Ciro Tarantino (a cura di)
Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c2
Trascorre l’estate e Vittorio va in vacanza con la moglie e i figli. In queste settimane senza sentirsi Anna ci ripensa tanto e decide che non andrà più agli appuntamenti con Vittorio all’angolo del Vida Loca, ma gli chiederà di fare delle altre cose assieme: andare al cinema, fare una passeggiata al centro commerciale. Lei li vede sempre i fidanzati che fanno
{p. 64}così. Tornato dalla vacanza, a fronte di questa proposta, lui – inaspettatamente per Anna – rifiuta: la incontra soltanto se lei è disposta a salire in macchina e appartarsi con lui. Anna capisce che non vuole continuare questa situazione, e vuole concentrarsi sul suo percorso di vita indipendente perché ormai ha 22 anni e vuole uscire dalla casa dei genitori, dove, tra l’altro, i litigi con la mamma continuano quotidiani. In questo periodo riprende anche a sentire Michela.
Uno degli elementi da cui scaturiscono continui litigi è che la famiglia di Anna non ha i mezzi per pagarle un affitto o comprarle una casa. Questo, da una parte, li scoraggia riguardo alla possibilità per Anna di uscire dalla casa familiare, dall’altra fa sì che spesso si parli della ricerca di un lavoro come l’evento che farà accadere tutto il resto. «Prima ti trovi un lavoro» – dice spesso la madre – «e poi ne parliamo». Anna ha studiato da segretaria d’azienda e quindi cerca in quell’ambito. La certificazione di disabilità le consente di essere inserita nelle liste del collocamento mirato ma, allo stesso tempo, proprio a causa di questa, il Servizio per l’Integrazione Lavorativa circoscrive le proposte a un circuito di tirocini che sono pensati senza possibilità di reale sbocco lavorativo, come esperienze da aggiungere al curriculum o svolte in contesti socio-terapeutici [7]
[Marchisio e Curto 2019]. Anna fatica molto a inserirsi nei contesti lavorativi: le persone si accorgono subito della sua disabilità motoria, del modo in cui cammina e utilizza le mani, ma pochi si rendono conto del modo diverso in cui la sua mente funziona, pochi colgono che a volte ha bisogno di un pensiero concreto, di riferimenti a cose che conosce, di vedere svolgere l’azione che deve imparare, di un parlare più lento. Spesso non capisce cosa le viene chiesto ma, per timidezza, dice ugualmente che ha capito. A volte la riprendono perché ha mancato, ma non le dicono con chiarezza cosa avrebbe dovuto fare [8]
. Alla fine dei periodi di tirocinio, invariabilmente, ad Anna viene dato un giudizio negativo: è piacevole stare con lei ma non lavora abbastanza bene per essere assunta davvero.
Anche per quell’estate le prospettive lavorative di Anna si chiuderanno con il termine del tirocinio, previsto per la metà del mese di giugno. Nelle ultime settimane, ormai, non svolge più alcuna mansione e ascolta i discorsi delle colleghe, che parlano ininterrottamente di vacanze. Anna sente questi discorsi e pensa che vorrebbe anche lei fare una vacanza senza i genitori. {p. 65}Tuttavia, non se la sente di andare in vacanza da sola. Innanzi tutto, dovrebbe chiedere i soldi a casa e le dispiace perché sa che non sono ricchi. Poi, ci sono tante cose quotidiane in cui ha bisogno di supporto e non sa se incontrerebbe persone disposte ad aiutarla. Da ultimo, non saprebbe proprio dove andare, come fare il biglietto del treno, come scendere alla fermata giusta, come organizzare le gite. Ormai è da quando ha finito le superiori che non prende più neanche un pullman da sola perché non ha occasione di andare da nessuna parte. Inoltre, Anna desidera una vacanza con gli amici, non da sola: quello che la affascina dei racconti delle colleghe sono gli incontri, i ragazzi americani conosciuti al lido, le amiche di ombrellone, le serate con le feste in spiaggia. Prova a informarsi su diverse vacanze organizzate, come quelle che hanno fatto alcune delle colleghe, cerca su internet, telefona ai numeri quando ci sono sulle pagine web ma fatica a trovare qualcosa che corrisponda ai suoi interessi, soprattutto a un prezzo che i genitori possano permettersi. Inoltre, le vacanze organizzate, così com’era il consultorio, sono divise tra «per disabili» e «per gli altri». Quando all’inizio della telefonata le persone le danno le informazioni sembrano proposte interessanti, ma quando sentono che è una persona con disabilità la rimandano al gruppo composto soltanto da persone con disabilità o le chiedono di essere accompagnata. Anna non conosce nessuno che possa accompagnarla e non è molto contenta all’idea di andare in un gruppo con altre persone con disabilità. Questi gruppi sono organizzati in maniera più rigida: ci sono degli educatori che stabiliscono gli orari della giornata, ci si muove sempre tutti insieme, non si può scegliere di uscire per andare a fare una passeggiata da soli né di fare tardi alla sera in discoteca. Tuttavia, questo tipo di vacanza sembra essere l’unica opzione e, piuttosto che restare a casa o andare giù al paesino d’origine dei suoi genitori, Anna chiede il permesso di partecipare.
