili per corroborare l’adozione di un approccio antipaternalista anche nell’ambito dei servizi, a partire dall’interpretazione delle norme già esistenti, tanto {p. 431}a livello statale, a partire da quelle di cui alla legge n. 328/2000, quanto a livello regionale [34]
.
Un antipaternalismo costituzionalmente orientato, quindi, oltre a essere funzionale in vista della definizione di un approccio teorico coerente e sistematico per la lettura e l’inquadramento della condizione giuridica delle persone con disabilità, dei loro diritti e dei loro doveri, può divenire un criterio attraverso il quale modulare l’azione dei pubblici poteri per la garanzia (anche) dei diritti sociali [35]
; anzi, se si accogliesse una particolare accezione del principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione richiamato dall’articolo 97 Cost. [36]
, si potrebbe dire che esso potrebbe anche divenire parte di quella ragionevolezza che ci si deve attendere, complessivamente, dall’operare della Pubblica Amministrazione.
Ma ritornando sul versante dei diritti delle persone, va evidenziato, in conclusione, che un antipaternalismo costituzionalmente orientato vive nei diritti e si alimenta dei diritti stessi. Volendo riprendere uno degli spunti di riflessione iniziali di questo scritto, relativo alla garanzia del diritto all’istruzione, cui faceva riferimento la sent. n. 215 del 1987 della Corte costituzionale, si è osservato come esso sia intrinsecamente dotato di una carica antipaternalistica [cfr. Matucci 2021, 73 ss.]. Ciò dal momento che il processo educativo [37]
, favorendo una maturazione complessiva della persona, in tutte le sue dimensioni, le consente di fare le proprie scelte con {p. 432}maggiore consapevolezza non solo delle conseguenze delle scelte stesse e delle eventuali responsabilità da esse discendenti, ma dello stesso diritto a poter scegliere, accrescendo la consapevolezza di sé, dei propri diritti e dei propri doveri: ed è proprio tale consapevolezza il primo antidoto contro insidiose soluzioni paternalistiche.
Note
[24] Il riferimento è a BVerfG, Beschluss der 2. Kammer des Zweiten Senats, del 30 gennaio 2020 – 2 BvR 1005/18 –, Rn. 1-50; la decisione è disponibile online all’indirizzo https://www.bundesverfassungsgericht.de/SharedDocs/Entscheidungen/DE/2020/01/rk20200130_2bvr100518.html.
[25] In lingua originale, «Niemand darf wegen seiner Behinderung benachteiligt werden» («Nessuno può essere discriminato a causa della sua disabilità»). Sulla disposizione in questione, inserita nel testo del Grundgesetz dalla legge di modifica del 27 ottobre 1994, I 3146, cfr. Fiano [2021].
[26] ... ove si statuisce che «Gli Stati Parti adottano misure efficaci a garantire alle persone con disabilità la mobilità personale con la maggiore autonomia possibile, provvedendo in particolare a: a) facilitare la mobilità personale delle persone con disabilità nei modi e nei tempi da loro scelti ed a costi accessibili; b) agevolare l’accesso da parte delle persone con disabilità ad ausilii per la mobilità, apparati ed accessori, tecnologie di supporto, a forme di assistenza da parte di persone o animali e servizi di mediazione di qualità, in particolare rendendoli disponibili a costi accessibili; c) fornire alle persone con disabilità e al personale specializzato che lavora con esse una formazione sulle tecniche di mobilità; d) incoraggiare i produttori di ausilii alla mobilità, apparati e accessori e tecnologie di supporto a prendere in considerazione tutti gli aspetti della mobilità delle persone con disabilità».
[27] La disposizione in questione dice che «Gli Stati Parti adottano misure efficaci e adeguate, in particolare facendo ricorso a forme di mutuo sostegno, al fine di permettere alle persone con disabilità di ottenere e conservare la massima autonomia, le piene facoltà fisiche, mentali, sociali e professionali, ed il pieno inserimento e partecipazione in tutti gli ambiti della vita [...]» e che «gli Stati Parti organizzano, rafforzano e sviluppano servizi e programmi complessivi per l’abilitazione e la riabilitazione, in particolare nei settori della sanità, dell’occupazione, dell’istruzione e dei servizi sociali, in modo che questi servizi e programmi [...] facilitino la partecipazione e l’integrazione nella comunità e in tutti gli aspetti della società, siano volontariamente posti a disposizione delle persone con disabilità nei luoghi più vicini possibili alle proprie comunità, comprese le aree rurali [...]».
