Ciro Tarantino (a cura di)
Il soggiorno obbligato
DOI: 10.1401/9788815412584/c16
Nella messa in campo di tutti gli strumenti necessari alla raccolta o al recupero del consenso della persona, in conformità con quanto recentemente statuito dalla legge n. 219/2017, si ritiene debbano essere distinti i casi in cui al paziente – al momento del ricorrere dei presupposti per il trattamento sanitario obbligatorio – sia già stato nominato un amministratore di sostegno, da quelli in cui il paziente, invece, non è sottoposto ad alcuna misura di protezione. Infatti, considerato che, fin dall’inizio
{p. 396}dell’incarico, l’amministratore di sostegno dovrebbe farsi parte attiva, insieme al personale medico e ai Servizi sociali, in un vero e proprio lavoro di équipe, nella costruzione di un percorso volto all’acquisizione da parte del beneficiario della consapevolezza della malattia e all’eventuale avvio di un progetto di cura condiviso, egli rappresenta valido strumento per la ricerca del consenso del beneficiario al percorso terapeutico ritenuto necessario in suo favore.
Tale intervento, in sincronia dei diversi soggetti deputati alla cura della persona fragile, può svolgere quindi un’efficace funzione di argine all’emissione del TSO, che non dovrebbe, invero, scattare automaticamente, ma solo in caso di fallimento del percorso condiviso di cui si è detto e comunque solo dopo aver informato tempestivamente l’amministratore di sostegno.
Come si è accennato, tale strada è suggerita dalla stessa legge che ha istituito i trattamenti sanitari obbligatori, laddove all’articolo 33, comma 5, si prevede
 
gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori di cui ai precedenti commi devono essere accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato. L’unità sanitaria locale opera per ridurre il ricorso ai suddetti trattamenti sanitari obbligatori, sviluppando le iniziative di prevenzione e di educazione sanitaria ed i rapporti organici tra servizi e comunità.
 
Appare evidente, dunque, come la mancanza o l’insufficienza di tali azioni potrebbero delineare una violazione della stessa norma che prefigura i trattamenti sanitari obbligatori. A tal proposito, è interessante notare come la valutazione del percorso decisionale che ha condotto alla scelta del trattamento sanitario obbligatorio rientri nell’analisi e nella considerazione del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, il quale ha anche sottolineato il rischio di una sovrapposizione tra obbligatorietà e contenzione e la conseguente necessità di evitare il rischio di contenzione attraverso la messa in campo di pratiche di de-scalation.
Va segnalato come una delle principali evoluzioni introdotte dalla c.d. legge Basaglia rispetto all’ordinamento manicomiale sia quella di superare la consequenzialità tra la sottoposizione del paziente a un trattamento sanitario e la sua incapacitazione giuridica: viene, invero, abrogato l’automatismo tra internamento e interdizione giudiziale. Per questi motivi, va osteggiata l’idea che la sola presenza di un trattamento sanitario obbligatorio possa di per sé giustificare la richiesta dell’apertura dell’amministrazione di sostegno [42]
. {p. 397}

5.2. I limiti dei poteri del giudice tutelare e dell’amministratore di sostegno in tema di libertà personale del beneficiario dell’amministrazione di sostegno

Nei precedenti paragrafi si è trattato dei limiti e dei poteri conferiti al giudice tutelare e all’amministratore di sostegno in tema di autodeterminazione terapeutica.
Nel presente paragrafo si intende, invece, affrontare l’ipotesi più problematica riguardante la possibilità di imporre al beneficiario dell’amministrazione di sostegno non un singolo trattamento sanitario ma un ricovero in una struttura di assistenza e/o di cura contro il volere della persona interessata, anche eventualmente al fine di imporle un trattamento sanitario rifiutato.
Si tratta, a ben vedere, di un’ipotesi diversa da quella precedentemente trattata, in quanto il bene giuridico che viene in gioco non è la (sola) libertà di autodeterminazione terapeutica ma la libertà personale.