È in occasione di quella vacanza che conosce Alberto, un ragazzo che abita in un altro paese della sua Regione. La famiglia di Alberto, che dispone di maggiori mezzi economici e culturali, l’ha fatto crescere frequentando diversi contesti e opportunità – teatro, musica, sport – e gli ha fatto fare molte esperienze. Quando Anna lo incontra, Alberto è un giovane di 26 anni che, anche con la disabilità intellettiva, è diplomato geometra, fa teatro, volontariato ed è alla ricerca di un lavoro.
Anna e Alberto iniziano a sentirsi, si trovano sempre meglio. Lui la va a trovare nel paesino dove abita e dopo poco tempo si mettono insieme.
A questo punto, tutte le persone attorno, le famiglie e gli operatori, tirano un sospiro di sollievo: due ragazzi con disabilità intellettiva si stanno fidanzando, ed entrambi sono inseriti in un percorso di autonomia. La loro storia, una storia di qualche mese tra una ragazza di 23 anni e un ragazzo di 26, assume subito, per chi si occupa di loro, un significato legato all’abitare. Siccome sono fidanzati ed entrambi con disabilità intellettiva {p. 66}si immagina un abitare condiviso, si inizia a pensare all’appartamento e, anche se i genitori sono ancora tutti giovani e in salute, si inizia a parlare di Dopo di noi [Arconzo 2016].
Nel tempo rapido di qualche mese, questo abitare condiviso viene cristallizzato nel loro progetto di vita: i loro percorsi di autonomia vengono congiunti e orientati a vivere insieme. Dal punto di vista del Servizio sembra tutto perfetto: entrambi sono inseriti in percorsi educativi in cui lavorano sulle competenze quotidiane per la gestione domestica volti a consentire loro di andare a vivere fuori dalla casa familiare. Dopo cinque mesi di storia iniziano i fine settimana di autonomia nell’appartamento-palestra messo a disposizione dalla cooperativa: in coppia fanno la spesa, cucinano, imparano a caricare la lavatrice. Anna ripensa a volte alla storia con Vittorio: era molto diversa da questo fidanzamento, e spesso la rendeva triste, ma con Alberto si sono dati solo qualche bacio – spesso nei fine settimana c’è l’educatrice a casa con loro – e il contatto fisico le manca. Questo stare insieme pieno di incombenze domestiche le sembra lontano da come aveva immaginato l’amore tanto quanto le fughe in macchina dal parcheggio del Vida Loca. Ma questa volta sono tutti contenti, della storia con Alberto si può parlare alle cene con gli zii, la mamma sembra non più tanto arrabbiata con lei, Alberto è gentile e lei gli vuole bene, e quindi non pensa di lasciarlo [9]
.