[28] ... ove si afferma che «1. Gli Stati Parti riconoscono che tutte le persone sono uguali dinanzi alla legge ed hanno diritto, senza alcuna discriminazione, a uguale protezione e uguale beneficio dalla legge. 2. Gli Stati Parti devono vietare ogni forma di discriminazione fondata sulla disabilità e garantire alle persone con disabilità uguale ed effettiva protezione giuridica contro ogni discriminazione qualunque ne sia il fondamento. 3. Al fine di promuovere l’uguaglianza ed eliminare le discriminazioni, gli Stati Parti adottano tutti i provvedimenti appropriati, per garantire che siano forniti accomodamenti ragionevoli. 4. Le misure specifiche che sono necessarie ad accelerare o conseguire de facto l’uguaglianza delle persone con disabilità non costituiscono una discriminazione ai sensi della presente Convenzione».
[29] «che prendono la forma di approcci paternalistici alla cura che limitano l’autonomia ed erodono l’identità individuale».
[31] «È difficile parlare del diritto formale di vivere in modo indipendente e di essere connessi alla comunità senza parlare dei tipi di servizi necessari per renderlo realtà».
[32] «La riforma del settore dei servizi è direttamente collegata al pieno ripristino del potere delle persone con disabilità sulla propria vita».
[33] «Il passaggio a qualsiasi nuovo paradigma di servizio impone la co-progettazione fin dall’inizio e richiede voci diverse attorno al tavolo, ovvero quelle dei rappresentanti delle persone con disabilità così come quelle dei fornitori di servizi desiderosi di cambiamento».
[34] Ove si registrano, peraltro, interessanti evoluzioni, almeno per quel che riguarda la prospettiva adottata in questo contributo. Si pensi, da ultimo, alla legge regionale del Friuli Venezia Giulia del 14 novembre 2022, n. 16; all’articolo 1, comma 2, lett. f), si rinviene una definizione del concetto di capacitazione, così formulata: «[...] approccio che restituisce dignità, centralità e maggior livello di qualità della vita possibile alla persona con disabilità, coniugando lo sviluppo delle capacità con l’ampliamento delle opportunità di agire le stesse, al fine di rendere concretamente esigibili le libertà e i diritti fondamentali, compreso quello di autodeterminazione. Tale approccio, pertanto, si focalizza sia sugli aspetti interni, sviluppando le potenzialità e le abilità del singolo individuo, sia sugli aspetti di sistema, garantendo i prerequisiti e le condizioni esterne, necessari a rendere concretamente realizzabile il progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato. Tale approccio capacitante riesce così a tener conto dell’azione reciproca svolta dalle caratteristiche individuali e dalle restrizioni sociali e propone di misurare i risultati in termini di espansione delle opportunità di scelta e quindi delle libertà delle persone». Poco più avanti, all’articolo 2, lett. e) si legge che fra gli obiettivi della legge c’è anche «promuovere il massimo livello di autodeterminazione possibile, l’esercizio della responsabilità e dei doveri, la capacità di autorappresentanza, nonché agire per favorire il più alto grado di autonomia delle persone con disabilità». Non è qui possibile, ovviamente, analizzare compiutamente delle disposizioni così evocative, ma è evidente come si tratti di un’impostazione concettuale in linea con quella propugnata, nel complesso, in questo scritto.
[35] Da intendere quale «determinante della libertà nello stato costituzionale», secondo quanto illustrato da Piccione [2021].
[36] Come quella derivante dalla suggestione «che radicava (anche) nei principi di imparzialità e buon andamento un nuovo modo di leggere i rapporti tra cittadini – e non più sudditi – e PA»; così Caranta [2006], nel richiamare a sua volta Benvenuti [1975].
[37] Sulla distinzione fra istruzione ed educazione, si rinvia a Corte cost., sent. n. 7 del 1967.