Considerato che la norma che disciplina i trattamenti sanitari obbligatori prevede una durata temporale massima del ricovero, nella misura di sette giorni (eventualmente prorogabili, secondo la stessa modalità e previa rivalutazione di tutti i presupposti di cui agli artt. 33 ss. legge n. 833/1978), è tormentata e dibattuta la possibilità di disporre il cosiddetto ricovero coatto del soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno in una struttura di cura o assistenza, al di fuori dei presupposti di legge per disporre il trattamento sanitario obbligatorio.
Infatti, particolarmente problematiche sono le ipotesi in cui, a fronte del conferimento all’amministratore di sostegno del potere di rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, il beneficiario sia interessato da una patologia che non elide completamente la sua capacità di intendere e di volere e, dunque, la possibilità di esprimere il proprio dissenso all’avvio di un percorso terapeutico in regime di ricovero in lungodegenza.
Ci si chiede se sia, in particolare, sufficiente il solo consenso dell’amministratore di sostegno per consentire l’ingresso e la permanenza in detta struttura ovvero se il giudice tutelare possa autorizzare tale ricovero o comunque conferire all’amministratore di sostegno il relativo potere.
Secondo l’orientamento seguito da alcuni giudici tutelari [43]
, in caso di espresso dissenso del beneficiario, non solo non è sufficiente il consenso al ricovero da parte dell’amministratore di sostegno, cui sia conferito il {p. 398}potere di rappresentanza esclusiva, ma nemmeno vi può sopperire l’autorizzazione del giudice tutelare, se non sovvertendo i principi costituzionali e quelli posti alla base della c.d. legge Basaglia, secondo cui alcun potere sostitutivo, al di fuori dei limiti di cui all’articolo 13 della Costituzione, può legittimare la privazione della libertà personale di un soggetto.
Come è noto, l’opinione non è condivisa da tutti i giudici tutelari [44]
, tra i quali vi sono coloro che, sulla scorta del combinato disposto di cui agli articoli 358, 371 e 411 c.c., rinvengono tra i propri poteri anche quello di autorizzare il cosiddetto ricovero coatto o di conferire all’amministratore di sostegno il potere di prestare il consenso a detto ricovero.
Contestualmente all’autorizzazione/conferimento del potere all’amministratore di sostegno di prestare il consenso all’ingresso nella struttura di cura spesso, peraltro, alcuni giudici tutelari si spingono a disporre una sorta di obbligo del beneficiario di partecipare alla terapia prescritta dai medici, nonché a disporre che il responsabile della struttura inibisca al beneficiario le dimissioni senza il consenso dell’amministratore di sostegno e/o l’autorizzazione del giudice tutelare. A corredo del dispositivo, il {p. 399}giudice tutelare deferisce, inoltre, all’amministratore di sostegno il potere di avvalersi della collaborazione e dell’ausilio degli operatori dei servizi socio-assistenziali e sanitari e – in caso di gravissima necessità – della forza pubblica «sempre salvo il rispetto della dignità e della libertà personale della persona beneficiaria».
Il ragionamento che sottende a tali tipi di decisioni trova fondamento nei seguenti presupposti: 1) l’applicabilità al beneficiario dell’amministrazione di sostegno della norma di cui all’articolo 358 c.c. secondo cui «il minore [...] non può abbandonare la casa o l’istituto al quale è stato destinato, senza il permesso del tutore»; 2) l’applicabilità al beneficiario dell’amministrazione di sostegno dell’articolo 371 c.c. secondo cui «il tutore [...] delibera 1) sul luogo dove il minore deve essere allevato»; 3) la possibilità ai sensi dell’articolo 411 c.c., dettato nell’ambito della misura dell’amministrazione di sostegno, di applicare a tale istituto le norme previste per l’interdizione; 4) la pretestuosità del dissenso dell’amministrato.