Passano due anni, in cui Anna e Alberto continuano a frequentarsi e in cui la loro futura convivenza viene messa alla prova sempre nei termini dell’autonomia della gestione domestica: ormai il programma di vita indipendente a cui i ragazzi partecipano è al termine (dopo le due settimane di prova di autonomia si dovrebbe passare alla coabitazione a tempo pieno). Le loro competenze, tuttavia, non sembrano sufficienti per abitare da soli: sono tanto lenti nelle faccende domestiche da renderle incompatibili con lo svolgimento quotidiano e poco capaci di programmare la quotidianità e fare fronte agli imprevisti. Il Servizio propone, dunque, l’inserimento in un gruppo appartamento in cui potrebbero abitare insieme ad altre due coppie di persone con disabilità, molto più grandi, che non conoscono [Curto 2021]. I ragazzi non vogliono, però, vivere con altri, né nel paese dove il gruppo appartamento si trova, che non è né quello di Anna né quello di Alberto. In famiglia, tuttavia, l’idea della convivenza per i ragazzi ha preso {p. 67}forma e i genitori, dopo aver rifiutato la proposta di inserimento in gruppo appartamento, assumono privatamente due operatori che possano aiutarli a organizzare il quotidiano in modo da conciliare le loro caratteristiche con i ritmi e le incombenze della gestione di una vita adulta.
Uno degli elementi che inizialmente blocca l’effettivo andare a convivere è il fatto che nessuno dei due riesce a trovare lavoro. Anna, nonostante fosse avviata da anni verso l’uscire di casa, ha continuato a essere inserita nei tirocini senza sbocco lavorativo che di solito vengono utilizzati per le persone con disabilità i quali, essendo prevalentemente di natura socializzante, sono pagati con piccoli rimborsi (50-80 euro al mese) che Anna spende per le uscite con Alberto e poco più. Alberto sta cercando lavoro da tanti anni, ma anche lui viene inserito soltanto in tirocini di tipo esperienziale/socializzante. La situazione non sembra sbloccarsi, tanto che Anna e Alberto decidono, con il supporto delle famiglie, di andare a vivere insieme indipendentemente dal fatto di avere un reddito proprio. Per la famiglia di Anna è una spesa enorme, ma non vogliono sprecare tutto il lavoro fatto fino ad ora. Andando ad abitare in due, almeno, divideranno l’affitto mentre le spese le pagherà tutte la famiglia di Alberto.

2. Da soli

Circa un anno dopo l’inizio di questa convivenza, Francesca – l’operatrice – arriva a casa di Alberto e Anna alle 7 del mattino per controllare che lei faccia colazione e si vesta.
Nonostante nasca in una cornice di vita indipendente, la possibilità di Anna e di Alberto di andare ad abitare insieme ha assunto fin dall’inizio alcune caratteristiche differenti rispetto ai significati che assumerebbe per due persone senza disabilità. Lo rivela, ad esempio, la sfumatura semantica contenuta nell’espressione, che tutti utilizzano: «Anna e Alberto abitano da soli». Tale modo di dire sottintende uno stato atteso in cui due persone con disabilità intellettiva che coabitano abbiano con sé almeno una persona senza disabilità. Guardando agli altri utilizzi – propri e impropri – di tale espressione, infatti, osserviamo che si dice, ad esempio, in modo proprio «ho lasciato i bambini a casa da soli», anche se sono in due, sottintendendo «senza un adulto». Vediamo cioè che questo «da soli», al plurale, non indica l’assenza generica di altre persone, ma denota l’assenza di una persona con una funzione particolare: di garanzia, supervisione, controllo [Addis 2021]. Questo appare evidente, ad esempio, nel modo di dire – improprio – «due donne che viaggiano da sole» per intendere «senza un uomo»: anche quel «da sole» sottintende la mancanza del soggetto «forte», «adulto», «garante della sicurezza». {p. 68}
La loro convivenza – nata e semantizzata in questa cornice – fa parte di quel serbatoio di azioni, esperienze, opportunità che per alcune persone sono attese e consuete mentre per altre sono eccezionali [Curto 2022]. È proprio tale regime di eccezionalità a fragilizzare le esistenze, rendendole eterne messe alla prova, sperimentazioni, percorsi verso qualcosa d’altro [10]
[McDonough e Taylor 2021]. Quando Anna e Alberto scelgono di andare a convivere, il loro abitare si connota dunque fin da subito in una cornice ambigua rispetto al piano del rapporto tra libertà e controllo, configurandosi come uno stato eccezionale in cui la mancanza di supervisione delle scelte quotidiane – quel «da soli» – è concessa da qualcun altro [Santoro 2021]. Tale concessione si addensa attorno a una forma persistente di messa alla prova in funzione della disabilità intellettiva e, a maggior ragione, come conseguenza del fatto che i giovani erano stati valutati non in grado di affrontare la vita indipendente. Il fatto che Anna e Alberto siano – dimostrino di essere – sufficientemente «autonomi», diventa il presupposto a ogni possibilità di libertà [Santoro 1999]. Come spesso avviene, tale autonomia si concretizza nella valutazione da parte dei soggetti che stanno loro intorno di un certo livello di garanzia della correttezza delle loro scelte riguardo allo stile di vita quotidiano.