In primo luogo, con riguardo all’applicabilità degli articoli 358 e 371 c.c. all’amministrazione di sostegno, va osservato che l’articolo 411, comma 1, c.c. [45]
non richiama espressamente nessuna delle due norme. Tale rilievo viene ad ogni modo superato dall’opinione in commento mediante il richiamo all’articolo 411, ultimo comma, c.c., norma che, come si è visto, consente di estendere al beneficiario dell’amministrazione di sostegno effetti, limitazioni o decadenze previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato. Le previsioni di cui agli articoli 358 e 371 c.c. vengono dunque estese all’amministrazione di sostegno in forza della clausola di chiusura contenuta nell’ultimo comma dell’articolo 411 c.c.
Su tale specifico aspetto, vi è chi ha ritenuto [Buffone 2011] che, in regime di amministrazione di sostegno, la scelta residenziale non può mai essere subita dal beneficiario, con la conseguente sostituzione del modello decisorio stabilito dall’articolo 371 c.c. con quello dell’articolo 410 c.c.: secondo tale opinione, laddove il beneficiario si opponga alla scelta proposta dall’amministratore di sostegno, il giudice tutelare deve intervenire con un decreto motivato, previa eventuale nomina di un curatore speciale o espletamento di atti istruttori necessari per accertare quale soluzione realizza il best interest della persona protetta. Tale soluzione, tuttavia, sebbene più garantista di altre, in quanto implicante la necessaria integrazione del contraddittorio con il beneficiario e, dunque, l’applicazione del meccanismo della risoluzione del conflitto ex articolo 410 c.c., sopra analizzato, non appare convincente in quanto, per le ragioni che si diranno, ammette pur sempre una sostituzione dell’amministratore di {p. 400}sostegno o del giudice tutelare nella scelta del ricovero e dunque in tema di libertà personale.
Ad ogni modo, anche volendo ammettere l’applicabilità delle predette norme all’amministrazione di sostegno, l’equiparazione fra il minore incapace per legge a un maggiorenne sottoposto alla misura dell’amministrazione di sostegno non è risolutiva, in quanto la collocazione cui fanno riferimento gli articoli 358 e 371 c.c. riguarda il luogo di vita e non certo le cure farmacologiche cui potenzialmente può essere sottoposto il beneficiario nell’ambito di un ricovero in una struttura sanitaria. Peraltro, l’articolo 3 legge n. 219/2017 prevede che anche la volontà della persona minore, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità, sia tenuta in considerazione dal genitore esercente la responsabilità genitoriale o dal tutore, chiamati a esprimere un consenso a un trattamento sanitario in favore del minore [46]
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Piuttosto, si ritiene che una simile equiparazione sia frutto di un approccio fortemente incapacitante e paternalistico, in quanto tali norme se applicate in via analogica ed estese al beneficiario dell’amministratore di sostegno o all’interdetto ai fini dell’ingresso in una struttura di cura o assistenza consentirebbero l’internamento di qualunque beneficiario dell’amministrazione di sostegno o interdetto che rifiuti il progetto terapeutico proposto o per il quale non siano state trovate soluzioni adeguate per l’assistenza domiciliare. È stato osservato [Dalla Balla 2022] che tale estensione analogica dell’obbligo di permanenza dei minori nel luogo indicato dal tutore, peraltro, collide con il fatto che si tratta di materia presidiata dalla riserva assoluta di legge di cui all’articolo 13 Cost., che non consente di mutuare la coercizione attraverso «casi simili o materie analoghe».
Inoltre, l’intervento del giudice tutelare in ambito sanitario, sulla base della normativa come ricostruita nel precedente paragrafo, appare limitato – come si è detto – alla decisione in particolari contingenze circa la necessità di compiere un singolo trattamento sanitario, ma in nessuna disposizione la legge n. 219/2017 conferisce al giudice tutelare il potere di intervenire forzando un ricovero prolungato della persona in una struttura sanitaria. Ciò in considerazione del fatto che, anche laddove venga posto in essere un internamento non volontario, questo non potrà implicare di per sé un’autorizzazione incondizionata e generale al trattamento sanitario senza il consenso della persona [47]
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{p. 401}
Note
[42] Tribunale di Chieti, 6 ottobre 2020.
[43] Tribunale di Chieti, 13 gennaio 2023; Tribunale di Chieti, 22 gennaio 2022; Tribunale di Lucca, 30 marzo 2023. Si propone, in particolare, la consultazione del provvedimento del Tribunale di Chieti pubblicato sulla Banca Dati della Giurisprudenza Abruzzese (www.giurisprudenza.abruzzo.it): sui limiti dei poteri del giudice tutelare di disporre il c.d. ricovero coatto del beneficiario di amministrazione di sostegno in struttura di cura e assistenza – Tribunale di Chieti, 13 ottobre 2021, est. Genovese.
[44] Cfr. Tribunale di Modena, 26 novembre 2008: «l’art. 371 c.c., norma sicuramente applicabile ad un istituto (l’amministrazione di sostegno) il cui scopo primario è la tutela della persona e la cui mancata menzione nell’art. 411, comma 1o, c.c. (come novellato dalla legge n. 6 del 2004) dipende, ragionevolmente, dalla circostanza che il precetto è destinato a trovare applicazione nei soli casi ritenuti dal magistrato a differenza di quelli espressamente nominati dalla norma (articoli da 349 a 353 e da 374 a 376)»; Tribunale di Vercelli, 28 marzo 2018: «l’inserimento del beneficiario in casa di ricovero è operazione sicuramente lecita e ammissibile nell’ambito della amministrazione di sostegno, e ciò anche indipendentemente dal dissenso del beneficiario, ove pretestuoso; infatti, l’art. 358 c.c. – norma che dispone che il minore in tutela (dunque l’interdetto) non può abbandonare l’istituto cui è stato destinato senza il permesso del tutore – disciplina una limitazione, o comunque un effetto, della interdizione, ed è dunque estensibile al beneficiario di ADS ex art. 411, u.c., c.c., non essendovi ragioni letterali per ritenere il contrario»; Tribunale di Udine, 3 novembre 2020: «ritenuto che l’opposizione espressa a voce dalla beneficiaria alla misura del collocamento in struttura, debba essere inquadrata nel quadro di patologia “francamente delirante, con rifiuto sistemico dei farmaci, rifiuto di supporto nell’igiene ed in ogni forma di assistenza” nonché in coerenza con le condizioni ambientali nelle quali la beneficiaria vive e si muove, adottando condotte pericolose per la propria incolumità e per quella degli altri (fughe di gas ed allagamenti), in particolare del personale preposto alla sua assistenza; ritenuto per l’effetto di poter adottare come criterio valutativo della genuinità di detto dissenso quanto statuito dalla Corte Costituzionale con la nota sentenza 4/2007, nella parte in cui afferma che se è pur vero che, alla stregua della normativa vigente, il giudice deve tener conto delle richieste dell’interessato, tale doverosa considerazione riguarda, peraltro, il solo caso in cui dette richieste siano compatibili con l’interesse del beneficiario, e tale compatibilità costituisce altresì il criterio guida al quale deve attenersi il giudice tutelare nel risolvere ogni contrasto tra l’amministratore di sostegno ed il beneficiario medesimo, in ordine ad ogni singolo atto gestionale da compiere, a maggior ragione quelli concernenti la tutela della sua salute ed incolumità; ritenuto che la pandemia in atto consigli l’adozione di misure a protezione della beneficiaria la quale, senza averne consapevolezza, esce di casa ignara di limiti e prescrizioni via via disposte dalle Autorità, in termini di cautele per sé e per i terzi».
[45] Cfr. articolo 411, comma 1, c.c. «Si applicano all’amministratore di sostegno, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli da 349 a 353 e da 374 a 388».
[46] Né tanto meno, peraltro, tale equiparazione si ritiene possa essere operata per una persona nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di interdizione, nei casi in cui l’interdetto sia ancora in grado di manifestare la propria volontà all’ingresso in una struttura sanitaria.
[47] Consiglio d’Europa, Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT), Internamenti forzati negli istituti psichiatrici, estratto dall’8o rapporto generale del CPT, pubblicato il 1998, reperibile sul sito: https://rm.coe.int/16806cd433.