Dopo un anno in cui Anna convive con il suo ragazzo, dunque, Francesca, l’operatrice, deve andare alle 7 a casa loro per controllare che si alzi e si vesta presto al mattino. Questo avviene a prescindere dagli impegni di Anna, che in quel momento non la costringono a uscire presto. Il fatto è che Anna, ultimamente, si alza tardi perché alla sera rimane fino a tardi a guardare video sui social. Frequentando i contesti con Alberto – il teatro, lo sport – finalmente Anna ha fatto nuove conoscenze e ha intessuto delle relazioni. Come è prevedibile, vista la sua storia di solitudini continue, a queste amicizie Anna tiene tantissimo e ciò che avviene sui social (Instagram e TikTok in particolare) costituisce uno dei principali argomenti di conversazione. Su Instagram, però, le dirette più interessanti sono alla sera, così come alla sera ci sono più persone disponibili a chattare in privato. Anna, quindi resta sveglia spesso fino a tardi. Alberto è incuriosito, e un po’ ingelosito, da tutta questa attività online di Anna e quindi spesso va a finire che resti sveglio fino a tardi anche lui.
Tutto molto consueto fino a che Alberto trova il tanto agognato lavoro e quindi deve iniziare ad alzarsi presto al mattino.
{p. 69}
Note
[7] Per una descrizione iniziale di radici epistemologiche, articolazioni operative e conseguenze in termini di processi di istituzionalizzazione dell’approccio socio-terapeutico al lavoro declinata nell’ambito della disabilità si veda Marchisio e Curto [2019].
[8] Le persone con disabilità intellettiva incontrano maggiori barriere nel trovare e mantenere un lavoro. A fronte dell’ampia esclusione restano, tuttavia, limitate, le analisi che inquadrano tale fenomeno di esclusione dal punto di vista delle barriere senza limitarsi ad attribuirlo alle caratteristiche intrinseche della persona. Tra le più recenti Meltzer et al. [2020].
[9] La storia consente di rivelare uno dei meccanismi in cui l’eterosessualità come «categoria identitaria egemone» [Rinaldi et al. 2022] agisce sulle vite delle persone. In questo caso è esemplare come, in modo completamente inespresso, l’eteronormatività sconfina oltre gli ambiti affettivo-sessuali investendo la concezione stessa di relazione, di coppia, di famiglia: la corrispondenza della storia con Alberto a un modello eteronormativo – meglio accettato a livello sociale e meglio rispondente alle aspettative implicite della sua rete – spinge Anna a riservare un minore ascolto ai suoi dubbi e alle fatiche nella relazione che fin dal primo momento esperisce.
[10] Il «modello a gradini» (staircase approach) nei percorsi socio-educativi è ormai univocamente criticato nel campo del supporto alle persone senza dimora, per una sintesi recente si veda ad esempio Clarke et al. [2020]. Nell’ambito della disabilità il raffronto tra modelli staircase e modelli emancipatori è ancora poco diffuso ma inizia a essere articolato, come in McDonough e Taylor [2021].